Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbracciata

Numero di risultati: 10 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Enrichetto. Ossia il galateo del fanciullo

179170
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 1871
  • G.B. PARAVIA E COMP.
  • Roma, Firenze, Torino, Milano
  • paraletteratura-galateo
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Solo perchè pochi le nutrono s'odono tanto » maledire la condizione che hanno abbracciata. Ogni » via della vita ha le sue spine, dacchè ponesti il » piede in una, prosegui, retrocedere a fiacchezza. Il » persistere è sempre bene, fuorchè nella colpa. E solo » chi sa persistere nella sua impresa può sperare di » divenire alcun che di segnalato ». Enrichetto per altro non ebbe molto a riflettere sulla scelta dello stato. Egli fin da ragazzino era preso d'ammirazione per il medico di sua casa, da cui aveva appreso tante buone massime, e tante profittevoli abitudini, e più cresceva negli anni e più apprezzava la bontà, l'onestà, la scienza, l'operosità, la tenacità nel bene di lui; onde la medicina, che vedeva in figura nella persona di quello, gli pareva la più bella professione che potesse abbracciare. Senza che l'arte salutare, l'andar per le case ad asciugar lagrime, a sollevare dolori, meglio rispondeva a quel bisogno istintivo dell'animo suo di far del bene a ogni persona.

Pagina 72

Nuovo galateo

189269
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
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Fa d'uopo confessare che la pulitezza non sempre si presenta abbracciata alla morale; e l'uomo più pulito non è sempre il più morigerato. Il popolo chinese è il popolo più cerimonioso, e nel tempo stesso il più falso tra quanti vivono sulla terra; e, senza andare alla China, ciascuno giornalmente s'avvede che con gentilissimi complimenti sanno titillare l'altrui amor proprio anco gli scroccatori di professione. Quindi un illustre scrittore italiano dice: « Altro infine non è » la pulitezza che l'arte d'ingannare sè medesimi » coll'apparente sacrifizio della propria all'altrui » volontà, talchè non è raro che gli uomini » più puliti siano i più perfidi. Alle quali lagnanze si può andare incontro colle seguenti considerazioni: 1.° Una bella pittura può sussistere sopra un muro fracido, sdruscito, cadente: questa combinazione di cose scema forse il pregio generale della pittura? Le monete false, che non di rado sulla piazza appariscono, distruggon forse l'utilità e la necessità delle monete legittime? Perché la vipera s'asconde talvolta fra l'erbe e i fiori, cessiamo noi di pregiare i fiori e l'erbe? Spogliandoci de' modi gentili, e l'apparenza assumendo o la realtà della rozzezza, ci allontaniamo noi dalla perfidia? Un vizio divien forse manco nocivo, a misura che con maggiore sfacciataggine ed impudenza si mostra? 2.° Parecchi de'nostri sentimenti, se compariscono alla luce, offendono gli astanti, o ci fanno scopo all'altrui motteggio: l'arte che c'insegna a velarli non sarà ella un'arte stimabilissima? Infatti molti litigi che dividono le famiglie, molti odii che covano nell'animo i cittadini, la maggior parte de'duelii che alla giornata succedono, da un detto offensivo, da un atto impulito, da una semplice mala grazia traggono non di rado origine.

Pagina 9

Angiola Maria

207317
Carcano, Giulio 1 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Io, sì, lo sento il cruccio di star lontano da' miei.... so che le mie povere sorelle piangono e m'aspettano; ma, per me, il domandar perdono sarebbe come rinnegare la verità che ho abbracciata! Nè per questo ho fatto sacrifizio d' ogni cosa; l' ho fatto per ciò che tutti calpestano, per fede e coscienza. Maria, lo vedo, voi non mi amate più! » « Ah! signor Arnoldo, non dica, non pensi così. Io era già morta, e lei mi salvò! La riconoscenza ch'io ne sento basterà oramai essa sola ad occupare tutta la mia vita!... » « Voi parlate .di riconoscenza, ed è amore ch'io vi do- mando. E che? se dovessi anche tornarvi, là nella mia patria, se l'onore mi richiamasse, non andrei superbo di mostrare a tutti qual tesoro io possegga? non benedirei sempre il cielo di poter mettervi a parte d' ogni contentezza della vita, di farvi grande, come siete degna d'essere, più d'ogni altra donna? » « Il suo cuore è giusto e generoso; ma io, quantunque nulla sappia in confronto di lei, sento che questa è un' illusione. Noi so da vero, perché mai abbia preso a voler bene a una poveretta come me; ma so ch' io non lo meritava, e che non ero nata per questa fortuna. Oh non mi guardi così! se ascoltassi soltanto il mio cuore, una cosa così amara non potrei dirla.... E insieme, capisco ch' io le parlo troppo male; pure, al momento in che siamo, bisogna dir tutto com' è. » « Cielo! oltre al non amarmi più, potreste pensare, Maria, che verrebbe tempo ch' io avessi a mancare alla mia fede, all'amore?... » « No! vedo pur troppo che non so spiegarmi, o che lei non m' intende!... E questi suoi rimproveri mi fanno piangere. Ma.... non voglio dire di lei.... Tutti l' hanno amato, e l' ameranno sempre: e come noi dovrebbero, nessuno ardirà disprezzare la fortunata che porti il suo nome. Ma per questa donna felice, se mai fosse d'una condizione diversa dalla sua, una meschina come son io, non ci sarebbe una continua rampogna, un tormento segreto, eterno?... Potrebbe mai credere ad onori che non sono per lei, non arrossire di trovarsi con quelli che mentono con Ia bocca e disprezzano nel cuore, con quelli che tacciono per compassione?... Oh! gli occhi di chi ha molto sofferto leggono in fondo ai cuori, da cui non sono amati, abbastanza per poter piangere ancora. E poi, viene il tempo il più amaro. L'uomo che prima era l' amico, il fratello, il padre suo, il suo tutto, non la guarda più come in quel giorno, in quel giorno felice che nasce una volta sola, e non torna più; non le chiede più di quelle parole che, un tempo, facevano la sua gioia, il suo conforto. Egli è un uomo fatto, un cittadino; ha la gloria che lo chiama, la vita che gli comanda, la società che l'accarezza, il mondo che lo guarda.... Egli non è più solo, come in quel giorno così bello! « Maria, Maria, che cosa dite mai? » « Ah! lasci ch' io sfoghi tante cose che da gran tempo porto nel cuore! Quella poveretta che sente non essergli più necessaria, quella, che quasi un fiore per un giorno gli piacque, non è più la medesima.... Ella tace sempre, piange spesso; ed egli volge indietro la testa, cerca altri fiori più freschi, più belli, perché l'uomo ha sempre bisogno della bellezza.... Oh mio Dio! quest'angoscia non basta sola a farla morire di dolore? E il dubbio che l'accompagna sempre, e il timore di proferire una parola sola che lui dispiaccia, l'affanno segreto di sentirsi così piccola cosa a paragone di lui, e fin la grandezza dell' amore che gli porta, di un amore ch' egli con un solo pensiero può maledir per sempre.... » « Non più, Maria, non più!... Ecco, era una speranza del tutto vana la mia, e voi spezzate quasi l' ultimo anello di mia vita.... Tu, o Maria?.., tu, la più bella, la più santa creatura del Signore, l'unica luce ch' io avessi ancora, puoi abbandonarmi? Abbandonarmi, quand' io, per amarti, ho dimenticato patria, parenti, nome, tutto?... Cielo! dunque la virtù ch' io cercai, altro non era che un delirio, la poesia de' vent' anni, l'incanto d'una primavera? Bisogna che sia così. E ora che farò?... Tornar nei mondo, gettarmi in questo vortice di cose, nell'ebbrezza della passione, nella vita del momento; sì, ridere delle lagrime che si versano da per tutto, e di quelle che farò versare anch' io; e a quanti mi rinfacceranno di non creder più a nulla, nemmeno alla virtù dire: Gli uomini m'han voluto così! peggio per loro. » Maria raccapricciò a codeste strane parole, chinò la fronte e impallidì. Arnoldo la guardava quasi sdegnoso, e levandosi a un tratto, mosse per allontanarsi. « Si fermi, signor Arnoldo, » proruppe la sbigottita fanciulla, « e non mi lasci in questo modo.... Io le ho parlato come una povera giovine onesta, ho fatto il mio dovere. Lei non sa, non vede il mio dolore, ma soffrirei ben di più se non avessi coraggio di parlarle col cuore in mano. La grandezza, la felicità che mi vuol dare, non sono fatte per me: questi due anni della mia vita non saranno stati altro che un sogno, ma il più bello di tutt' i miei sogni!.. Quando penso a queste quattro mura, dove sono nata, dove per tanto tempo sono stata felice anch' io.... quando penso a mio padre, a mia madre, a mio fratello.... Oh se vivessero ancora.... non mi avrebbero certamente benedetta! » « Se que' buoni vivessero ancora, vorrei metter la nostra sorte nelle loro mani. E anche lui, vostro fratello.... » « Il povero Carlo!... Ah se sapesse com'egli pensava e

