Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracciare

Numero di risultati: 5 in 1 pagine

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Otto giorni in una soffitta

204601
Giraud, H. 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Eccoli tutti pronti: sono andati ad abbracciare lo zio Fil e sono sulla scalinata d' ingresso. - Andiamo, - dice Maria in cammino. Passeremo prima dalla signora Aubry. - E partono. Ma un grido si fa sentire, e la vecchia governante, voltandosi, vede Francesco che, venendogli a mancare un gradino, è caduto lungo disteso per la scalinata. Rialzatosi a stento, nonostante l'aiuto dei fratelli e di Maria, che ha lasciato andare il paniere, ride nervosamente ed esclama: - Che bestia! - Ma appena vuol posare

Pagina 87

Angiola Maria

206974
Carcano, Giulio 2 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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La villa, che ancora, a breve distanza di *** vedi sorgere sulla riva destra del lago, fabbricata nello stile malinconico e severo del- l' architettura del secolo passato, ha un bel terrazzo, che su d' una roccia stagliata stendesi alquanto nell' acqua, e lascia allo sguardo abbracciare la pittoresca veduta di quelle cinque miglia di lago, chiuse fra Como e la punta di Torno. Su quel terrazzo, che è come il prolungamento d' un' ala della casa, andavano e venivano, nella stessa mattina, alcuni servi per apparecchiare la consueta colezione de' loro padroni, una colezione E infatti, una famiglia inglese aveva preso a pigione la villa per tutta la state di quell' anno. Era un vecchio signore venuto co' suoi figliuoli a cercare, sotto il ridente nostro cielo lombardo, alcuni mesi di salutare riposo dalle fatiche dell'aristocrazia. Avevano lasciato per la prima volta il cielo nebbioso di Londra e lo splendido tumulto della vita politica e cittadina; chè un viaggio sul continente è, per l' Inglese, medicina d'ogni rovescio; per l'Inglese che, in casa sua, tesse tranquillamente la politica delle cinque parti del mondo; e fuori, sen va a centellare con eguale costanza il suo tè sui ghiacci del Gran san Bernardo, e all' ombra delle Piramidi. « Vieni, Elisa! » diceva una bionda giovinetta, correndo fuori colla più graziosa sveltezza sul terrazzo. « Vieni, dunque! chè le dieci ore sono testè sonate al villaggio, e il mio buon appetito me ne avverte. Nostro padre verrà subito anch' esso.» « Eccomi, cara! » uscendo le rispondeva Elisa, la sorella di Vittorina. « Che bel mattino! che bel cielo! Io aveva letto e sentito dir tante belle cose dell' Italia, ma non pensavo che fosse così bella! » « Bada prima, o sorella, a servire il tè! e poi farai le tue contemplazioni alla buon'ora. Pensa a noi, te ne prego, fantastica creatura. Vedi mo: quest'aria, che in te risveglia la poesia, in me stuzzica l'appetito! » Ma Elisa, la sorella maggiore, una giovinetta malinconica e bella come la Malvina d' Ossian, non dava pensiero alla premura di Vittorina. Ella s' era abbandonata mollemente sul poggiolo del terrazzo, distratta guardava l'acqua del lago, che rompevasi con monotono gorgoglio al piede del sasso, e diceva sotto voce, parlando con sè stessa: - O mia povera madre! se tu pure fossi qui con noi! io t' ho conosciuta appena: ero così piccina ancora, quando ci abbandonasti per andare in paradiso!... Ma pure mi ricordo di te, mi ricordo de' tuoi baci, delle tue carezze.... Tu eri malinconica! Oh se tu fossi qui con noi; non piangerei, ma così!... - E sollevava la faccia al sereno del cielo. Venne in quella sul terrazzo un vecchio signore, d'alta statura, di contegno serio e severo; il quale salutò d' un cenno della mano le due giovinette, poi si mise a sedere. Vittorina gli corse al fianco, e lo baciò in fronte, con una tenerezza infantile, dicendogli: «Buon giorno, padre mio! come state? » « Bene. » « Volete ch'io serva il tè? farei subito colezione ben volentieri! Via, non siate così brusco: l'aria di questo paese non vi rallegra? » « Si, quel che vuoi, cara. Ma Elisa che fa? » « Eccomi, padre mio! perdonate, ero distratta ne' miei pensieri.» Intanto che le due sorelle apprestavano il tè, lord Guglielmo Leslie se ne stava taciturno, corrucciato in viso, e le gomita appoggiate alla tavola, in atto d'interno dispetto; le due' giovinette si sogguardavano tacitamente a ora a ora. Ma la fronte di Vittorina era serena e gaia, e sulla sua bocca scherzava sempre un ingenuo sorriso; Elisa invece levava gli occhi azzurri, intenti, e pareva voler leggere nella cupa meditazione del padre, come sentisse il bisogno di dividere il suo dolore e di confortarlo. Quella era dunque una mattina assai mesta, in faccia a un cielo incantevole, nel giorno più bello della primavera. Dopo un lungo silenzio, e finita la colezione, Elisa si volgeva a suo padre, e vincendo una certa titubanza, dicevagli con tutta soavità: «Perdonategli, padre mio, perdonate al nostro buon Arnoldo! Ditemi che non è vero che voi non l'amiate più!... Dunque, se l'amate ancora....» « Chi mi parla di colui?... » rispose con piglio severo il lord. « È la vostra Elisa, padre mio, la vostra Elisa, a cui pur volete tanto bene.