Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abitanti

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Trattato di economia sociale: introduzione all’economia sociale

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Toniolo, Giuseppe 22 occorrenze
  • 1906
  • Opera omnia di Giuseppe Toniolo, serie II. Economia e statistica, Città del Vaticano, Comitato Opera omnia di G. Toniolo, voll. I-II 1949
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. ‒ Lo attestano (dietro gli studi degli indiologi, egittologi, assiriologi) i monumenti dell'India, fra cui il tempio meraviglioso di Delhi, la capitale sacra che contava un milione e mezzo di abitanti, e il palazzo imperiale di granito di Devariserai, distrutto dagli inglesi nel 1857. E così in Africa la magnificenza di Menfi, fondata da Menes, il primo unificatore dell'Egitto verso 5000 anni a. Cr., e più tardi di Tebe dalle cento porte, e le piramidi di Cheope e degli altri faraoni, le più alte costruzioni di mano umana (4.000 a. Cr.) e la monumentomania della decimanona dinastia, che raggiunse il sommo con Seti I e Ramsete II (il Sesostri dei greci, l'oppressore degli ebrei), col tempio di Osiride in Abido e colla sala delle colonne di Karnack in Tebe. Ciò che ha riscontro a distanza di tempo in Assiria nella grandezza di Ninive (scoperta da Botta, Layard, Smith), specie per opera di Assurbanipal (m. 625 a. Cr.), il Sardanapalo dei greci; e atterrata quella da Nabupalassar (Nabucodonosor, m. 561) il più celebre re dell'antichità profana, la magnificenza per opera di questo di Babilonia, colla sua doppia muraglia militare di 79 chilometri di giro, racchiudente uno spazio come il dipartimento della Senna, in esso il palazzo imperiale, templi, edifici civili, giardini pensili, fontane e statue.

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Per contrario i popoli residenti in territori di clima meno propizio, ove sono più acuti i bisogni e più urgente il provvedervi, come gli abitanti di Europa rispetto agli antichi continenti, ereditarono quell'incivilimento che fra maggiori difficoltà, esercitando l'ingegno e il braccio, più non perdettero dappoco lungo i secoli. Così (coeteris partibus)la zona tropicale sembra destinata ad iniziare la civiltà, la zona temperata a perpetuarla.

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L'Europa (media 1885-94), contava per 1000 abitanti la seguente nuzialità (giusta i dati di Körösi): Russia 8,62, Germania 8,5, Austria cis. 7,79, Italia 7,70, Inghilterra 7,45, Francia 7,38, con un massimo in Serbia di 10,46 e un minimo in Irlanda di 5,40 (Benigni); con una costanza nella rispettiva media mirabile. Ciò prova, evidentemente, che in popoli maturi l'assetto del fatto matrimoniale è relativamente stabile, perché intimamente legato, più che alla razza o al clima, alle condizioni caratteristiche sociali-civili, morali, religiose, economiche di ciascun paese, le quali non mutano che trapassando da un grado all'altro di civiltà. Di qui la lieve distanza della media di nuzialità fra i grandi Stati dell'Europa centrale, ogni dì più conguagliati nelle condizioni di vita; mentre quel minimo d'Irlanda rispecchia le croniche sofferenze dell'isola disgraziata, e quel massimo in Serbia e Russia risponde a speciali istituzioni delle popolazioni slave orientali come la «zadruga» balcanica e il «mir» russo (specie di beni comunali), che agevolano le nozze.

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Fu ed è quesito dibattuto, ma la risposta inconfutabile l'offre oggi stesso la Francia, la quale ha il minimo di natalità (rapporto fra popolazione e nascite) in Europa, cioè 21 figli per mille abitanti. Non ne dà ragione la razza, ché in alcuni dipartimenti (p. e. in Bretagna) è fecondissima, come i francesi del Canadà; né le strettezze economiche, ché invece i francesi sono fra le popolazioni più prosperose del mondo. Ciò dipende prevalentemente da una calcolata violazione dei doveri di procreazione, poiché, sebbene i matrimoni sieno colà numerosi quanto la media europea, la figliolanza è all'infimo in tutte le classi anche campagnole. È la nazione che più di ogni altro accolse e pratica la teoria malthusiana. Che ciò sia ripugnante alle leggi morali sociali, alla potenza politica, agli interessi economici è attestato dal giudizio pressoché concorde degli scienziati e della pubblica coscienza intorno alle conseguenze di quella condizione morbosa: essa attesta moralmente che la corruzione è entrata nel talamo; essa preannunzia, che politicamente, a ragione di forze politico-militari, in breve la Francia sarà caduta a potenza di secondo ordine; ed economicamente essa addita che mentre i francesi non possono popolare le loro colonie, al di {{1.429}}dentro deggiono ogni dì più affidare la loro poderosa industria ad immigranti stranieri, donde il recente trattato internazionale del lavoro fra Italia e Francia (1904). Ecco l'efficacia delle idee e del volere nel fatto fisiologico delle nascite. Si impose così il più pauroso problema demografico dell'età nostra; e dopo di esso la teoria di R. Malthus fu sottoposta da tutti a profonda revisione.

