Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbracciato

Numero di risultati: 17 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179170
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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Mediante » tal virtù ogni stato è eccellente per chi v'inclina. » Il sacerdozio che spaventa chi l' ha abbracciato » per leggerezza e con cuore avido di divertimenti, » è delizia e decoro ad uomo pio e ritirato.... » La toga che molti portano quasi enorme peso, per » le pazienti cure che esige, è grata all'uomo in cui » prevale lo zelo di difendere col senno i diritti del » suo simile. Il nobile mestiere delle armi ha un incanto » infinito per chi arde di coraggio, e sente » non esservi più glorioso atto che l'esporre i suoi » giorni per la patria. Mirabil cosa! tutti gli stati, » dal più sublime, sino a quello d'umile artigiano, » hanno la loro dolcezza ed una vera dignità! Basta » voler nutrire quelle virtù che in ciascuno stato son » dovute. Solo perchè pochi le nutrono s'odono tanto » maledire la condizione che hanno abbracciata. Ogni » via della vita ha le sue spine, dacchè ponesti il » piede in una, prosegui, retrocedere a fiacchezza. Il » persistere è sempre bene, fuorchè nella colpa. E solo » chi sa persistere nella sua impresa può sperare di » divenire alcun che di segnalato ». Enrichetto per altro non ebbe molto a riflettere sulla scelta dello stato. Egli fin da ragazzino era preso d'ammirazione per il medico di sua casa, da cui aveva appreso tante buone massime, e tante profittevoli abitudini, e più cresceva negli anni e più apprezzava la bontà, l'onestà, la scienza, l'operosità, la tenacità nel bene di lui; onde la medicina, che vedeva in figura nella persona di quello, gli pareva la più bella professione che potesse abbracciare. Senza che l'arte salutare, l'andar per le case ad asciugar lagrime, a sollevare dolori, meglio rispondeva a quel bisogno istintivo dell'animo suo di far del bene a ogni persona.

Pagina 72

L'angelo in famiglia

182686
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Molte ottime e brave signore amano, prediligono, se vuoi anche invidiano le Suore della Carità; ma tuttavia non hanno punto errato loro via nel diventare mogli e madri, poichè se dal frutto, come dice il Vangelo, si conosce l'albero, dalla invidiabile loro riuscita si può ben asserire che quello da esse abbracciato era lo stato cui le chiamava Iddio. La vocazione adunque non ti può venire altronde che dal Signore, non mai nè dai parenti, nè dagli amici, e neppure dalla tua volontà, la quale, è innegabile, è però spesse volte lo strumento di cui si serve l'Altissimo per farti sentire la sua, ma che molte fiate rimane estranea e fino divergente. Un tale, che divenne mio parente, in sua gioventù coltivò è vero gli studj e si laureò in parecchie facoltà; ma giovandosi di tutti i vantaggi che gli davano un bell'ingegno, un largo censo, l'avvenenza della persona e le numerose aderenze, si godeva una vita piuttosto libertina che libera. Parve infine volesse metter giudizio, e chiesta ed ottenuta la mano di nobile donzella s'avvicinava il dì delle nozze da entrambi sospirato. Sorge finalmente l'alba aspettata, la giovinetta bianco vestita sta coprendosi del candido velo nuziale; ma ancora lo sposo non arriva. Si corre in cerca di lui, non si trova; si cerca ancora e si sente ch'egli è fuggito sotto mentite vesti da quella città: il fratello della fidanzata lo insegue, ma non gli riesce di raggiungerlo. Alcuni anni dipoi Guglielmo... si presenta al padre e con tono umile, ma risoluto gli dice: « Fino dalla mia prima giovinezza mi sento chiamato al chiostro: ma io non volevo farmi frate, quindi ho tentato ogni mezzo, ho voluto godere il mondo, le sue lusinghe, e vedendo che ancor non bastava a far tacere quella voce potente, ho voluto stringere nozze per ogni rapporto desiderabili ed invidiabili. Al punto di recarmi all'altare a giurar fede ad una donna, più forte quella voce ha gridato dentro di me; quasi una mano di ferro mi ha trattenuto, mi ha distolto dall'appressarmivi. Ho lottato ancora alcuni anni; ho tentato far tacere i miei rimorsi immergendomi nuovamente nel piacere e nel libertinaggio; ora non posso, non voglio più resistere, voglio dedicarmi a Dio. » Non è a dire la meraviglia del padre e dei parenti; ma questa aumenta a mille doppj quando la già orgogliosa testa di Guglielmo riceve umilmente la tonsura; quando, Barnabita, è un miracolo di pietà e di zelo quando fonda scuole, collegi e ad essi dedica non solo i suoi averi, ma più ancora la sua vita; quando, quasi l'Italia non bastasse al suo zelo, fu chiamato a Parigi a fondar scuole; quando finalmente su quel capo venerando posa l'onorevole carica, ch'egli degnissimamente disimpegna, di Generale della Compagnia, fino a quel giorno in cui da tutti venerato e compianto, fino dall'augusto Pontefice Pio IX, il suo spirito ritorna nel grembo di Dio. Mi pare che da questo fatto potrai rilevare tu stessa cosa sia la voce di Dio, la vocazione. È una voce indipendente da noi, indipendente dagli altri, indipendente dalle circostanze; è una voce che da noi ascoltata e secondata come, benchè troppo tardi, fece colui del quale ti ho fatto il racconto, porta frutti di vita; è una voce che da noi attutita, ributtata, ci trascina da un male in un altro peggiore, come lo prova la sua gioventù, e come assai meglio lo provano i grandi apostati della religione. Lutero, Calvino, Zuinglio, e tutta la loro obbrobriosa schiera, è gente che chiamata forse al secoio, ha voluto per seconde mire indossare il sajo e la cocolla; è gente che, sbagliato un passo nel sentiero della vita, è tosto precipitata nel burrone, nel precipizio che la doveva condurre a rovina. Se adunque i tuoi genitori, non contenti di suggerirti lo stato che credono a te più conveniente, osassero importelo, tu, forte della forza stessa di Dio, puoi liberarti da un laccio che ti affoga, ti strozza, poichè qui stanno i confini dell'obbedienza ad essi dovuta. Se essi pretendessero che tu li superassi questi confini, la loro sarebbe una pretesa, non un diritto; e tu potresti liberamente seguire quella voce che ti viene dal Cielo, e che ti si farà sentire chiaramente, nettamente, e dentro di te colle inspirazioni, e fuori di te coi consigli delle persone buone, e soprattutto colla parola illuminata di chi dirige la tua coscienza in nome dell'Altissimo. Tu sei dispensata non solo dall'andar monaca, o dall'andare a nozze se ciò ti ripugna; ma neppure sei obbligata a quel tal chiostro o a quelle tali nozze che ti si vogliono imporre, poichè il Signore, vero amante della libertà, ti lascia quella di scegliere liberamente. Ti ripeto, niuno più dei tuoi genitori ti ama e desidera veramente il tuo bene, quindi sarebbe un delitto imperdonabile il tuo, se non dipendessi dal loro consiglio e dalla loro esperienza. Qualora poi tu veda chiaramente che essi si oppongono alla tua libertà, tu non sei pù obbligata di obbedirli in proposito; ma quando il loro avviso non diverga di molto da quello che senti dover seguire, tu devi cercare di obbedirli, poichè può essere solo un'eccezione quella che ti dispensa da questo dovere. Se il Signore ti chiama al drappello dei vergini, non chiudere gli occhi alla luce; ma volonterosa e gaudente stringi in mano il giglio della purezza, e com'esso diverrà candido ed olezzante l'esser tuo che molto assumerà dell'angelico. No, non calpestare quel giglio; calpesto, ei diverrà marciume fetente e tu com'esso! Oh! se il Signore ti chiama al drappello dei vergini, a quel drappello di cui Egli è capo, non esser tarda a rispondere all'invito; ma corri, ma vola e benedici al Signore d'averti dato la parte migliore. Se il Signore ti chiama al drappello dei vergini, gli è ch'Egli solo vuol essere tuo sposo, egli ti vuol libera da ogni legame terreno: allora, corri, vola, va in braccio a Lui che ti chiama!... Se in quella vece il buon Dio, amante e padrone dei cuori, ha fatto sentire al tuo una voce che t'invita a porre in sul dito l'anello di sposa, attendi pazientemente, ed accetta allegramente quello sposo che da Lui ti verrà presentato, e che per una certa parità di principj, di educazione, di condizione e di età, a te meglio si addice. Tu devi guardarti bene dal seguire in questa scelta il capriccio o la passione; ma qui più che mai t'è d'uopo porre le briglie al tuo cuore per imperarlo, mentre il più delle volte i matrimonj combinati dietro l'impulso della passione sono fatti all'impazzata, senza tener calcolo delle parità e convenienze accennate più sopra, e sono quindi seguiti miseramente da discordie, da divisioni e perfino da gravi delitti. Segui nella scelta dello sposo il parere saggio ed illuminato dei tuoi, quando non ti senta aperta ripugnanza, nel qual caso potrai stare aspettando una circostanza migliore, guardandoti possibilmente dallo stringere un nodo al quale non vada unita la benedizione dei genitori. La benedizione dei genitori è sorgente di tutte le altre benedizioni, ed io tutte le invoco sul tuo capo; sul tuo capo che forte abbastanza per levarsi e seguire prontamente la voce del Signore, saprà altresì umiliarsi per ricevere i lumi di chi glieli comunica per parte di Dio. Riepilogando dirò, che tu sei obbligata sempre ad obbedire il padre e la madre tua; sempre quando il loro comando non sia in contraddizione colla giustizia, od in opposizione al voler del Signore, il quale è unico assoluto padrone delle sue creature non solo, ma delle vocazioni. Sempre tu adunque sei tenuta ad obbedire il padre e la madre tua, e ricordati che sei dispensata, anzi obbligata a non obbedirli, quando per obbedire ad essi tu debba disobbedire a Dio; orbene questa non è nè può essere se non un'eccezione, e questo non te lo dimenticar mai. Se anche tu sarai forzata a trovarti in un'eccezione, quando ti mostrerai e sarai veramente soggetta, devota, affettuosa coi tuoi genitori in tutto quanto è giusto, potrai e saprai dir loro umilmente ma francamente: Dio mi é padre prima di voi, io debbo obbedire Lui solo, e quantunque ti possano essere riserbate delle lotte, e delle lotte acerbe, il tuo cuore, benchè addolorato, conserverà una calma inalterabile, e, non tarderà molto, l'iride della pace ritornerà sull'orizzonte della tua esistenza; cesseranno gli odj, si riuniranno i cuori, poichè Iddio non rifiuta mai la sua benedizione ad un'opera stata iniziata, coltivata o posta a termine sotto i suoi auspicj. Quanto a te, io come amica tenerissima ti amo, e ti desidero che tutta scorra serena la tua esistenza, che mai tu sii forzata a dire ai tuoi genitori: questi sono i confini dell' obbedienza che vi debbo. Oh! risparmiate, buon Dio, alle care giovinette che leggono questo libro un tale strazio, una simile pena; Voi suggerite alla mente, al cuore dei loro genitori quello che a loro si addice, affinchè invece di contrariarne la vocazione, la secondino, l'appaghino, e genitori e figliuole si meritino un giorno di sedere con Voi in Paradiso, dove non più lotte nè dolori, non più responsabilità nè restrizioni, ma gioja, pura, ardente, eterna, sarà il pascolo di quell'anime beate. Padre nostro che siete ne' cieli, sia santificato il nome vostro, sia fatta la vostra volontà come in cielo così in terra! 23

