Si considerano tuttavia effettuate nell'esercizio di attività commerciali, salvo il disposto del secondo periodo del comma 1 dell'articolo 108, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità.
La sentenza della Corte di cassazione n. 18696 del 2011, oltre a ribadire la non necessità dell'abitualità dei ritardi ai fini della configurabilità dell'illecito disciplinare a carico dei magistrati, afferma una presunzione di ingiustificatezza, superabile solo con la dimostrazione di fatti eccezionali o straordinari, per i ritardi superiori ad un anno, ritenuti di per sé lesivi del diritto delle parti al giusto processo sotto il profilo della sua ragionevole durata. La predetta quantificazione annuale appare, tuttavia, il frutto di un'opzione interpretativa agganciata a riferimenti giurisprudenziali di provenienza europea non esportabili, oltre che poco sensibile alle condizioni attuali di larga parte dei nostri uffici giudiziari. Conseguenza non auspicabile di tale principio è un iniquo irrigidimento del sistema sanzionatorio a carico di tanti magistrati, chiamati ad affrontare un ingente numero di affari in uffici caratterizzati da gravi carenze strutturali.
Tuttavia, nel tentativo di risolvere gli aspetti problematici più importanti e, quindi, di limitare al minimo i possibili differenti orientamenti applicativi (pur fisiologici nella realtà giudiziaria nell'ambito dell'esercizio del potere discrezionale del giudice), occorre necessariamente interpretare il nuovo istituto alla luce dei principi costituzionali del diritto penale del fatto.