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Soltanto in popolazioni barbare o di mediocre cultura, nel fatto della procreazione domina l'istinto fisiologico; ivi la natalità è elevatissima, da 50-60 figli per mille abitanti (Schmoller), salvo poi che muoiano in gran parte bambini, che li ammazzino (Africa, Polinesia), che li espongano (Cina).

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Oggi pure in tutta Europa la natalità oscilla nei grandi Stati più civili fra 28 l'Inghilterra e Galles, e 39 l'Austria cis. per mille abitanti; tenendo il sommo per circostanze locali la Russia (48,7) e l'infimo, come dicemmo, la Francia (21).

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Di qui p. e. l'enorme divario di potenza economica comparativa fra la Norvegia, che sopra 100 abitanti conta superstiti a 20 anni ben 76 dei suoi nati, e l'Italia che ne ha 55 e la Spagna 49 (Benini).

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Rawson dà come medie attuali (1896), per l'Europa orientale decessi 35,7; per la centrale 28,3; per la meridionale 25,5; e per l'Europa nord-occidentale 20,5 per mille abitanti (Schmoller); — con un massimo nel 1900 in Ispagna di 29 e un minimo in Norvegia di 15 (l'Italia 23) per mille (stat. uff.). Ed è più decisiva la generale e sensibile diminuzione delle morti,che in Germania scese da 28,2 morti su mille abitanti nel 1850, a 24,5 nel 1895; e in Isvezia (che conta le più antiche tabelle dal 1750) la mortalità da 27,6 nel 1770 declinò a 23,4 nel 1840, a 17,3 nel 1903; in poco più di un secolo la mortalità era scemata ivi d'un terzo (Schmoller).

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Or bene questo più saldo sustrato biologico e questo più copioso e progredente flusso di vita, hanno finalmente rinvenuto le genti moderne nel secolo XIX.L'Italia soltanto dal 1872 al 1900, per semplice eccedenza di nati sui morti, andò progredendo regolarmente da 6,27 ad 11,15 abitanti per mille;ciò che importa oggi (Anna. uff. it. 1904) 365.000 vite in più all' anno; ma Inghilterra e Russia (1865-83) crebbero di 13, e Germania di 12 per mille (Rawson, Pierson); e nell'insieme l'Europa (pur detratti gli emigranti) dal 1800 al 1900 è più che raddoppiata (Pierson). Si pensi quali scosse profonde ha subito la società del secolo XIX, nell'ordine civile ed economico, dalle rivoluzioni politiche (1821, '31, '48) alle agitazioni formidabili socialistiche (1848 e 1863 ad oggi), alla abolizione della schiavitù in America (1860-65) e della servitù in Russia (1960), fino alla ecatombe quasi periodica di vite e di miliardi ad ogni guerra e crisi mercantile. E tuttavia una riposta vis medicatrix, che deriva in gran parte (non esclusivamente) da questa crescente riserva di energie biologiche, la abilitò finora a riprendere alacre il cammino dell'incivilimento e della poderosa sua produzione.

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Per altri rispetti, soltanto ai grandi Stati per altissimo numero di cittadini è dato di pesare sulla bilancia della politica internazionale; serbare indipendenza e far valere il diritto con nerbo di forze militari spesso di più milioni di soldati in campo; di farsi arbitri di civiltà nel mondo come oggi la Gran Bretagna, che col suo impero coloniale conta 398 milioni di abitanti (1904). E infine socialmente solo quelle nazioni che penetrano non già con poche eccelse individualità, ma con numerosi drappelli entro ogni ramo di operosità intellettuale morale e civile, possono sperare di arrivare alla testa del progresso.

