Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il marito dell'amica

245157
Neera 1 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Maria si fermò un momento per abbracciare collo sguardo la bella solitudine. Lasciò che gli altri passassero avanti e sparissero dietro una svolta del sentiero, volendo sentirsi libera nella sua ammirazione, nello slancio che la spingeva verso la purezza della campagna. I suoi polmoni saturi d'aria cittadina si dilatavano, intanto che la sua mente uscendo dalle impressioni sensuali della vita, si ergeva leggera ai pensieri ideali. Per quanto l'occhio potesse vedere, non un richiamo alla materialità umana; nessun stimolo per la carne; solo e dappertutto una freschezza giovanile, una serenità innocente, come di mondo appena nato, svelantesi inconscio a quel mattino d'aprile. Sofia la chiamò per mostrarle il santuario che appariva intero sullo sfondo di un boschetto di abeti, e presala attraverso le spalle con uno dei suoi movimenti graziosi: - Quanto ti voglio bene! Maria sorrise, col cuore tranquillo, pieno di calma dolce e triste. Tutto era stato disposto per un asciolvere sull'erba, che non si volle differire neppure di un minuto. Il dottore dirigeva ogni cosa con una garbatezza, un buon gusto ammirabili. Emanuele non si era mai potuto trovare accanto a Maria, ma non ne aveva peranco cercata l'occasione, chiuso in un abbattimento che gli si rifletteva sul volto e gli allontanava la compagnia, tanto come egli cercava di sfuggirla. La Guidobelli disse piano alla Bonamore (alla quale, da che le aveva portato via l'amante, si mostrava molto affezionata): - Campo non è punto allegro. Avrà forse dei meriti, ma gli manca indubbiamente quello di essere simpatico. - Deve stare poco bene; Sofia mi ha detto che questa notte non si è coricato. - Amabile anche come marito. - Non occupiamoci di lui; è il meglio che possiamo fare. Sofia ce ne dà l'esempio. E sedettero allegramente sull'erba, gettando via il cappello. La Bonamore aveva in tasca uno specchietto, che fece il giro delle signore, intanto che gli uomini stappavano le bottiglie. L'aria frizzante e il vino buono accesero presto i cervelli: la conversazione, tumultuosa dapprima, si suddivise e si fece più intima. Gli uomini, quasi tutti, provarono il bisogno di confidare qualche cosa nell'orecchio della loro vicina. Maria si trovava un po' a disagio. Approfittando della confusione sorta da un brindisi si allontanò chetamente ed entrò in chiesa; una chiesuola rustica, primitiva, scrupolosamente pulita, con quell'odore indefinibile delle chiese abbandonate e quei lumicini spaventati tra l'economia e la divozione. Visitò i tre altari, esaminando i voti appesi e leggendo qualcuna delle ingenue dedicatorie; molte fra esse erano vecchie di due secoli, scritte con vernice bianca su rozze tavole di legno. Guardò le palme di fiori di carta piantate nei loro vasettini di vetro celeste, le tovaglie delle mense, gialline, ornate di pizzi all'uncinetto; la Via Crucis, con un Cristo gigantesca vestito di rosso, replicato quattordici volte; e poi si raccolse in un banco, senza pregare, assorbendo con tutta l'anima la calma mistica del tempio, meravigliata di trovarsi sempre nel cuore, accanto alla pace riconquistata, tin fondo di malinconia. Fuori, sul prato, trillava la vocetta acuta di Sofia in mezzo al cozzare dei bicchieri. Maria si mosse e senza sapere il perchè, guidata dal desiderio crescente della solitudine, passò davanti all'altare maggiore e uscì dalla porticina della sacristia. Là il silenzio era perfetto; sembrava di essere ai confini della terra. Un sentiero strettissimo girava dalla parte opposta della montagna, scoprendo i fianchi di un burrone irto di massi granitici, in fondo al quale, alla profondità di un duecento metri, scorreva mugghiando il torrente. Maria prese quel sentiero, a passi lesti come se qualcuno, la chiamasse. Una brezza freschissima, un po' umida, le scioglieva i capelli sulla fronte, le spianava i ringonfi dell'abito; un ramo spinoso le strappò il pettine, che cadde sui sassi e si ruppe. Ella sembrava non se ne accorgesse. Camminava, camminava, fuggendo il mondo, beata dell'aria pura e della libertà, compiacendosi di immaginarsi sola in quella natura incontaminata. A un tratto le apparve un uomo, ritto sul tronco di un albero rovesciato. Per un senso istintivo di pudore portò le mani nei capelli e alle vesti scomposte. L'uomo voltò la testa dalla sua parte; lo riconobbe, era lui. Egli la vide avvicinarsi senza pronunciare una parola, senza fare un gesto. Quando Maria gli fu accanto si accorse con terrore che il tronco dell'albero sporgeva dritto sull'abisso, ad una altezza vertiginosa. - Che fate? - gli domandò, sorpresa e spaventata. Non rispose subito; ma stette a mirarla con una disperazione negli occhi, con uno smarrimento di tutto il volto, fino a quando accostandosi ella vieppià, le disse a bassa voce: - Datemi la vostra mano. Maria credette che non potesse da solo rimettersi sul sentiero e fu pronta a tendergli la destra. Egli la baciò con affetto riverente e poi la sciolse. Il tronco scricchiolò, torcendosi sotto il peso del corpo che vacillava. Ella comprese tutto. Non ebbe che un grido: Emanuele! e slanciandosi forsennata lo prese nelle braccia, trascinandoselo sul petto, retrocedendo con quel corpo sempre stretto contro il suo, finchè caddero entrambi sulla roccia, quasi esanimi.

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