Pagina 305

Contessa Lara (Evelina Cattermole)

219899
Storie d'amore e di dolore 1 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Codesta professione egli l'aveva scelta senza entusiasmo e senza ragione di preferenza, come ne avrebbe abbracciata qualunque altra, soltanto per non darla vinta al proprio padre, un rigido colonnello de' granatieri, il quale avrebbe voluto a ogni costo veder il figliuolo consacrarsi alla carriera militare; unica, gridava il vecchio caparbio, fatta per l'uomo che si sente uomo. E il dottorino, non tanto nauseato da quel contatto obbligatorio con ogni sorta di male, quanto seccato dal far visite giù in pianterreni bui come sotterranei o su in vetta a squallide soffitte riarse dal sole, anzi che trattenersi in salotti fioriti, pieni di signore ridenti, evitava quanto più poteva il suo malinconico dovere. Ciò non ostante, nella condotta affidata a lui, pochi ammalati se ne lagnavano. Era buono con tutti; educato a segno di levarsi il cappello su la soglia di qualunque tugurio, e dimostrava una certa simpatia per i ragazzi e per i vecchi. Un giorno, si raccontava, prima d'avvicinarsi al letto d'una moribonda, aveva gettato fuor dell' uscio la gardenia che portava all'occhiello: a' suoi occhi i clienti non potevano esiger di più da lui. Lucia passò la notte più angosciata che mai; le pareva d'aver conficcate nel cuore le sette spade della Madonna che stava a capo al suo letto. Cominciata a pena un'avemaria, la lasciava a mezzo, per tornar a piegare il viso su 'l suo bambino e sentirne l'alito cocente, o per mettergli fra l'aride labbra un pezzettino di ghiaccio; quindi ripigliava l'avemaria; ma un lamento del malato la faceva di nuovo correre a lui, pur troppo, a non far nulla per sollevarlo; e l'avemaria, sempre ricominciata, non aveva mai fine. Così i minuti passavano lunghi come ore, e le ore come giornate; tanto che a' rintocchi Contessa Lara. 6 dell'orologio di Santa Caterina, che sonava i quarti, ella quasi non voleva credere. Madonna cara! com'era possibile che in tutto quel tempo, in quel tempo eterno, non fosse passato che un quarto d'ora? Quando vide il primo biancheggiar dell'alba, le parve di riaversi, come se anche nell'intimo suo si diradassero un po' le tenebre. Dopo le otto, principiò ad affacciarsi qualcuno a chieder notizie di Santino. Le notizie erano le solite: un febbrone da cavalli, e tutto il corpo punteggiato di pustole rosse. — L' è una zizzola! — masticava l'Adele, scrollando il capo, impensierita su 'l serio. Tornò verso sera il medico, e s'accigliò nel vedere il malatino. La madre lo guardava fisso, spiando su 'l viso di lui che cosa ella dovesse sperare o temere; ma l'altro rimase alquanto muto; fece poi tre o quattro domande laconiche, necessarie, e volle carta e calamaio per iscrivere una ricetta. Scritta che l'ebbe, si voltò alla donna: — Mi rincresce d'avvertirvi — diss'egli — che per comprare questa roba vi ci abbisogneranno quasi tre lire; oltre di ciò per tenere il bambino coperto di ghiaccio da capo a' piedi, affinchè l'eruzione sfoghi ben tutta, quando anche avrete comprato la borsa di gomma elastica, che ci vuole, non vi basteranno sette o otto lire al giorno. Rifletteteci, mia cara. Qui, il malato, per quanti sacrifici facciate, mancherà, per forza, di molte cose; mentre all'ospedale, dov'hanno tutto il necessario, lo curerebbero ammodo. Io, per conto mio, col daffare che ho, non posso venir che una sola volta al giorno, se pure... All'ospedale, in vece, si fanno due visite quotidiane, e magari più, se c'è il bisogno; poi ci sono gl'infermieri, che han pratica delle malattie quasi quanto noi dottori. Rifletteteci, mia cara. — Lucia, gli occhi sbarrati nel vuoto, accennava lentamente di no, di no, col capo; poi rispose con un fil di voce: - Si vedrà — e accompagnò, fino in mezzo al cortile, il dottore che usciva. Subito dopo chiamò forte: - Adele ! Adele! — Aveva in testa un progetto. Dal giorno che l'antico padrone di suo marito, fingendo di non ravvisarla, le aveva mostrato chiaramente di non gradirla intorno a sè, Lucia non gli s'era più rivolta. Meglio patir la fame, pensava, che andare a umiliarsi a certa gente; e giurava che sarebbe morta anzi che rimetter piede nella drogheria. Codesto giuramento, ella lo aveva mantenuto per tutto quel tempo che ancora visse Peppe, e anche dopo, da ch'era vedova. Si era rifinito tutto, è vero; di biancheria le restavano appena due paia di lenzuoli per cambiare il letto: un paio a dosso, uno al fosso, come si suol dire; l'anello matrimoniale impegnato ad un montino, Dio sa dov'era ito; ma almeno non aveva fatto delle faccette con nessuno. Quando, però, udì il dottore parlar di tutte quelle lire che ci volevano ogni giorno per i medicamenti di Santino, il pensiero le ricorse tosto al sor Luigi. Chi avrebbe potuto soccorrerla in quei frangenti? Gl'inquilini facevano troppo a mandarle mattina e sera del brodo, carichi di figliuoli e non ricchi, com'erano. E rifletteva, per iscusar con sè medesima l'idea di tornare sopra l'antico proposito: — Quella volta, si sa, la colpa è stata di tutti e due; lui avrà avuto i nervi, e io me la presi troppo calda. Da chi è da più di noi bisogna patirne. Del resto, prima qualcosuccia me l'ha data; non posso dirne male... E ora gli è certo che m'aiuterà; bisognerebbe avere un cuor di macigno per abbandonare una creaturina malata come questa... — Pensava anche che, alla peggio, avrebbe proposto al sor Luigi di farle un prestito, un semplice prestito di cui lo avrebbe rimborsato un poco per volta: così, lui, del suo, non ci rimetteva niente, e tutti eran contenti. Su lo spedale la madre non fermava affatto il pensiero; le sarebbe parso un cattivo