Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIOR

Risultati per: abitanti

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Concentrazione per il partito o per l'amministrazione cittadina? La rappresentanza proporzionale degli interessi - appello al buon senso

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Si è poi circondato di un muro ideale anche Trento e dissero: A Trento diamo un mandato, quantunque a Trento, badate, secondo l’ultimo censimento, vi fossero la metà abitanti di quelli che formavano un collegio di campagna, cosicché si può dire che per far riuscire un candidato agli anticlericali di Trento, hanno dovuto prendere un cittadino e farlo pesare sulla bilancia più che il doppio di due candidati di Pergine o Vezzano! Con tali metodi artificiosi hanno salvato agli anticlericali la rappresentanza e create delle eccezioni al principio maggioritario. Orbene, noi non pretendiamo che a Trento ci facciate valere per due liberali, ma vogliamo che diate in proporzione, secondo quello che pesiamo. Non parliamo poi della Dieta! Alla Dieta i nostri avversari godono privilegi! A Trento, per esempio con circa 500 voti eleggono due deputati. Abbiamo insomma tutto il diritto di chiedere: Non dateci i privilegi che avete voi, ma domandiamo giustizia non per noi soli, ma per tutti i partiti e tutti gli interessi. (Applausi vivissimi).

Il primo Congresso Cattolico Trentino

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Il Trentino e un paese, negli abitanti dei suoi monti cattolico, nelle sue classi colte, nella borghesia, in genere, pagano. Mentre la fede dei lavoratori di questa dura terra trentina restò salda malgrado la marea, che ascendeva quasi difesa da baluardi naturali, non ne rimasero illese le nostre città, i nostri borghi. Lo spirito invadente del paganesimo, qualunque nome portasse penetrò in questa società colta, ove coltura divenne più o meno sinonimo di scetticismo. O chiamate voi forse religione cattolica quelle quattro usanze rimaste per forza d’inerzia, come far battezzare i bambini, assistere a qualche funzione di parata e far posare la croce sul feretro, mentre la vita privata e pubblica è informata a principii pagani o a vieti compromessi, mentre i libri,la stampa quotidiana, l’arte, il teatro, le istituzioni sono inspirati ad ideali che sono fuori o contro il cristianesimo? No, o signori, il cattolicismo è qualche cosa di più integrale, non estraneo a niente di bene, avverso a qualunque male, una regola fissa che deve seguire l’uomo dalla culla alla bara, l’anima e il midollo di tutte le cose. I nostri contadini comprendono che fra loro e i signori c’é una grande diversità di convinzioni, benché non sappiano misurare la profondità dell‘abisso; e quando muovono alla chiesa e vedono il dottore o l'avvocato seduti alla porta del pizzicagnolo o dell’oste del paese osservarli con un cert’atto di superiorità e disprezzo, brontolano qualcosa che esprime il voto di un popolo intero più che non avvenga in cento comizi. E se domandate loro dell'origine di questi mali, vi rispondono: Ma, sono stati all’università! Conosco un buon uomo intelligente che aveva posto le più belle speranze su di un nipote che in ginnasio non aveva mai fatto parlar male di sé. A suo tempo, espresse allo zio il proponimento di andare all’università, e lo zio, pur continuandogli la sua benevolenza, incominciò a dargli del lei. E al nipote meravigliato motivava la mancata confidenza così: Mio caro, lei ora va all’università, quando ritornerà non penserà più come me ed è meglio ci avvezziamo ora a trattarci con deferenza. Nessuno vorrà negare che i nostri popolani nell’indicare la origine del male, non colpiscano nel segno. Sì, dall’università ci venne il paganesimo intellettuale, se non sempre la crisi morale. Ebbene, o signori, volevate voi che giovani convinti della loro fede ed entusiasti della sacra poesia della religione paterna, saliti là dove più distintamente s’ode il rumore della battaglia suprema, se ne stessero indifferenti osservatori? No, noi abbiamo ascoltato la voce del dovere, ci siamo stretti in un fascio, abbiamo spiegato la nostra bandiera e abbiamo offerto alla causa cattolica il nostro tributo di forze giovanili. Noi, ricordandoci delle parole di Montalembert, non abbiamo nemmeno supposto di non accettare le condizioni di un’epoca militante. Non bastava conservare il cristianesimo in sé stessi, conveniva combattere con tutto il grosso dell’esercito cattolico per riconquistare alla fede i campi perduti. Contribuire ora e più tardi al ritorno delle classi colte trentine all’antica fede della città del Concilio, e distruggere così l’abisso fatale aperto fra il popolo e la colta borghesia, ricondurre quell’armonia necessaria ad un popolo tendente ad alti destini, ecco quello a cui noi tendiamo e che esprimiamo mettendo a capo del nostro programma la parola cattolici. E a questo scopo ci soccorre la fede che solleva i cuori e la scienza che arma la mente. A chi nega la conciliazione dell‘una con l'altra, risponda Pasteur. Disse una volta ad un cotale che gli domandava se fra i risultati delle sue esperienze e la Bibbia avesse mai trovato contraddizione: Signore, io passai la vita nello studio, e giunto alla fine credo quanto crede un povero contadino della Bretagna. Se vivessi ancora penso che le mie esperienze mi condurrebbero a quella fede che anima la più povera vecchiarella brettone! Signore! signori! I polacchi dicono che per loro polonismo e cattolicismo è la medesima cosa. Polacco significa già cattolico. Parlando di noi trentini potremo dire a più ragione: Cattolici significa già italiani. E avremo una parola di meno nella formula. Ma viviamo, o amici, in un paese di confine, ove valse fin'ora per buon italiano chi giurò spesso d’esserlo, ove una borghesia di petrefatti ricantò nei caffè e nelle accademie ideali vecchi, tramontati già, se non mai sorti, per le masse popolari, belli se commuovono un popolo intero, quando seguirli venga stimato virtù; spogli di splendore, abbrutiti quando non facciano conto della realtà delle cose e dell’anima popolare e vengano rappresentati senza uomini o partiti come passione senza il riconoscimento delle leggi morali e dell‘ordine civile! Questi uomini e questi partiti o giovani, che ne ereditarono il fonografo, ripetono ancora oggi in buona o mala fede una terribile