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E non è un caso se l'Inghilterra e Galles con abitanti 215 per kmq. (1900) tiene il sommo nell'economia fra i grandi Stati europei, come, fra i minori Stati, Sassonia con 280, Belgio con 229, Lombardia con 164. — Ma guai una sproporzione profonda fra popolazione e territorio. La rada e dispersa popolazione in vastissima superficie come in Russia (in tutto l'impero di 21 milioni di kmq., meno di 6 abitanti), fu grande ostacolo fino a tempi recenti allo sviluppo economico dell'immenso dominio. Viceversa, il fatto di abitanti che si accalcano soverchiamente in angusti spazi, facilmente acutizzano e sconvolgono i naturali rapporti economici. In questi veramente la lotta per l'esistenza, i disoccupati e le vili mercedi, i facili monopoli dei prezzi, il capitalismo cogli alti profitti e lo sfruttamento usurario, il possesso terriero incentrato, le rendite fondiarie assorbenti, l'alto costo della vita, il problema sociale, le agitazioni e le riforme comunistiche in permanenza. È la storia economica delle piccole repubbliche elleniche, di Cartagine, di taluni Comuni medioevali, riprodotta oggi su vasta scala in Europa, che supera di gran lunga colla sua popolazione relativa (37 abitanti per kmq.) gli altri continenti.

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E di ricambio questi sono (per qualche rispetto) gli ammaestramenti offerti dalle recenti fortune del Giappone, raccolto nelle sue isole fitte di popolazione (48 milioni di abitanti, 116 per kmq.).

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E nessuno direbbe che l'impero del sole, che nelle province soltanto (senza paesi annessi e soggetti) conta almeno 320 milioni di abitanti (1894) con 60 per kmq., in media e in qualche provincia (Chantoung) con 221 abitanti per kmq., proceda alla testa del progresso; bensì apparisce che le condizioni di tale progresso consistono in un dispiego proporzionale di energie spirituali, intellettuali, etiche, civili, di cui quelle della ricchezza sono in gran parte un risultato e un premio.

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., sembra oscillasse fra 60-80 milioni di abitanti (Sakaroff). L'Egitto non superò mai i 7 milioni di abitanti e discese a 3 dopo la conquista di Alessandro. La Grecia, colle sue popolazioni anche biologicamente espansive, raggiunse forse 4 milioni nell'intera penisola e altrettante nelle colonie, fino al dominio macedone; poi dislocazione e spopolamento irreparabile. Lo Stato romano da mezzo milione ai tempi della guerra coi sabini, allargandosi in tutta Italia perveniva sotto Augusto a 51/2 milioni, sotto Claudio a 7; e tutto l'impero romano in tre continenti nel primo secolo cristiano abbracciò forse 54 milioni (Beloch).

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Ma tuttavia la potente Firenze medioevale non oltrepassò mai 90 mila abitanti; lo Stato veneto intero un milione; e all'esordire dell'età moderna (1400) Italia tutta arrivava forse ad 11 milioni, l'Europa a 60-80 (Schmoller).

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Un passo risentito al paragone segna l'agricoltura vaga con allevamento di bestiame, e tocca il 5 e più per kmq. fra i celti e i germani primitivi fino a Cristo, tramutandosi in salto decisivo colla agricoltura fissa a maggese, intrecciata al prato e al bosco, insieme alle prime industrie civiche, già caratteristica d'Italia a cavaliere dell'era cristiana, e dell'Europa centrale soltanto dal 1200-1500; le quali oscillano fra 17 e 26 abitanti per kmq. Ma chi il crederebbe? Questo dato in Europa rimane di poco alterato fino a metà del secolo XIX, indizio della resistenza dell'empirismo e della stazionarietà economica. Ma infine i risultati delle trasformazioni tecniche ed economiche, ormai generali in Europa, si palesano con queste cifre meravigliosamente cresciute: per le regioni puramente agricole dell'Europa meridionale si giunse a 70 abitanti per kmq ; per le regioni europee dei grandi distretti industriali e centri mercantili, fino a 266; e per le regioni che a questi ultimi progressi aggiungono anche quello agrario, specie vinicolo, fino a 318 (Ratzel).

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Dall'Europa manifatturiera con 40 abitanti per kmq. all'America tuttora diradata con meno di 4 (3,8) per kmq., fra il 1800 e 1891 uscirono ben 26 milioni di emigranti in gran parte diretti all'America, la quale, fra gli stessi rapidi progressi industriali degli Stati Uniti, mantiene ognora fisionomia essenzialmente agricola, colle sue derrate inondando l'Europa; mentre l'Italia sola, a quell'afflusso di lavoro in 27 anni, dal 1876 al 1903, contribuì con oltre tre milioni di braccianti, quasi tutti campagnoli (Schmoller, Colaianni, Ann. uff. 1904).

