Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracciate

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Mitchell, Margaret

221168
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Un attimo dopo era fra le braccia di Rossella ed entrambe sedevano sul letto, strettamente abbracciate, con le lagrime dell'una che bagnavano le guance dell'altra. Anche Rossella piangeva adesso di un pianto doloroso. Ma quanto era peggio non piangere! «Ashley è morto» pensava «e sono io che l'ho ucciso perché lo amavo!» I singhiozzi la sopraffecero; e Melania, trovando un certo conforto in quel pianto, si strinse maggiormente a lei. - Almeno - bisbigliò - almeno... ho il suo piccino. «Ed io» pensò Rossella, troppo colpita adesso per poter essere gelosa «non ho nulla... nulla... nulla... eccetto l'espressione del suo volto quando mi disse addio.»

Pagina 299

Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222460
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
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Restammo entrambe abbracciate per qualche tempo senza dir motto. Alfine riprendendo essa il discorso, e sul mio capo poggiando la santa reliquia, che pendeva al di lei collo: "Sta' tranquilla, figlia mia," mi disse. "Iddio e il nostro patriarca ti sosterranno in questo sagrifizio. Pregherò dalla mattina alla sera per farti venire la vocazione che ti manca, e sarò esaudita." Volle da me la promessa di non ripetere a chicchessia gl'incidenti di quella notturna conferenza, e lo promisi. Il mio sagrifizio da quel momento era consumato: mi considerai una vittima. L'ingresso del giornalismo è interdetto nel convento. Ciò nondimeno, tiratami il canonico in disparte la seguente mattina, mi pose sott’occhio due giornali, umidi ancora dalla stampa, ove davasi al pubblico la notizia della mia deliberazione. Dicevasi in uno di quei fogli: «Ci facciamo solleciti di partecipare un fatto, che a' devoti d'ogni classe recherà piacere. Una delle figlie del defunto e compianto maresciallo Caracciolo, la signorina Enrichetta, de' principi di Forino, giovine di rara pietà, si è determinata di ripudiare la vanità del mondo, per prendere il velo nel monastero di San Gregorio.» Portava l'altro diario, organo ben noto della pretesca consorteria: «Il campanello di San Benedetto ha tornato a risuonare poc'anzi, e questa volta per conquistare all'angelica regola Benedettina un'altra Caracciolo in età tenera, e discendente in linea diretta da san Francesco dello stesso cognome. Questa giovinetta, che somma reluttanza avea mostrato nell'abbracciare lo stato monastico, ora, per essere stata evocata durante il sonno dal suddetto miracoloso campanello, ha formalmente espressa la sua intenzione di farsi monaca..... Empi e miscredenti, favete linguis animisque!» Intanto mia madre non mi scriveva. Le indirizzai una lettera; un'altra ne scrisse mia zia per annunziarle la mia risoluzione di farmi monaca. Rispose non volerlo affatto permettere, e per molti mesi oppose la più ostinata resistenza. Era suo intendimento, diceva, di maritarmi a persona di suo aggradimento, nè mi avrebbe ritenuta nel chiostro, se non infino a che tale opportunità si presentasse. Se non che, soggiunse mia zia, non poteva essa opporsi ai decreti della Divinità. Questi decreti per altro non potevano effettuarsi immediatamente. Al mese d'agosto del 1840 non aveva ancora raggiunta l'età disciplinale per vestirmi monaca; compiva vent'anni nel 1841. Si dovette perciò attendere sino al mese d'ottobre di quest'ultimo anno, ossia un intervallo di venti mesi dopo il mio primo ingresso nel chiostro. Questo tempo fu dalla comunità dedicato ad apparecchiare a spese mie..... i confetti pel giorno della festa. Frattanto mia zia che per un intero decennio aveva esercitato le funzioni di badessa, fu surrogata da un'altra Caracciolo, donna piuttosto burbera e rigorosa. Questo rigore, contrapposto alla soverchia affabilità di mia zia, fece sì che malcontente ne uscissero tutte le monache. Quaranta giorni prima della mia vestizione fu deciso, per contentare mia madre, ch'io passassi questo