L'inapplicabilità della custodia cautelare per i minorenni imputati di furto in abitazione
Una volta constatati i contrasti che continuano a sussistere quando si tratta di adottare la custodia cautelare nei confronti di minori imputati di furto in abitazione, si esprime apprezzamento per la soluzione raggiunta dalla sentenza (quindi per l'inapplicabilità della misura coercitiva), pur senza condividere l'itinerario argomentativo. Dopo un cenno all'ordinanza costituzionale n. 147 del 2003, richiamata dalla sentenza in esame, si avanzano alcune generali considerazioni sul processo penale minorile, esprimendo soprattutto timore per il metodo della carcerizzazione che, in Europa, sta dilagando in vari settori della giustizia penale, area minorile compresa.
In tale prospettiva, l'A. esamina, riservando particolare attenzione al regime delle autorizzazioni, le problematiche connesse alle diverse tipologie d'accesso: nei locali adibiti all'esercizio dell'attività di impresa e all'esercizio di attività professionali, in quelli utilizzati in modo promiscuo in quanto destinati anche ad abitazione, nei locali diversi da quelli testé detti, negli autoveicoli, adibiti o meno a trasporto delle merci. Si sofferma inoltre sulla natura dell'autorizzazione del Procuratore della Repubblica e, anche alla luce della più recente giurisprudenza di Cassazione, sulla decisiva questione dell'utilizzabilità della documentazione reperita contra legem. Infine, adeguato spazio é riservato al problema del consenso, cioè a dire se ed in che misura l'accettazione, espressa o tacita, da parte del contribuente dell'attività svolta in dispregio delle norme che la disciplinano possa influire sull'idoneità della prova ad essere utilizzata a sostegno della pretesa cristallizzata nell'atto accertativo.
L'A. condivide la decisione in quanto il diritto di abitazione che deriva dal provvedimento di assegnazione della casa familiare è un diritto personale di godimento e come tale incompatibile con il presupposto di imposta ICI che ha il proprio fulcro in diritti reali con la caratteristica della commerciabilità.
Tale imposta risulta quindi ora applicabile alle sole cessioni di fabbricati (non abitazione principale) e terreni agricoli intervenuti entro i cinque anni dall'acquisto o costruzione. Con il d.l. n. 262/2006, l'aliquota era stata portata dal 12,50 per cento al 20 per cento, riducendo - ma non annullando - l'effetto di riduzione del carico fiscale per i contribuenti.
Viene introdotto un nuovo obbligo dichiarativo da assolversi in sede di dichiarazione dei redditi, si prevede l'esecuzione di controlli ex art. 36-bis del d.p.r. n. 600/1973 a cura dell'Agenzia delle Entrate, si stabilisce che la determinazione delle aliquote d'imposta compete al consiglio comunale e non più alla giunta, si abroga il riferimento normativo relativo alla determinazione della base imponibile per i fabbricati privi di rendita catastale, si modifica la disciplina relativa agli immobili attratti nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa, si precisa il concetto di abitazione principale, si sostituiscono le norme relative all'esecuzione degli accertamenti e dei rimborsi, alla misura degli interessi di mora ed al computo degli stessi, si cambiano le modalità di esecuzione dei versamenti. Non tutte le novità sembrano però in grado di migliorare il quadro normativo di riferimento, posto che alcune si risolvono in appesantimenti e non in semplificazioni per i contribuenti e per i Comuni.