L'art. 16 d.l. 135/2009 ha abrogato l'art. 17 l. 99/2009, mitigando sia la forma che le responsabilità aziendali in materia di origine delle merci. La l. 99/2009 prevedeva, accanto al marchio d'impresa, l'indicazione del Paese di origine su merci non originarie dell'Italia, ossia di merci lavorate all'estero in regime di traffico di perfezionamento passivo. Il d.l. 135/2009 appare meno drastico in quanto l'indicazione fallace dei marchi scatta se l'indicazione in etichetta induce il consumatore a ritenere una merce di origine italiana, che invece è stata prodotta all'estero. Inoltre il decreto vigente ripiega su sanzioni amministrative pecuniarie da 10.000 a 250.000 euro, oblabili con 20.000 euro. Resta l'approccio al codice penale per indicazioni false relative a prodotto interamente realizzato in Italia. Disciplina purtroppo ancora confusa nell'attesa di un regolamento comunitario, considerato che risulta rubricata una proposta della Commissione di regolamento del Consiglio (2005/29/CE), relativo all'indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi.
Peraltro, la legge n. 69/2009 ha abrogato l'art. 366-bis che continuerà ad applicarsi, in ambito tributario, ai ricorsi in Cassazione proposti contro le decisioni pubblicate sino al 4 luglio 2009.
Infine, il Regolamento ha abrogato, con l'art. 24, sette decreti emessi, tra il 1994 e il 2001, dall'allora Ministro del tesoro, successivamente modificati e integrati, eliminando così sovrapposizioni e incongruenze e rendendo più chiara, almeno nelle intenzioni, la disciplina.
L'ordinanza in epigrafe dà concreta applicazione alla pronuncia del giudice delle l. n. 71/08 (che ha dichiarato l'incostituzionalità della prevalenza del rito societario in caso di connessione tra cause soggette a riti diversi), disponendo il mutamento di rito da societario a ordinario, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo con domanda riconvenzionale in materia societaria, introdotto prima della l. n. 69/09, che ha abrogato il rito speciale.
L'art. 69 della L. 18 giugno 2009, n. 69 ha abrogato la previsione normativa del potere del Consiglio dei Ministri di deliberare una decisione del ricorso difforme da quella prefigurata nel parere del Consiglio di Stato e, nel contempo, ha riconosciuto alle sezioni consultive del Consiglio di Stato, all'atto di emettere l'anzidetto parere, la legittimazione a sollevare in via incidentale questioni di legittimità costituzionale. La concomitanza tra le due novità è tutt'altro che causale, in quanto la prima dovrebbe consentire alla seconda di superare indenne il vaglio di costituzionalità cui verrà prima o dopo assoggettata.
Qualora non ritenga di chiedere il giudizio, totalmente ridisegnato rispetto a quanto previsto nel codice abrogato con applicazione dei principi di terzietà dell'organo di giudizio e di diritto alla difesa e con rinvio alle norme dettate dall'art. 127 c.p.p. per i procedimenti in camera di consiglio, il procuratore generale potrà disporre direttamente l'invio degli atti all'archivio. Numerosi i problemi che questa materia pone anche per la sovrapposizione che spesso le fattispecie disciplinari hanno con le violazioni rilevanti anche in sede penale e con gli ordinamenti interni delle diverse strutture da cui dipendono, al di fuori dell'attività di interesse, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria.
., ma anche sui limiti entro cui sia possibile derogare alla disciplina di relativa nomina; per poi soffermarsi, nell'ultimo paragrafo, sul procedimento di nomina giudiziale del medesimo, soprattutto all'indomani dell'entrata in vigore della l. 18 giugno 2009, n. 69 che ha pure abrogato il c.d. "rito camerale societario".
La soluzione accolta dalle Sezioni Unite della Cassazione non può essere condivisa, in quanto il secondo comma dell'art. 5, l.n. 217 del 1990, che prevedeva l'obbligo di dichiarazione dei beni immobili e/o mobili registrati da parte del richiedente il patrocinio a spese dello Stato , è stato espressamente abrogato dall'art. 5, l.n. 134 del 2001 (il successivo t.u. sulle spese di giustizia del 2002 si è limitato a recepire la normativa in vigore). Di conseguenza, pretendere un comportamento non più richiesto dalla legge urta col principio di legalità, essendo l'esistenza di un obbligo giuridico requisito indispensabili dei reati omissivi. Peraltro, nell'ipotesi in cui i beni non indicati nell'istanza erano in realtà adeguati alle condizioni economiche di una persona con un reddito non superiore a quello richiesto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, l'omissione si presenta anche inoffensiva, dovendo essere individuati i beni protetti dall' art. 95 t.u. spese di giustizia, sia nella fede pubblica, sia nel patrimonio dello Stato, che non viene posto in pericolo qualora il giudice avrebbe in ogni caso accolto l'istanza.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 8071 del 2010, ribadisce la linea interpretativa secondo la quale l'avviso di pagamento previsto dall'art. 60, sesto comma, del decreto IVA deve ritenersi implicitamente abrogato dalla evoluzione legislativa che consente all'Ufficio di irrogare le sanzioni per omesso versamento mediante diretta iscrizione a ruolo. Tuttavia, come correttamente stigmatizza la sentenza, la cartella di pagamento deve essere congruamente motivata, soprattutto se costituisce il primo atto con cui la violazione viene portata all'attenzione del contribuente. Un certo interesse desta, inoltre, l'affermazione, peraltro non condivisibile, circa l'applicabilità delle attenuanti per violazioni continuate in caso di plurimi omessi versamenti d'imposta.