Pagina 343

Donnine a modo

193971
Camilla Buffoni Zappa 1 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Trevisini - Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Sono povere illuse che un giorno si pentiranno amaramente di non aver abbracciato un mestiere. Se sapeste quante volte le insegnanti sentono il bisogno di un po' di riposo, e voi siete più indisciplinate che mai; quante volte hanno gravi pensieri per i quali vorrebbero raccogliersi, stare un giorno, un'ora sole, e voi mettete la scuola a soqquadro, non sapete la lezione, fate male il compito, ecc. Ed ella sa, la povera insegnante, che se voi non imparate non è con la vostra testolina balzana che se la prende la famiglia, ma bensì con lei che insegna costantemente, pazientemente dal primo all'ultimo giorno dell' anno scolastico. Siate buone, fanciulle mie, e troverete che la scuola è un asilo caro. 1. Arrivare alla scuola in ritardo è cosa contraria oltrechè ai regolamenti anche all'educazione. 2. Presentarsi alla scuola sporche, o con le vesti in disordine è una inurbanità verso le maestre e le compagne. 3. Schiamazzare nel cortile della scuola attendendo la chiamata in classe non è da fanciulle per bene. 4. Parlare sottovoce con le compagne per irridere qualche difetto di una insegnante, o di una condiscepola è cosa contraria al galateo. 5. Criticare l'abito, o qualche accessorio della toletta delle compagne è volgarità indegna di fanciulle bennate. 6. Portare alla scuola libri in disordine o la cartella sciupata è cosa riprovevole. 7. Se il regolamento esige che portiate il calamajo, badate di non dimenticarlo, perchè per scrivere dovreste disturbare le vicine. 8. Entrate in classe silenziose, portatevi innanzi la cattedra della signora maestra e salutate sottovoce, prendete indi il vostro posto, e rimanetevi tranquille in piedi fino a che non siete invitate a sedere. 9. Parlare durante la lezione, mordere la penna, leggere disotto ai banchi, fare segni a qualche compagna, sono tutte azioni da fanciulla sguajata. 10. Ho sentito in certe scuole femminili un bisbiglio continuo, come fanno in chiesa le donniciuole, e mi sono immaginata che fossero tutte fanciulle che del galateo non guardassero nemmeno la copertina. 11. Non è lecito suggerire a una compagna che stesse dicendo la lezione, nè passarsi biglietti da un banco all'altro, nè farsi boccaccie, o segni con le mani. 12. Vorrei anche che foste persuase che il non saper la lezione, oltre che di danno a voi, è mancanza di riguardo verso chi vi istruisce. 13. Ricordatevi che il presentare a un superiore un libro spiegazzato, o con le pagine staccate o macchiato è villania; quindi tenete i vostri libri e quaderni con cura, perchè vi possono venir chiesti da un momento all'altro. 14. Soffiarsi rumorosamente il naso è sempre da persona maleducata, durante la lezione poi è cosa da screanzati. 15. Nè dà miglior opinione vedere fanciulle che mentre la maestra si sfiata a insegnare fanno disotto ai banchi giuochelli con la carta od altro. 16. Durante la lezione le mani devono sempre rimanere sul banco. 17. In iscuola non si deve portare alcuna cosa da mangiare. 18. Se entra in scuola qualche persona di riguardo tutta la scolaresca deve alzarsi contemporaneamente in piedi senza chiasso, e restarvi fino a che non sia invitata a sedere. 19. Se avete commesso un fallo, e la maestra se ne accorge non permettete mai che venga accusata in vece vostra una compagna; confessate spontaneamente la vostra colpa, e vi sentirete contente. 20. Se siete interrogate, alzatevi con prestezza e attendete l'interrogazione in silenzio. 21. Dite la vostra lezione a voce alta, chiara, senza interruzioni , senza implorare con gli occhi fra le compagne chi vi suggerisca. 22. Se dovete escire dalla scuola chiedetene il permesso e fatelo con moderazione. 23. Badate di non lasciar cadere in terra alcun oggetto producendo rumore e disordine nella scuola. 24. Durante la lezione di cucito non vi curvate come gobbe sul lavoro, ma state ritte portando piuttosto il lavoro verso di voi. 25. Perdere il ditale, le forbici, l'ago, il filo, ecc., prova che la fanciulla è disordinata e perciò male educata. 26. Ridurre il proprio lavoro come un cencio da spolvero è mancanza di dignità verso sè stesse e di riguardo verso l'insegnante. 27. Quando l'ora del lavoro è trascorsa si deve ripiegare con cura il proprio, e metterlo nella canestrella col filo, l'ago, le forbici, il ditale, ecc. 28. Anche i vostri rapporti con le compagne debbono essere improntati alla massima cordialità e benevolenza. 29. Molte delle mie lettrici andranno alle scuole pubbliche, qualcuna troverà nella sua classe, magari vicino a sè, qualche compagna vestita male, qualche altra magari si vedrà accanto una compagna difettosa nelle membra; mi raccomando, voi tutte che mi leggete siate buone e generose per le meno felici di voi. 30. Se foste state così cattive di offendere una compagna povera o malata pentitevene e chiedete perdono all'offesa. Noi vedremo più avanti quanto vi sia di più rispettabile nella vita, e allora c'incontreremo anche con questi miseri, ma per ora se ne avete per compagne di scuola siate con esse amorose. Diventerete migliori. 31. Prestarsi a fare un compito per una compagna negligente, anzichè un tratto cortese come forse lo pensate, è cosa contraria all' interesse di colei che volete favorire. 32. Le ragazze hanno spesso il vizio di raccontarsi fra loro cose di casa; vorrei che tutte le fanciulle che mi leggono si proponessero di non parlar mai nè delle proprie ricchezze, nè dei propri abiti, nè dei propri servi, di nulla insomma che faccia parte della casa, con le compagne di scuola. 33. Alcuna di voi, finite le elementari, sarà forse mandata al ginnasio. Non in tutte le città vi sono ginnasi femminili, quindi non è impossibile che facciate parte di una scuola maschile. Mi raccomando, fanciulle mie, siate molto composte sempre; cortesia sì, ma confidenza con nessuno. 34. Non permettete ai vostri compagni d'altro sesso di darvi del tu, e voi stesse negli indispensabili rapporti che avrete con essi usate illei. 35. Vi consiglio di non lasciarvi mai accompagnare da alcuno di essi per la via, e di esigere sempre quel rispetto che l'uomo deve alla donna, e che questa impone appena il suo contegno sia corretto. 36. Anche coi professori siate molto rispettose, e vorrei dirvi: studiate tanto da non essere tollerate nella scuola maschile, ma bensì imitate. 37. Qualche altra delle mie lettrici invece che di una scuola farà parte di un collegio. Ormai le fanciulle si mandano in collegio solo quando alla madre o le gravi occupazioni, o i doveri di gran signora impediscono di attendere come vorrebbe alle sue bambine. Quindi per non lasciarle a contatto dei domestici preferisce il collegio. Ho detto questo perchè ci tengo che la mia lettrice collegiale sappia che il convitto tiene per lei le veci di casa, e di scuola ad un tempo. Vi pare ora che bastino forse le regole di buona educazione che insegnai per la casa e la scuola, n'è vero ? Sì, tutti i consigli che vi diedi fino ad ora calzano anche per una collegiale, ma vi sono altre cose, alle quali ella deve por mente. 38. Malgrado il dolore vivissimo del distacco dalla famiglia, dovete essere fin dal primo giorno cortesi e affezionate verso le persone con le quali andate a convivere. 39. Mi sono raccomandata, parlando della scuola, di bandire sempre da voi il pettegolezzo che è triviale e inurbano. E pettegola io chiamerei la fanciulla che volesse sapere la professione del babbo, delle sue compagne, o perchè una di esse non ha ancora tutta l'uniforme, o perchè la posata dell'altra sia meno bella della propria, ecc. Nei collegi femminili vi sono tante stupide idee preconcette che voglio qui diffondermi un po' sull' argomento. Si ricordino le fanciulle che il solo fatto che quella compagna è accolta sotto il tetto che ospita anche essa implica che la sua famiglia è onorevole come la loro. Mi ricordo qui un fatterello accaduto nel mio collegio, che riporto come esempio di tante sciocche prevenzioni, speciali alle collegiali. Fra le mie compagne ce n'era una delicata di modi, gracile di salute, sensibilissima; non aveva nessun titolo nobiliare, ma la sua personcina emanava la più squisita nobiltà. Un bel giorno, cioè, un brutto giorno, la vedemmo piangere disperatamente, tenersi in disparte da noi, e poichè io l'amavo ed ella lo sapeva, vedevo i suoi occhioni fissarmi in modo umile e supplichevole ad un tempo. Ma per quanto l'interrogassi non volle dirmi nulla, soltanto fra un singhiozzo e l'altro mi stringeva la mano e mi domandava: mi vorrai sempre bene? Qualunque cosa tu scoprissi di me? La rassicurai, ma ero inquieta: temevo che avesse commessa qualche grossa mancanza, e benchè il mio cuore si ostinasse a non volerlo credere, il suo contegno era quello di una grande colpevole pentita. Temendo anche che quello stato di sovraeccitazione facesse male a lei così delicata, ne parlai subito alla nostra maestra. Non dirò quanto penammo a strapparle la confessione del suo dolore: la marchesina C.(taccio il nome) le aveva detto che non avrebbe giuocato più con lei perchè era la figlia di un vinajo. Nient'altro! e lei povera cara piccina era tutta disperata per questa offesa. Ma sapete che cosa era questo vinajo? Era un rispettabilissimo signore, dottore in medicina che avendo sposato la mamma della mia piccola amica, la quale gli aveva portato in dote per qualche centinajo di mille lire in vigneti, vendeva il vino de'suoi campi.O che ne avrebbe dovuto fare? Per una combinazione, il marchese C. ne aveva fatto acquisto, la figlia lo aveva saputo, ed aveva offeso quella povera bambina, che per parecchio tempo ne risentì le conseguenze. Date retta a me; ormai gli orgogli di casta sono cose d'altri tempi, e oggi il lavoro è stimato quando onesto, tanto quanto uno stemmato blasone. L'uniforme che rivestite vi fa tutte eguali dinanzi alla casa di educazione che vi ospita. Se volete distinguervi lo potete solo con la bontà e la correttezza dei modi. 40. Se nel vostro collegio vi trovaste a contatto con ragazze esterne, siate cortesi anche con esse, ma evitate quella famigliarità che usate con le interne. 41. Pregare qualche compagna che esce di collegio d'impostarvi lettere, o farvi comperare oggetti di nascosto dai superiori, non è pratica di fanciulle leali. 42. Non vi scambiate doni fra compagne di collegio e di scuola. 43. Nel collegio la campana rappresenta la voce che invita alle varie occupazioni della giornata. Siate docili a questa voce, benchè non risuoni per voi soavemente come la voce materna. 44. Al primo squillo balzate sollecite dal letto senza obbligare qualcuna delle vostre superiore a tirarvi per i piedi. Vestendovi, osservate tutte le precauzioni che la modestia vi suggerisce. 46. Siate sollecite in modo di non fare aspettare le compagne. 47. Dovrete rifarvi il letto, lavarvi, pettinare la compagna che già vi avranno assegnata, e farvi pettinare. Siate leste e ordinate nella prima di queste occupazioni compiacenti e pazienti nella seconda. 48. Un nuovo squillo di campana vi inviterà in refettorio per la colazione; mettetevi prestamente in fila, e camminate in silenzio. In refettorio mettete in pratica tutte quelle regole che vi suggerii per la mensa di famiglia. 49. Si rechi ognuna tranquillamente a prendere il proprio posto, lasciando passare prima quelle fra le vostre compagne che occupano i posti di mezzo nelle banche, senza obbligarle a camminare sovr'esse dietro le spalle. 50. A mezzo giorno e alla sera il regolamento del collegio vi imporrà qualche minuto di lettura e di silenzio durante i pasti. State attente alla prima e osservate il secondo. 51. Quando il tintinnio del campanello vi dispensa dal silenzio non gridate come ossesse. 52. Molte collegiali credono da dar prova di appartenere a famiglie ricche e ben educate, sofisticando e lagnandosi dei cibi e delle stoviglie. Bandite questa idea altrettanto barocca che sciocca; le persone abituate a vita signorile, sono quelle che più facilmente sanno adattarsi a tutto. 53. Un'altra volta la campana inviterà alla preghiera. In questo caso siate, s'è possibile, ancora più pronte alla chiamata, e sopratutto siate silenziose e raccolte. 54. La chiesa è il luogo dove meglio una giovanetta può dar prova della propria educazione. Sia dessa la chiesa del collegio o una chiesa pubblica, è sempre la casa del Signore. Entrando in una chiesa la giovinetta gentile offre l'acqua santa a chi è con lei, e facendosi il segno della santa Croce s'inchina. II modo di fare la riverenza è difficile insegnarlo, le mie lettrici procurino di esercitarvisi da sè, che se fatta bene dà alla fanciulla una grande aria di distinzione. È permesso a una fanciulla offrire l'acqua santa anche a persone estranee, persino ad un mendico a titolo di elemosina; non la offrirà però alla domestica che l'accompagna; può accettarla da chiunque. Se nella chiesa si trovano panche o sedie di proprietà della vostra famiglia e fossero occupate, aspettate che sia terminato l'ufficio religioso, dopo con buon garbo accennate al vostro diritto di avere un posticino per voi. Nell'occupare il vostro posto abbiate cura di non fare chiasso per non disturbare i fedeli; lasciate passare i vostri maggiori, e se la chiesa fosse gremita e vedeste una signora in piedi offrite con bei modi il vostro posto. Vi è anche permesso offrirlo ad un uomo, ma solo allora che si trattasse di un vecchio cadente. 55. Vi accadrà qualche volta di accompagnare alcuno che in una chiesa si reca soltanto per visitarvi un dipinto, o una statua. Non per questo vi è lecito dimenticare che siete in un lungo sacro; la riverenza entrando è indispensabile, e farete bene inginocchiandovi un momento per dire una breve preghiera. 56. A proposito: in chiesa si deve evitare di dire le preghiere o di leggere a mezza voce; dite le orazioni col cuore e leggete mentalmente, i vicini ve ne saranno grati. 57. Non lasciate sbattere la porta, e se dietro a voi avete qualche persona di riguardo tenetela aperta fin ch'essa vi sia passata. 58. Se assistete alla SS. Messa rimanete inginocchiate almeno al Sanctus, all'Elevazione, alla Comunione e alla Benedizione finale. 59. È inutile vi dica che in Chiesa non si deve parlare, nè chiamarsi, nè ridere, nè additare i presenti, nè restare con gli occhi inchiodati al soffitto, nè occuparsi del come sono vestite le signore e le signorine. 60. Se vi accostate alla SS. Mensa siate raccolte, serie, composte, come si conviene al grande Mistero. 61. Se vi unite al coro che canta le laudi non strillate come pazze, accompagnate invece il canto a mezza voce, anche se aveste una voce deliziosa. C. BUFFONI-ZAPPA 3 62. Vi potrebbe succedere di dover entrare in una chiesa di una religione diversa dalla vostra: mi raccomando, comportatevi come nei vostri templi, ma osservate le mosse dei fedeli che vi si trovano e fate come essi. 63. Ma torniamo al collegio: la campana vi chiama in classe; anche qui dovete recarvi in fila, e sebbene sia concesso di parlare, consiglio di farlo sottovoce. 64. In ricreazione siate pure allegre, sguajate mai. 65. Quando la campana invita al riposo non girondolate pei corridoi, non fate lunghe sedute laddove bello tacere, per il gusto di far aspettare le altre. 66. Quando la solita campana dice il silenzio, obbeditela; niente di più scorretto che parlare dopo questi rintocchi. 67. Del resto mettetevi bene in mente che il collegio è una grande famiglia; portatevi tutti i buoni insegnamenti che riceveste nella vostra, dimenticate tutto ciò che se è compatibile a casa, diviene assurdo in una comunità. Le compagne siano vostre sorelle ma senza distinzione, evitando le preferenze che generano screzi. 68. Nei collegi si fa lo studio camerale, cioè si studiano le lezioni in comune. Quasi ogni fanciulla mi dirà che non può mandar a memoria che ciò che studia ad alta voce. Sotto questa scusa le classi, si presentano in certe ore, come le bolgie infernali delle quali più tardi imparerete dal divino Poeta. Vi consiglio di riunirvi in piccoli gruppi, tre, quattro, cinque al massimo, e studiare insieme sotto voce provandovi man mano il periodo studiato. Con questo sistema vi disturberete meno reciprocamente, e non insordirete quelle povere insegnanti che vi sorvegliano. 69. Se vi occorrono schiarimenti rivolgetevi all' insegnante, ma non liticate tra voi, per carità. 70. Se dovete escire di classe chiedetene il permesso a chi vi sorveglia, e fatelo senza chiasso. 71. Nelle giornate di escita non siate tempestose come il cielo di marzo, e da casa non portate nulla che non siate sicuri di poter mostrare senza paura ai vostri superiori; libri, denaro e qualsiasi altra cosa sia consegnata da voi nelle loro mani. 72. Il parlatorio dove in dati giorni potete vedere i vostri genitori, è un altro luogo dove si giudica della vostra educazione. Quindi il fissare o lo squadrare da capo a piedi i parenti delle vostre compagne, il ridere, il parlare a voce bassissima dopo averli guardati, sono tutte scorrettezze che dovete evitare. 73. Nè farete bene a criticare i congiunti di qualche vostra compagna, quando, finito il parlatorio, rientrate in classe. 74.È regola d'ogni collegio di permettere a certe epoche fisse, l'escita, per una o più giornate, alle fanciulle che ospita: la signora direttrice avrà fino dalla vigilia fatte le sue raccomandazioni, e qualche altra delle vostre superiore ve le rinnoverà al momento di escire. Dunque dovrei limitarmi a dirvi ricordatevene per tutto il tempo che rimanete fuori del convitto; ma so purtroppo che per certe cose la vostra memoria è molto labile, sicchè trovo opportuno enumerarvi qualcuna di quelle saggie raccomandazioni. Ve l'ho già detto: vi hanno messo in collegio per sottrarvi al contatto dei domestici che se anche buonissimi, sono sempre persone volgari; ciò legittima la pretesa che nel collegio impariate la vera educazione; e potete per ciò immaginarvi che il giorno dell'escita come un giorno di prova. Quante invece in questo giorno mettono in un cale i saggi avvertimenti, e si lasciano andare al più scorretto procedere. Non mi dite che siete vivaci: siatelo pure, e Dio vi benedica, ma la vivacità è una cosa e la sguaiataggine un'altra. 75. Mettere a soqquadro la casa sotto il pretesto che si è sempre lontane è mancanza di educazione. 76. Far brutto viso alle persone che potessero in tal giorno capitare a visitare la vostra famiglia; frugare nelle carte dei vostri genitori, sono tutte cose che non dimostrano certo il vostro profitto in quanto a buona creanza. Ma procediamo con ordine: 77. Siate pronte per l'ora dell' escita in modo di non far aspettare chi viene a prendervi. 78. Ponete la massima cura nel vestirvi, così da non escire coi guanti scuciti o gli stivaletti sporchi. 79. Non accettate dalle compagne incarichi che potessero essere di disturbo alla vostra famiglia, in urto con i regolamenti del collegio. 80. Nell'uscire salutate senza furia le vostre superiore, e le compagne che restano. 81. Per la via siate correttissime ricordandovi che l'uniforme che indossate vi obbliga a un contegno perfetto. 82. In casa mettete in pratica tutti quei consigli che vi vengo man mano enumerando. 83. Non mangiate di soverchio col pretesto che siete al desinare di famiglia, e sopratutto non dite che l'una o l'altra cosa non vi piace. 84. Non sentenziate su nulla, e non usate quel tono di superiorità che è molto in uso in certi collegi, tanto che le fanciulle se ne impadroniscono in modo da sembrare sia una loro brutta naturale abitudine. 85. Non esponete idee che potrebbero offendere le persone che vi sentono. 86. Siate puntuali all'ora del ritorno, e nell'entrare in collegio dimenticate tutto quello che aveste potuto vedere o sentire a casa vostra; non sciorinate grandezze nè miserie della vostra famiglia, le prime suscitando invidia, e umiliando quelle fra le vostre compagne di condizione inferiore alla vostra, le miserie umiliando voi stesse. 87. Non portate da casa cosa alcuna senza il permesso dei vostri genitori. 88. Il giorno dopo l'uscita avete il dovere di scrivere alla vostra famiglia ringraziandola. 89. Se uscite per le vacanze oltre il ricordarvi sempre che dal vostro contegno si giudica il collegio al quale appartenete, siete obbligate di scrivere ogni quindici giorni alla Direttrice del vostro collegio se è lontana, e di visitarla se si trovasse nella stessa città. 90. Se trovandovi in famiglia qualcuno v'invita a dar saggio di qualche cosa che avete imparato, non vi fate pregare, ma abbiate il buon senso di scegliere sempre le cose più facili che potete. 91. La vostra posizione di scolara in vacanza non vi dispensa dal prestare ajuto in famiglia, non vi autorizza all'ozio.