augurio. - Adele! — chiamò ancora più forte. — Uh! Che c'egli? — gridò la serva, accorrendo alla finestra. - Nulla, nulla. Mi fate il piacere di starmi un momento dal bambino? Vado e torno. - Accidèmpoli! Vo' m'avete messa in corpo una paura birbona! Tremo tutta! — fece l'Adele, che aveva temuto qualcosa di peggio. E scese. Allora Lucia, buttandosi a dosso lo scialle nero, prese la strada quasi di corsa, senza nè anche veder la gente alla quale passava in mezzo. Quando fu a pochi passi dalla drogheria, le entrò la tremarella nelle gambe. Era più d' un anno, ormai, ch'ella evitava anche di traversar quella via: e la grande insegna color di rame, a lettere cubitali gialle su l'alto della vetrina, e le lunghe targhe ai due lati con la specifica dei generi allineata, quell'insieme di cose materiali non cambiato, mentre per lei e per i suoi era mutato tutto, parve mozzarle un istante il respiro. Ma Santino aspettava: ella si face coraggio: entrò. Il principale scriveva al suo solito posto. Al veder Lucia fermarsi, ritta, dinanzi al suo casotto, alzò il capo e la guardò; poi chiese: — Che cosa volete da me? — Ella cominciò timidamente: - Non sono più venuta, sor Luigi, se lo ricorda? per non incomodarla... Peppe mi morì... già lo saprà... e oggi ho il bimbo maggiore, Santino, col vaiolo. Sta male... creda, male!...- - Mi dispiace — brontolò il droghiere, rimettendosi a vergar numeri. - Scusi; se la disturbo, ma il dottore mi ha detto... che per le medicine e il ghiaccio... ci vorranno... anzi non basteranno... sette o otto lire... al giorno. — L'uomo parve ancora più attento a' suoi registri; Lucia riprese: - Allora sono scappata da lei a pregarla per amor di Dio... — - A pregarmi di che? — domandò con freddezza il grosso negoziante, come se non gli passasse per la mente ch'ella fosse lì aspettando un soccorso, una carità, da lui. - Di darmi qualcosa per... — Il droghiere posò la penna, e fissò in viso la vedova. - Ma voi — disse — credete, me ne avvedo da un pezzo, che il denaro io lo zappi. Venite sempre con queste storie di disgrazie, di malattie, di morti, che so io, come s'io fossi il Padre Eterno...- - Nossignore.... mi perdoni... creda.... ho creduto... — Lucia si sentiva smarrire il cervello. Ma dunque, se quell'uomo non l'aiutava?... In quel punto le si ripresentò alla mente l'idea del prestito, ch'ella afferrò come una tavola di salvezza. - Non intendo già — disse — che lei si sacrifichi, sor Luigi, glie l'assicuro... Ma se mi facesse la carità di prestarmi qualcosa... glie la renderei...- - Già, a porta Inferi! — interruppe, incredulo e brusco, costui. - Non tutt'insieme... non lo prometto, perchè so di non poter mantenere... ma quanto prima... - - Non presto nulla — dichiarò uomo; e, dopo un istante, poi che Lucia s'era coperto il viso col fazzoletto, per nasconder le lacrime e la vergogna, soggiunse: - Eccovi due lire. Questo è quanto vi posso dare; ma ricordatevi di non venir più da me, perchè non intendo mantenere le famiglie degli altri. Ho le mie faccende, io, e a quelle devo pensare. — Così dicendo, fece con la destra un gesto risoluto di congedo; e tornò a piegar la fronte rannuvolata su' suoi libri. La vedova lo guardava trasognata: un torpore del sangue, come un formicolío, le invase il corpo; pure volle tentare uno sforzo terribile, ultimo, e pronunziò: - Ma si tratta di vita o di morte, sa! Ah, glie lo giuro, glie lo giuro proprio che se non fosse stato per questo, non sarei venuta più, no, no, non sarei venuta più!.. - - Basta, ho altro da fare! — vociò il principale, stizzito da quella noiosa insistenza; e soggiunse, come parlando tra sè: — Maledetto il buon cuore! Se a questa gentaglia si fa tanto di dare un dito, vi piglia il braccio, vi piglia! — Lucia uscì. Come le gambe la ressero, camminò fino a casa, e si buttò su la sedia accosto al capezzale del figliuolo, più bianca di un panno lavato, senza dir parola. - Icchè v'avete fatto? — cominciò l'Adele piantandosele davanti con le mani sui fianchi. — E' v'hanno dato poche consolazioni addò vo' siete stata, eh? — Lucia crollò la testa bassa. - Tirate via — rispose filosoficamente la serva — tanto, la morte la ci ha a trovar vivi! — Ma la vedova aveva un'espressione così angosciata e stralunata, che alla buona fiorentina venne meno il coraggio di farle altre chiacchiere, fossero pure a fin di bene e per distrarla. L'aiutò, invece, a ripulire qualcosa — dove c'è un malato, c'è sempre da fare — quindi salì dai propri padroni, e ridiscese quasi subito, seria, composta. Non pareva più lei, tanto la gravità della situazione le pesava su 'l cuore. Più presto di quel che credevano si fece rivedere il giovane medico condotto. - Brutto segno! — pensò l'Adele. Allora Lucia con una voce che non aveva più suono umano, ma risoluta, disse: - Signor dottore, prima di notte porto il bambino all'ospedale. - - Brava, brava, mia cara; fate un'ottima cosa — rispose quello — Vedrete, vedrete. — E visitato l'infermo, che presentava dei sintomi ancora più minacciosi, scrisse la domanda d'ammissione a San Francesco de' Poverelli. - Debbo avvisarvi — fece egli alla donna la quale seguiva, cadaverica, il rapido moto della sua penna — debbo avvisarvi che il regolamento proibisce ai parenti di visitare i malati. Gli è per evitare i contatti con gli esterni, capite, che potrebbero propagare il vaiolo. Una volta entrati lì, si rivedono soltanto guariti, o... - - Nè meno io che sono sua madre, posso andare a trovarlo?... - - Nessuno: è la regola. — Ella piegò più giù la testa su 'l petto, ammutolita, vinta. Più tardi, raccolta ch'ebbe la sua creatura entro il lenzuolo e le coperte, fra le quali giaceva, Lucia sollevò di peso quel corpicino quasi