- Ma ne volete anche ad Arnoldo, e nel vostro cuore gli perdonate, non è vero?» « Finitela, » riprese il padre, « finitela! Guai a chi mi parla di riconciliazione con quell' uomo indegno!... È troppo! » - E battè con tal impeto di rabbia il pugno sulla tavola, che la povera Elisa si levò sbigottita; e Vittorina, che già stava per aggiunger la sua alla preghiera della sorella, balzò indietro, e mise un grido di spavento. Il vecchio lord, mormorando ancora: - È troppo! - aggrottava le ciglia; poi, alzatosi dispettosamente, voltava le spalle alle figliuole; e rientrato in casa, chiudevasi dietro le imposte. Elisa e Vittorina rimasero guardandosi l' una l'altra, senza osare seguirlo cogli occhi, nè dir parola. Lord Guglielmo Leslie discendeva da una famiglia antica e chiara. I Leslie avevano avuta non l' ultima parte nelle vicende politiche del loro paese; e quantunque scaduti da quell'antico splendore di potenza famigliare che i secoli e le ricchezze avevano sancita, serbavano tuttavia gli avanzi di quell'orgoglio aristocratico, e di quella superbia, direi quasi dinastica, che i severi Inglesi, più che tutti gli altri, seppero mantenere in mezzo a tutte le loro cittadine libertà e a' loro civili progressi. Non c' è popolo, che al pari dell' Inglese sia così ostinato e sdegnoso sostenitore de' privilegi e delle franchigie che i nobili vantano sui cittadini, e che mentre combatte in pace e in guerra per la causa della libertà delle nazioni, conservi con tanta gelosia le sue prerogative, i suoi diritti; i quali almeno non sono colà, come altrove, una boria ridicola, poichè posano saldi sopra una base di fatto, come il cammino degli avvenimenti e le vicende del potere civile ve li hanno essenzialmente stabiliti. I Leslie di Falconbridge tenevano ancora alcuni vasti poderi in una delle più colte contrade del mezzodì d'Inghilterra. Al principiar del nostro secolo, non erano rimasti di quella famiglia che due fratelli, lord Giorgio e sir Guglielmo. Il primo, dopo che sostenne una grave magistratura dello Stato, andò a ritirarsi nelle sue terre, in seguito d'una mutazione del ministero: il re aveva premiato le sue fatiche e il suo ritirarsi a tempo, col titolo di barone. Ma lord Giorgio non aveva figliuoli, e la sua recente dignità doveva passare nella linea cadetta. Sir Guglielmo dunque tenne aperti gli occhi sull' andar delle cose; accarezzò sempre le opinioni di suo fratello, e aspettò quel giorno che doveva dargli nuovi diritti e nuovi doveri. Nella futura grandezza dell' unico suo figliuolo Arnoldo egli concentrava tutta la propria potenza, tutta quella del nome della sua famiglia, del quale era così geloso veneratore. Altero per costume e per educazione, tenace, fino allo scrupolo, di sua antica nobiltà e delle domestiche abitudini alle quali era stato ligio per tant' anni, dal tempo che viveva nell' antico castello di suo padre, là nell'Hampshire, sir Guglielmo pareva, dispettoso d'invecchiare, senza vedere che le sue speranze s' avverassero mai. Non dirò che avesse desiderata la morte di suo fratello lord Giorgio, per venire in possessione delle sue grandi tenute e per andarne esso pure a sedersi nel parlamento; ma stava ad aspettarla, essendo Giorgio d' alcuni anni più vecchio di lui, e di salute logora e fiacca. A quarant' anni, sir Guglielmo s' era ammogliato con Arabella Randale, che l' aveva fatto padre d' Arnoldo e di quelle due care giovinette, Elisa e Vittorina. La povera Arabella non era stata felice! Sacrificata, come pur troppo avviene spesso anche fra noi, all' orgoglio e all' interesse, era stata gettata, qual vittima, nelle braccia d'un uomo da lei non amato, e che le tolse il suo per darle un nome, che non le fece palpitare soavemente il cuore, se non quando divenne il nome de' suoi figli. Ma l' anima sua era pia, la sua volontà docile e rassegnata. Tutta la vita di lei, che non fu lunga, era stata uno studio costante e secreto d' amar l'uomo ch' girale toccato a compagno, di cercare le più sane e oneste idee della mente di quest' uomo, le sue virtù sebben piccole, e le affezioni del suo cuore, per rispettarlo e amarlo in quelle. Ma sir Guglielmo era uno di coloro a' quali la natura sembra aver rifiutato il dovere amoroso di marito e di padre. Agitato da continui pensieri di fumo e d'ambizione, travagliato da mala vicenda nella domestica economia, era quasi sempre meditabondo, accigliato, dispettoso : fosse il cielo torbido o sereno, si raccontasse di fortune o di miserie, si spargesse la gioia o il dolore nella famiglia o ne' circoli, sempre la stessa nube era sulla sua fronte, lo stesso amaro sorriso sulle sue labbra. Non mai egli sovvenne la disgraziata sua donna di quelle consolazioni che cancellano tante memorie penose, nè mai le fu largo di quelle sollecite cure che medicano anche le più triste piaghe della vita. Arabella avea vent'anni quando fu maritata a sir Guglielmo; a trentadue ella moriva, moriva portando con sè tutto il cordoglio della sua vita sconosciuta e negletta. Aveva compiuto il sacrifizio di tutto ciò che v'ha di più sacro, la fede e l' amore, e non lasciava in terra che un pensiero di rammarico e un ultimo ardente desiderio; il pensiero de' suoi tre figliuoli, i quali, così giovani ancora, restavano senza di lei; il desiderio ch'essi almeno, più di lei, potessero esser felici. Dopo la morte di sua moglie, sir Guglielmo si mise dentro, assai più che prima non avesse fatto, nelle pubbliche cose. Si dimostrò allora uno de' più caldi sostenitori della parte de' tory, come già era sempre stato, e adoperò nome, fatiche e promesse al trionfo di quella. Sebbene non fosse quel che si chiama uom di Stato, e i più lo tenessero in conto di persona di comune levatura, nondimeno aveva quella prudenza politica che insegna di non arrischiar mai troppo, e quell'accorgimento che consiglia i mediocri d'appoggiarsi a' potenti senza farseli necessarii, e di giovarsene a tempo, facendo sembiante d'aiutarli. Mandò, com' è quasi legge pe' ricchi Inglesi, il suo Arnoldo a viaggiare sul continente; affinchè poi, tornato in