Pagina 24

Giovanna la nonna del corsaro nero

204700
Metz, Vittorio 1 occorrenze
  • 1962
  • Rizzoli
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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Gli strinse la mano e abbracciato il giovane Raul si diresse rapidamente verso il barcarizzo per nascondere la sua commozione, mentre il capitano gli gridava dietro: "E fate bene a fidarvi! Da questo momento, per il Corsaro Nero sono cominciati i guai..." Infatti...

Angiola Maria

207299
Carcano, Giulio 1 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Non ebbe più forza di tenersi al cancello che aveva abbracciato, e lasciandosi cader giù lentamente su l'agghiacciato terreno, giacque come morta. Un' ora di poi lo scalpitare d'un cavallo turbava il silenzio mortale di quella desolata riva. La notte era già alta; l'uragano cessato; solo testimonio di vita era il fremito indistinto del lago, che si rompeva alla sponda col monotono spumeggiar del fiotto. Il giovine cavaliero, ravvolto in un corto mantello, pareva disprezzare tutto il rigore della stagione, consolarsi quasi nel respirare l'aria asprissima della montagna. Egli aveva abbandonato le redini sul collo del cavallo, che con passo lento e stanco discendeva per la china. Allorchè giunse vicino al campo santo, il suo sguardo cadde a caso sopra qualche cosa d'opaco che spiccava sul bianco terreno. Raccolte le briglie, fè volgere il cavallo a quella parte, e curvandosi sulla sella vide, al debole chiaror della neve onde appariva coperta ogni cosa all' intorno, una misera creatura la quale pareva svenuta o estinta; pensò che fosse colà venuta dal paese a pregare per i suoi morti, e che la crudezza del freddo o l' imperversar dell' uragano l'avessero ridotta a quegli estremi. Il cuore gli tremava forte; fermò il cavallo, scese di sella; poi, chinatosi sul terreno presso quella salma assiderata, riconobbe ch'era una povera giovinetta: sorreggen- dola sulle braccia egli la sollevò alquanto, e la sostenne inginocchiato com'era, sì che la testa grave e cadente dell'estinta si rovesciò su la sua spalla. Allora avvicinò il suo volto alla bocca dell' infelice, per conoscere se un alito leggiero di vita scaldasse ancora quelle membra immobili; fissò gli occhi sovr' essa; ma al primo guardare nulla vide, nulla distinse, quasichè l'anima sua non avesse più senso.... Tornò a fissar quella fronte, que' labbri, que' cigli, ogni fattezza.... Un brivido gli corse per tutte le vene, e si sentì trapassar il cuore come dalla fredda lama d'un pugnale.... Arnoldo l' aveva riconosciuta.

Pagina 289

Narco degli Alidosi

214080
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1987
  • Nuove Edizioni Romane
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Qui, mentre Narco e la donna, che si chiamava Rilena, vivevano di abbracciato amore e altro non pensavano, Blabante cominciò il suo savio potere. Fino dai primi giorni si seppe, in quella terra, da che parte il vento porta semi e da che parte strozza la vela: e dove metter crusca, e dove caglio. Quanto al poi, che viene sempre, nacquero tre bambini bellissimi e quieti: il loro fiato sapeva di fiori. Quello di uno sapeva di timo. Quello di un'altra sapeva di rose. Quello del terzo, chissà se femmina o maschio, sapeva di calicanto che, e chi dice il contrario si sbaglia, è il profumo migliore. fine

Tutti per una

215026
Lavatelli, Anna 1 occorrenze
  • 1997
  • Piemme Junior
  • Casale Monferrato (AL)
  • paraletteratura-ragazzi
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Alla fine mi ha abbracciato e ha pianto, qui, su questo cuscino. Poi ha chiesto di vedere la bambina. A proposito, dice che Dorotea gli somiglia. La ragazza sorrise suo malgrado. Poi si fece seria e guardò di nuovo i merli, attraverso la vetrata, che continuavano i loro frenetici giochi d'amore tra i rami degli alberi. - Non mi sento pronta per tornare a casa. - Nessuno ti chiede di decidere oggi, neanche il tuo babbo. - Davvero? - Amanda sembrava essersi tolta un peso dallo stomaco. D'impulso si alzò e lo abbracciò stretto. - Vai, vai pure adesso... - ora era il professore a sentirsi a disagio. - Il dottore dice che devo evitare gli strapazzi, per via del mio cuore ballerino. - Sicuro. - La ragazza si ritrasse prontamente e fece l'atto di andarsene. - Amanda, senti... - Sì, professore? - Se dovessi morire.... - Ma... ma... cosa dice adesso? Cosa le salta in mente? - Se dovessi morire, - proseguì deciso il professore - prometti di badare al mio Argo. - E perché? Tanto non ce ne sarà bisogno. - Tu, comincia a promettere. O non vuoi? - Sì, sì... lo prometto - ribatté Amanda, con furia. - Ma lei vivrà ancora tantissimi anni, ha capito? Il professore le lanciò un'occhiata indulgente. - D'accordo, d'accordo... Ti spiace fare un po' di buio, prima di andar via? Mi sento stanco e vorrei riposare un poco. La ragazza andò ad avvicinare le impannate della porta-finestra e quando tornò indietro, vide che Virgilio Zambelli aveva già chiuso gli occhi. Si chinò su di lui, in ascolto, e sentì che il suo respiro era placido e commesso. - Dormi bene, professore - mormorò. E gli rimboccò le coperte perché non prendesse freddo, come aveva imparato a fare con la piccola Tea. Rimase qualche minuto a vegliarlo, chiusa nei suoi pensieri, misurando la montagna di problemi che le stavano davanti.

Mitchell, Margaret

221149
Via col vento 3 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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E poi, Lydia e Gioia lo avevano abbracciato, strappandolo dolcemente alla moglie. Quindi Ashley aveva abbracciato suo padre; un abbraccio dignitoso che dimostrava la serenità del profondo sentimento che li legava. Poi zia Pitty che saltellava qua e là, tutta eccitata. E finalmente si era volto verso di lei che era circondata dai giovinotti che reclamavano un bacio, ed aveva esclamato: - Oh Rossella! Come siete sempre carina! - E l'aveva baciata sulla guancia. Quel bacio le fece dimenticare tutte le frasi di benvenuto che aveva pensato di dirgli. Solo dopo molte ore ricordò che egli non l'aveva baciata sulle labbra. E allora pensò come sarebbe stato il loro incontro se fossero stati soli: egli avrebbe curvato la sua alta statura e lei si sarebbe rizzata in punta di piedi per sentirsi stringere a lungo. E poiché tale pensiero la rendeva felice, ella si convinse che questo potrebbe veramente accadere. Ma c'era tempo per tutto: una settimana intera! Senza dubbio ella riuscirebbe a trovarsi sola con lui e gli direbbe: - Vi ricordate le nostre cavalcate per i sentieri solitari? Vi ricordate come splendeva la luna quella notte in cui voi sedeste sui gradini di Tara e recitaste una poesia? (Dio mio! Che poesia era?) Vi ricordate quel giorno che mi feci male alla caviglia e voi mi riportaste a Tara fra le vostre braccia? Quante cose avrebbe potuto dirgli cominciando con le parole «vi ricordate»! Tanti episodi che lo riporterebbero ai bei giorni, quando andavano in giro per la Contea come i ragazzi spensierati; l'epoca in cui Melania Hamilton non era ancora entrata in scena. E forse ella leggerebbe nei suoi occhi una rapida emozione che le farebbe comprendere che, nonostante l'affetto coniugale per Melania, egli le voleva ancora bene, come quel giorno del banchetto, quando la verità gli era uscita di bocca suo malgrado. Non si fermava a pensare che cosa farebbe se Ashley le rivelasse il suo amore in parole inequivocabili... Le basterebbe sapere che le voleva ancora bene... Lo accarezzasse pure, Melania; ella saprebbe aspettare. Del resto, che cosa sapeva dell'amore quella candida creatura? - Amor mio, sembri un pezzente - disse Melania dopo che la prima eccitazione fu calmata. - Chi ti ha rattoppato l'uniforme e perché hanno adoperato dei pezzi di un altro colore? - Mi illudevo di essere elegantissimo - rispose Ashley. - Confronta la mia tunica con quelle degli altri e saprai apprezzare lo splendore di questi rattoppi. È stato Mosè che li ha fatti; e pensa che prima della guerra non aveva mai tenuto in mano un ago. Quanto ai rattoppi turchini... bisognava scegliere fra avere i buchi o chiuderli con pezzi di uniformi dei prigionieri yankee... Non c'era altro da fare. Quanto al sembrare un pezzente, ringrazia Dio che tuo marito non sia tornato a casa scalzo. La settimana scorsa ho dovuto dare addio alle mie vecchie scarpe, e sarei tornato a casa coi piedi avvolti in pezze di tela, se non avessimo avuto la fortuna di far la pelle a due «esploratori» yankee. Le scarpe di uno di loro mi andavano alla perfezione. Stese le lunghe gambe per fare ammirare le calzature. - Invece quelle dell'altro per me non vanno affatto - fece Calvert. - Troppo piccole e mi stanno facendo soffrire il martirio! Ma arriverò a casa in perfetto stile! - E quell'egoistaccio non ha voluto darle a uno di noi - interloquí Toni - mentre sarebbero andate benissimo al nostro aristocratico piedino. Mi vergogno di arrivare dalla mamma con queste ciabatte. Prima della guerra ella non avrebbe permesso neanche a uno dei nostri schiavi di portarle! - Non ci badare - esclamò Alex guardando le scarpe di Cade. - Gliele toglieremo quando saremo in treno. Dalla mamma non m'importa, ma... non voglio che Dimity Munroe mi veda con le dita che escono dai calzini! - Sicuro, sono mie - riprese Toni venendo in soccorso di suo fratello. - Sono stato io il primo a reclamarle. Ma Melania, prevedendo una delle famose liti dei Fontaine, intervenne a metter pace. - Avevo una magnifica barba - riprese Ashley. - Una delle piú belle dell'esercito... Ma quando siamo arrivati a Richmond, quelle due canaglie - e indicò i Fontaine - hanno deciso che siccome loro si facevano radere, io dovevo fare altrettanto. A Rossella sembrò che egli parlasse febbrilmente, per impedire che gli fossero rivolte delle domande a cui non voleva rispondere. Vide i suoi occhi abbassarsi e rialzarsi sotto lo sguardo turbato di suo padre; e allora, un po' perplessa, si chiese che cosa poteva nascondersi nel cuore di Ashley. Ma questo pensiero svaní subito, perché nella sua mente non poteva esservi altro se non un senso di delirante felicità e la speranza di potersi trovare sola con lui. Quella felicità durò finché tutti quanti intorno al caminetto cominciarono a sbadigliare, e il signor Wilkes e le figlie si accommiatarono per tornare all'albergo. Allora, quando Ashley, Melania, Pittypat e Rossella salirono le scale illuminate da zio Pietro, un brivido ghiaccio le attraversò il cuore. Fino a quel momento Ashley era stato suo, soltanto suo, anche se in tutto il pomeriggio ella non aveva potuto scambiare una parola con lui. Ma ora, augurando la buona notte, vide che le guance di Melania erano di porpora e che essa tremava. Vide pure che la sua espressione era timida ma felice e che quando Ashley aperse l'uscio della loro camera, essa scivolò dentro senza alzare gli occhi. Ashley disse «buona notte» bruscamente e richiuse l'uscio senza piú guardarla. Rossella rimase a bocca aperta, improvvisamente desolata. Ashley non era piú suo. Era di Melania. E finché Melania viveva, poteva andare in una camera con suo marito e richiudere l'uscio... chiuderlo a tutto il resto del mondo.