inerte, e se lo portò in braccio nella carrozzella che l'Adele era corsa a prendere. Giunta alla porta dello spedale, mise in mano al vetturino le due lire ricevute dal droghiere. Al portinaio del triste luogo, un pancione in livrea, dal naso violaceo, ella domandò, tenendo sempre Santino in collo: - C'è quello che comanda? - - Il direttore? — rispose l'interpellato con tono di superiorità — Il direttore adesso non si può vedere. — - Ma ho qui la domanda... Il bambino mi sta male... - - Si chiama il medico di guardia, in questo caso. - - Chiamate chi volete, ma chiamatelo presto — supplicò la donna. — Io non mi reggo più. — Il pancione in livrea le indicò una panca di legno, dicendo con lo stesso tono di voce: - Sedete lì. — Lucia sedette. Il fanciullo, che pareva un fagotto di panni, restava immobile, pesante, tutto abbandonato. Ella non osava tirargli su neanche un lembo dello scialle per vederlo in faccia, temendo di fargli pigliar fresco; e ogni momento avvicinava la bocca verso il capo di lui, e susurrava: - Santino! Cuore di mamma! — Ma la creatura non le rispondeva. Scese, dopo un po' di tempo il medico di guardia, e constatato lo stato del vaioloso, ordinò che lo si mettesse per quella notte nella stanza d' osservazione. Mentre il bimbo stava per essere trasportato via da un infermiere, sua madre gli scoccò due, tre, dieci baci su 'l viso rosso, tumefatto, su gli occhi chiusi, vischiosi. - Madonna santa, beneditelo! — pregò, tendendo in alto le braccia, mezzo strozzata dalla violenza dell'emozione; poi raccomandò all'infermiere, che già saliva la scala: - Abbiate compassione! Guardatemelo voi, per l'anima dei vostri morti! — e fuggì barcollando, senza voltarsi. Lo spedale di San Francesco de' Poverelli sorgeva in un punto lontanissimo da quel palazzo de' quartieri nuovi, dove Lucia era portinaia. Ci volevan tre buoni quarti d'ora per farsi trascinare fin là in carrozza, e poco men che due ore per andarci a piedi, anche camminando di buon passo. Ora, il maggior dolore che lacerava il cuore di Lucia, da che non aveva più davanti a sè lo spettacolo del suo fanciullo in lotta con la morte, era di non potersi recar tutti i giorni, a tutte l'ore, là dove egli stava rinserrato fra gente estranea, alla quale il poverino doveva pur essere indifferente come chi sa quante altre creature che soffrivano al par di lui, intorno a lui. — Come starà, in questo momento, Santino mio? — era la domanda unica, insistente, fissa simile a un chiodo piantatosegli nel cervello, che la madre si rivolgeva, certe volte persino a voce alta, mentre, pallida come un cadavere, con un tremor nello stomaco, invecchiata, consumata, tornava a lavorar come prima per gl'inquilini del casamento, correva a comprar loro della roba, faceva de' bucati, in fine disbrigava tutte le solite faccende, tranne quella di cucire a macchina, che avrebbe tenuta ferma, mettendole nei nervi un convulso insoffribile. E, con la visione netta delle corsie dai muri bianchi d'intonaco, lungo i quali si schieran le file dei letti uniformi: le corsie di quello spedale ch'ella non avea mai veduto, la desolata si figurava tutti i pensieri che dovevano Contessa Lara. 7 affollarsi nel cervellino febbrile del suo bimbo, quando, se schiudeva gli occhi, non trovava più lei al capezzale. — Chi sa se gli fanno male, quando gli mutan la camicia! Chi sa se badano che il lenzuolo non gli s'aggrinzi sotto ! Ci vuol così poco a impiagarsi ! Brodo, ghiaccio, ne avrà quanto n' ha di bisogno ? Oh, Dio! oh, Dio mio ! — Ma l' idea più orrenda di tutte, una vera follìa che s' impossessava di lei a poco a poco a crisi acute, era quella che al fanciullo non si desse abbastanza spesso da bere. E le sembrava vederlo smaniare in quel letto non suo, senza potersi esprimere, stordito dall' intensità della febbre, e allungare il labbruccio inferiore nel desiderio d'un sorso fresco; ella sentiva come scottar su la propria bocca quel labbruccio arido, enfiato ; un suono indefinito le portava un lamento ch' ella avea sempre nell' orecchio... — Soffre la sete quella creatural — E Lucia allora, presa da una disperazione tanto crudele quanto impotente, si morsicchiava le mani, si stringeva la testa, torcendosi, come si torcono i tronchi delle serpi mutilate. Quanto più spesso le riusciva di scappare, si recava all'ospedale: due e anche tre volte alla settimana; ma quel giorno poteva contar di perdere quattro o cinque ore di lavoro: di più, la portineria restava abbandonata. Veniva il portalettere, veniva gente a chieder di questo o di quell'altro inquilino, e non c'era alcuno per rispondere. Lei si figurava il brontolío dei casigliani, il malumore del padrone, se fosse giunto a saper la faccenda, e correva verso San Francesco de' Poverelli, correva col viso in fiamma, con le gambe che tanto più le pesavano, come fatte di piombo, quanto più le premeva di far presto. E quando, trafelata, trovavasi finalmente allo spedale, davanti al pancione in livrea, che, non avendo nulla da fare, non aveva premura nè per sè, nè per gli altri, ella si struggeva lì una mezz'ora, avvolgendosi e svolgendosi macchinalmente una punta del fazzoletto intorno a due o tre dita della mano. Il tempo non le passava mai; scendevano e salivano inservienti, medici, impiegati, su e giù per l'ampia scala che mena alle corsíe; la donna sospirava, si raccomandava a Gesù, alla Vergine, a tutti i santi e martini benedetti... Stava su' carboni ardenti... Finalmente, qualcuno le si avvicinava a farle l'elemosina delle desiderate notizie; ed ella riprendeva la sua corsa verso casa, con le gambe che pareva non si volessero staccare dal suolo, col capo che le andava per aria, ma più serena d' animo, un po' rassicurata. Di