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Pagina 353

L'uccellino azzurro

212632
Maeterlink, Maurice 2 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Voglio abbracciare il piccolo dio!... Voglio abbracciare la bimba! Voglio abbracciare tutti! Bene!... Come ci divertiremo!... Voglio far paura a Tylette.... Bau! Bau! Bau!... LA GATTA Signore, non ho il piacere di conoscervi. LA FATA (minacciando il Cane con la sua bacchetta) Sta' fermo, tu; se no ti faccio rientrare nel silenzio fino alla fine dei tempi.... (Nel frattempo la scena magica continua a svolgersi. L'Arcolaio in un angolo si è messo a girare vertiginosamente dipanando dei meravigliosi raggi di luce. Dall'altra parte la Fontanella si mette a cantare con voce acutissima, e, trasformandosi in fontana luminosa, inonda l'acquaio di un torrente di perle e di smeraldi dove si getta l'anima dell'acqua, simile a una fanciulla scapigliata, grondante di pioggia, e tutta in lacrime. Essa si azzuffa subito col Fuoco). TYLTYL E quella signora tutta bagnata?... LA FATA Non temere. È l'Acqua, che scappa fuori dalla cannella.... (Il Bricco del latte si rovescia, cade in terra, si spezza. Dal latte sparso s'inalza una figura alta, bianca e pudica, che ha l'aria di aver paura di tutto). TYLTYL E quella signora in camicia, così spaurita?... LA FATA È il Latte che ha rotto il suo bricco.... (Il Pan di zucchero posato ai piedi dell'armadio cresce a poco a poco e rompe l' involucro di carta, dal quale sbuca fuori un essere sdolcinato e mellifluo, vestito con una cappa mezza bianca e mezza celeste, che sorridendo beatamente si avanza verso Mytyl). MYTYL (impaurita) Chi è?... LA FATA Non vedi? È l'anima dello Zucchero!... MYTYL (rassicurata) Chi sa se avrà lo zucchero filato?... LA FATA Sì, certo; in tasca non ha che zucchero filato, e ogni dito della mano è di zucchero filato.... (La Lampada cade a terra, e appena caduta, la sua fiammella si raddrizza e si trasforma in una vergine luminosa d' incomparabile bellezza. È coperta da lunghi veli trasparenti e abbaglianti, e rimane immobile, come in estasi). TYLTYL È la Regina!... MYTYL È la Madonna!... LA FATA No, bambini miei. È la Luce. (Intanto le cazzeruole sulle mensole si mettono a girare come tante trottole. L'armadio della biancheria spalanca i suoi sportelli, e ne escono fuori stoffe magnifiche color di sole e color di luna, alle quali si uniscono dei cenci e degli stracci dall'aspetto non meno sontuoso, che scendono giù dalla scaletta del granaio. Ma a un tratto si odono tre colpi bruschi alla porta a destra). TYLTYL (spaventato) È il babbo! Ha sentito!... LA FATA Gira il diamante!... Da sinistra a destra.... (Tyltyl gira in fretta il diamante). Non così in fretta! Dio mio! È troppo tardi.... L'hai girato troppo presto.... Non faranno più a, tempo a riprendere il loro posto e avremo delle noie, ho paura.... (La Fata riappare di nuovo sotto l'aspetto di una brutta. vecchia; le pareti della capanna perdono il loro splendore, le Ore ritornano dentro all'orologio, l'Arcolaio si ferma, ecc. Ma nella fretta e nella confusione generale, mentre il Fuoco corre pazzamente intorno alla stanza in cerca del focolare, uno dei Pani Tondi da quattro libbre che non è riuscito a trovar posto nella madia, scoppia in singhiozzi urlando dallo spavento). Che cosa c'è?... IL PANE (piangendo) Non c'è più posto nella madia?... LA FATA (guardando dentro alla madia) Ma