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cento anni (fino al 1900) da 60 mila abitanti ingrossò a 3½ milioni; — o dalla circolazione interregionale che p. e. sposta ogni anno circa 2 milioni di contadini dall'una all'altra regione della sterminata Russia. E si ricordi appena la emigrazione temporanea (che è vero moto internazionale) in cerca di lavoro periodico, quasi esclusiva degli italiani, che negli ultimi tempi disperde annualmente ben 250-280 mila lavoratori in tutti i paesi d'Europa ed oltre, fino alla Siberia, con esempio non imitato dalle altre nazioni. Ma l'emigrazione permanente o definitiva (senza animo di ritorno), che trasfonde per sempre un popolo in un altro ed è quasi tutta extracontinentale, cominciata nel 1815 con 2000 persone dalla Gran Bretagna, quivi nel 1852 trovasi salita a 368 mila; e, partecipatasi circa il 1870 a Germania, Italia e a tutto il continente, negli ultimi 25 anni (1880-1905) s'aggira sopra 600 mila europei, che annualmente vanno a stanziarsi in tutte le plaghe del mondo (Colaianni).

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Etnograficamente è generazione di popoli nuovi: l'immenso territorio del Nord America, in cui prima del 1600 vagavano scarse tribù di pelli rosse, oggi sostenta ben 75 milioni di abitanti, figli della emigrazione olandese, inglese, irlandese, francese, ancora resurrezione di razze antiche: di regola l'uomo nel paese di immigrazione quadruplica l'energia e il valore individuale e sociale che avea nella madre patria (Child) ove forse era elemento nullo o deleterio. Ciò si riscontra nella ridesta alacrità degli irlandesi agli Stati Uniti, nelle virtù civili degli italiani nell'Argentina, nella rigenerazione morale di quegli inglesi, già deportati per pena nell'Oceania, che oggi compongono i liberi cittadini della federazione australiana. L'aria delle colonie è purificatrice e vivificante.

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Romani moderni, gli anglosassoni di oggidì, imponendo colle loro espansioni migratorie istituzioni e lingua inglese a ben 400 milioni di abitanti, hanno acquistato coscienza del proprio primato nella civiltà contemporanea; e l'Europa, fino a ieri il solo continente che non riceve ma porge a tutti gli altri i suoi emigranti, vantando di avere disseminato dalla fine dell'evo medio ben 130 milioni negli altri continenti di popolazione di origine europea, può ben gloriarsi di essere l'alfiere della civiltà cristiana in tutto il mondo.

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L'eccezione vale per certi empori commerciali, che si immedesimarono fin dall'antichità con talune città del golfo Persico, della Co1chide, dell'Egitto, in ispecie della Fenicia, ove Cartagine contava 700 mila abitanti, cifra che forse di poco superò la rivale Roma al tempo di Augusto (Beloch) .

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Così la costituzione organica di città e campagna in ogni suo rispetto erasi nettamente definita nel medio evo, non accentrando però quella (la città) nell'Europa civile più del 10, 20%, e raramente le maggiori città (forse appena Venezia, Milano, Firenze) toccando o superando i 100 mila abitanti; sicché la popolazione era pur sempre diffusamente insediata (Rogers, Schmoller, Bücher). Le successive vicende fra popolazione urbana e rurale non furono che l'effetto del vario atteggiamento dei fattori civili-politici e del fattore tecnico-economico. Nei tre primi secoli dell'età moderna l'afflusso dei campagnoli in città fu preparato dalla distruzione legale, specie nei paesi protestanti, della classe colonica autonoma («yeomanry», «Bauernstand») origine del proletariato, trattenuto però in parte sul suolo dal rincrudimento di vincoli feudali e servili. Ma nel secolo XIX esso precipitò vertiginoso per effetto della trasformazione tecnica industriale e agraria, della proclamata libertà di insediamento, e soprattutto (dal 1845-50) dalla diffusione delle reti stradali e dei mezzi di comunicazione anche interni. Immensa rivoluzione, che dette un predominio assoluto e universale alle cause economiche nel fenomeno dell'odierno inurbamento,il quale spopola le campagne colla ipertrofia delle città; sicché l'Europa occidentale conta oggi il 46% di popolazione civica (da 2000 abitanti in su), e la Gran Bretagna il 65% (Sundbärg). Ma di ciò nel corso della economia.

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Trattato di economia sociale: La produzione della ricchezza

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Toniolo, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1909
  • Opera omnia di Giuseppe Toniolo, serie II. Economia e statistica, Città del Vaticano, Comitato Opera omnia di G. Toniolo, vol. III 1951
  • Economia
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XVIII era di 10 milioni di abitanti, oggi (censimento 1901) è di 41 milioni. — Sono cresciuti per tanto gli impieghi, le mercedi, il benessere familiare, la potenza della nazione.

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