accusa contro i cattolici: mancar essi di patriottismo ed amore alla propria nazione. Ricorderò sempre, o signori, con sdegno la risposta che a me e ad un mio collega diede uno studente radicale in Vienna, quando eravamo accorsi come tutti ad interessarci d’una questione comune: Voi cattolici — lo sapete — non vi teniamo come italiani. Ah! Viva Dio, avremo dovuto rispondergli, i cattolici sono italiani da secoli, da quando sorse la nazione intorno alla cattedra di San Pietro; voi siete — se lo siete — italiani da dieci-dodici lustri. I cattolici hanno dietro quasi due periodi storici che furono guelfi, voi, forse, il ghibellinismo di cinquanta anni. Ma ci parve meglio ridergli in faccia. E così dovrei far oggi e passar oltre e dire: Guardate che cosa hanno fatto i cattolici trentini per la difesa della loro lingua e dei loro costumi, e vi basti. Se oggi sviluppo alquanto il nostro pensiero, non è per rispondere a certi giovanotti che di questi giorni proprio vanno, a rovina della patria e a vantaggio di un partito, ripetendo antiche menzogne, né per ottenere la patente di buon italiano da certi signorini che poi dichiarerebbero, magari dal podio del teatro sociale, di non crederci; ma io penso alle madri ed alle famiglie, ove la calunnia poté trovare credenza. A loro gioverà gridare di nuovo: No, questi giovani che si propongono d’essere anzitutto cattolici, non dimenticano socialmente di essere anche buoni italiani. Difendendo la fede e i costumi dei padri, compiono il primo dovere che incombe ad ogni italiano che non abbia dimenticato Dante, Raffaello, Michelangelo, Manzoni per Proudhon, D’Annunzio o Zola, né san Tommaso per Kant o Nietzsche, né il nostro apostolo latino san Vigilio per il teutonico Marx. La differenza capitale fra noi e gli altri è questa: gli altri coscientemente o no seguono un principio che si ripresenta sotto varie forme dall’umanesimo e dalla rinascenza in poi, per la quale una volta agli uomini fu Dio lo Stato, poi l‘Umanità, ed ora è la Nazione. E come Comte e Feuerbach parlavano di una religione dell’umanità, così ora si parla d’una religione della patria, del senso della nazione, sull’altar della quale tutti i commemoratori delle glorie altrui ripetono doversi sacrificar tutto e idee e convinzioni. Questo concetto trapelò anche da noi in molte occasioni e quando si dice che davanti al monumento a Dante devono sparire tutte le misere divisioni di partito, che cosa si vuole insegnare altro alla gioventù se non altro che la Nazione va innanzi tutto, che essa solo può pretendere una religione sociale, mentre il resto è cosa privata? Signori, non è vero! Noi ci inchiniamo solo innanzi a un Vero supremo indipendente e immutato dal tempo e dalle idee umane e al servizio di questo noi coordiniamo e famiglia e patria e nazione. Prima cattolici e poi italiani, e italiani solo fino là dove finisce il cattolicismo. Pratica: non furono i cattolici che ordinarono i fatti di Wreschen, ma furono coloro che senz’altro ritegno di giustizia e moralità gridano: la nazione soprattutto. No, Iddio, il Vero innanzi tutto! Nella pratica della vita questo principio non ci ha impedito di accorrere ogni qualvolta lo richiedesse l’onore di tutti gli italiani: e noi giovani anche per l’avvenire non perderemo nella nostra propaganda democratica cristiana; rammenteremo sempre che vogliamo creare non soltanto buoni cattolici, ma anche buoni italiani, amanti della lingua loro e dei loro costumi, fieri di appartenere a quella Nazione che fu nella storia la prediletta della Provvidenza. Un’altra parte del nostro programma è espresso nella parola «democratici». Signore e signori! Se le esigenze del Congresso e la ristrettezza del tempo lo permettessero, io vorrei parlare a lungo su questo argomento. E non perderei tempo! A quei signorini universitari che se ne stanno anche durante gli anni dello slancio e dell’altruismo epicureamente lontani dal popolo e s’avvezzano per tempo al caffè donde c’è venuta una borghesia parassitaria, vorrei ripetere oggi questa parola. Anche in questo riguardo il periodo universitario e fatale: dall’università si esce democratici o aristocratici già fatti. O che da giovani ci si avvezza a ridurre il mondo ai giornali che si leggono e ai membri della propria classe, e allora il giovane, divenuto dottore, avvocato, non discenderà fra le grandi masse popolari come fratello ai fratelli, ma come rappresentante di quella borghesia che si attirò nei tempi nostri tanti odi e maledizioni. O che si vede già da giovani oltre la barriera borghese venire una moltitudine di gente che vuole passare e si comprende la giustezza della tendenza, e allora si stende al di là la mano; vi fate a loro compagno e considerate tutta la vita come una faticosa erta su cui dovete salire voi e il popolo ad una meta comune. Non è mancanza di modestia, o signori, se noi, studenti cattolici, ci mettiamo senz’altro fra i democratici. Io credo che nessuna associazione universitaria ha tanti membri che si siano, come molti dei nostri, buttati all’istruzione popolare ed abbiano affrontato con coraggio, quando i loro studi lo permisero, il problema di creare nel popolo trentino democratici cristiani. Ma questo spirito democratico che ci anima, non è, o signori, una concessione alle tendenze di oggidì, ma un frutto di quel cristianesimo compreso socialmente, praticato dentro e fuori dell’uomo, in tutta la vita pubblica. Signore! signori! Con questo programma che abbraccia tutta la vita, abbiamo alzato l’anno scorso, all’autora del secolo XX la nostra bandiera. Questa bandiera l’abbiamo portata in mezzo alla gioventù studiosa, chiamando a raccolta e continuando a combattere. Noi vogliamo creare caratteri, vogliamo chiarezza d’idee. La nostra società è sorta come un’accusa contro i compromessi morali e religiosi. Noi rompiamo questa massa incolore, fortemente, ma lealmente! Numquam incerti, semper aperti! Non tema qualche buono che con ciò creiamo dissidi incancellabili. Vogliamo la guerra, ma per la pace. Quando gli studenti si troveranno di fronte con ideali chiari, con propositi precisi, sarà più facile intendersi. Ma fino a che regna la nebbia e il mare batte furioso, noi — la cavalleria leggera dell’esercito cattolico — stiamo sull’attenti, e al primo rumore che precorre l’assalto, gridiamo rivolti a tutti: Alle dighe; e vi ci lanciamo per i primi!

