.); in occasione dell'introduzione della fattispecie autonoma di furto in abitazione e furto con strappo (art. 624-bis c.p.); più recentemente, per effetto delle innovazioni relative allo spaccio di lieve entità (art. 73, comma 5, t.u. stup.[testo unico sugli stupefacenti]). Ogni volta che muta il quadro normativo processuale o sostanziale di riferimento s'impone la necessità di meglio ponderare gli effetti e le ricadute applicative sul particolare sistema processuale differenziato oggetto del d.p.r. n. 448/1988, tenendo conto delle esigenze specifiche e dei particolari obiettivi della giustizia penale minorile.
Dopo un breve "excursus" sui principi normativi e giurisprudenziali che caratterizzano gli istituti dell'occasione di lavoro e dell'infortunio "in itinere", gli AA. si soffermano sulle differenze tra l'infortunio in missione, l'infortunio "in itinere" e quello occorso nella privata abitazione del lavoratore. Concludono, infine, con l'analisi delle differenti fattispecie in cui può articolarsi la categoria dell'infortunio in trasferta o in missione, distinguendo tra l'infortunio occorso al lavoratore nel luogo in cui egli si trovi a dimorare in missione da quello avvenuto lungo il tragitto, comprendendo tale categoria sia il percorso effettuato per raggiungere il luogo della dimora in missione sia quello che collega quest'ultimo al luogo in cui si svolge la prestazione lavorativa nella missione.
Anche i diritti di uso e di abitazione appaiono suscettibili di rinunzia, stante il rinvio alla disciplina dell'usufrutto. La servitù si estingue per rinunzia. Per alcuni si tratterebbe di un atto bilaterale a carattere attributivo. Prevale la tesi della natura unilaterale, in coerenza all'effetto puramente abdicativo del negozio. Per alcuni avrebbe carattere recettizio; per altri, condivisibilmente, non sarebbe recettizio sempre in virtù della sua natura abdicativa. Possono determinarsi effetti peculiari laddove il fondo dominante risulti gravato da altri diritti reali minori. Sono necessarie la forma scritta e la trascrizione. Diverso rispetto alla rinunzia alla servitù è l'istituto, particolarmente controverso, dell'abbandono del fondo servente. Tecnicamente si tratta di un atto di rinunzia e non di abbandono. Per alcuni esso avrebbe natura di offerta di acquisto (teoria contrattualistica). Per altri sarebbe un'ipotesi di rinunzia traslativa. Altri ancora riconducono l'istituto in esame alle obbligazioni con facoltà alternativa. Esso determina un effetto dismissivo immediato (della proprietà del fondo servente) ed un effetto liberatorio, anche per il passato, dalle spese relative alla servitù. Secondo l'opinione prevalente, si tratta di un negozio unilaterale recettizio, stante la presenza dell'effetto liberatorio (come nell'ipotesi di cui all'art. 1104 c. c.). Il proprietario del fondo dominante può acquistare il fondo, essendo la rinunzia disposta a "suo favore": per alcuni occorre un atto di appropriazione o accettazione che avrà efficacia retroattiva. Per altri, invece, l'acquisto opererebbe automaticamente, salva la possibilità di rifiuto. Prevale la tesi per cui l'acquisto in esame sarebbe titolo derivativo, a differenza di quanto accade nelle ipotesi di rinunzia abdicativa. In caso di acquisto, comunque, la servitù si estingue per confusione. In conclusione, esaminato l'atteggiarsi della rinunzia abdicativa rispetto ai diversi diritti reali, la stessa manifesta alcuni tratti comuni caratterizzanti. Si tratta, anzitutto, di un negozio unilaterale non recettizio, che non richiede accettazione né deve essere portato a conoscenza di terzi. Lo stesso, inoltre, è causalmente diretto unicamente alla dismissione del diritto soggettivo. Eventuali conseguenze per i terzi sono effetti solo riflessi e ordinamentali del negozio in esame. E ciò contribuisce a spiegarne il carattere non recettizio. La generale rinunziabilità se riguarda i diritti, non così gli obblighi. Nei casi in cui esiste una posizione di debito (come nel diritto di enfiteusi ovvero nelle fattispecie di rinunzia liberatoria, quali quelle di cui agli artt. 1070 e 1104 c.c.) la rinunzia assume una fisionomia diversa. Occorre, infatti, una espressa previsione di legge affinchè il debitore possa spogliarsi del debito senza il consenso del creditore. Stante il pregiudizio che questi risente, la dichiarazione di rinunzia deve inoltre essergli portata a conoscenza (e ciò trova conferma anche nella disciplina della remissione del debito, art. 1236 c.c.), assumendo pertanto natura recettizia.
