Si considera preliminarmente il caso in cui una domanda regolata dalla normativa abrogata sia proposta erroneamente nelle forme ordinarie prima del 4 luglio 2009 e, in base ai principi di economia processuale, si esclude che possa essere ordinato il mutamento di rito in favore del rito commerciale, indipendentemente dalla data di proposizione della domanda. Si definisce, quindi, la nozione di pendenza nei diversi modelli processuali, in funzione della applicazione della disciplina abrogata o di quella sopravvenuta. Si valutano, infine, le conseguenze della abrogazione nei processi a cognizione piena, nei procedimenti sommari, nei giudizi di appello, nei procedimenti cautelari e in quelli in camera di consiglio.
La nuova normativa sostituisce la precedente legislazione che regolamentava la materia (D.P.R. 327 del 1964, modificato ed integrato dalle leggi: n. 191 del 1975, n. 958 del 1986, n. 64 del 1992) e che viene espressamente abrogata. Pertanto, a partire dall' 1 gennaio 2011 i Comuni dovranno compilare le liste della leva militare facendo riferimento alle nuove disposizioni dettate dal citato codice sull'ordinamento militare. È pure disciplinata la procedura relativa alla riattivazione del servizio militare obbligatorio che conduce al reclutamento dei militari, attraverso l'istituzione dei Consigli di leva e la eventuale decisione di optare per l'obiezione di coscienza.
Non può invocare nessun ragionevole affidamento il soggetto che non ha osservato "la prassi" operativa seguita dagli uffici regionali in conformità alla legge regionale ritenuta implicitamente abrogata, realizzando l'opera senza nemmeno formulare la denuncia di inizio attività, né presentare gli elaborati tecnici.
Premesso brevemente il quadro normativo di riferimento, anche attraverso il raffronto tra la disciplina vigente e quella abrogata, il commento analizza la pronuncia con cui i Giudici di Palazzo Spada - mediante un'attenta ricostruzione esegetica della normativa, finalizzata a chiarire l'intento del legislatore - negano la possibilità di configurare una responsabilità di tipo oggettivo in capo al proprietario del fondo, sulla base della mera titolarità del diritto. Si osserva, infatti, come la responsabilità del proprietario, o comunque del soggetto che ha la disponibilità materiale del terreno, non possa sorgere da un'obbligazione propter rem, legata alla sua qualità di proprietario, ma debba basarsi necessariamente sull'accertamento dell'elemento soggettivo della fattispecie, la cui sussistenza va dimostrata dall'Amministrazione procedente sulla base di un'accurata istruttoria. Come si avrà modo di sottolineare, il legislatore ha voluto seguire tale impostazione in ossequio al principio comunitario "chi inquina paga", posto alla base non solo della normativa in tema di rifiuti, ma più in generale dell'intera disciplina in materia di tutela ambientale, salva la previsione di deroghe eccezionali, opportunamente individuate e confinate entro limiti ben precisi. Al contrario, nonostante l'orientamento prevalente della giurisprudenza neghi la configurabilità di una responsabilità oggettiva per fatto altrui, troppo frequentemente le amministrazioni locali rivolgono l'ordine di sgombero indiscriminatamente al proprietario del fondo, quando non sia possibile identificare l'autore materiale dell'illecito, laddove sarebbe invece necessario condurre un'adeguata indagine sulla sussistenza di elementi validi a fungere da parametri per accertare il dolo o quantomeno la colpa del proprietario, il quale altrimenti viene di fatto onerato ingiustamente degli obblighi di sgombero e smaltimento dei rifiuti che ignoti hanno abbandonato sul suo terreno.
Per quanto si tratti di questione afferente a una disposizione abrogata, essa conserva una notevole importanza concettuale e pratica: il problema dei presupposti delle iniziative istruttorie del giudice tributario resta attuale con riguardo agli altri poteri istruttori previsti dall'art. 7 del D.lgs. n. 546/1992 e alle regole che della disposizione abrogata hanno preso il posto. La decisione, inoltre, presuppone tutta una serie di problemi sull'ammissione e valutazione dei mezzi di prova che, pur non entrando nel fuoco di attenzione della Corte, sono di notevole interesse pratico.
Nella sentenza che si commenta, si torna ad affrontare la questione della interposizione nelle prestazioni di lavoro, in un ennesimo caso che richiede l'applicazione della L. n. 1369/1960 (abrogata dal D.Lgs. n. 276/2003), poiché in essa si rinviene la regolamentazione giuridica del fenomeno interpositorio al tempo dei fatti di causa.
Il Tribunale di Trani ha il dubbio che la formula generica delle ragioni di carattere sostitutivo della clausola generale di apposizione del termine, di cui all'art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001, costituisca un ingiustificato peggioramento della tutela complessiva dei lavoratori a tempo determinato, rispetto alla precedente disciplina abrogata, in cui era previsto l'obbligo di indicare il nominativo del lavoratore sostituito e la causa della sostituzione. Mentre continua il duro contrasto sul punto tra Corte costituzionale e Cassazione, la Corte di Lussemburgo prende atto che la giurisprudenza interna ha, nel frattempo, già risolto il problema con l'interpretazione adeguatrice e rimette la soluzione del quesito al Giudice di merito, rafforzandone notevolmente i poteri di intervento utili a sanare gli errori di un legislatore senza obiettivi. Una sentenza molto importante, in un ambito "sensibile" di diritti fondamentali, su cui vi è stata la doppia pregiudiziale costituzionale e comunitaria.