fatti, le notizie di Santino eran sempre migliori. Una volta, dissero a sua madre che il medico lo aveva messo a un quarto di vitto, poi a metà. Un'altra volta seppe che gli era stato permesso d'alzarsi, e allora ebbe due terzi di vitto, non ostante che, a dar retta a lui, avrebbe mangiato anche il desinare del personale di servizio; tanto era l'appetito che gli tornava con le forze. Lucia sorrideva, con gli occhi inondati di lagrime, a sentir tante cose consolanti, e se le sarebbe fatte ripetere sa Dio quante volte. — Madonna cara! Che grazia mi avete fatta! — esclamava col cuore traboccante di gratitudine verso la Provvidenza. Un giorno, la superiora delle monache addette all'ospedale, le disse che il bambino, ormai perfettamente ristabilito, non avrebbe certo tardato a uscire. Quel giorno, prima di tornare a casa, la Lucia non seppe resistere al desiderio di fermarsi da un merciaio che conosceva, a pigliarsi quattro metri di frustagno marrone, per farne un vestitino nuovo a Santino. Fissò di pagarlo un tanto il mese. Ora che non aveva più da perder tempo in queste gite, poteva guadagnare qualche altra cosa; poi le si presentava un nuovo provento: era venuta ad abitare un quartierino del palazzo una giovane sposa incinta, moglie d'un tenente, la quale voleva la Lucia a mezzo servizio, non facendo ella quasi niente da sè in casa, un po' perchè non c'era avvezza, e un po' perchè soffriva di quella prima gravidanza. In questo modo le cose sarebbero andate meglio, si capisce: una spinta di qua, una di là, e la barca va avanti. Tutto questo, la Lucia ripeteva nell'intimo suo, mentre, con un sorriso felice, si stringeva al petto l'involto del frustagno. E come unse e riordinò con compiacimento la sua macchina per cucire il vestitino, non appena l'ebbe tagliato! Lavorava di sera: mentre quel tic-tac fitto fitto ch'ora le faceva l'effetto d'una musica allegra, s'accompagnava al ritmo eguale del respiro dei due bimbi dormenti uno da capo, l'altro da piedi del letto, certe lagrime grosse e calde rigavan la faccia della madre, perchè andava ripensando che in quei giorni di strazio, quando Santino era lontano, tanto malato, ella se la pigliava persino con la Marietta e con Checco, poverini! vedendoli così allegri, sani, chiassoni... Il vestitino era già pronto; la Lucia se l'era già rigirato fra le mani chi sa quante volte, immaginandosi la figura che avrebbe fatto indossato, quando finalmente giunse la famosa lettera diretta ai genitori o parenti di Santino Naldi, invitandoli a ritirare il fanciullo dallo spedale di San Francesco de' Poverelli. Era guarito. La vigilia del ritorno di lui, la madre non trovava il verso d'andare a letto: un'altra ferrata alla camicina con l'amido dal goletto lustro e interito; un'altra stiratina alle calze a costole d'un color marrone scuro, compagne al vestito. A un tratto, fu bussato all'uscio: potevano esser le dodici. — Chi è? — fece la Lucia, che non aspettava gente a quell'ora. - Son io, Trevisani: apri. — Era il tenente: l'inquilino nuovo. La portinaia gli aperse. Un bel giovane, alto e bruno, co' pantaloni alla militare e una giacchetta da borghese, si presentò su la soglia, occupando l'intero vano con la sua poderosa corporatura. Aveva il viso sconvolto, gli occhi cerchiati di rosso. - Mia moglie sta poco bene — disse - ha abortito. - - Oh Dio, come mai? — chiese la Lucia, incrociando le braccia in atto di rincrescimento. — Non so... proprio non so... senza motivo. Son solo... vieni su, fammi il favore... Tu, di queste faccende non te ne devi intendere... — Ella assentiva col capo. Pur troppo, pur troppo! Così non avesse mai saputo quel che costano i figliuoli! E, spenta la sua candela di sego, chiuse la portineria per seguir l'ufficiale. Se la brutta faccenda de' Trevisani fosse accaduta qualche giorno avanti, Lucia non avrebbe saputo come fare a aiutarli, a incoraggiarli, perchè aveva ella medesima troppe pene sue. Ma adesso, era tutt'altra cosa. L'idea d'abbracciare fra poche ore il suo Santino, il suo tesoro, le metteva a dosso un'energia singolare: vedeva ogni cosa sotto un aspetto di pace. — Coraggio, signora, coraggio! — ripetè più volte alla moglie del tenente, un'esile donnina di circa vent'anni, meravigliata e sfinita di quel che aveva patito, con la testa d'un biondo cenere affondata fra' guanciali. La sofferente non rispondeva; ma dalla mezz'ombra in cui trovavasi l'ampio letto matrimoniale, e che pareva dare a quel viso pallido qualcosa di fantastico, sbarrava, spauriti, gli occhi turchini, sforzandosi a sorridere, forse inconsciamente. — Ora rivedo Santino mio! Fra poco Santino mio è qui! — pensava la Lucia, affaccendata in torno a quella povera giovane; e mentre le porgeva una tazza di brodo, fatto lì per lì con dell'estratto di came d'un vasetto dal coperchio polveroso, trovato per caso in una credenza fra altra roba alimentare che il tenente avea riportata dal campo, la madre già vedeva il suo bimbo col vestitino nuovo. Che cosa le avrebbe detto, lui, per solito tanto amoroso? Che faccia avrebbe fatta? Povera, povera faccina, tutta rovinata dal vaiolo! Che importa? Per la mamma era sempre bello, bello come un sole! E mentre andava qua e là, dalla cucina alla camera, bisognava che la Lucia ripensasse al dispiacere di que' poveri signori Trevisani, perchè lei, la madre felice, non si mettesse a canterellare come a' suoi bei tempi, quando ancora non conosceva tribolazioni. Se Santino fosse rimasto in portineria, certo sarebbe morto come il padre. Povero, povero Peppe! Poveri tutti, i morti, anime sante del Purgatorio! E la Lucia si commoveva d'una commozione indefinita, piena di dolcezza. A giorno, appena vide aperta la finestra di cucina dei Lantoni, corse dall'Adele. — Abbiate pazienza — le disse: — il tenente m'è stato a tormentar tutta la notte, perchè non gli abbandoni la moglie, ora che sta meglio. È matto: dice che gliel'ho salvata io. Io non ho fatto nulla, figuratevi! ma, poveretta, è novellina, e sa ch'io me ne intendo. M'avreste dunque a fare un piacere, Adele. Andatemi a San Francesco de' Poverelli a riprender Santino. Tanto, lui sta bene, grazie a Dio, e non ha bisogno di me. Anzi, me lo rivedo a casa tutt'a un tratto...