Pagina 285

Non aveva forse sentito il battito del cuore di Ashley quando ella lo aveva abbracciato? E non aveva visto quell'espressione disperata, piú eloquente di qualsiasi confessione? Egli la amava. Ora ne era sicura, e questa convinzione la faceva perfino essere piú gentile con Melania. «Quando la guerra sarà finita!» pensava. «Quando...» A volte con un lieve senso di timore si domandava: «E poi?» ma subito scacciava il pensiero. Finita la guerra tutto si aggiusterebbe. Se Ashley l'amava non avrebbe potuto continuare a vivere con Melania. Ma non era possibile pensare a un divorzio; Elena e Geraldo, cattolici rigorosi, non le avrebbero mai permesso di sposare un uomo divorziato. Sarebbe stato un'allontanarsi dalla Chiesa! Però, dopo aver riflettuto, Rossella decise che se avesse dovuto scegliere fra la Chiesa e Ashley, avrebbe scelto quest'ultimo. Che scandalo sarebbe stato! Le persone divorziate erano messe al bando non solo dalla Chiesa, ma dalla società. Ma ella era pronta a sacrificare tutto per Ashley. Fu al tempo degli acquazzoni di marzo, mentre tutti quanti erano costretti a rimanere in casa, che ella ricevette il colpo doloroso. Melania, con gli occhi brillanti di gioia e con un certo pudico imbarazzo, le disse che aspettava un bambino. - Il dottor Meade ha detto che sarà per la fine di agosto o i primi di settembre. Lo avevo immaginato... ma fino ad oggi non ero sicura. Non è una cosa magnifica, Rossella? Avevo tanta paura di non averne, io che ne desidererei una dozzina! Rossella, che si stava pettinando prima di andare a letto, si fermò col pettine a mezz'aria. «Dio mio!» pensò, senza rendersi immediatamente conto di ciò che aveva udito. E a un tratto le venne in mente la porta chiusa della camera di Melania; e un dolore acuto come una coltellata le trafisse il cuore. Un dolore cosí violento come se Ashley fosse suo marito e le fosse stato infedele. Un bambino. Un bambino di Ashley. Com'era possibile, se egli amava lei e non Melania? - So che sei sorpresa - continuò Melania un po' ansimante. - Ma come farò, Rossella, a dirlo ad Ashley? Non sarebbe imbarazzante se potessi dirglielo in un orecchio... oppure... forse non dirgli nulla e lasciarglielo indovinare a poco a poco. - Dio mio! - esclamò Rossella quasi singhiozzando, lasciando cadere il pettine e appoggiandosi al marmo della toletta per sorreggersi. - Non fare cosí, cara! Sai che non è poi tanto terribile. L'hai detto tu stessa, e non è il caso di essere cosí preoccupata. È vero che il dottor Meade ha detto che io sono... sono... - Melania arrossí - molto stretta di bacino, ma ha detto anche che forse tutto andrà bene e... Rossella, lo scrivesti tu a Carlo o glie lo scrisse tua madre? O forse tuo padre? Dio mio, se almeno avessi la mamma! Non so proprio... - Taci! - fece Rossella violentemente. - Taci! - Oh, come sono stupida, Rossella! Perdonami. È vero che tutta la gente felice è egoista. In questo momento dimenticavo Carlo. - Ma taci! - esclamò di nuovo Rossella, cercando di controllare il proprio volto e dominare l'emozione. Melania, la donna piú piena di tatto che esistesse, aveva le lagrime agli occhi per la propria crudeltà. Come aveva potuto richiamare a Rossella il terribile ricordo di Wade nato alcuni mesi dopo la morte del povero Carlo? - Ti aiuto a svestirti, cara, - disse umilmente. - E ti pettinerò io. - Lasciami sola - ordinò Rossella col viso contratto. E Melania, scoppiando in lagrime di pentimento, uscí, lasciando la cognata con l'orgoglio ferito, la delusione e la gelosia come compagni del suo letto solitario. La giovane pensò che le sarebbe impossibile vivere ancora sotto lo stesso tetto con una donna che aveva in seno un bimbo di Ashley; e pensò di tornare a Tara, a casa sua. Si alzò l'indomani mattina con l'idea di preparare il suo baule subito dopo colazione. Ma appena furono sedute a tavola, Rossella cupa e silenziosa, Pitty stupita, e Melania felice, giunse un telegramma per quest'ultima; era dell'attendente di Ashley, Mosè. «Cercato ovunque senza ritrovarlo. Debbo tornare a casa?» Nessuno comprese il significato di quelle parole; ma gli occhi delle tre donne si volsero dall'una all'altra dilatati dal terrore, e Rossella dimenticò il suo proposito di andarsene. Interrompendo la loro colazione si recarono subito in città per telegrafare al colonnello di Ashley; ma appena giunte all'ufficio, fu consegnato loro un telegramma di questi. «Dolente informarvi Maggiore Wilkes mancante dopo ricognizione compiuta tre giorni fa. Vi terrò informata.» Fu uno spaventoso ritorno a casa: Zia Pitty piangeva nel suo fazzoletto, Melania sedeva rigida e pallidissima e Rossella era istupidita, rannicchiata in un angolo della carrozza. Giunte a casa, Rossella salí barcollando nella sua camera, afferrò il Rosario che teneva sul tavolino e, piombando in ginocchio, tentò di pregare. Ma la preghiera non venne alle sue labbra, ed ella fu presa da un folle terrore che Dio avesse distolto il Suo volto da lei a causa del suo peccato. Ella aveva amato un uomo sposato e aveva tentato di toglierlo alla moglie; e Dio l'aveva punita uccidendolo. Voleva pregare ma non poté levare al cielo lo sguardo. Avrebbe voluto piangere, ma le lagrime non venivano. Le ardevano nel seno ma non sgorgavano dai suoi occhi. La porta si aperse e Melania entrò. Il suo volto era pallidissimo, incorniciato dai capelli neri; gli occhi spalancati come quelli di un bimbo impaurito sperduto nel buio. - Rossella - disse tendendo le mani. - Devi perdonarmi quello che ti ho detto ieri perché.. non ho piú altri che te. Oh, Rossella so che il mio amore è morto! Un attimo dopo era fra le braccia di Rossella ed entrambe sedevano sul letto, strettamente abbracciate, con le lagrime dell'una che bagnavano le guance dell'altra. Anche Rossella piangeva adesso di un pianto doloroso. Ma quanto era peggio non piangere! «Ashley è morto» pensava «e sono io che l'ho ucciso perché lo amavo!» I singhiozzi la sopraffecero; e Melania, trovando un certo conforto in quel pianto, si strinse maggiormente a lei. - Almeno - bisbigliò - almeno... ho il suo piccino. «Ed io» pensò Rossella, troppo colpita adesso per poter essere gelosa «non ho nulla... nulla... nulla... eccetto l'espressione del suo volto quando mi disse addio.»

Pagina 299

Dopo avere abbracciato Melania, scese in cucina dove Rossella stava avvolgendo in un tovagliolo una focaccia di granoturco e qualche mela. - Zio... è davvero una cosa tanto seria? - Seria! Sicuro, perbacco. Sono le nostre ultime difese. - E credete... che arriveranno a Tara? - Che diamine... - cominciò zio Enrico, irritato di quella mentalità femminile che pensava solo a ciò che la interessava personalmente. Quindi, vedendo il suo volto atterrito, si raddolcí. - Certo no. Tara è a cinque miglia dalla ferrovia, e gli yankees non mirano che a questa. Hai il cervello di un passerotto. - Si interruppe bruscamente. Poi riprese: - Non ho fatto tutta questa strada stasera soltanto per salutarvi. Ho delle cattive notizie da comunicare a Melania, ma quando è stato il momento di dirglielo, me n'è mancato il coraggio. Quindi lascio l'incarico a te. - Ashley... avete saputo... che è morto? - Come vuoi che sappia qualche cosa di Ashley, in fondo a una trincea? No. Si tratta di suo padre. John Wilkes è morto. Rossella sedette di colpo, tenendo in mano il fardelletto non ancora annodato. - Volevo dirlo a Melania... ma non ho potuto. Glielo dirai tu. E dàlle questi. Trasse di tasca un pesante orologio d'oro da cui pendevano dei suggelli, una piccola miniatura della defunta signora Wilkes e un paio di grossi bottoni da polso. Fu soltanto nel vedere l'orologio che tante volte aveva scorto fra le mani del vecchio Wilkes, che Rossella comprese veramente che il padre di Ashley era morto. E fu troppo colpita per piangere. Lo zio tossicchiò senza guardarla, temendo delle lagrime che lo avrebbero sconvolto. - Era un uomo coraggioso, Rossella. Dillo a Melly. E dille che lo scriva alle figlie. Ed è stato un ottimo soldato, malgrado la sua età. Una granata lo ha squarciato ed ha ferito anche il cavallo, che ho poi finito io stesso. Era una bella giumenta. Sarà bene che tu scriva anche alla signora Tarleton per informarla. Teneva moltissimo alla sua cavallina. Dammi quel fardello, bambina, debbo andare. E non prendertela tanto. Non è una bella morte, per un vecchio, finire come un giovine? - No, non doveva morire! Non doveva andare alla guerra... Doveva vivere per veder crescere il suo nipotino e poi morire tranquillamente nel suo letto. Oh, perché è andato? Non credeva alla secessione e odiava la guerra... - Molti di noi la pensano cosí, ma a che serve? Credi che mi diverta servir da bersaglio, alla mia età, ai tiratori yankee? Ma non vi è altra scelta, in questi momenti, per un gentiluomo. Abbracciami, bambina, e non stare in pensiero per me. Uscirò da questa guerra sano e salvo. Rossella lo abbracciò e ascoltò i suoi passi nel buio; udí aprirsi e richiudersi il cancello. Rimase un attimo a guardare gli oggetti che aveva in mano. Poi salí le scale per andare da Melania.