Assemblea di partito in Val Lagarina. Per la ricostruzione della zona devastata ed il risorgimento di Rovereto

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Scioglie un inno agli abitanti tutti della zona devastata, che con ostinato amore alla propria terra, sopportano immense privazioni ed inauditi disagi pur di rifare quello che la guerra ha distrutto. Il partito popolare s’è occupato fin dal suo sorgere dei bisogni della zona. Disgraziatamente gli manca ancora una forza rappresentativa alla Camera, per farsi valere, come converrebbe. Ma, in attesa delle elezioni, farà di tutto per premere sul governo e mediante i deputati popolari sul Parlamento perché si applichi anche nel Trentino e subito «la legge sul risarcimento danni», che dev’essere il nostro postulato massimo. L’oratore descrive poi brillantemente e provocando frequenti gli applausi della folla, la situazione politica nostrana, come s’è definita nelle adunanze e nella stampa di questi tre ultimi mesi. Il discorso ch’è durato un’ora ed era intessuto di felici improvvisazioni, è stato coronato infine da una grande ovazione. (Ne daremo un cenno più largo prossimamemente. Ndr.) Terminati gli applausi, il presidente ringrazia gli oratori e tutti gli intervenuti e chiude il convegno. I soci sfollano al grido di «Viva il Partito popolare italiano».

Il movimento politico e il partito popolare trentino

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Mentre il concetto integrale del suffragio universale presuppone di per sé la formazione di collegi elettorali eguali per il numero degli abitanti, si tentò ora di creare delle distinzioni e delle eccezioni in favore del censo e della cultura. Il principio del suffragio per grado cacciato dalla porta entrava per la finestra, la disuguaglianza del singolo di fronte al diritto del voto veniva sostituita dalla disuguaglianza delle collettività, aventi diritto a voto, cioè dei collegi elettorali. Da una parte sono i tedeschi, i quali possedendo ora alla Camera il 48,23% dei mandati e prevedendo a ragione di perdere, con la caduta delle curie, questa proporzione che a loro non spetta in base al numero degli elettori, pretendono che nella distrettuazione si abbia riguardo alla cultura e al censo, creando per la città e i centri collegi elettorali più piccoli. E questo nel presupposto che i centri sono prevalentemente tedeschi, la campagna invece non tedesca. L’altra tendenza è propria dei liberali di tutte le nazionalità e vuole col medesimo mezzo della distrettuazione favoriti i centri industriali e le città, come quelle che albergano la borghesia liberale. È noto che queste due tendenze, la liberale e la tedesca, si manifestarono anche nella provincia nostra. D’un canto l’on. de Grabmayr pretese che ai 201.262 abitanti delle città della provincia si assegnassero otto mandati e ai 673.362 abitanti dei comuni rurali, soltanto 13 mandati, dall’altro l’Alto Adige, aderendo a questo principio che faceva valere 25.000 urbani quanto 50.000 rurali, manifestava la tendenza di voler creare privilegi per il partito liberale e gli uomini che lo dirigono. La polemica che ne nacque è nota. Difatti quale è il punto di vista del partito popolare trentino di fronte alle modalità della riforma? Nessuno, se non quello della coerenza, null'altro se non quello della giustizia. Posto una volta il principio dell’eguaglianza del suffragio, non è logico reclamare delle eccezioni a proprio vantaggio, proclamato una volta il suffragio uguale come postulato di giustizia, è ingiusto il fabbricare ad arte disparità ed ineguaglianze. Era nostro dovere di protestare contro codesti artifici anzitutto come italiani, i quali al pari degli czechi, dei croati, degli sloveni e dei ruteni devono richiedere che il suffragio uguale venga applicato rigorosamente e non in modo da mantenere e perpetuare l’egemonia tedesca nello Stato. Era nostro dovere di protestare anche in nome della maggioranza del popolo nostro, il quale non per burla doveva venir proclamato «popolo sovrano». L’oratore passa poi a parlare delle probabili conseguenze del suffragio universale.