- - Volentieri — fece semplicemente l'Adele: — basta che loro sien contenti. — Loro — erano i suoi padroni; e gente di cuore, non soltanto permisero alla serva d'assentarsi, ma aggiunsero al vestiario di frustagno, che l'Adele portava allo spedale in una pezzuola, un berretto alla marinara, nuovo fiammante, con l'àncora d' oro sui nastri che pendevano dietro. Svelta, la fiorentina camminò fino a piazza San Carlo, dove prese l' omnibus per via dell'Archibugio; e di lì si recò allo spedale. Quella mezz'ora, o poco meno, ch'ella dovette far d'anticamera, le parve assai lunga; e alla madre quel tempo parve infinito. Sempre più nervosamente ella girava per casa Trevisani. Che ora poteva essere? O perchè non tornava l'Adele? Che cosa ci voleva a pigliarsi quella creatura e a portarsela via? Se avevano scritto che Santino era ormai in piena salute, che allo spedale non poteva rimanerci più... O dunque? Ma quando, dopo parecchie ore, che le parvero un secolo, ella vide tornare l'Adele sola, sottosopra, tutta scombussolata e con gli occhi pieni di bile, Lucia non capì più nulla. - O che c' è? Che vuol dire?.. — interrogò interdetta. - Non me l'hanno dato — rispose l'altra lasciandosi cader le braccia, come dopo aver fatta una grande fatica. Lucia non capiva; chiese: - Perchè? - - Non era lui! - - Come? - - Non era lui, no, no, non era lui - asserì l'Adele entrando e buttandosi sur una sedia. Poi raccontò per filo e per segno il fatto. Aveva dovuto pazientare un secolo: non fa niente; il portiere, un buzzone schifoso che si dava Dio sa che importanza, le aveva significato che lì era inutile aver fretta, angustiarsi, spazientirsi; facevano come gli pareva; ci voleva pazienza: c'era un buscherio di gente; chi andava, chi veniva... non si capiva un' acca... Lucia accennava di sì, di sì, sempre più frequentemente, per mostrare che capiva, capiva... Ma poi, poi che cosa era accaduto? Questo le stava a cuore. Poi, poi era accaduto che all'Adele avevan presentato un bambino di circa cinque anni, che lei non aveva riconosciuto. Quello lì, Santino? Ma nè pure per sogno! Era venuto un inserviente, e dopo, una monaca, e dopo anche la superiora, poi il medico di guardia: tutta una processione. Avevan detto: - Che mai dite che non è lui? — E l'Adele: - Nossignori che 'unn' è lui! - - Il vaiolo, lo sapete, muta la fisonomia. - - E' muterà quanto gli pare, ma questo 'unn'è Santino! Già Santino, gli ha sett'anni: e questo? - - La malattia l'avrà fatto dimagrare. - In vece, questo bimbo qui gli è grasso e robusto, e il nostro gli era mingherlino, piuttosto civile. - - È stato ben nutrito — osservò il dottore. - Poi, Santino gli aveva gli occhi celesti, e questo qui gli ha neri! — - Ve lo volete portar via, sì o no? — chiese il direttore, ch'era sopraggiunto in mezzo a questa discussione. - Io no, ecco! — dichiarò l'Adele o come ho a fare a portar via uno che 'unn' è Santino? - - Fate venir la madre, in questo caso — finirono col dire tutti. Di modo che l'Adele se n'era tornata sola, senza sapere che cosa la si facesse, accorata, con un diavolo per pelo. La madre ascoltò tutto il racconto per filo e per segno, senza batter palpebra; un ghiaccio, come di svenimento, le era corso per le vene. Madonna santa! Che voleva dire ciò?.. E due sole parole le uscirono di bocca: - Vado io. — Ma la mattina di poi, a punto mentre ella si preparava a recarsi allo spedale, s'affacciò alla portineria una femmina che teneva per mano un ragazzino; e chiese di Lucia Naldi, quella che aveva un malato a San Francesco de' Poverelli. Il bimbo indossava il vestito color marrone cucito a macchina, di sera, quando le fatiche diurne erano finite; portava le calzette a costola, il berretto con l'àncora. Ma il vestitino gli era largo e lungo: ci stava come in un sacco, goffo, impacciato, malinconico. - Vi riporto il vostro figliuolo, per ordine del direttore — disse la femmina. — Ormai sta benone e allo spedale non possiamo più tenerlo. — Lucia s'era fermata di botto, come se in un attimo le avessero inchiodato le piante al suolo. Fissò il ragazzo con le pupille dilatate, con le labbra strette, con tutta la faccia che si protendeva in atto di eccezionale stupore. Contessa Lara. 8 - Ma non è il mio, questo! — gridò ella. - Chi, questo? — chiese l'infermiera con tono d'incredulità. - Questo, questo qui! - - Eh diamine! Siete matta! Nome, cognome, età, sta scritto tutto su la tabella. Come volete che non sia il vostro? Guardatelo bene. - - Non è il mio, vi dico! — badava ad affermare la portinaia — Santo Dio, volete che una madre non riconosca il suo figliuolo? - - Si sa, ha avuta una malattia che cambia tutti. Gli è come se uno si mettesse una maschera, credete a me. - - Non può cambiare il sangue, la malattia! Questo bambino nè anche mi conosce. Vieni qua, dimmi come ti chiami — fece la Lucia, attirando verso di sè il fanciullo, intento a fissar la stanza dove si trovava con occhi attoniti, lustri fra la came lustra, tuttora chiazzati di rosso, e occupato, quando non fissava la stanza, a osservare l'abito marrone da lui indossato, del quale particolarmente sembravano interessarlo i bottoni e le tasche. - Come ti chiami? — ripetè la Lucia. Il bambino alzò lo sguardo un po' selvaggio; poi lo tornò subito a chinare, e rimase muto. Allora la Lucia lo respinse dolcemente: - Non è il mio!