spazio di tempo presso di lei. Però, prima di uscire, mi fu fatto sborsare per le spese della funzione ducati 700, e qui cade acconcio di notare, che l'egregio generale Salluzzi mantenne la sua promessa, donandomi ducati mille. In questo mentre mia madre, reduce dalla Calabria, prese alloggio in casa di Giuseppina di conserva colle mie due sorelline. Tanto essa che gli altri parenti, nel notare la mia rassegnazione ad un male che ormai sembravami inevitabile, riputarono vera e spontanea la mia vocazione. Dal canto mio, dovendo rinunziare al mondo per sempre, e volendo evitare ulteriori rammarichi, schivai, per quello spazio di tempo, e teatro, e passeggio, e società. Tentai soltanto un giorno di cantare sul piano-forte un'arietta popolare, quella che tanto era piaciuta altra volta a Domenico; ma la commozione che mi sorprese, ma i rimpianti amari che nel cuore mi ripullularono, diedero ai miei nervi sì gagliarda scossa, che d'allora in poi feci divorzio anche colla musica, nè suonai più che l'organo della chiesa. Più d'una volta mi venne il pensiero di aprire il mio cuore al Generale, mio secondo padre, e chiedergli aiuto: ma la parola data mi chiudeva le labbra. Egli aveva già sborsato il danaro, del quale molta parte erasi presa; ora, volendo pur mancare all'impegno solenne, fermato colla zia e colle monache, poteva io più ritrattarmene, senza far trista figura davanti al benefattore? Non vi era alcuno scampo plausibile. Doveva assolutamente chiuder gli occhi, ed abbandonarmi alla discrezione della fatalità. Spuntò il critico giorno. Una folla di parenti e d'amici affluì fin dal mattino nella sala di mio cognato: gli uomini discorrevano allegramente; le donne chiassavano, le zittelle si erano impadronite del piano-forte; io sola era mesta con in bocca l'amarezza dell'assenzio. A dieci ore fui chiamata all'allestimento. M'inghirlandarono di fiori gemmati, a guisa di sposa: mi fecero indossare un abito sontuoso di velo bianco, ed al capo mi attaccarono un altro velo dello stesso colore, scendente sino ai piedi. - Quattro dame assistettero all'acconciatura, due altre dovevano accompagnarmi: la duchessa di Carigliano e la principessa di Castagnetto. Conformandosi alla consuetudine, queste dame cominciarono dal condurmi a diversi monasteri, onde farmi vedere dalle altre monache: le seguitai automaticamente, muta d'accento, col pensiero assente. Mi scossi solo, allorchè seduta nella porteria del monastero di Santa Patrizia, accanto all'altra zia Benedettina, vidi entrare frettolosi ed anelanti due chierici, che gridarono: "Ma, signore, venite presto a San Gregorio Armeno! Il pontificale è finito: non si attende che la monaca." Una pugnalata al cuore non ha effetto diverso di quello che provai da tale chiamata. Un tremito generale s'impossessò delle mie membra, e divenni livida al par di cadavere. La prima ad alzarsi fu la duchessa Carigliano. Compressi la mano sul cuore, mi levai a stento, e baciai quella vecchia zia, che mi disse lagrimando: "È questo l'ultimo nostro bacio.... Addio, figlia mia! ci rivedremo in cielo." La principessa, venutami più d'appresso, mi guardò in volto. "Fermatevi, duchessa," disse alla Carigliano: "non vedete che la monachella si sviene?" Infatti, appuntellata alla spalliera della seggiola, io vacillava, pronta a cadere. Mi posero a sedere, e chiesero un bicchier d'acqua, dal che refrigerata un poco, ripresi lena, e mi rialzai. "Scommetto, che non siete contenta di farvi monaca," mi disse per via la principessa. "Al contrario," risposi, inghiottendo un sospiro traditore; "ne sono contentissima." Avanzava frattanto la carrozza, ed avanzando entrava nel quartiere di San Lorenzo. Approssimatici alla città dolente, misi il capo allo sportello, cercando con lacerante curiosità le persiane delle finestre, le cancellate di legno, le inferriate, e gli altri ripari del monastero. Alla vista del sepolcro che stava lì per ingoiarmi, non so come, spinta da un istintivo impulso, non mi sia rovesciata dalla carrozza in mezzo alla strada. - Mi risostenne l'intima autorità dell'amor proprio. Quanto mi avvicinava