La campagna elettorale

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Alcide de Gasperi 1 occorrenze

Infine riassume le sue proposte di tattica nei seguenti capisaldi: 1) Gli elettori dietali, consenzienti al partito popolare, designano in adunanza privata in ogni comune i loro delegati. 2) Gli elettori nominano altrettanti delegati quanti sono gli elettori eletti per le elezioni dietali, ed ove fosse introdotto il voto diretto, un delegato ogni 500 abitanti. Il nome dei delegati deve essere comunicato alla direzione prima dei 5 novembre, altrimenti è ammesso che gli elettori di quei comuni affidano alla direzione l’incarico di nominare i delegati. 3) La direzione convoca i delegati di ogni collegio dietale, ad un convegno. A questo deve assistere un delegato della direzione, il quale sull’esito finale stenderà un breve protocollo. Basandosi su esso la direzione prenderà una decisione definitiva e passerà alla proclamazione del candidato. 4) Qualora le risultanze del convegno lo richiedessero ed il delegato della direzione lo ritenesse opportuno, i delegati convenuti verranno invitati a nominare un sottocomitato ristretto di due fino a cinque membri, i quali dovranno stabilire l’accordo con la direzione, non raggiunto nel convegno. Il relatore personalmente raccomanda ancora: Nella scelta dei candidati si seguano questi criteri: 1) È conveniente ed utile che i deputati parlamentari siano di massima anche deputati dietali. 2) I candidati devono essere persone di non dubbi sentimenti sia circa il programma strettamente politico quanto intorno all’azione sociale del movimento cristiano-sociale. Sulle proposte del relatore si svolge una breve discussione dopo la quale esse vengono elevate a conchiuso nella forma surriferita. La legge impedisce che i membri della direzione superino il numero di dieci. Sarebbe d’altro canto utile che nella direzione entrassero rappresentanti diretti almeno dei vari collegi parlamentari. Abbiamo quindi stabilito di proporvi questa specie di regolamento interno: Se non è possibile avere nella direzione una rappresentanza di tutti i nove collegi, l’adunanza generale nomina dei fiduciari di collegio i quali possono assistere con voto consultivo alle sedute della direzione. Anche i deputati parlamentari, che non sono membri di direzione hanno eguale diritto. Ai membri di direzione che abitano fuori di Trento e non siano deputati parlamentari vengono rifuse le spese di viaggio. Tale diritto spetta anche agli eventuali fiduciari di collegio quando assistano alle sedute della direzione invitati da questa. Avvertenza. — Come gli amici possono dedurre dalle proposte il termine ultimo, entro il quale si devono comunicare alla direzione i nomi dei delegati, è protratto ai 5 m.c. Dopo questa data se gli elettoti nostri non avranno fatto uso del loro diritto è segno che vi rinunziano in favore della direzione. Infine ricordiamo che per una proposta fatta dal dr. Degasperi, visto l’esito delle elezioni della direzione si rimette ai convegni del collegio che prossimamente si dovranno tenere per le elezioni dietali l’eventuale compito di eleggere un rappresentante che a nome del rispettivo collegio s’aggiunge alla direzione.

Trattato di economia sociale: introduzione all’economia sociale

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Toniolo, Giuseppe 22 occorrenze
  • 1906
  • Opera omnia di Giuseppe Toniolo, serie II. Economia e statistica, Città del Vaticano, Comitato Opera omnia di G. Toniolo, voll. I-II 1949
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. ‒ Lo attestano (dietro gli studi degli indiologi, egittologi, assiriologi) i monumenti dell'India, fra cui il tempio meraviglioso di Delhi, la capitale sacra che contava un milione e mezzo di abitanti, e il palazzo imperiale di granito di Devariserai, distrutto dagli inglesi nel 1857. E così in Africa la magnificenza di Menfi, fondata da Menes, il primo unificatore dell'Egitto verso 5000 anni a. Cr., e più tardi di Tebe dalle cento porte, e le piramidi di Cheope e degli altri faraoni, le più alte costruzioni di mano umana (4.000 a. Cr.) e la monumentomania della decimanona dinastia, che raggiunse il sommo con Seti I e Ramsete II (il Sesostri dei greci, l'oppressore degli ebrei), col tempio di Osiride in Abido e colla sala delle colonne di Karnack in Tebe. Ciò che ha riscontro a distanza di tempo in Assiria nella grandezza di Ninive (scoperta da Botta, Layard, Smith), specie per opera di Assurbanipal (m. 625 a. Cr.), il Sardanapalo dei greci; e atterrata quella da Nabupalassar (Nabucodonosor, m. 561) il più celebre re dell'antichità profana, la magnificenza per opera di questo di Babilonia, colla sua doppia muraglia militare di 79 chilometri di giro, racchiudente uno spazio come il dipartimento della Senna, in esso il palazzo imperiale, templi, edifici civili, giardini pensili, fontane e statue.