Pagina 345

Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222489
Misteri del chiostro napoletano 2 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
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Ad evitare il caso che la donzella palesi in quell'esame l'aborrimento suo allo stato che ha poc'anzi abbracciato per violenza dei parenti e per sobillamento del confessore e per amorosa disperazione, la diplomazia clericale decreta di strappare sull'istante lo scapolare alla giovinetta che sdrucciolato avesse in simili confessioni, e di sfrattarla dal chiostro nell'intervallo di 24 ore dicendole: "Vattene colla gente perduta! Indegna sei di convivere colle spose di Gesù Cristo!" Questo duro insulto, che nessuna ha il coraggio di affrontare, rende vano lo sperimento del noviziato, e fa sì che la donzella si trovi moralmente vincolata sin dal momento che ha preso il velo. Venne alfine l'ultimo e definitivo giorno. La mattina del 1° ottobre presentossi primo il canonico, che mi trattenne nel confessionale dalle 7 fino alle 11, ora in cui doveva darsi principio alla funzione. A poco a poco la chiesa si riempì di invitati: ne fu stipato perfino il portico. V'erano parecchi distinti personaggi, fra i quali un principe reale di Danimarca (attualmente regnante), condottovi dal general Salluzzi. Egli viaggiava da incognito, compiva appena il quarto lustro, ed era d'un'avvenenza peregrina. Tanto il generale che il principe, indossavano l'abito di gala, e portavano la fascia di San Gennaro. Dal cardinale Caracciolo fu cantato il pontificale, terminate il quale, gl'invitati rifluirono affollatissimi vicino al comunichino, ove io m'avanzava, fiancheggiata da quattro monache, con in mano delle fiaccole accese. Due di esse mi presentarono svolta una pergamena, portante in lingua latina la formula del giuramento, contornata da immagini di Santi in acquerello, e da indorati arabeschi. Doveva leggerla ad alta voce: la voce mi mancava. Incominciai a leggerla sommessamente: m'intesi dire: "Più forte!" Feci uno sforzo per alzar la voce, e pronunziare i quattro voti CASTITÀ, POVERTÀ, UBBIDIENZA e PERPETUA CLAUSURA.... La voce intoppò, e dovetti per un momento soffermarmi. In quel momento appunto, la candela accesa, che una delle monache teneva, scappatale di mano, cadde in terra e si spense. - Singolare augurio! Finita la lettura, vi apposi la propria firma, come fecero pure la badessa ed il cardinale. Frattanto nel mezzo del comunichino eravi disteso a terra un tappeto. Mi fecero coricare boccone su di quello, quindi mi coprirono tutta con una nera coltre mortuaria, portante nel mezzo un cranio ricamato. Quattro candelieri con torce ardevano a' quattro lati: la campana andava suonando lugubremente i tócchi dei morti, cui ad intervalli rispondevano alcuni gemiti, partiti dal fondo della chiesa. Poco appresso, il cardinale, voltosi verso di me, mi evocò tre volte colla seguente apostrofe: «Surge, quae dormis, et exurge a mortuis, et illuminabit te Christus!» cioè: O tu, che dormi nella morte, déstati! Iddio t'illuminerà! Alla prima invocazione le monache mi scovrirono dal mortuario drappo: alla seconda m'inginocchiai sul tappeto; alla terza balzai in piedi, e m'appressai al portello del comunichino. Un'altra frase latina, non meno mistica di quello che lo sia la precedente, mi percosse l'udito: «Ut vivant mortui, et moriantur viventes.» - La lingua morta del Lazio chiama tuttora morte la vita sociale: la lingua di Dante e dell'Italia rigenerata chiama al contrario morte la monastica inerzia. Alfine il cardinale benedisse la cocolla benedettina, che indossai sopra la tonaca, e poscia mi comunicò. Vennero allora a baciarmi prima la badessa, poi le monache tutte per ordine gerarchico; e, dopo una breve predica, la funzione terminò. Allora gl'invitati salirono al parlatorio, dove furono serviti di dolci e rinfreschi. Per aprir la porta e farmi ricevere le solite congratulazioni si aspettò che mi fossi un poco rasserenata. Intanto, per mezzo del generale il principe di Danimarca mi domandò, se era contenta d'essermi fatta monaca: alla mia risposta affermativa il suo volto si compose all'incredulità. Volle osservare la mia cocolla; era di lana nera con lunghissimo strascico, e larghe maniche: ultima ricordanza del monacato di madama di Maintenon. Usano le monache offrire un mazzo di rose artificiali al cardinale, ed un altro a ciascheduno dei vescovi che hanno assistito al pontificale. Ne presentai pur uno al principe, che accolse il dono con gentilezza. "Rose morte da una morta." disse a S. A. il mio benefattore. "Andiamo, generale" rispose colui: "Non reggo più nel vedere questa giovane, tanto barbaramente immolata." Uscita la gente, i ferrei cancelli del monastero tornarono a stridere su' loro cardini. D'allora in poi, mi separava dal mondo un baratro, secondo ogni apparenza, insuperabile. Non doveva più avere nè madre, nè sorelle, nè parenti, nè amici, nè sostanza alcuna; aveva abdicata perfino la mia personalità. Eppure nel fondo dell'animo mio sentiva vivo e palpitante ancora il sentimento, che mi muoveva a convivere, idealmente almeno, co' miei simili. Aveva fatto alla comunità il sacrifizio della mia persona, ma non già quello della mia ragione, che è un diritto inalienabile. Più alta di san Benedetto imperava nella mia coscienza la voce di Gesù Cristo, il cittadino dell'universo, il distruttore delle sètte, delle caste, degli associamenti parziali, il rinnovatore della famiglia, della nazione, dell'umanità, riunite in una sola legge d'amore e di conservazione.

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Queste osservazioni mi avevano persuasa che la non era contenta del suo stato, e che molto volentieri avrebbe abbracciato quello del matrimonio. La disgrazia della sua paesana e compagna le avea fatto una impressione spiacevolissima, e sempre che ne sentiva ragionare, stralunava gli occhi in modo da metter paura. Questo suo stato morale durò per alcuni mesi; se non che la follía che già prendeva radice, manifestossi in lei sotto una forma diversa, quella dell'ipocondria. Ritiravasi spesso in luoghi appartati per dar libero sfogo alle lagrime che l'opprimevano; fuggiva la conversazione e mormorava sola; non atteggiava mai la bocca al riso, obliava di leggieri gli ordini ch'io le dave, confondeva le medicine, e se entrava in discorso, lo faceva solo per indirizzare mille domande sulle strade di Napoli, sulla libertà personale degli abitanti, sulla beatitudine di coloro che ne possono godere, ed altre cose simili. A sgravio di coscienza, come infermiera, avvertii la badessa che lo stato di Concetta meritava attenzione, e chiesi un'altra conversa per la farmacia; poichè quella imbrogliava i medicamenti, perdeva il tempo a cambiarli dall’uno all’altro scaffale, ed attaccava il cartellino d'un farmaco al barattolo di un altro; conchiusi dicendo di non voler restare responsabile d'ogni disastro che potesse accadere.- Rispose l'inetta donna: "Sai, mo, che tu sei l'uccello del cattivo augurio?" Mi tacqui allora, nè più parlai sul conto di Concetta. Ma di lì a pochi giorni una contadina, sorella della stessa, avvedutasi di ciò che io pure aveva osservato, chiamava la badessa al parlatorio, onde pregarla di prendere in considerazione lo stato mentale della germana. - Rimase anche quest'avvertimento senza effetto. La balorda badessa ristringevasi a rimetter la inferma sotto la protezione della miracolosa Vergine dell'Idria, superiore patrona del convento. Poco dopo, una vecchia che dormiva con Concetta nella stessa stanza, le disse avere sul far del giorno veduta la sua compagna seduta sul letto, nell'atto di avvolgersi un fazzoletto alla gola, e soltanto le sue grida aver impedito che la si fosse strangolata di propria mano. "Stasera alle litanie farò dire quaranta volte ora pro ea," rispose la badessa. Un giorno di domenica, prima del levar del sole, molte monache stavano ascoltando la santa Messa. Si scende al comunichino per una lunga scala, che mena in un cortiletto umido, intorno a cui gira uno stretto corridoio a vôlta altissima, e sostenuto da pilastri.- Io scendeva per comunicarmi; era appena arrivata alla metà della scala, quando intesi un forte rumore, come di grave corpo caduto a terra. Mi coprii il volto colle mani: senza aver veduto niente, il pensiero mi corse all'ipocondrica Concetta. Scesi precipitosa, e trovai l'infelice in terra: me l'accostai, la credetti morta, e chiamai aiuto. Più di quaranta monache stavano riunite nel comunichino per la Messa: m'udirono gridare: nessuna uscì. Ne scese finalmente una, coll'aiuto della quale sollevai da terra la conversa, e l'adagiai sopra un seggiolone priva di conoscenza; indi, suonato il campanello della sagrestia, feci venire un prete per assisterla. Aveva la gamba sinistra lussata e tutta grondante di sangue. Era caduta a piombo sopra uno dei pilastri che reggevano la vôlta, così la polpa della gamba ne fu orribilmente straziata. - Appena potè articolare qualche parole, due facchini con manovelle passate sotto la sedia la portarono nella sua stanza. Il prete la seguì, ma dovette presto lasciare la camera, poichè la sventurata con un segno indicò che non lo voleva vicino a sè. Il luogo dove Concetta erasi gettata, era presso la chiesa. Le monache, dopo la Messa, uscendo dal comunichino, presero a strepitare intorno all'accaduto sì forte, che alla gente radunata in chiesa parve fosse avvenuta la ruina del monastero. Il sospetto venne confermato dal portamento del prete, che frettoloso e trambasciato se ne uscì di chiesa per entrare nel convento. Circa due ore dopo sopravvennero un ispettore di polizia e un cancelliere con uno stuolo di birri, per procedere all’accesso. La badessa vuol impedire l'entrata di quei profani nel chiostro, ma essi insistono a volervi penetrare. "Sapete bene signor mio, che senza ordine espresso del Santo Padre mi è vietato di ricevere nella clausura chicchessia, fosse pur egli lo stesso sovrano." "E voi, reverendissima, non dovete ignorare come l'ordine pubblico è superiore agli ordini che potete aver avuti da Roma." "Mi fate trasecolare. In qual modo pensate che nel mio monastero sia stato infranto l'ordine pubblico?" "Corre voce che una conversa sia stata precipitate con dolo e premeditazione dall'alto del secondo piano e miseramente infranta: nè manca chi questo turpe misfatto imputi a V. S. R." Figuratevi lo stupore della badessa! - Con mille inchini, li fece immantinenti entrare, ed ella stessa li condusse alla presenza di Concetta, la quale, alla scossa ricevuta dalla caduta, avea per poco ricuperata l'integrità della ragione. Subì essa l'interrogatorio con mirabile disinvoltura, e depose il vero, attestando di essersi precipitata da sè sola, e per irrefrenabile desiderio di morte. Domandata per qual ragione avesse attentato ai suoi giorni, ella, educata a' doveri religiosi più vivamente che non lo sono le donne secolari, trasse un profondo gemito, e provossi a rispondere; ma, o perchè inabile ad articolare suoni, o perchè pentita, si tacque: poi sbadigliò per modo da sgangherarsi le mascelle, stralunò gli occhi, respinse villanamente la mano dell'inquirente, e ricadde nella demenza. L'ispettore, steso il verbale, se ne partì. Ma tutto il peso di questa catastrofe non gravava sulla coscienza della badessa? Nel mentale turbamento che da più mesi travagliava quella misera, non era dover suo di farla assiduamente sorvegliare? Contiguo alla stanza dell'alienata eravi un camerino destinato a guardaroba; ivi fu trovata una fune con un nodo scorsoio in mezzo, ed in un prossimo ripostiglio si rinvenne inoltre un cartoccino di veleno. Era chiaro ch'ella aveva titubato intorno al genere di morte da scegliere, sospesa fra l'arsenico ed il capestro. Di lì a poco venne il cardinale Riario Sforza, esaltato recentemente alla sede arcivescovile di Napoli. Egli apostrofò acremente la badessa, sì per aver menato tanto scalpore male a proposito, sì per aver permesso a' poliziotti di violare colla loro presenza il sacro rifugio delle vergini. "Sapete voi," le disse in tuono severo, "qual sia rispetto ai chiostri l'opinione dei sedicenti filosofi e liberali? Credono essi che nei vostri recinti regnino il rimpianto e la disperazione, ossia, che tutte le vostre monache siensi pentite del loro stato. Or voi, colla pubblicità data ad un fattarello di sì lieve momento, non avete forse dato appiglio alle calunnie del secolo? Se il monastero non è una tomba come i santi canoni la richieggono, perchè ne porterebbe dunque il nome? I vivi non devono sapere giammai le intime peripezie del sepolcro." L'infelice Concetta sopravvisse altri venti giorni, finchè la gamba non le si cancrenò. Non mi dipartii dal suo fianco altro che al tócco della campana ogni mattina e sera, nè cessai di prodigarlei doverosi conforti di carità. Spesso l’udii mormorare da sè sola, tal altra volta la vidi conformare il sembiante a mesto sorriso, benchè afflitta da doglie acerbe. Da alcuni tronchi accenti compresi che la poveretta trovavasi in un critico stato, che voleva con la morte nascondere. Supina sul letto di morte, con gli occhi inchiodati al soffitto, sovente diceva con sè stessa: "Sì..... se la morte non giungerà sollecita..... inevitabilmente tradita....... già il seno........ maledetto!...... scomunicato!.... vattene alla malora, nè mi parlar di Cielo e di Madonna; se la Madonna soccorre gli sventurati, perchè dunque non viene in soccorso a me ed alla creatura che mi sento nelle viscere?" Favellò il più delle volte d'un giovine dagli occhi neri, che era stata solita di vagheggiare dal finestrino presso la chiesa, nè si lasciò persuadere a ricevere il prete e i Sacramenti. Abbandonata alla più cupa, disperazione non cessò di ripetere le mille volte ch'ella era irreparabilmente dannata. Orride, strane allucinazioni sopravvennero a funestarle gli estremi istanti. Di notte tempo mentre tutte dormivano, tranne due o tre che vegliavano al suo fianco, gridava: "Questo luogo è infestato da' demonii.... eccoli là.... li veggo.... uno per uno! Ohè, perchè tu in codesto angolo fai mille sberleffi? E tu in codest'altro, perchè scuoti le pareti, urtando colle corna la soffitta?" Altre volte diceva: "E voi, anime innocenti, non contaminate d'impurità, fuggite, involatevi presto dal mio contatto! Se ne usciste macchiate, ohimè, non basterebbero tre anni di penitenza a purgarvene!" Le monache perfettamente convinte che la delirante fosse ossessa da spirito maligno, pensarono di farla esorcizzare da un monaco crocifero; nè è a dire l'universale spavento all'idea che il monastero fosse invaso da' demonii. L'esorcismo fu praticato con imponente solennità, ma non ebbe alcun effetto. Le monache tutte affollate nel luogo della cerimonia, e facendosi continuamente segni di croce, si aspettavano a bocca aperta di veder sbucare dal corpo dell'invasata la figura di Satanasso; ma la curiosità loro fu delusa: non era ancor vicino il nono mese. Il sacerdote non potè entrare nella stanza per recitare qualche prece, se non nel solo momento in cui l'infelice esalava lo spirito. Restitui essa l'anima al Creatore intorno al vespro. La beltà che nell'assenza della ragione erasi spenta, riapparve commovente sull'esanime spoglia di quella infelice. Quale serenità rifluì allora sulle sue fattezze, insino a quel punto sconvolte dalla follía, tramutate dall'occulto cordoglio! Era sul tramonto. Un raggio di sole morente, dardeggiato traverso le imposte della finestra, venne per un momento a posarsi sul sembiante della morta, a baciarle tremolando la punta delle ciocche..... Anche quel messaggiero della divina misericordia un momento appresso era scomparso! Ella se n'era ita libera: io rimaneva. Sfogliai un mazzo di purpurei garofani, e ne versai un pugno sul corpo della defunta.

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Un letto di rose

238791
Adami, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1924
  • Arnoldo Mondadori editore
  • Milano
  • teatro - commedia
  • UNICT
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invece di sparargli contro... lo avrei volentieri abbracciato... E quando s'è trattato di puntare, di sparare... Sai contro chi ho mirato?... Contro un albero... E ho sbagliato anche quello, tanto il mio istinto detesta spargimento di sangue!... Ma dimmi tu, che sei un uomo giusto, se noi due si doveva mettere a repentaglio la nostra vita per opera inconsapevole di una sgualdrinetta ubriaca!

