Il medico generico deve giungere a rinunciare alla sua figura tradizionale di factotum che gestisce in proprio tutta la malattia, valorizzandosi peraltro nell'abilità del primo contatto, nella capacità a orientarsi con intelligenza sul da farsi subito, per scegliere l'indirizzo da seguire, articolando la propria attività periferica con quella dell'ospedale, superando i limiti della medicina aneddotica e curando la salvaguardia della personalità del paziente. È significativo che l'autore, il quale è un ricercatore di massima esente da contatti personali diretti col pubblico, in cospetto dei problemi del prossimo trova parole e argomenti di fondamentale penetranza etica e non esita ad annettere alle prerogative del medico generico le "virtù di vecchia maniera, quali la carità e il buon senso comune". Egli esprime considerazioni spregiudicate rispetto alle retrive opinioni di coloro che non riconoscono la preminente validità della medicina preventiva e la maggior considerazione da attribuire alla medicina assistenziale a lungo termine nei confronti di quella curativa del singolo episodio. Inoltre mette in risalto la grande parte da affidare a personale ausiliario, anche per la tutela della personalità dell'ammalato.
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