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Per contrario i popoli residenti in territori di clima meno propizio, ove sono più acuti i bisogni e più urgente il provvedervi, come gli abitanti di Europa rispetto agli antichi continenti, ereditarono quell'incivilimento che fra maggiori difficoltà, esercitando l'ingegno e il braccio, più non perdettero dappoco lungo i secoli. Così (coeteris partibus)la zona tropicale sembra destinata ad iniziare la civiltà, la zona temperata a perpetuarla.

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L'Europa (media 1885-94), contava per 1000 abitanti la seguente nuzialità (giusta i dati di Körösi): Russia 8,62, Germania 8,5, Austria cis. 7,79, Italia 7,70, Inghilterra 7,45, Francia 7,38, con un massimo in Serbia di 10,46 e un minimo in Irlanda di 5,40 (Benigni); con una costanza nella rispettiva media mirabile. Ciò prova, evidentemente, che in popoli maturi l'assetto del fatto matrimoniale è relativamente stabile, perché intimamente legato, più che alla razza o al clima, alle condizioni caratteristiche sociali-civili, morali, religiose, economiche di ciascun paese, le quali non mutano che trapassando da un grado all'altro di civiltà. Di qui la lieve distanza della media di nuzialità fra i grandi Stati dell'Europa centrale, ogni dì più conguagliati nelle condizioni di vita; mentre quel minimo d'Irlanda rispecchia le croniche sofferenze dell'isola disgraziata, e quel massimo in Serbia e Russia risponde a speciali istituzioni delle popolazioni slave orientali come la «zadruga» balcanica e il «mir» russo (specie di beni comunali), che agevolano le nozze.

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Fu ed è quesito dibattuto, ma la risposta inconfutabile l'offre oggi stesso la Francia, la quale ha il minimo di natalità (rapporto fra popolazione e nascite) in Europa, cioè 21 figli per mille abitanti. Non ne dà ragione la razza, ché in alcuni dipartimenti (p. e. in Bretagna) è fecondissima, come i francesi del Canadà; né le strettezze economiche, ché invece i francesi sono fra le popolazioni più prosperose del mondo. Ciò dipende prevalentemente da una calcolata violazione dei doveri di procreazione, poiché, sebbene i matrimoni sieno colà numerosi quanto la media europea, la figliolanza è all'infimo in tutte le classi anche campagnole. È la nazione che più di ogni altro accolse e pratica la teoria malthusiana. Che ciò sia ripugnante alle leggi morali sociali, alla potenza politica, agli interessi economici è attestato dal giudizio pressoché concorde degli scienziati e della pubblica coscienza intorno alle conseguenze di quella condizione morbosa: essa attesta moralmente che la corruzione è entrata nel talamo; essa preannunzia, che politicamente, a ragione di forze politico-militari, in breve la Francia sarà caduta a potenza di secondo ordine; ed economicamente essa addita che mentre i francesi non possono popolare le loro colonie, al di {{1.429}}dentro deggiono ogni dì più affidare la loro poderosa industria ad immigranti stranieri, donde il recente trattato internazionale del lavoro fra Italia e Francia (1904). Ecco l'efficacia delle idee e del volere nel fatto fisiologico delle nascite. Si impose così il più pauroso problema demografico dell'età nostra; e dopo di esso la teoria di R. Malthus fu sottoposta da tutti a profonda revisione.

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Soltanto in popolazioni barbare o di mediocre cultura, nel fatto della procreazione domina l'istinto fisiologico; ivi la natalità è elevatissima, da 50-60 figli per mille abitanti (Schmoller), salvo poi che muoiano in gran parte bambini, che li ammazzino (Africa, Polinesia), che li espongano (Cina).

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Oggi pure in tutta Europa la natalità oscilla nei grandi Stati più civili fra 28 l'Inghilterra e Galles, e 39 l'Austria cis. per mille abitanti; tenendo il sommo per circostanze locali la Russia (48,7) e l'infimo, come dicemmo, la Francia (21).

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Di qui p. e. l'enorme divario di potenza economica comparativa fra la Norvegia, che sopra 100 abitanti conta superstiti a 20 anni ben 76 dei suoi nati, e l'Italia che ne ha 55 e la Spagna 49 (Benini).

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Rawson dà come medie attuali (1896), per l'Europa orientale decessi 35,7; per la centrale 28,3; per la meridionale 25,5; e per l'Europa nord-occidentale 20,5 per mille abitanti (Schmoller); — con un massimo nel 1900 in Ispagna di 29 e un minimo in Norvegia di 15 (l'Italia 23) per mille (stat. uff.). Ed è più decisiva la generale e sensibile diminuzione delle morti,che in Germania scese da 28,2 morti su mille abitanti nel 1850, a 24,5 nel 1895; e in Isvezia (che conta le più antiche tabelle dal 1750) la mortalità da 27,6 nel 1770 declinò a 23,4 nel 1840, a 17,3 nel 1903; in poco più di un secolo la mortalità era scemata ivi d'un terzo (Schmoller).

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Or bene questo più saldo sustrato biologico e questo più copioso e progredente flusso di vita, hanno finalmente rinvenuto le genti moderne nel secolo XIX.L'Italia soltanto dal 1872 al 1900, per semplice eccedenza di nati sui morti, andò progredendo regolarmente da 6,27 ad 11,15 abitanti per mille;ciò che importa oggi (Anna. uff. it. 1904) 365.000 vite in più all' anno; ma Inghilterra e Russia (1865-83) crebbero di 13, e Germania di 12 per mille (Rawson, Pierson); e nell'insieme l'Europa (pur detratti gli emigranti) dal 1800 al 1900 è più che raddoppiata (Pierson). Si pensi quali scosse profonde ha subito la società del secolo XIX, nell'ordine civile ed economico, dalle rivoluzioni politiche (1821, '31, '48) alle agitazioni formidabili socialistiche (1848 e 1863 ad oggi), alla abolizione della schiavitù in America (1860-65) e della servitù in Russia (1960), fino alla ecatombe quasi periodica di vite e di miliardi ad ogni guerra e crisi mercantile. E tuttavia una riposta vis medicatrix, che deriva in gran parte (non esclusivamente) da questa crescente riserva di energie biologiche, la abilitò finora a riprendere alacre il cammino dell'incivilimento e della poderosa sua produzione.

