Più per ragioni civili;l'agricoltura abitua i popoli a vivere all'aperto dei campi e in lotta colle difficoltà della natura, educandoli a sensi di libertà, di sacrifizio, di affezione alla patria, nel tempo stesso che ne tempra la forza fisica. Per questo titolo già presso i romani era l'unica industria da essi durante i bei secoli della repubblica tenuta in onore. Infine per ragioni morali;la contemplazione quotidiana da parte dei cultori dei campi dei fenomeni meravigliosi e regolari della natura solleva le genti al pensiero di Dio e dell'ordine provvidenziale, adempiendo ad una funzione educativa etico-religiosa. Così nella bibbia l'agricoltura è considerata un esercizio quasi di pietà e particolarmente grato a Dio; e i vari culti dell'antichità consacrarono con feste e riti l'arte dei campi.
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Essa abitua a condividere coi nostri simili gli ardimenti, i sacrifizi, le aspettative, ed educa a sensi di mutua temperanza e benevolenza, piegando l'egoismo in favore del sentimento di solidarietà; così è scuola di carità sociale.
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Ma non è industria, bensì un lavoro negativo o distruttivo, che abitua talora i popoli, come i numidi antichi, gli sciti, i vandali, i calmucchi, i kirghisi, i cosacchi, alla aggressione e rapina; componendo drappelli predatori, che talvolta si agglomerano come le orde dei vandali sotto Alarico a devastare territori d'alta civiltà e Roma stessa; e che tal'altra, dopo la distruzione completa di razze animali, riescono al cannibalismo, come nella Nuova Zelanda (Roscher).
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