Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIPIEMONTE

Risultati per: abitudini

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L'evoluzione

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Montalenti, Giuseppe 10 occorrenze

Allo stesso modo i topi e i ratti, le cimici e gli scarafaggi, i cani e i gatti si sono adattati a convivere con l’uomo; sopportati, o tollerati, o più o meno graditi, a seconda dei casi, acquistando abitudini e caratteri particolari, che li fanno oggi nettamente diversi dai loro congeneri selvatici.

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Il che non è, o per la distanza che separa gli individui dell’una da quelli dell’altra, o per altri ostacoli, che possono essere rappresentati da catene di monti o da larghi corsi d’acqua, o da zone desertiche interposte e non facilmente superabili, oppure anche da abitudini di vita diverse o da vari fattori fisiologici come diversità della stagione riproduttiva, o anche da fattori etologici o psicologici (amissia psichica) cosa massimamente evidente nell’uomo, ma che non manca anche in alcuni animali superiori.

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Sta di fatto che i diversi animali hanno ciascuno, secondo il proprio genere e la propria specie, abitudini particolari e una organizzazione ch’è sempre perfettamente in rapporto con esse abitudini.

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La seconda conclusione è la mia personale: suppone che, per influenza delle circostanze sulle abitudini e poi per quella delle abitudini sullo stato delle parti e anche su quello dell’organizzazione, ogni animale possa ricevere, nelle sue

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Conclusione ammessa fino ad oggi: la natura (o il suo Autore), creando gli animali, ha previsto tutte le possibili circostanze in cui essi avrebbero dovuto vivere e ha dato ad ogni specie un’organizzazione costante, nonché una forma determinata e invariabile nelle sue parti, le quali obbligano ogni specie a vivere nei luoghi e nei climi dove la si trova e a conservare le abitudini che le si conoscono.

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Mia conclusione particolare: la natura, producendo successivamente tutte le specie d’animali e cominciando dai più imperfetti o più semplici, per terminare la sua opera con i più perfetti, ha complicato gradualmente la loro organizzazione, e, diffondendosi gli animali generalmente in tutte le regioni abitabili del globo, ogni specie ha ricevuto dall’influenza delle circostanze in cui si è trovata le abitudini che le conosciamo e le modificazioni delle sue parti che l’osservazione ci dimostra.

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Tutto concorre dunque a provare la mia affermazione, cioè, che non già la forma, sia del corpo, sia delle sue parti, dà luogo alle abitudini e al modo di vita agli animali, ma che, al contrario, le abitudini, il modo di vita e tutte le altre circostanze influenti hanno, col tempo, costituito la forma del corpo e delle singole parti degli animali. Con forme nuove, nuove facoltà sono state acquisite, e a poco a poco la natura è giunta a formare gli animali così come li vediamo attualmente.

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Ora, se è vero che un animale da lungo tempo domesticato differisce dalla specie selvatica da cui è derivato, e se, in quella specie domestica, si trova una grande differenza di conformazione fra gli individui che sono stati sottomessi ad una abitudine e quelli che sono stati costretti ad abitudini differenti, è certo che la prima conclusione non è conforme alle leggi della natura, mentre, al contrario, la seconda è in perfetto accordo con esse.

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Per giungere a conoscere le vere cause di tante forme diverse e di tante differenti abitudini di cui gli animali che conosciamo ci offrono gli esempi, bisogna considerare che le circostanze infinitamente diversificate, ma tutte lentamente cangianti, in cui gli animali di ogni razza si sono successivamente trovati, hanno determinato, per ciascuno di essi, nuovi bisogni e successivamente cambiamenti nelle loro abitudini. Una volta riconosciuta questa verità incontestabile, sarà facile vedere come nuovi bisogni abbiano potuto esser soddisfatti e nuove abitudini acquisite, se si presta attenzione alle seguenti leggi della natura, che l’osservazione ha sempre constatato.

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Nell’ottobre 1838, cioè quindici mesi dopo l’inizio della mia ricerca sistematica, lessi per diletto il libro di Malthus sulla Popolazione [Essay on the Principles of Population] e poiché, date le mie lunghe osservazioni sulle abitudini degli animali e delle piante, mi trovavo nella buona disposizione mentale per valutare la lotta per l’esistenza cui ogni essere è sottoposto, fui subito colpito dall’idea che, in tali condizioni, le variazioni vantaggiose tendessero a essere conservate, e quelle sfavorevoli a essere distrutte. Il risultato poteva essere la formazione di specie nuove. Avevo dunque ormai una teoria su cui lavorare, ma ero così preoccupato di evitare ogni pregiudizio, che decisi di non scrivere, per qualche tempo, neanche una brevissima nota. Nel giugno del 1842 mi concessi la soddisfazione di fare della mia teoria un breve riassunto di trentacinque pagine scritte a matita; questo fu poi ampliato nell’estate del 1844 in uno scritto di duecentotrenta pagine che poi feci ricopiare accuratamente e che ancora posseggo.

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