La conclusione cui perviene l'A. è che la locuzione "contraccezione d'emergenza" è, nella realtà della l. n. 194, una interruzione non abortiva, dovendo intendere per aborto - secondo la più diffusa opzione esegetica - la interruzione post-nidatoria (cioè della gravidanza). L'A., tuttavia, osserva che le pratiche, tecniche o farmacologiche, che reagiscono prima dell'annidamento e dopo la fecondazione, non essendo capaci di evitare il concepimento ed essendo, piuttosto, idonee a interrompere quelle modificazioni molecolari che la biologia riconosce avere avuto inizio con la fecondazione, sono pur sempre produttive di un effetto interruttivo del processo genomico. Di fronte a tale realtà l'A. segnala l'esigenza, avvertita dalle categorie professionale interessate al tema, di dover ugualmente garantire il diritto di obiezione al soggetto - medico o farmacista - chiamato a praticare queste metodiche, ponendo esse evidenti problemi di coscienza.
Nasce un vivace dibattito, tutt'ora aperto, che vede la formazione di due opinioni differenti: da una parte coloro che, considerando la salpingostomia e il Mtx come attacchi diretti alla vita fetale, negano la possibilità terapeutica mediante l'approccio conservativo in quanto costituirebbe aborto diretto; dall'altra coloro che, considerando in modo diverso l'oggetto dell'atto medico di salpingostomia e della somministrazione del Mtx, vedono lecito l'approccio conservativo in quanto indirettamente abortivo. L'A. offre un bilancio critico e una sua proposta terapeutica tenendo in conto sia il valore della vita e della salute materna che quello della vita dell'embrione ectopico nel rifiuto di quelle opinioni che, con vena proporzionalistica, considerano la soppressione fetale come male minore giustificandola con il fatto che, tanto, l'embrione ectopico, è naturalmente destinato alla morte.