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Per altri rispetti, soltanto ai grandi Stati per altissimo numero di cittadini è dato di pesare sulla bilancia della politica internazionale; serbare indipendenza e far valere il diritto con nerbo di forze militari spesso di più milioni di soldati in campo; di farsi arbitri di civiltà nel mondo come oggi la Gran Bretagna, che col suo impero coloniale conta 398 milioni di abitanti (1904). E infine socialmente solo quelle nazioni che penetrano non già con poche eccelse individualità, ma con numerosi drappelli entro ogni ramo di operosità intellettuale morale e civile, possono sperare di arrivare alla testa del progresso.

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E non è un caso se l'Inghilterra e Galles con abitanti 215 per kmq. (1900) tiene il sommo nell'economia fra i grandi Stati europei, come, fra i minori Stati, Sassonia con 280, Belgio con 229, Lombardia con 164. — Ma guai una sproporzione profonda fra popolazione e territorio. La rada e dispersa popolazione in vastissima superficie come in Russia (in tutto l'impero di 21 milioni di kmq., meno di 6 abitanti), fu grande ostacolo fino a tempi recenti allo sviluppo economico dell'immenso dominio. Viceversa, il fatto di abitanti che si accalcano soverchiamente in angusti spazi, facilmente acutizzano e sconvolgono i naturali rapporti economici. In questi veramente la lotta per l'esistenza, i disoccupati e le vili mercedi, i facili monopoli dei prezzi, il capitalismo cogli alti profitti e lo sfruttamento usurario, il possesso terriero incentrato, le rendite fondiarie assorbenti, l'alto costo della vita, il problema sociale, le agitazioni e le riforme comunistiche in permanenza. È la storia economica delle piccole repubbliche elleniche, di Cartagine, di taluni Comuni medioevali, riprodotta oggi su vasta scala in Europa, che supera di gran lunga colla sua popolazione relativa (37 abitanti per kmq.) gli altri continenti.

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E di ricambio questi sono (per qualche rispetto) gli ammaestramenti offerti dalle recenti fortune del Giappone, raccolto nelle sue isole fitte di popolazione (48 milioni di abitanti, 116 per kmq.).

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E nessuno direbbe che l'impero del sole, che nelle province soltanto (senza paesi annessi e soggetti) conta almeno 320 milioni di abitanti (1894) con 60 per kmq., in media e in qualche provincia (Chantoung) con 221 abitanti per kmq., proceda alla testa del progresso; bensì apparisce che le condizioni di tale progresso consistono in un dispiego proporzionale di energie spirituali, intellettuali, etiche, civili, di cui quelle della ricchezza sono in gran parte un risultato e un premio.

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., sembra oscillasse fra 60-80 milioni di abitanti (Sakaroff). L'Egitto non superò mai i 7 milioni di abitanti e discese a 3 dopo la conquista di Alessandro. La Grecia, colle sue popolazioni anche biologicamente espansive, raggiunse forse 4 milioni nell'intera penisola e altrettante nelle colonie, fino al dominio macedone; poi dislocazione e spopolamento irreparabile. Lo Stato romano da mezzo milione ai tempi della guerra coi sabini, allargandosi in tutta Italia perveniva sotto Augusto a 51/2 milioni, sotto Claudio a 7; e tutto l'impero romano in tre continenti nel primo secolo cristiano abbracciò forse 54 milioni (Beloch).

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Ma tuttavia la potente Firenze medioevale non oltrepassò mai 90 mila abitanti; lo Stato veneto intero un milione; e all'esordire dell'età moderna (1400) Italia tutta arrivava forse ad 11 milioni, l'Europa a 60-80 (Schmoller).

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Un passo risentito al paragone segna l'agricoltura vaga con allevamento di bestiame, e tocca il 5 e più per kmq. fra i celti e i germani primitivi fino a Cristo, tramutandosi in salto decisivo colla agricoltura fissa a maggese, intrecciata al prato e al bosco, insieme alle prime industrie civiche, già caratteristica d'Italia a cavaliere dell'era cristiana, e dell'Europa centrale soltanto dal 1200-1500; le quali oscillano fra 17 e 26 abitanti per kmq. Ma chi il crederebbe? Questo dato in Europa rimane di poco alterato fino a metà del secolo XIX, indizio della resistenza dell'empirismo e della stazionarietà economica. Ma infine i risultati delle trasformazioni tecniche ed economiche, ormai generali in Europa, si palesano con queste cifre meravigliosamente cresciute: per le regioni puramente agricole dell'Europa meridionale si giunse a 70 abitanti per kmq ; per le regioni europee dei grandi distretti industriali e centri mercantili, fino a 266; e per le regioni che a questi ultimi progressi aggiungono anche quello agrario, specie vinicolo, fino a 318 (Ratzel).