Pagina 171

L'indomani

246292
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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Alberto pensava che se lo avessero sorpreso nel cortile, abbracciato con sua moglie, sarebbe diventato lo zimbello degli amici. - Via - disse con un leggero accento di rimprovero - sono scene da bambina, torna in te, sii ragionevole. Siamo qui per divertirci e non per piangere. Ella raddoppiava le lagrime, avviticchiata al suo collo, tremando, spasimando. Marta... insomma! Pensò poi che fossero fenomeni nervosi inerenti alla prima fase della gestazione, e per il rispetto che professano gli uomini a questo misterioso travaglio femminile, replicò con dolcezza annoiata: - Lo sai bene che ti amo. - Dimmelo ancora! - Ti amo. Ma ella non si staccava, sospirando sempre, aspettando che un guizzo, un fremito passasse dal corpo di lui al suo, dandole la sensazione di un'anima sola, rispondendo a ciò che ella stessa provava, la vita, la rivelazione attesa... ed egli se ne stava ritto, rassegnato, e la luna li illuminava entrambi freddamente serena. - Camminiamo, ti passerà. Marta non disse più nulla. Docilmente si lasciò infilare la mano nel braccio di suo marito e fecero due o tre giri intorno alle botti degli arrampicanti. Egli non sapeva che cosa dirle. L'umidità della sera, forse, le avrebbe dato noia? Ma doveva sentirla anche lei. Non era un gusto, davvero, aver lasciata una stanza calda, un crocchio di amici, un buon bicchiere e delle ciarle e degli scherzi, per passeggiare tondo tondo in un cortile. - Ti senti meglio? - domandò infine. Marta fece un movimento impercettibile colle spalle, schiuse le labbra senza poter parlare ed appoggiò il cuore, che le batteva violentemente, contro il braccio di lui. Egli stette ancora un momento incerto, guardò l'uscio della sala da cui usciva uno sprazzo di luce allegra, guardò sua moglie, le botti, il cortile deserto, e: - Se rientrassimo?...

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Nel sogno

248220
Matilde Serao 1 occorrenze

Una di esse, mentre già le fiamme la investivano, ha abbracciato una monaca e le ha detto: Sorella mia, ora andiamo insieme in Paradiso. È vero. Deve esser vero. Dio ha fatto il Paradiso per chi muore, sognando così.

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Una peccatrice

249586
Giovanni Verga 2 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
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Eppure ti assicuro che se tu l'avessi veduta piangere come io l'ho veduta; se ella ti avesse abbracciato i ginocchi come li ha abbracciati a me, per indurti ad andarla a vedere, a scriverle almeno... se tu avessi udito le parole ch'ella mi diceva!... - Parola d'onore! - esclamò sghignazzando Pietro, - che tu ne sei innamorato cotto. Va, Raimondo, amico mio, tu farai il tuo cammino, coi tuoi ventidue anni, i tuoi capelli biondi, e il tuo volto fresco e roseo. Il biondo prese quegli scherzi come li prendeva sempre, dalla parte che lasciano ad un uomo di spirito, ch'è quella di riderne pel primo, e riprese: - Se così fosse, confessa che mi saresti molto obbligato di averti sbarazzato di una noia, senza i ritornelli soliti di traditore, Iddio è giusto, ecc. Pietro ne rise esso pure, e strinse con effusione la mano del suo amico. - Sentimi, caro Raimondo; - diss'egli alquanto gravemente; - io non son di quelli che dicono: fo così perchè così fanno gli altri. Mi sento troppo superiore a questi altri per seguirne l'esempio. A diciott'anni è permesso credere ancora all'amore, alla fedeltà, alla donna tipo, eroina, come impastocchiano gli sfaccendati nei romanzi... A ventiquattro (è desolante quello che dico, ma non è men vero) si è scettico come lo scetticismo, quando cento volte si sono ascoltate le più appassionate proteste, fatte colle lagrime agli occhi, dalla donna che ha in saccoccia la lettera del rivale. - É curiosa! - interruppe Raimondo. - Che cosa? - Come ti hanno guastato i romanzi di Sue; tu, accannito avversario dell'esagerazione della scuola francese, e che ora mi copii sì bravamente l'Uomo stufo a ventun'anni, lo Scipione del Martino il Trovatello... - Non copio io! - disse Pietro quasi con asprezza; - ti dico soltanto quello che penso. Ti dico anche che darei qualche cosa del mio avvenire per possedere ancora le illusioni sì care de' miei diciassette anni... Tu conosci la mia vita, Raimondo!... Ti ricordi di una giovanetta che amai alla follia... Che fece quella giovanetta per la quale avevo pianto... ne ho vergogna anche a pensarci... pianto dinanzi a te... come un fanciullo... come un vile?! ... Ella m'ingannò per un mercante; poi; poi per un nobile, per un uomo ammogliato... E questa donna, che avea dato appuntamento per la sera al suo amico, che ascoltava tremando le ore che segnava l'orologio del salotto, poichè temeva ch'io m'incontrassi con lui, abbracciava i miei ginocchi, come ieri Maddalena abbracciava i tuoi; mi supplicava colle lagrime più ardenti, colle carezze più tenere, cogli accenti più deliranti di non lasciarla sì tosto, di non lasciarla in collera, poichè s'era accorta ch'io avevo sospetto di quello che dovevo vedere mezz'ora più tardi... Dopo amai una maritata; credei che una signora che rischia di romperla colla società, e colla sua felicità istessa, dovesse molto sentire quest'affetto, al quale sacrifica il suo decoro, la pace domestica, e, presso di noi, fors'anche la vita... Quindici giorni dopo, a caso, in una festa da ballo, seppi, da uno di quegli amici che s'incontrano dappertutto, che da tre giorni egli era in relazione con quella signora... e le espressioni appassionate di lei, che egli mi citò, erano le stesse di quelle che aveva impiegato per farmi credere al suo amore... In seguito amai una fanciulla... pura siccome un angiolo: come direbbe il il signor Darmont nella Traviata; ella aveva tutto ciò che può far credere alla purità del cuore: distinzione d'educazione, coltura d'ingegno, bontà di sentimenti... Io l'amai come un pazzo, quella fanciulla dal viso pallido e dagli occhi cerulei... Scesi persino alle puerilità del collegiale... passare sotto i suoi veroni, seguitarla al passeggio e in chiesa... Quella giovanetta rispose finalmente alle mie lettere, mi promise amore e fedeltà, nell'istesso tenore, suppongo, in cui l'aveva promesso sei mesi prima ad un giovane che sposò alcune settimane appresso... E dopo questo, dopo innumerevoli esempi, che ogni giorno cadono sott'occhio, credi che si possa più averi fede nell'amore propriamente detto, in quest'amore chiesto o giurato spesso col rituale alla mano, senza passare almeno per uno scolare di primo anno? - Ti rispondo colle tue parole: Credo che abbi ragione almeno per metà; ma confessa che per l'altra tu esageri un pochino, lasciandoti trasportare, al solito, dalla tua immaginazione. - Può essere anche questo; - rispose sorridendo il giovane; - del resto colla Maddalena l'ho rotta tranquillamente o diplomaticamente, come vuoi meglio. Infine vuoi una parabola per convincerti? - Fuori la parabola! - Ecco! - e Pietro trasse dal suo portasigari, che avea trasformato anche in portafogli e portamonete, un bigliettino in carta profumata ed involto in una sopracoperta piccolissima color rosa; colla stessa flemma ne prese un sigaro ed un fiammifero. Acceso il foglietto, cominciò accenderne tranquillamente il sigaro. Raimondo ebbe il tempo di leggere le ultime frasi assai tenere del bigliettino, scritto con quel carattere minuto ed uguale che sembra particolare alle signorine distinte, firmato in basso colle sole iniziali. - Hai veduto? - gli domandò Pietro trionfante, buffandogli in faccia il fumo azzurrognolo del sigaro. - Ho guardato ma non ho visto, come il cieco della Bibbia. - È semplicissimo: vi è un detto celebre: Fumo di gloria non val fumo di pipa: ciò che in parentesi dimostrerebbe che le mie più belle produzioni-erba non valgono il fumo delizioso di questo regalia; io ne faccio un altro: Amor di donna, e d'uomo, se si vuole, non dura piú di cenere di carta, o biglietto amoroso... o sigaro regalia. Spero di farmi nome almeno coi proverbi... giacchè non l'ho potuto con opere di maggior lena... Ma guarda laggiù, imbecille!... - Che c'è? - Cospetto!... la signora che incontrammo l'altra volta alla Villa! - È vero. - Che donna... Perdio!... - Non è poi quella maraviglia che mi vai cantando... - Non ho parlato di maraviglie. Ti dico semplicemente che a Catania, e in tutta Sicilia anche, son poche le donne che sappiano recare così bene il suo pardessus reine-blanche, e che sappiano appoggiarsi con tanta grazia al braccio di quel briccone in guanti paglia e pince-nez che ha la fortuna di premere quel polsino contro le sue costole. Essi passarono quasi rasente a quella donna, che questa volta non li vide, o fece le viste di non vederli, e che sorrideva del suo riso incantevole al suo cavaliere, mentre gli parlava. - Hai udito che bella voce! - esclamò Pietro, premendo il braccio del suo compagno; - all'accento mi parve torinese... lo adoro tutto il Piemonte in questo momento... - Eppure veduta dappresso non è bella... - È adorabile, se non è bella! Essa non ha la bellezza regolare, compassata, che direi statuaria, e che non invidio ai modelli dei pittori; ma ha occhio che affascina, e sorriso che seduce carezzando, quando questo fascino ci può fare atterrire coi suoi brividi troppo potenti. Questa donna alta e sottile, di cui le forme voluttuosamente eleganti sembrano ondeggiare lente e indecise sotto la scelta toletta che le riproduce con tutta l'attrattiva vaporosa delle mezze tinte, ha tutte le perfezioni per poter coprire ed anche far ammirare come pregi altre imperfezioni; questa donna che ha bisogno di tutta la delicatezza e la bellezza di contorno del suo collo da inglese per non far troppo spiccare la piccolezza della sua testa da bambina; di tutta la flessibilità della sua vita per far dimenticare l'estrema sottigliezza del suo corpo; di tutta l'abbagliante bianchezza dei suoi denti per fare una bellezza della sua bocca alquanto grande, con cui ella sorride sì dolce cha sarebbe a desiderarsi di vederla sempre sorridere; che si serve di tutte le ombre, di tutti i riflessi più lucidi, più belli, più azzurrognoli dei suo magnifici capelli neri per nascondere che la sua fronte è alquanto larga ed alta del soverchio di tutta la limpidità dello sguardo dei suoi occhi, infine, per farne ammirare la pupilla di un riflesso molto chiaro; questa donna mi colpisce mille volte dippiù coll'effetto direi strano, sorprendente, poichè rubato a Dio, della sua beltà... Io non potrei giammai esprimerti l'effetto che mi fa questa bellezza, che non è tale che quasi per un miracolo, poichè non ha nulla per esserlo, ed in cui tutto sembra formare un assieme di grazia e di incanto; questa bellezza che ha bisogno di tutte le risorse della toletta, di tutte le seduzioni dei modi e dell'accento, di tutto l'incanto dello sguardo e del sorriso, per circondarsi di questo vapore trasparente... illusorio, lo confesso, che la fa bella però, che la fa adorabile, poichè sembra non farla vedere che in nube, attraverso l'incenso e l'orpello; questa bellezza che vuol essere tale a dispetto della natura che l'avea fatta comune; questa figura plastica che non ha di bello che gli elementi, direi, per divenir tale, e lo spirito creatore che fa nascere tutte le grazie di cui si circonda; che si mette allo specchio donna per sortirne silfide... maga... sirena... - To... to... to!... Pietro, amico mio, ne saresti innamorato?... - lo! - rispose il giovane scrollando le spalle, come cadendo dalla sua esaltazione, - sei pazzo! - Eppure tutti i pregi di costei non valgono un solo di Maddalena. Venti ancor più belle di lei non farebbero un angioletto così bello e perfetto qual è la piccina, come mi piace chiamarla; che pure hai abbandonato senza un pensiero. Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontana, e rispose semplicemente, abbassando il capo: - Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei. - È graziosa! - esclamò Raimondo. - Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio? - Sì, lo confesso... Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poichè a riverenza del cuore io non l'ho più. Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso... tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta.. tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è come il mio, debole e creta... E allora io l'amerei... un giorno, un'ora, ma l'amerei... Quanto alle altre donne, le amerò allorchè scoprirò un cuore nella donna. Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua imaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando: - Che ne dici della mia tirata, Pilade? - Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta. - Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi... - disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza. - Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio... - Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso... E tu sei superstizioso in quest'idea? - Al fanatismo! - Ma se tu fossi destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?... Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: - Chi lo sa!?...