sì, ma sì.... (spingendo gli altri Pani che hanno ripreso il loro posto). Via, presto, stringetevi un po'.... (Bussano di nuovo alla porta). IL PANE (smarrito, sforzandosi invano di entrare nella madia) Non c'è rimedio.... Mi mangeranno prima degli altri! IL CANE (saltando intorno a Tyltyl) Mio piccolo dio!... Io son sempre qui!... Posso parlare ancora!... Ancora! ancora! ancora... LA FATA Come, anche tu?... Sei sempre qui?... IL CANE Ho avuto fortuna!... Non sono potuto tornare nel silenzio. La botola si è chiusa troppo presto.... LA GATTA E la mia pure.... Che cosa succederà?... Siamo forse in pericolo?... LA FATA Ecco, debbo dirvi la verità: tutti quelli che accompagneranno i due bambini, moriranno alla fine del viaggio.... LA GATTA E quelli che non li accompagneranno?... LA FATA Sopravviveranno pochi minuti.... LA GATTA (al Cane) Vieni, rientriamo nella botola.... IL CANE No, no, non voglio!... Voglio accompagnare il mio piccolo dio!... Voglio parlargli sempre!... LA GATTA Scimunito!... (Bussano di nuovo alla porta). IL PANE (piangendo a calde lacrime) Non voglio morire alla fine del viaggio!... Voglio tornar subito dentro la madia!... IL Fuoco (che nel frattempo non ha smesso un istante di correre vertiginosamente intorno alla stanza, con sibili d'angoscia) Non trovo più il focolare!... L'ACQUA (tentando invano di rientrare nella cannella) Non mi riesce più di rientrare nella, cannella!... Lo ZUCCHERO (affannandosi intorno all'involucro di carta) Ho lacerato la, carta che m'involtava... IL LATTE (linfatico e pudico) Mi hanno rotto il bricco! LA FATA Che stupidi, Dio mio!... Stupidi e vili.... Preferireste dunque di continuare a vivere in quelle brutte scatole, nelle botole o dentro alle cannelle piuttosto che accompagnare i bambini nella ricerca dell'Uccellino Azzurro?... TUTTI (eccettuati il Cane e la Luce) Sì, sì! Lo preferiamo!... Oh, la mia cannella!... La mia madia!... Il mio focolare!... La mia botola!... LA FATA (alla Luce, che contempla pensosa i resti della sua lampada infranta) E tu, Luce, che cosa ne pensi?... LA LUCE Io accompagnerò i bambini.... IL CANE (abbaiando di gioia) Anch'io!... anch'io!... LA FATA Meno male! È troppo tardi, in ogni modo, per tornare indietro. Non sta più in voi di scegliere; perciò verrete tutti con noi.... Ma tu, Fuoco, abbi cura di non avvicinarti a nessuno; e tu, Cane, non punzecchiare la Gatta e tu, Acqua, procura di star bene diritta e di non sgocciolare dappertutto.... (Si odono novamente dei colpi violenti alla porta di destra) TYLTYL (ascoltando) È il babbo, di nuovo.... Questa volta si è alzato davvero, lo sento camminare.... LA FATA Usciamo dalla finestra.... Verrete tutti a casa mia, e cercherò di vestire come si conviene gli animali e le cose.... (Al Pane) Tu, Pane, prendi la gabbia nella quale metteremo l'Uccellino Azzurro.... L'affido a te.... Presto, presto, non perdiamo tempo.... (La finestra si allunga a un tratto e si trasforma in una porta. Escono tutti, dopo di che la finestra riprende la sua forma primitiva, e si richiude come se nulla fosse. La stanza è ritornata buia, e i due lettini sono immersi nell'ombra. L'uscio a destra si schiude, e attraverso lo spiraglio fanno capolino Babbo Tyl e Mamma Tyl). IL BABBO Non era nulla, te lo dicevo.... è il grillo che canta.... LA MAMMA Li vedi?... IL BABBO Sì. Dòrmono quieti quieti.... LA MAMMA Li sento respirare.... (L'uscio si richiude). CALA LA TELA