- Non è il mio! — esclamò sicura — Riportatevelo pur via, chè oggi stesso vengo a pigliar Santino. - E siccome, a punto la Marietta e Checco entravano in casa di corsa, come una folata di vento, la madre li interrogò, spingendoli davanti al piccolo sconosciuto: - È Santino nostro, questo? Ditelo voi! — I ragazzi smisero di ridere; squadrarono il nuovo arrivato con atto di diffidenza, poi se ne allontanarono un po' ammusoniti, facendo segno di no, col capo. - Vedete? Vedete bene che non è il mio! tornò a protestare la Lucia. L'infermiera insistè un altro poco, tanto per fare: raccontò qualche aneddoto straordinario su 'l vaiolo, che rende irriconoscibili anche alle persone di famiglia; ma, vedendo che la portinaia, anzi che persuadersi, sempre più si irritava, si strinse nelle spalle, come chi, in fin de' conti, si sente affatto estraneo ad una faccenda nella quale è immischiato senza sua volontà; e, ripreso per mano il fanciullo da lei condotto, se ne andò con un indifferente: — Arrivederci. — Lucia aveva la febbre a dosso. Saper guarito il suo Santino, saper di poterlo riabbracciare, e in tanto non averlo in casa! Lasciò andar tutto, servizio, bucato: salì soltanto a scusarsi con la Trevisani: e partì. All'ospedale, le dissero che il direttore non c'era. Bisognava aspettarlo. Aspettò. Quanto le parve lungo e angoscioso quel tempo, Dio solo lo sa: Lui che tien conto degl'istanti dei nostri dolori. Era sola, in una vasta camera dalle pareti nude, dipinte a stampino e scolorate. Di mobili, non altro che una vecchia scrivania di noce, ormai senza lustro, con sopra mucchi d'incartamenti giallognoli e un calamaio di porcellana bianca dal piattello attaccato, tutto sbocconcellature e macchie d'inchiostro. Davanti alla scrivania, dalla parte del muro, una poltrona, egualmente di noce, a guanciale di cuoio nero, fiancheggiata d'una fila di sedie impagliate. A sinistra, uno scaffale ingombro di registri luridi, per gli anni e per la polvere. Non osando passeggiare, per il timore di fare strepito e parer troppo ardita, la Lucia stava lì immobile. Non si metteva neanche a sedere per l'agitazione, per l'impazienza che aveva a dosso; quasi che lo star lì in piedi avesse sollecitato l'arrivo del direttore. Ogni rumore più lieve, venuto di fuori, la faceva riscuotere, le rimescolava il sangue, le dava come un colpo nel petto e una stretta alla gola. Teneva fissi gli occhi su la porta: una porta mezzo sgretolata, da cui sperava, a ogni istante, di veder comparire il suo bambino. Ma il tempo passava: nulla, nulla! Dopo un gran pezzo, che a lei parve incalcolabile, l'uscio s'aperse a un signore di una cinquantina d'anni, alto, con in testa un cappello a cilindro, e tutt'insieme un aspetto burbero e confuso. Lucia lo guardava tra ossequiosa e incerta. Egli sedette nella poltrona di cuoio nero, davanti alla scrivania, e rimescolò un gran numero degli scartafacci accatastati iì sopra. Un plico, un incartamento, chi sa che cosa fosse? lo tenne particolarmente attento; sfogliava avanti e indietro le pagine, come se non trovasse quel che cercava. Finalmente alzò la faccia, ombreggiata dal cappello, e, piantando i gomiti su la tavola, mentre badava a stropicciarsi le mani all' altezza del viso, cominciò: - Mi rincresce di dovervi dare una cattiva notizia. — - Lucia lo fissava. D'un tratto, ebbe l'impressione d'una corrente fredda che avvolgesse tutta, e inghiottì a forza la saliva, che non le voleva passar dalla gola. - Proprio mi rincresce — continuò l'uomo — ma che volete? c'è stato un errore... Si son messe le corsíe sossopra, per ripulirle, e questo ha cagionato l'equivoco. Han posta la tabella d'un ammalato a capo al letto d'un altro... e... — Ella lo fissava sempre, smarrita, senza comprendere ancora, ma col presentimento di qualcosa d'orribile, di nuovo, d'ignoto, d'inaspettato. Battendo le palpebre, faceva con le labbra il movimento di chi parla, quasi avesse ripetuto a sè, in silenzio, ogni parola di lui, per meglio intenderla, per crederla. Egli riprese ancora: - E, dunque... in questa confusione, è capitata al bambino che vi avevo rimandato la tabella del bambino vostro, morto il sei di marzo, cioè pochi giorni dopo che ce lo avete portato. - Morto? — chiese lei, calma, con lo stordimento incosciente d'un bue che riceve il primo colpo mortale. - Eh sì, cara mia! Ci vuol pazienza; è stato uno sbaglio, che m'ha proprio fatto dispiacere. Adesso ci vorranno almeno quarantott'ore per rimetter le cose a posto, e farvi avere un certificato di morte in regola. — La donna pareva fulminata. Rimasta ritta davanti alla scrivania, abbandonava le braccia, che le pendevano sotto lo scialle di lana nera, e sporgeva innanzi la testa bassa, con l'occhio vitreo, con la bocca mezzo aperta, cadente. — Del resto, — soggiunse il direttore — le cose sono state fatte ammodo; i genitori di quell'altro ragazzo hanno ordinato un mortorio decente al bambino vostro, credendolo il loro; questo deve consolarvi. E in ultima analisi, — concluse — con la morte c'è poco da fare: pur troppo, lo sapete come me. Quanto ai panni, ve li restituiranno, non c'è dubbio: m' impegno io. — Lucia udiva un rumore di parole vaghe, assordante come uno scrosciar d'acque invisibili. Non rispose mai. Soltanto, quando il direttore s'alzò, ella capì che doveva andarsene. Che cosa ci stava ormai a fare? Chi aspettava? E s'avviò verso l'uscio, col desiderio intenso di ritrovarsi in casa sua, nel suo covo, che le pareva lontano, lontano, come se, per arrivarci, avesse dovuto far un viaggio interminabile, eterno.