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Io ho dimenticato tutto per te, sei intieri mesi: gli amici, il mio avvenire, gli impegni assunti; anche una madre che adoravo, la più buona, la più santa fra le madri, che aveva pur diritto all'amore del figlio suo, e che sei intieri mesi non ha avuto una parola da lui, non l'ha abbracciato una volta... Oh, credimi, Narcisa... è colla più viva commozione, colla più profonda riconoscenza anche, che io rammento questi sei mesi d'amore... Ma perchè quest'amore istesso duri con tutti i suoi incanti bisogna che esso sia assaporato lentamente: in fondo all'ebbrezza che stordisce si trova presto la disillusione che uccide l'amore... ed io voglio amarti sempre, mia Narcisa! «Soffocai i miei gemiti col fazzoletto, e rimasi muta, pietrificata dinanzi a lui che mi stringeva ancora le mani, e mi fissava quasi avesse voluto leggere nei miei occhi. «Dio mio! quello che soffersi in quel punto, credo che non potrò soffrirlo mai più... neanche al momento... «Quand'ebbi la forza di parlare gli dissi tristemente, divorando tutta l'estensione del mio dolore per nasconderglielo: « - Se mi amassi ancora, come dici, non avresti mai proferito ciò... « - Narcisa! - replicò egli, tradendo una viva impazienza, - non son uso a mentire... mi pare... « - Oh no! tu non mentisci... o piuttosto tu vuoi ingannare te stesso, perchè hai pietà di me... Grazie, Pietro! « - Io avrei dovuto parlarti da qualche tempo su questo proposito, - mi diss'egli; ho temuto sempre di farti dispiacere, ed ho indugiato. Tentai di lavorare per adempiere in parte agli obblighi impostimi, ma ti confesso che nulla mi è riuscito.... Mia madre mi ha scritto molte volte le più calde preghiere perchè io vada ad abbracciarla... «Egli aveva esitato a proferire l'ultima frase, e l'avea poscia pronunziata colla precipitazione di colui che prende una risoluzione decisiva. «Mi aggrappai al suo braccio, poichè sentivo le gambe piegarmisi sotto. « - È giusto, - mormorai quindi a metà soffocata: - tua madre ha ragione!... «Ebbi il coraggio supremo di non piangere. Egli rimase muto, facendo sforzi visibili per dominare la sua commozione. « - Mi accorderai almeno quindici giorni prima di partire? - gli diss'io, gettandogli le braccia al collo, piangendo in silenzio. « - Oh! amor mio! - esclamò Pietro quasi con le lagrime agli occhi: - non credevo di essermi meritate tali parole!... « - Ebbene!... fra quindici giorni tu partirai per vedere tua madre!... «Volle abbracciarmi, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ma mi allontanai di un passo, supplicandolo colle mani giunte di non farlo. «Temevo di perdere la forza della mia risoluzione in quell'abbraccio, al quale mi sentivo spinta violentemente da tutte le passioni, suscitate sino al parossismo, che tumultuavano in me. «Egli rimase colpito e sorpreso da quell'apparente freddezza, e m'accorsi ch'era anche indispettito. « - Grazie! - mi rispose freddamente. «E rimase muto... E non una parola di più... Come se avesse temuto ch'io mi pentissi di ciò che gli avevo accordato. «Ripresi il suo braccio per continuare a passeggiare, mentre non avevo la forza di strascinarmi. Lo guardavo: era freddo, pensieroso, quasi cupo. « - Oh,Pietro - gridai quindi singhiozzante, non sapendo più frenarmi, avvinchiandogli Ie braccia al collo; - mi ami?... mi ami come prima?!... Oh, Pietro!.... una volta mi promettesti, mi giurasti... che mi avresti confessato quando tu non mi avresti amato più... come prima... Pietro!... confessalo che non mi ami più!... « - Narcisa! te ne supplico... queste parole mi fanno male! - m'interruppe egli impallidendo. « - Oh, per pietà!... per pietà, Pietro! Me, l'hai promesso... me l'hai giurato!... Sii uomo!... dillo, dillo che non mi ami più! «Invece di volere questa conferma al mio doloroso sospetto, attendevo, con ansia smaniosa, una parola in contrario, che avesse potuto farmi gettare nella sue braccia, delirante di passione. Egli esitò... egli non l'ebbe;... e rimase muto, immobile... come combattuto da un'interna tempesta. « - Non ha dunque cuore quest'uomo! - gridai come una pazza, dopo avere invano atteso, in una terribile angoscia, col petto anelante, le mani giunte, le lagrime agli occhi, quella risposta. Non ha cuore per comprendere quello che si passa nel mio, per farmi felice anche con una menzogna! avevo detto in quelle parole. « Quelle parole però mi perdettero. « Pietro non capì il vero senso appassionato, addolorato, ansioso, che dava loro il mio cuore in quello stato, proferendole; egli capì soltanto tutte quello che vi è di duro, di sprezzante, d'insultante anche - sì, d'insultante - in queste parole prese alla lettera, che parevano dire: Siete un vile! mentre avevano detto: Non avete pietà di me? «Egli si levò pallido, coll'occhio, un momento innanzi umido di lagrime, asciutto e quasi fosco, coi lineamenti duri e severi; egli... quest'uomo! ebbe la forza di dirmi colla sua voce più calma ed incisiva: « - È meglio forse che ci separiamo, Narcisa. «Ebbi paura di lui. «Non potrei mai riprodurre tutto quello che vi era di lacerante in quelle fredde parole che soffocavano in lui il risentimento, che fa supporre pur sempre l'amore, per esprimere la calma ed inflessibile decisione della mente. «Mi sentivo morire, e caddi annichilata sul muricciolo accanto alla strada; Pietro mi diede il braccio, mi sollevò, e mi strascinò quasi sino alla carrozza. «Là, inginocchiata sul tappeto, col volto nascosto fra i cuscini, piansi lagrime ardenti, disperate. «Ora che ci penso a mente più serena, io non risento tutto il pentimento di quelle parole delle quali gli chiesi perdono a mani giunte, colle espressioni più umili, e che mi parvero aver deciso la mia condanna; se Pietro mi avesse amato ancora, egli non avrebbe dato la significazione letterale a quelle parole;... se il suo cuore non fosse stato morto per me, egli non avrebbe potuto prendere quella risoluzione. «Era finita dunque per me!... per sempre!... Ed io, folle!... folle!... gli chiedevo ancora quella franca confessione che mi avevo fatto promettere in un delirio d'amore, come se le parole avessero potuto illudermi, quando tutto parlava in lui chiaramente. «Passai una notte d'inferno, lacerando coi denti il merletto dei guanciali inzuppati di lagrime. «Quando il chiarore incerto che penetrava dalle tende del verone cominciò ad oscurare il globo d'alabastro della lampada da notte, mi alzai, ancora vestita degli abiti che indossavo la sera scorsa... Esitai un istante prima di tirare il cordone del campanello: volevo illudermi ancora su tutta l'estensione della mia sventura. « - È alzato il signore? - domandai alla cameriera che veniva a prendere i miei ordini. « - Anzi Giuseppe, il suo cameriere, crede che non sia nemmeno andato a letto; poichè l'ha udito passeggiare tutta la notte. «Fui commossa profondamente; dunque anch'egli aveva provato tutta la lotta di quella disperata passione! «Mi acconciai allo specchio, con triste civetteria; non volevo accrescere il suo dolore colle tracce del mio; volevo attaccarmi a lui con tutte le risorse di quell'eleganza che egli aveva tanto ammirato in me; e passai nelle sue stanze. «Lo trovai che scriveva, seduto al tavolino nella sua stanza da studio, con un lume ancora acceso dinanzi, sebbene morente. «Oh, signor Raimondo, mi perdoni questi dettagli, sui quali insisto con il doloroso piacere che si prova a ritornare sui particolari di dolci malinconiche rimembranze. «I fiori che ornavano ogni mattina la giardiniera, situata a semicerchio attorno al suo tavolino, quei fiori fra i quali egli s'immergeva, direi, quando si metteva a scrivere, e che avvolgevano i suoi sensi in un vapore di colori e di profumi, e suscitavano mille indefinite percezioni nella sua mente; quei fiori dei quali egli avea detto di aver bisogno come dell'aria per lavorare e per pensare a me, erano appassiti; le tende delle finestre chiuse, sicchè eravi quasi buio nella stanza; attraverso l'uscio aperto della sua camera da dormire vidi il letto scomposto, colle lenzuola lacerate e cadenti a terra, ed un cuscino sul tappeto accanto ad una poltrona rovesciata. «Pietro mi voltava le spalle, colla testa appoggiala fra le mani; aveva dinanzi un monte di quaderni e di fogli di carta, dei quali alcuni lacerati; sul foglio che gli stava sotto la mano era scritta l'intestazione di una lettera e tre o quattro versi cancellati. Egli non mi udì avvicinare, e si riscosse bruscamente quando mi vide vicino a lui. Poscia si alzò e venne a stringermi la mano, sorridendo tristamente. « - Volevo venire a farmi perdonare le mie cattiverie di ieri sera... però non potevo supporti alzata a quest'ora. « - Non ho dormito, Pietro... - gli risposi colle lagrime agli occhi. «Egli volse i suoi in giro per l'appartamento, quasi avesse voluto nascondermi il disordine; li abbassò, e rimase muto. «Non aveva voluto confessarmi che ancor esso avea sofferto: sentii stringermi il cuore dolorosamente. «Venni ad appoggiarmi alla sua spalla, come nei bei giorni in cui sentivo un brivido percorrerlo allo sfiorargli il volto coi miei capelli, e lo guardai in silenzio, spalancando gli occhi per dissimularne le lagrime. Vidi lo sforzo ch'egli faceva per contenersi, baciandomi sulle labbra; ma quel bacio commosso non aveva il febbrile trasporto di una volta, che gli avrebbe fatto stringere il mio corpo fra le sue braccia fino a soffocarmi... Fu solo.. quasi triste.. « - Tu scrivi? - gli diss'io con un coraggio di cui non mi sarei creduta mai capace. «Come colto in fallo egli abbassò gli occhi sulle carte che gli stavano ammonticchiate dinanzi alla rinfusa, e rispose con un cenno del capo, quasi avesse dubitato di avere la mia forza. « - Scrivi a tua madre, Pietro... Le hai detto che fra quindici giorni sarai da lei?... «Questa volta egli non rispose e si recò la mia mano alle labbra. «Mi portai l'altra al cuore, per comprimerne i battiti, dei quali il rumore mi spaventava. «Oh, signor Raimondo... un uomo di ferro avrebbe avuto pietà di quest'agonia straziante, che mi affascinava però colla forza stessa del dolore, che mi strascinava a misurare tutta l'estensione della mia disgrazia... Pietro!... egli!.. non ebbe pietà di quest'agonia, che pure avrebbe dovuto indovinare dalla calma disperata del mio accento, dal tremito convulso delle mie braccia, che si appoggiavano alla sua spalla, dalla terribile tensione del dolore che inaridiva le lagrime sulla mia orbita... Egli non ebbe una parola... una sola!... o piuttosto non ne ebbe la forza... Egli rimase colle labbra fredde e tremanti sulla mia mano, che recava quella percezione al cuore come una stilettata, cercandovi forse la forza di rispondermi. «Un impeto cieco, disperato mi spingeva. « - Son venuta a chiederti una grazia, Pietro, - gli dissi; - questi ultimi quindici giorni che hai avuto la bontà di concedermi... io... io vorrei passarli in Aci-Castello... su quella bella spiaggia che visitammo sì spesso nelle nostre passeggiate notturne... Siamo al 28 di Ottobre, il 13 di Novembre partirai. «Speravo ch'egli soffocandomi dei suoi baci, avesse annullata la sua risoluzione della sera... Non fu nulla di ciò... « - Oggi stesso manderò Giuseppe ad affittarvi un casino: - mi rispose stringendomi le mani e figgendomi gli occhi in volto come cercandovi la spiegazione di quel desiderio; - e domani partiremo. Vuoi che usciamo assieme oggi? «Quella domanda fu il mio colpo di grazia: quando egli mi amava come un pazzo mi avrebbe pregata di non uscire; in appresso non mi avrebbe fatto quella domanda poichè non si sarebbe potuto supporre che l'uno di noi potesse uscir solo... negli ultimi giorni mi amava ancora abbastanza per non propormi una passeggiata come un compenso, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ciò che equivaleva a dichiararmela una compiacenza, come avea fatto in quel momento. «Mi voltai a cogliere un fiore da un vaso di porcellana per recare il fazzoletto alla bocca... Mi sentivo soffocare... Ebbi appena la forza di mormorargli: « - No... no... grazie... Non uscirò tutta la giornata... «Io stessa non udii il suono di quelle parole... Forse neanche egli le avrà udite... Uscii barcollando, operando uno sforzo supremo per dominare il mio dolore immenso, aggrappandomi alle tende che incontravo per non cadere... Nel mio salotto caddi su di una duchesse, annichilata. «Pietro passò al mio fianco tutto il giorno. Mi faceva una pena orribile a vedere gli sforzi che faceva per contenere la sua commozione, per combattere la lotta che ferveva in lui, per mantenersi saldo nella risoluzione che parea essersi fissata, e che quei momenti avevano fatto ondeggiare in lui... Egli fu amoroso con me, come si può esserlo sino ai limiti della commozione, senza il trasporto però della passione, di quell'amore caldo, cieco, irresistibile, quale egli me l'avea fatto provare, quale ormai m'era necessario per vivere, quale avrebbemi fatto dimenticare, almeno, per un'ora, in un bacio, tutta l'estensione dell'immensa sventura che mi percuoteva. «Egli non ebbe una parola, non una sola parola che alludesse alla nostra separazione; ma neanche un'altra che la facesse mettere in dubbio. «Un momento mi parve cattivo e spietato quell'uomo che non mi amava più. «Poi gli baciai le mani, delirante, piangendo a calde lagrime; gli avvinchiai le braccia al collo e lo soffocai quasi fra le mie lagrime e i miei baci, come se avessi voluto farmi perdonare la triste impressione di quel momento. «Giammai! giammai io ho amato Pietro di quest'amore immenso, frenetico, divorante di cui l'ho amato in quel punto... «L'indomani partimmo per Aci-Castello. «No! se anche scrivessi questi versi col sangue che tale tortura ha stillato dal mio cuore, io non potrei arrivare a descrivere tutto lo strazio ineffabile di quest'agonia immensa che è durata 15 giorni; in cui ho dovuto divorare lo mie lagrime; soffocare gli urli disperati del mio cuore, perchè m'impedivano di vedere, di sentire come ogni ora di più il cuore di lui s'allontani dal mio; come quelle sensazioni impercettibili, che formavano l'amore sovrumano di cui quest'uomo mi adorava, vadano morendo in lui... lo non potrò esprimere quello che ho provato di orribile in tutta l'intensità del dolore, quando, con la terribile lucidità che mi dà la mia angoscia, ho letto chiaramente in quel cuore... troppo chiaramente, per mia sventura!... la sorpresa, la tristezza di lui, direi anche, il rimorso delle perdute illusioni del suo amore di un tempo che cerca invano... lo l'ho veduto quell'uomo, quel cuore, chiudere gli occhi, immergersi nel vortice delle più tempestose carezze, soffocarmi coi più febbrili trasporti... frenetico... furibondo quasi, cercando quelle illusioni che avea adorato in me... e nulla!!... nulla!!... e staccarsene pallido, annichilato... quasi piangendo come un fanciullo, guardandosi attorno come smemorato, come cercando ancora quelle sensazioni che non