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Dall'Europa manifatturiera con 40 abitanti per kmq. all'America tuttora diradata con meno di 4 (3,8) per kmq., fra il 1800 e 1891 uscirono ben 26 milioni di emigranti in gran parte diretti all'America, la quale, fra gli stessi rapidi progressi industriali degli Stati Uniti, mantiene ognora fisionomia essenzialmente agricola, colle sue derrate inondando l'Europa; mentre l'Italia sola, a quell'afflusso di lavoro in 27 anni, dal 1876 al 1903, contribuì con oltre tre milioni di braccianti, quasi tutti campagnoli (Schmoller, Colaianni, Ann. uff. 1904).

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cento anni (fino al 1900) da 60 mila abitanti ingrossò a 3½ milioni; — o dalla circolazione interregionale che p. e. sposta ogni anno circa 2 milioni di contadini dall'una all'altra regione della sterminata Russia. E si ricordi appena la emigrazione temporanea (che è vero moto internazionale) in cerca di lavoro periodico, quasi esclusiva degli italiani, che negli ultimi tempi disperde annualmente ben 250-280 mila lavoratori in tutti i paesi d'Europa ed oltre, fino alla Siberia, con esempio non imitato dalle altre nazioni. Ma l'emigrazione permanente o definitiva (senza animo di ritorno), che trasfonde per sempre un popolo in un altro ed è quasi tutta extracontinentale, cominciata nel 1815 con 2000 persone dalla Gran Bretagna, quivi nel 1852 trovasi salita a 368 mila; e, partecipatasi circa il 1870 a Germania, Italia e a tutto il continente, negli ultimi 25 anni (1880-1905) s'aggira sopra 600 mila europei, che annualmente vanno a stanziarsi in tutte le plaghe del mondo (Colaianni).

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Etnograficamente è generazione di popoli nuovi: l'immenso territorio del Nord America, in cui prima del 1600 vagavano scarse tribù di pelli rosse, oggi sostenta ben 75 milioni di abitanti, figli della emigrazione olandese, inglese, irlandese, francese, ancora resurrezione di razze antiche: di regola l'uomo nel paese di immigrazione quadruplica l'energia e il valore individuale e sociale che avea nella madre patria (Child) ove forse era elemento nullo o deleterio. Ciò si riscontra nella ridesta alacrità degli irlandesi agli Stati Uniti, nelle virtù civili degli italiani nell'Argentina, nella rigenerazione morale di quegli inglesi, già deportati per pena nell'Oceania, che oggi compongono i liberi cittadini della federazione australiana. L'aria delle colonie è purificatrice e vivificante.

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Romani moderni, gli anglosassoni di oggidì, imponendo colle loro espansioni migratorie istituzioni e lingua inglese a ben 400 milioni di abitanti, hanno acquistato coscienza del proprio primato nella civiltà contemporanea; e l'Europa, fino a ieri il solo continente che non riceve ma porge a tutti gli altri i suoi emigranti, vantando di avere disseminato dalla fine dell'evo medio ben 130 milioni negli altri continenti di popolazione di origine europea, può ben gloriarsi di essere l'alfiere della civiltà cristiana in tutto il mondo.

Pagina 1.482

L'eccezione vale per certi empori commerciali, che si immedesimarono fin dall'antichità con talune città del golfo Persico, della Co1chide, dell'Egitto, in ispecie della Fenicia, ove Cartagine contava 700 mila abitanti, cifra che forse di poco superò la rivale Roma al tempo di Augusto (Beloch) .

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Così la costituzione organica di città e campagna in ogni suo rispetto erasi nettamente definita nel medio evo, non accentrando però quella (la città) nell'Europa civile più del 10, 20%, e raramente le maggiori città (forse appena Venezia, Milano, Firenze) toccando o superando i 100 mila abitanti; sicché la popolazione era pur sempre diffusamente insediata (Rogers, Schmoller, Bücher). Le successive vicende fra popolazione urbana e rurale non furono che l'effetto del vario atteggiamento dei fattori civili-politici e del fattore tecnico-economico. Nei tre primi secoli dell'età moderna l'afflusso dei campagnoli in città fu preparato dalla distruzione legale, specie nei paesi protestanti, della classe colonica autonoma («yeomanry», «Bauernstand») origine del proletariato, trattenuto però in parte sul suolo dal rincrudimento di vincoli feudali e servili. Ma nel secolo XIX esso precipitò vertiginoso per effetto della trasformazione tecnica industriale e agraria, della proclamata libertà di insediamento, e soprattutto (dal 1845-50) dalla diffusione delle reti stradali e dei mezzi di comunicazione anche interni. Immensa rivoluzione, che dette un predominio assoluto e universale alle cause economiche nel fenomeno dell'odierno inurbamento,il quale spopola le campagne colla ipertrofia delle città; sicché l'Europa occidentale conta oggi il 46% di popolazione civica (da 2000 abitanti in su), e la Gran Bretagna il 65% (Sundbärg). Ma di ciò nel corso della economia.

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Trattato di economia sociale: La produzione della ricchezza

395717
Toniolo, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1909
  • Opera omnia di Giuseppe Toniolo, serie II. Economia e statistica, Città del Vaticano, Comitato Opera omnia di G. Toniolo, vol. III 1951
  • Economia
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XVIII era di 10 milioni di abitanti, oggi (censimento 1901) è di 41 milioni. — Sono cresciuti per tanto gli impieghi, le mercedi, il benessere familiare, la potenza della nazione.