È abrogato, inoltre, il regime di non imponibilità per i redditi derivanti dalla partecipazione a fondi immobiliari percepiti da soggetti non residenti. Le disposizioni, secondo il Governo dirette a contrastare l'utilizzo elusivo dei fondi e, in particolare, ad arginare il fenomeno dei fondi immobiliari "veicolo", costituiranno anche una gradita fonte di entrate per le bisognose "casse" dello Stato.
L'articolo è stato redatto prima dell'entrata in vigore della novella (legge n. 69 del 18 giugno 2009) che ha abrogato l'art. 366-bis c.p.c. che prevedeva la formulazione del quesito di diritto per ogni motivo di ricorso per Cassazione, introducendo il nuovo art. 360-bis c.p.c. che prescrive, tra le ipotesi di inammissibilità del ricorso per Cassazione, il caso in cui il provvedimento impugnato abbia deciso "le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte". Viene esaminata la responsabilità del difensore a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per Cassazione per insufficiente specificazione dei motivi o erronea o carente formulazione del quesito di diritto. Ci si sofferma sull'obbligo prima vigente di indicare nel ricorso per Cassazione i quesito di diritto relativi agli specifici motivi di impugnazione e le problematiche connesse. Vengono esaminati i vizi di insufficiente o contraddittoria motivazione e di violazione di legge denunciabili con ricorso per Cassazione e la distinzione rispetto al vizio di motivazione. Viene anche esaminato l'ambito di applicazione dell'art. 360, n. 5 c.p.c. limitato, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, all'esame e alla valutazione compiuti dal Giudice del merito sotto il profilo delle carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell'attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi. L'attenzione si sposta sulla necessità di indicare, prima della modifica normativa di cui alla L. n. 69/2009, a pena di inammissibilità, le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata in contrasto con disposizioni normative o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, dovendo la Cassazione adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione di legge.
Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, la l. n. 54 del 2006 non ha abrogato neppure in parte l'art. 317 bis c.c., bensì lo ha riplasmato, innovandolo nel suo contenuto precettivo. Conseguentemente, la competenza ad adottare i provvedimenti nell'interesse del figlio minore spetta al Tribunale minorile ex art. 38, 1° co. disp. att., c.c. E' ricorribile per Cassazione il provvedimento emesso dalla Corte d'Appello, sezione per i minorenni, che si sia pronunciata in sede di reclamo, ex art. 317 bis c.c, su questioni relative all'affidamento dei figli di genitori non coniugati ed alle relative statuizioni economiche, ivi compresa la questione relativa all'assegnazione della casa familiare.
Il comma 8 dell'art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (contenente 'Disposizioni in materia di sicurezza pubblica') ha reintrodotto nel Codice Penale il delitto di "Oltraggio a Pubblico Ufficiale", delitto già precedentemente previsto dall'art. 341 ed abrogato dal primo comma dell'art. 18 della legge 25 giugno 1999, n. 205. L'autore mette in luce gli aspetti positivi e gli aspetti negativi di questa reintroduzione. E, inoltre, riportata la giurisprudenza della Corte di Cassazione intervenuta nel 2009 in materia di abuso d'ufficio (art. 323 C.P.), omissione o rifiuto di atti d'ufficio (art. 328 C.P.), responsabilità per omesso impedimento di eventi (art. 40, co. 2, C.P.), altre responsabilità penali di sindaco, consiglieri, assessori comunali e altri amministratori pubblici.
Particolare attenzione dedica all'art. 24, ultimo comma, abrogato dal D.Lgs. n. 169/2007, sull'applicabilità del rito camerale alle controversie rientranti nella competenza del tribunale fallimentare, disposizione che - seppure ormai passata alla storia - è espressione dell'annoso problema della c.d. cameralizzazione del giudizio sui diritti soggettivi.