a San Gregorio, tanto più distinto facevasi il suono delle campane. Ogni tócco era suono funereo nell'animo mio. All'angolo della strada, il confuso cicalar della moltitudine, accorsa da ogni parte, lo sparo dei mortaletti, le acclamazioni delle donnicciuole a' balconi, e la banda degli Svizzeri finirono di impietrirmi. - Io ho provate le estreme sensazioni del suppliziato! Al portone della chiesa fui ricevuta da una processione di preti colla croce in alto. Due altre dame si posero al mio fianco, la principessa di Montemiletto, e la marchesa Messanella. Il prete colla croce in mano camminava innanzi, gli altri formavano due ale. La chiesa era parata con eleganza, illuminata con profusione, e divisa nel mezzo da uno steccato bianco e rosso, alla cui dritta stanziavano le signore, che erano state invitate e ricevute da mia madre, ed a sinistra stavano i cavalieri, ricevuti da mio cugino il principe Forino. Di quella assemblea numerosa, delle variopinte decorazioni, di quell'oceano di luce altro non vidi che una masse informe e confusa. Giunta che fui al mezzo del tempio, mi fecero inginocchiare, e mi presentarono una piccola croce d'argento, e una candela accesa. Dovetti poggiare la prima sul petto, tenendola colla sinistra, e portar nella destra la fiaccola. Nel passare vicino alle signore, la mia sorellina Giulietta stese le mani per afferrarmi dal velo, e gridò tanto alto da farsi sentire da tutti: "Non voglio, no, non voglio che tu vada a chiuderti!" Quella voce argentina attirò l'attenzione d'ogni persona. Era la voce dell'innocenza che gridava alla barbarie. Mi volsi a quella parte: una signora imbavagliava la bocca della fanciulla col fazzoletto. Mi corsero le lagrime agli occhi, asciutti fino a quel punto. Arrivai all'altar maggiore. Il vicario, che funzionava, essendo infermo il cardinale, stava seduto dal lato dell'Epistola. Ivi, io e le dame rimanemmo per pochi minuti genuflesse; poi mi menarono al vicario, e mi posero ginocchione ai suoi piedi. Un prete, dalla cotta superbamente ricamata, presentògli un piccolo bacile d'argento con forbicette, con le quali mi recise una piccola ciocca di capelli. Mi rialzai allora; e fiancheggiata dallo stesso corteggio, preceduta dalla banda che suonava, uscíi nuovamente della chiesa. Il tratto di strada, che da questa mena alla porteria, fu fatto da tutti a piedi, in mezzo ad una fittissima calca di curiosi. Appena posi il piede al soglio della clausura, proruppi in uno di quei pianti sfrenati, che non può forza umana contenere: e le monache a chiuder tosto le porte, ad internarmi sollecitamente, a dirmi in coro: "Non piangere, per carità! Altrimenti diranno i secolari, che non ci monachiamo per vocazione, ma per forza.... Zitto, zitto, per carità!" Scesi al comunichino. Il vicario, i canonici, i preti e gl'invitati erano tutti affollati presso al cancello. Ivi, condotta in un angolo, fui per mano delle monache spogliata via via degli abiti di gala, del velo, della ghirlanda, dei guanti e perfino dei calzarini. Quando in vesta di lana nera, colla chioma scarmigliata, cogli occhi tumefatti dal pianto m'accostai al portellino del comunichino, intesi tra la folla alcuni gemiti, provocati dalla commozione. Chi mi deplorava? Lo ignoro. Il vicario benedisse lo scapolare, ed offertomelo di propria mano, me l'indossai. Quindi mi prosternai dinnanzi alla badessa. M'avevano spogliata dell'abito secolare: dovevano pur togliermi la chioma. Le monache strinsero in una sola treccia i miei lunghi capelli, e la badessa impugnò delle grandi forbici per reciderla, mentre un silenzio profondo regnava intorno. Una voce potente, uscita da mezzo i convitati, gridò: "Barbara, non tagliare i capelli a quella ragazza!" Tutti si volsero: bisbigliarono di un pazzo. Era un membro del Parlamento inglese. I preti imposero silenzio, e le monache, le quali in altre simili funzioni avevano veduto de' protestanti, dissero alla superiora, ch'era rimasta colla mano sospesa, stringendo le forbici: "Tagliate! È un eretico." La chioma cadde, e presi il velo.

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