sa più trovare in me... e che io!!!... disgraziata!!... io non posso più dargli!!... «Oh, signore! nessuno!... no! nessuno potrà mai arrivare a comprendere la sublime agonia di quell'istante! «Dio!... Dio mio!... se impazzissi! «No! Dio non è giusto! No! Dio non ha pietà di questo dolore sovrumano! «Pietro è triste, malinconico ogni giorno di più, la pietà istessa che risento di me, di quest'amore di cui l'amo, ch'egli comprende, e del quale non può contraccambiarmi, malgrado tutti i suoi sforzi generosi, questa pietà lo distacca da me, lo fa fuggire, come se temesse di trovare un rimorso nei miei occhi, che, Dio sa con qual coraggio gli nascondono quello che si passa in me. Egli è sdegnato contro se stesso e dolente della simulazione che deve imporsi per compassione di me, delle menzogne che deve giurarmi col volto cosperso del rossore della vergogna. La notte lo sento passeggiare spesso sino all'alba, ora in cui parte per la caccia, e non ritorna che a sera, stanco, spossato, come se avesse voluto nella stanchezza dei sensi addormentare il rimorso del suo amore perduto, e trovarvi una pace che la tempesta delle sue passioni non gli accorda giammai. Eppure, dopo queste corse che hanno gonfiato i suoi piedi, che hanno logorato le suo forze sino alla prostrazione, egli non trova sonno nel letto... egli si stanca ancora a passeggiare per la sua camera... «Qualche volta ho trovato l'indomani il suo fazzoletto e i suoi guanciali umidi: al sapore acre ho conosciuto che erano lagrime... «Lui! questo carattere orgoglioso e forte, quest'uomo di ferro... ha pianto!... ha pianto di dolore, di rimorso, di rabbia, per quest'amore che gli sfugge, che vorrebbe imporsi. «No!.. tale martirio non può durare per entrambi... Io sarò forte!... sì, quest'amore istesso me ne darà la forza. «Morire, mio Dio! morire nelle sue braccia almeno... addormentata dalle sue carezze!... «Abbiamo passato 13 giorni su questa spiaggia che mi sembra deliziosa, malgrado le ore crudeli che vi ho provate. Si dice che il dolore rende fosche le tinte più brillanti del luogo ove si prova... Anch'io ho sentito ciò altravolta; ma quì, in questi ultimi giorni, questi luoghi io li ho amati nei loro minimi particolari; forse perchè mi è caro anche il dolore di quest'agonia che posso provare vicino a lui. «Nel momento in cui scrivo per parlare di lui, per illudermi con lui... sola, di notte, nella mia camera da letto... vedo, attraverso le tende della mia finestra aperta, sbattute dal vento tempestoso di questi ultimi giorni d'autunno che spoglia gli alberi delle foglie, la massa antica, imponente, severamente e grandemente poetica del vecchio e rovinoso castello che pende da una balza suI mare; coi suoi muri massicci e screpolati, sui quali stridono i gufi in mezzo alle ginestre che vi germogliano, che disegnano Ia loro massa bruna su questo cielo trasparente ove risplende la più bella luna del mondo; con questo mare immenso, lucido, che da questa lontananza sembra calmo e lievemente increspato e che muggisce colla sua voce potente fra i precipizii dell'abisso che circonda le fondamenta del castello. «L'altro giorno volli vedere questo castello a metà distrutto, su cui sembra talvolta vedere ancora passeggiare le scolte luccicanti di ferro fra i merli dei torrioni; che mi fa vivere in mezzo agli uomini di una volta che l'hanno abitato coi vivi ricordi che tramanda e che sembrano infondersi incancellabilmente alla sua vista. Pietro volle dissuadermene, dicendo che la strada per giungervi era molto pericolosa per una donna. « - Non sarai tu con me? - gli dissi, come se mi fosse stato impossibile un accidente vicino a lui, o come se quest'infortunio avessi dovuto amarlo, dividendolo con lui. «Egli... costui, cui l'amore avea dato squisite percezioni, cui avea fatto oprare un miracolo di genio e di sentimento nel suo dramma, capì appena tutto il senso di quelle parole. «Mi diede il braccio, come per nascondermi il suo imbarazzo, e mi accompagnò alla salita che precede l'ingresso della rocca. «I muri della torre principale che guardano il paesetto, sembrano di un'altezza smisurata, guardati dal basso, in quel punto, elevati come sono su di un immenso scoglio che dalla parte del mezzogiorno sospende le sue torri sul mare. Due tavoloni di querce sono gettati su di un arco in rovina per traversare l'abisso orribile che si stende al di sotto, in fondo al quale mormora il mare di un sordo rumore, e che fa venire le vertigini al solo guardarlo. «Pietro passò innanzi e mi porse la mano raccomandandomi di non guardare il precipizio per non avere la vertigine; all'incontro io provavo un'affascinante sensazione nel mirare quella gola oscura, a quasi duecento piedi sotto di noi, ove, fra le acute punte degli scogli, biancheggiava la spuma minuta delle onde rotte e imprigionate nella caverna, su cui l'assito che ci sosteneva si piegava sotto il peso dei nostri corpi scricchiolando. «Se cadessimo,qui, abbracciati! - esclamai io quasi involontariamente, stringendo la mano di Pietro che mi guidava. «Mi pareva più dolce quella morte; e preferibile alle torture che provavo, e che supponevo anche in lui. « - Quale pazzia! - mormorò egli stringendo il mio braccio, come per prevenire l'effetto di un capogiro, e accelerando il passo, che avea reso ardito e sicuro, quasi per garantire la mia vita ch'eragli sospesa. «Egli non ha detto: Che cara pazzia!... Ha detto semplicemente: Quale pazzia!... «Ho veduto dalla sommità di quelle torri questo mare azzurro che si confonde con il ceruleo dell'orizzonte, che si stende nella sua grande immobilità in lontananza e freme e spumeggia ai miei piedi; ho veduto quelle barche che sembravano giocatoli da quell'altezza, quel litorale sparso di ville e di paesetti, e Catania... Catania ove Pietro mi aveva tanto amato... «Vi fissai un lungo sguardo, non avvertendo le lagrime che bagnavano le mie guance. « - Che guardi? - mi domandò egli, come se mi avesse domandato: Perchè piangi? « - Catania! - risposi colla voce ancora tremante. «Egli sentì forse tutto quanto vi era di passione e di rimembranze in quella parola; e lo provò anch'egli fors'anche in quel momento, poichè soggiunse, come cedendo ad una generosa risoluzione: « - Vuoi che ritorniamo a Catania? «Non risposi e restai cogli occhi umidi e fissi sul golfo in fondo al quale biancheggiavano le cupole che indicavano la città, appoggiandomi al braccio di lui. Sentivo quanto vi era di nobile sacrifizio in quella proposta; ciò ch'escludeva l'amore, ch'era quello che mi bisognava. « - Dov'è Siracusa? - domandai poscia, come non accorgendomene, cedendo ad un intimo impulso. «Pietro mi additò un punto tra mezzogiorno e ponente, dietro il Capo Passaro che si vedeva distintamente, ove dovea essere il suo paese natale. « - Perchè non mi conduci a Siracusa piuttosto? - gli dissi gettandogli le braccia al collo, singhiozzando e fissando nei suoi i miei occhi brillanti di lagrime. Egli abbassò gli occhi, baciandomi le mani, e rispose, dopo avere esitato un istante: « - Se lo vuoi... « - No! Io non lo voglio... Ciò che io voglio è il tuo amore! il tuo amore sfrenato, ardente, quale lo sentivi per me, quale cerchi ancora come smanioso e non sai più trovare, quale io spero qualche volta illudendomi, e tento tutte le occasioni per travedere in te... e non m'accorgo, pazza, disgraziata ch'io sono, che tu non lo trovi... che tu hai la generosità, la nobiltà di fingerlo meco; ciò di cui senti rimorso;... e che tutto... tutto!... perfino le tue carezze, perfino i tuoi sacrifizii mi dimostrano che tu non senti più per me... « - Partiamo! - soggiunsi poco dopo strascinandolo pel braccio, soffocando l'emozione che sentivo prorompere nell'eccitazione della corsa, poichè mi sentivo morire. «L'ultimo raggio di sole rischiarava ancora i merli della più alta torre, e nell'abisso che dovevamo traversare era buio profondo; e gli echi ne erano mugghianti; e gli sprazzi di spuma biancheggiavano come giganteschi fantasmi. «Un momento mi sembrò che l'immenso fascino di quello spaventevole abisso attraesse l'abisso doloroso del mio cuore; che quei bianchi fantasmi mi stendessero le braccia come a prepararmi un letto eterno che dovesse accogliermi assieme all'uomo che adoravo tanto più freneticamente quanto più lo vedevo allontanarsi da me... Un momento il mio piede si stese sul precipizio e la mia mano strinse più forte la sua per allacciarlo in un modo che nulla sarebbe valso a rapirmelo mai più... « - No! no! gridò il mio cuore gemente: no!... ch'egli viva! ch'egli sia felice!... io non potrò mai essergli grata abbastanza dei giorni che mi ha dato, dei sacrifizi che ha avuto la bontà d'imporsi per me!... Ch'egli sia felice... anche con un'altra!... « Un'altra!... Ecco quell'idea terribile, sanguinosa, che mi ha attraversato il cuore come un ferro infuocato, e alla quale non avrei forse saputo resistere se ci avessi prima pensato... «Mi avvidi, quasi con gioia, come se fossi stata salvata da un immenso pericolo, che camminavamo sul selciato della strada. «Una o due volte, in quella notte agitata e febbrile passata al davanzale della mia finestra, ho avuto dei momenti di speranza, d'illusione, speranza tale che mi faceva mettere dei gridi di gioia, che mi faceva comprimere le tempia fra le mani, quasi le arterie che battevano di felicità, minacciassero di sconvolgermi la ragione... Egli mi avea proposto di accompagnarmi a Catania!... egli aveva avuto forse un istante d'amore per me!... dell'amore di una volta!... «Oh! Dio! Dio!... morire almeno in tal momento!... «Ieri volli uscire con lui; volli fare una passeggiata in barca. Egli prese i remi, ed entrambi, soli, ci cullammo nella piccola barchetta da pescatori su quelle onde azzurre come il cielo. «Quand'egli è solo, pensieroso, vicino a me... provo un momento di dubbio, d'incertezza... Mi pare di sperare, mi pare di averlo mio! tutto mio!... e che nulla abbia potenza di strapparlo all'amplesso frenetico delle mie braccia. «Appena fummo al largo egli lasciò i remi e venne a prendere la mia mano. «Lo guardai come non l'avevo mai guardato: sentivo che non potevo amarlo di più di quanto io l'amavo in quel momento; mi pareva impossibile ch'egli dovesse lasciarmi il dopodomani. «Egli baciava le mie mani, e sostava per guardarle in silenzio, come se avesse temuto di alzare gli occhi nei miei, e per tornare a baciarle... Le sentii umide delle sue lagrime. « - Pietro! - esclamai palpitante di una sublime emozione, mentre tutti i pori del mio cuore si dilatavano ad assorbire le inebbrianti emanazioni di una lusinghiera speranza; - ieri ti pregai di condurmi a Siracusa!... con te... «Egli non potè più frenare il pianto, e scosse la testa tristamente. « - Impossibile! - mormorò con un soffio appena intelligibile. « - Impossibile?... - ripetei radunando tutte le forze di cui mi sentivo capace; - e perchè, Pietro?!... « - Oh! grazia! grazia, Narcisa! - singhiozzò egli stringendomi fra le sue braccia, nascondendo la sua testa nel mio petto: - grazia!... io sono molto vile!!... «Era orribile a vedersi l'angoscia disperata di quel volto energico, l'annichilamento completo di quel carattere di bronzo. « - Sì, io son vile! io son colpevole! io sono infame!... - seguitò con voce delirante: - oh! grazia, Narcisa!... «L'amavo tanto che non sentii tutto lo spasimo sublime che quelle parole mi facevano provare: ebbi soltanto pietà di lui. «Lo abbracciai; piangendo anch'io; tremando convulsivamente del suo tremito; mischiando le mie labbra alle sue. « - Dillo! Pietro... dillo! - gridai con disperato sforzo di volontà, - tu non mi ami più!... tu non mi ami più come prima! «Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta della barca. «Quel silenzio durò cinque minuti. «Quando risollevò il volto fui atterrita dallo spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati profondamente. « - Ascoltami, Narcisa! - cominciò egli con voce solenne, quasi calma: - io ho un sacro dovere di gratitudine verso di te... dovere che mi fanno care le reminiscenze che non potrò dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo giurò sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti la tua felicità. Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del godimento, nel delirio dell'esser felice che forse all'uomo non è concesso di godere... e Dio mi punisce col soffiare su tutte quelle sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi... e spegnerle per me. Nel tremito ardente dei tuoi labbri sul tiepore della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue braccia, nel delirio fervente delle tue carezze; ho cercato invano un atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di più che terreno, quando, seduto sul lastrico della. strada, ti vedevo al verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi trasporti del possederti, quando mi pareva di divenir folle per la felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia sbalorditi della sua estensione. lo ho cercato invano questo profumo, questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi son rimproverato, e di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per inebbriarmene, poichè la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di quest'amore... e che tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai forse sino all'ebbrietà, non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io ho paura di ciò, Narcisa!... poichè la speranza di riamarti un giorno come ti ho amato, m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più nulla a godere sulla terra. Bisogna che io mi allontani da te per qualche tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io dubiti della speranza fin anche di questa felicità, per esser pazzo di te come ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in mezzo allo pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia, delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui tanto stolto da bere troppo... «Egli non potè più proseguire, soffocato dalla violenza della sua commozione; tenendosi il petto colle mani increspate da una violenta contrazione; inginocchiato ai miei piedi; coll'occhio luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto; coi capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore. «Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era sublime, come l'amore di cui m'aveva amato. «Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte, sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore, quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da tutte le vene vi affluiva. « - Addio dunque! - gli dissi con una calma nella voce della quale io stessa ero atterrita: - Addio, Pietro!... «Egli cercò i miei labbri coi suoi freddi, tremanti d'angoscia e di voluttà. « - Addio!... gli mormorarono ancora i miei labbri palpitanti nei suoi. - E svenni fra le sue braccia.

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