Il protocollo in rassegna mira a fornire indicazioni utili per la risoluzione delle questioni più frequenti di cui il giudice deve occuparsi nella trattazione di procedimenti per convalida di sfratto, per finita locazione o per morosità del conduttore nel pagamento della pigione, anche con specifico riferimento alla possibilità di sanare la morosità in giudizio qualora si tratti di immobile adibito ad abitazione.
Lo scritto analizza la questione della validità di un contratto di locazione utilizzato dal conduttore per un'attività commerciale con contatto diretto con il pubblico (agenzia di assicurazioni), ancorché in immobile destinato ad uso di abitazione, al fine dell'esercizio del diritto di prelazione legale.
La successione legittima e i diritti di uso e abitazione del coniuge superstite: la parola alle sezioni unite
Il legislatore riconosce i diritti di uso e abitazione solo nella successione necessaria non nella legittima. La soluzione è data dalla sentenza. La novità riguarda i meccanismi di attribuzione ovvero se tali diritti debbano o meno cumularsi alla quota prevista dagli art. 581 e 582 c.c.
I diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano nell'ambito della successione necessaria
A pochi mesi della pronuncia delle Sezioni Unite 27 febbraio 2013, n. 4847, la Cassazione torna ad occuparsi del tema, questa volta nell'ambito della successione necessaria, delle modalità di calcolo dei diritti di abitazione adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, affermando, correttamente, che è errato calcolare la quota di riserva sottraendo dal "relictum" il valore di tali diritti ma avallando, in maniera poco convincente, il criterio del "doppio binario di calcolo" originatosi alla luce dell'interpretazione del combinato disposto degli articoli 540 e 553 c.c. fornita dalle Sezioni Unite nell'ambito della successione legittima con il citato precedente.
Prevista a regime anche la deducibilità del 20% (30% solo per il 2013) dell'imposta pagata dal reddito d'impresa o dal reddito di lavoro autonomo, finanziata però con il ripristino parziale dell'IRPEF [imposta sul reddito delle persone fisiche] sui fabbricati non locati, ad uso abitativo, ubicati nello stesso Comune in cui è sito l'immobile adibito ad abitazione principale.
Alla luce della "ratio" cui è ispirata l'agevolazione "prima casa" non si condivide la pronuncia della Cassazione, che ritiene vincolante la dichiarazione di intento di trasferire la propria residenza, la quale muove dal presupposto che l'immobile debba effettivamente essere destinato ad abitazione. Assumendo che la finalità dell'agevolazione non sia quella di soddisfare le effettive necessità abitative dell'acquirente il requisito della fissazione della residenza o dello svolgimento dell'attività lavorativa può essere considerato come un dato meramente formale volto a delimitare l'ambito oggettivo dell'agevolazione al momento della sua applicazione, ma non a caratterizzarne la finalità. Quindi, nel caso in cui il contribuente non ottemperi all'intento di trasferire la residenza nel Comune ove è ubicato l'immobile, il beneficio pare applicabile se il soggetto svolge la sua attività lavorativa nel medesimo Comune.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la circolare precisa che per i trasferimenti soggetti ad imposta di registro non assumono più rilievo i requisiti "di lusso" previsti dal D.M. 2 agosto 1969, ma solo la classificazione catastale della casa di abitazione. Relativamente all'imposta minima, la legge ha introdotto una nuova misura di 1.000 euro per i trasferimenti immobiliari che si affianca a quella di 200 euro applicabile per tutti gli atti diversi da quelli immobiliari.
Nel decreto in commento si afferma la piena compatibilità dell'ordine di liberazione di cui all'art. 560, comma 3, c.p.c. con la liquidazione in sede fallimentare dell'immobile adibito ad abitazione del fallito, e pertanto la possibilità di emissione di tale ordine da parte del giudice delegato, anche prima dell'aggiudicazione, purché sia iniziata la liquidazione di tale bene. La pronuncia merita consenso in quanto risponde alle finalità di efficienza, coerenza e parità di trattamento che le "prassi virtuose" del processo esecutivo immobiliare hanno distillato dal principio costituzionale della ragionevole durata del processo e che devono ispirare, a maggior ragione, la liquidazione fallimentare.
Diritto di abitazione e risarcimento del danno non patrimoniale
Traendo spunto dalla sentenza della Corte di Cassazione che afferma il principio secondo cui nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, poiché vale ad incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, l'A. analizza alcuni argomenti di particolare interesse, come la rilevanza giuridica del certificato di abitabilità e le conseguenze risarcitorie della risoluzione del preliminare di compravendita.
[Suprema Corte] conferma l'orientamento secondo cui il familiare convivente è detentore qualificato della casa di abitazione, in forza di un negozio giuridico di tipo familiare che lo legittima ad esperire l'azione di spoglio sia nei confronti del familiare convivente, sia nei confronti del terzo non convivente.