Pagina 188

Note sommarie sui contratti agrari e le cooperative agricole di lavoro in Sicilia

399178
Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1901
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 205-216.
  • Politica
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Città di 45.000 abitanti, di cui 28 mila circa agricoltori. Capoluogo di circondario e sede Vescovile.

Pagina 213

La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi

400061
Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1907
  • Murri, La vita religiosa nel cristianesimo. Discorsi, Roma, Società Nazionale di Cultura, 1907, 1-297.
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Ed è vana menzogna: perché il precetto di amare, e sinceramente, e praticamente, l'ultimo degli abitanti la Polinesia o l'Africa centrale come noi stessi, è, di sua natura, tale che non scioglie ma rinsalda tutti i vincoli di amore che esso trova tessuti ed annodati nella vita umana; e quanti sono strumenti di fraternità e di solidarietà d'anime, foggiati dalla storia e dall'opera umana, esso accoglie come sussidiai preziosi, trasformandone in meglio lo spirito e dirigendone lo sforzo ad un più universale risultato di amore. Ogni solidarietà d'uomini che, varcando i confini della giusta difesa, miri alla conquista e alla lotta, ogni chauvinisme ed imperialismo è condannato dal cristianesimo, non per quel che dice e chiede di solidarietà, ma perché esclude da sé e rinnega altri uomini ed altri gruppi sociali; l'egoismo, la cupidigia, la violenza non cessano pel cristianesimo di essere ciò che sono, se trasferite da un individuo ad una nazione. Fate che questo egoismo di gruppo cessi, e il più intenso amore di famiglia e di patria non avrà più nulla che non sia sano e fecondo di bene, degno dei fedeli di Cristo.

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Il Mezzogiorno e la politica italiana

401315
Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1923
  • Opera omnia. Seconda serie (Saggi, discorsi, articoli), vol. iii. Il partito popolare italiano: Dall’idea al fatto (1919), Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922), 2a ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 309-353.
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Stando e vivendo fuori dell'ambiente meridionale, — nel contatto con studiosi, uomini politici, economisti, finanzieri, persone dedite agli affari, giornalisti di qualche cultura e burocrati di discreta levatura — si ha l'impressione che il maggior numero di costoro consideri il problema meridionale anzitutto come un effetto dell'indole, dei costumi, dell'indirizzo culturale, della mancanza di iniziativa e di coraggio da parte degli abitanti di queste belle e disgraziate regioni; in secondo luogo come una questione di lavori pubblici, specialmente locali, ai quali lo stato già provvede con una certa specialità di metodi e con concorsi finanziari più larghi che per altre regioni, intervenendo anche di là da una equa misura per quelle condizioni speciali che veramente esistono, ma che spesso gli uomini politici del mezzogiorno esagerano, per abitudine retorica e a scopo di facili clientele elettorali. Così la figura del meridionale è caratterizzata, nella opinione di molti, come quello che non fa, né sa fare quanto dovrebbe, per superare le difficoltà del proprio ambiente, e mendica dallo stato aiuti e favori, non sempre proporzionati o completamente utili, né sinceramente disinteressati.

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La questione meridionale

401986
Sturzo, Luigi 1 occorrenze
  • 1903
  • Scritti inediti, vol. i. 1890-1924, a cura di Francesco Piva, pref. di Gabriele De Rosa, Roma, Cinque Lune-Ist. Luigi Sturzo, 1974, pp. 234-239.
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Natura piena, esuberante di luce e di colori, in una varia e potente e suggestiva scena, che dai ripidi e scoscesi monti dell'Abruzzo e della Calabria, va alle ridenti e seducenti spiagge della Campania, dal severo Etna si disegna all'incantato Faro, alla altrice di vita Conca d'Oro, alle pianure verdi di Catania e di Pachino, determina una mobilità di fantasia, un'esuberanza di sentimento, una intuizione rapida e singola dell'intelletto, che forma come la base della psicologia degli abitanti del meridionale. L'influenza dei diversi popoli, ma principalmente della Grecia prima, degli arabi e dei normanni dopo, i popoli che può dirsi si siano resi naturali sul nostro suolo o che per lo meno abbiano determinato vivamente la potenzialità della razza, non hanno fatto diminuire, ma accrescere e raffinare quel fondo speciale della psicologia elementare dovuta alla comunicazione immediati con una natura che si effonde, e con i suoi mille angoli di rifrazione, la sua molteplicità di figura, crea la percezione analitica dell'ambiente vario e mutevole.

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La crisi religiosa in Francia (Lettere al "Corriere della Sera")

404005
Murri, Romolo 1 occorrenze
  • 1908
  • Murri, R., La politica clericale e la democrazia, I, ne I problemi dell’Italia contemporanea, Ascoli Piceno-Roma, Giuseppe Cesari–Società Naz. di Cultura, 1908, 207-245.
  • Politica
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A Parigi, di questi giorni, quattro nuove parocchie sono state create dall'arcivescovado, ed altre saranno create via via; ciò non sorprende quando si pensi che nei quartieri nuovi vi era qualche parocchia che aveva sino a 120,000 abitanti ed alla quale sei sacerdoti in tutto erano addetti. E si intende anche che a Parigi meno che altrove si presenti il pericolo della mancanza di denaro: anche sotto il regime concordatario gli assegni dello Stato erano una parte insignificante del reddito di quasi tutte le parocchie; quella di Site Clothilde, p. es., su di un bilancio di quasi 100,000 lire non ne aveva dallo Stato che 5000.

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