Il romanzo della bambola

222137
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • paraletteratura - romanzi
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suo corpo roseo per ogni singhiozzo che agitava il pettuccio della bimba; tanto più che quel pettuccio rintronava spesso, massimamente di notte, d'una tosse secca, che dava una scossa anche alla pupattola, tenuta abbracciata. Dopo aver pianto molto, Camilla fu colta da un nodo di tosse più forte che mai. Poi si coricò, dopo aver pregato più del solito. La Giulia, inerte sur una seggiola, la guardava meravigliata che la lasciassero lì a quel modo. A un tratto, Camilla si ricordò della pupattola, e scesa dal letto, corse a prenderla. La spogliò in silenzio, e quando l'ebbe accosto, le susurrò vicino all' orecchio: - Non sai, Giulia, non sai? La mamma non mi vuol bene! - E scoppiò di nuovo in singhiozzi, tirando il filo, senza curarsi di far rumore, perchè aveva bisogno d'udire una dolce parola. - T'amo! - disse la Giulia. E lo disse con tale accento d'amore da credere ch'ella fosse davvero una creatura umana. A quella piccola voce la bambina sorrise; e sorridendo e premendosi la bambola, s'addormentò; ma la tosse le seguitava nel sonno.

Pagina 57

Come le foglie

241004
Giacosa, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1921
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • teatro - commedia
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Tiene la sua testa abbracciata sul petto, poi la bacia in fronte. La lascia andare. Passeggia. Va alla finestra. Guarda fuori.

Pagina 220

Malia. Commedia in tre atti in prosa

242094
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1891
  • Stabilimento tipografico di E. Sinimberghi
  • Roma
  • verismo
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(a lana che ha abbracciata e baciata la sorella)

Pagina 13

Il marito dell'amica

245018
Neera 1 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
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Nel mezzo, lei, disperata, folle, abbracciata come un naufrago ai ginocchi di Emanuele... A questo punto, con tutte e due le mani, prese il guanciale e se lo pose sul volto, premendo, non trovandosi abbastanza nascosta nelle tenebre, desiderando nascondersi a sè stessa in un bisogno di annientamento; ma anche soffocata dal guanciale vedeva gli occhi di Emanuele senza lagrime intanto che la sua voce misurata le diceva: Non posso farti mia. E l'amava, sì, l'amava; ma non aveva la fede che ispira, non aveva il coraggio che spinge alla lotta, non si sentiva la forza di darle la sola prova d'amore che un uomo possa dare ad una donna onesta: soffrire con lei, lavorare per lei... E dopo tanti anni, lì, in quella camera che apparteneva a lui, su quel guanciale dove egli aveva forse appoggiata la testa sognando di un'altra, i singhiozzi della povera donna scoppiarono alti, irrefrenati.

Pagina 34

Il romanzo della bambola

245618
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • Verismo
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suo corpo roseo per ogni singhiozzo che agitava il pettuccio della bimba; tanto più che quel pettuccio rintronava spesso, massimamente di notte, d'una tosse secca, che dava una scossa anche alla pupattola, tenuta abbracciata. Dopo aver pianto molto, Camilla fu colta da un nodo di tosse più forte che mai. Poi si coricò, dopo aver pregato più del solito. La Giulia, inerte sur una seggiola, la guardava meravigliata che la lasciassero lì a quel modo. A un tratto, Camilla si ricordò della pupattola, e scesa dal letto, corse a prenderla. La spogliò in silenzio, e quando l'ebbe accosto, le susurrò vicino all' orecchio: - Non sai, Giulia, non sai? La mamma non mi vuol bene! - E scoppiò di nuovo in singhiozzi, tirando il filo, senza curarsi di far rumore, perchè aveva bisogno d'udire una dolce parola. - T'amo! - disse la Giulia. E lo disse con tale accento d'amore da credere ch'ella fosse davvero una creatura umana. A quella piccola voce la bambina sorrise; e sorridendo e premendosi la bambola, s'addormentò; ma la tosse le seguitava nel sonno.

Pagina 57

L'indomani

246147
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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Quelle mani lì non avevano abbracciata, stretta, accarezzata Giuditta? e quante altre! Ora lo sapeva; e questa Giuditta era in paese. Quando lei passava al braccio di suo marito, Giuditta poteva vederla, scrutarne il volto e sorprendere i segreti della loro intimità. Avrebbe detto fra se stessa: Ecco Alberto, ha la faccia de' suoi giorni buoni: oppure: non ha la faccia de' suoi giorni buoni. - Me le danno, sai, le trentamila lire? - diceva Toniolo affacciato alla finestra. - Se non me le davano, lasciavo a loro anche la ragazza; non ch'io sia interessato, ma quello che ci vuole ci vuole, e poichè faccio questo sacrificio di mettermi la catena al collo per la seconda volta, qualche compenso è giusto. Si voltò, dando le spalle alla luce, così interessante nel suo pallore di giovanotto linfatico, che Marta non riuscì a mettere insieme quelle parole con quel volto, e stavolta la domanda, repressa prima, le sfuggì: - È molto innamorato della sua sposa? - Oh! innamorato... - fece Toniolo, sul cui volto passarono repentinamente la stanchezza e la vanità delle numerose conquiste - non è poi necessario. - Per lei, forse - interruppe Marta, meravigliandosi ella stessa del suo ardire. - Vedi - disse Alberto in tono conciliante - mia moglie si immagina che quando un uomo sta per ricevere il settimo sacramento debba prepararsi con mortificazioni, estasi, preghiere, ritiro dal mondo, astinenze... - Già, già - esclamò il farmacista ridendo - sono tutte eguali. Non per offenderla, sa? Le chiedo scusa, non per offenderla, ma anche la mia fidanzata mi domanda sempre se l'amo, se amo lei sola, se l'amerò sempre... E non è naturale? - disse Marta con fuoco. Rispose Alberto: - Tanto naturale che non occorre domandarlo. Marta conosceva oramai quell'accento reciso, quella specie di muraglia che suo marito innalzava quando il discorso non era di suo genio. Sentì pure la sua debolezza, la sua solitudine in mezzo a quei due alleati naturali, e allora più che mai vide la intimità di Alberto co' suoi amici, quella grande porzione di vita da cui era esclusa, lei, che aveva creduto, sposandolo, di fondere due vite. Un abisso la separava dall'uomo a cui s'era data, che le era straniero, che non aveva lo stesso sangue, nè gli stessi pensieri, nè la stessa anima, che aveva vissuto trent'anni senza di lei, ch'ella non aveva mai visto piangere, che trovava inutile dirle: ti amo... e un bisogno irresistibile l'assolse, il bisogno di gettarsi nelle braccia di sua madre. I due amici erano usciti dalla camera, avviandosi giù per la scaletta nel tinello. - Badi che c'è un chiodo accanto all'uscio - disse Toniolo gentilmente - l'avverto per l'abito. Sul tavolino, nel tinello, giaceva ancora il ritratto della sposa. Marta lo guardò a lungo, con una malinconica simpatia, e non riuscendo a vincere la tenerezza di cui il suo cuore traboccava, si accostò ad Alberto e gli strinse furtivamente la mano. - Sì, sì - fece egli col tono di chi vuole acchetare un bambino riottoso. In quella entrarono Merelli e il dottorone. - Che bell'incontro! Il volto di Alberto raggiò: - Nido di tortore! - esclamò il dottore. - Fortunato mortale cui è dato abbellire la propria casa con la presenza di una donna! oh la donna!

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