LA GIOIA-DI-COMPRENDERE (scostando le altre Gioie per andare ad abbracciare la Luce). Sei la Luce e noi non lo sapevamo!... Sono anni ed anni che ti aspettiamo. Mi riconosci?... Sono la Gioia-di- comprendere.... Ti cerco da tanto tempo.... Siamo felici, sì, ma non possiamo veder di là dal nostro essere.... LA GIOIA-D'ESSER-GIUSTA (abbracciando alla sua volta la Luce) Mi riconosci?... Sono la Gioia-d'esser-giusta, che ti aveva tanto pregata di venire..... Siamo felici, sì, ma non possiamo vedere di là dalle nostre ombre.... LA GIOIA-DI-VEDERE-CIò-CHE-È-BELLO (abbracciandola anch'essa) E me, mi riconosci?... Sono la Gioia-della- bellezza, che ti ha sempre voluto bene.... Siamo felici, sì, ma non possiamo vedere di là dai nostri sogni.... LA GIOIA-DI-COMPRENDERE Via; via, sorella cara, non farci più a lungo aspettare.... Siamo abbastanza forti, abbastanza pure.... Scosta dunque questi veli che ci nascondono ancora le ultime verità e le ultime felicità.... Guarda, le mie sorelle s'inginocchiano tutte ai tuoi piedi.... Sei la nostra regina e la nostra ricompensa.... LA LUCE (avvolgendosi più, ancora nei suoi veli). Sorelle, sorelle mie belle, io obbedisco al mio Signore... L'ora non è ancora venuta, ma forse scoccherà presto: e allora, tornerò senza timori e senza ombre.— Addio, rialzatevi, abbracciamoci ancora come sorelle che si ritrovano, in attesa del giorno che spunterà ben presto.... L'AMOR MATERNO (abbracciando la Luce). Siete stata così buona verso i miei poveri piccini.... LA LUCE Sarò sempre buona verso coloro che si amano.... LA GIOIA-DI-COMPRENDERE Che il tuo ultimo bacio si posi sulla mia fronte.... (Si baciano lungamente: quando si staccano l'una dall'altra, i loro occhi sono pieni di lacrime). TYLTYL (sorpreso) Perchè piangete?... (guardando le altre Gioie) Oh bella! Anche voi piangete.... Ma perchè tutti gli occhi sono pieni di lacrime?... LA LUCE Zitto, bambino mio.... CALA LA TELA

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