Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbracciano

Numero di risultati: 16 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Come devo comportarmi?

171997
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Pagina 78

Il successo nella vita. Galateo moderno.

178066
Brelich dall'Asta, Mario 2 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Voluttà, tremenda parola che ricorda la più ardente scena della vita e il maggiore dei caos che sia addensato dappertutto dove nasce e si distrugge un organismo; caos informe, da cui guizzan lampi e dove fremono elementi e rombano profondi i terremoti; caos in cui il bene ed il male si trovano tanto vicini da frammischiarsi, da confondersi insieme: caos in cui l'angelo e il bruto si abbracciano e si stringono, e l'umana individualità scompare per un istante per dar luogo a un mostro fantastico, mezzo uomo e mezzo donna, mezzo dio e mezzo demonio; caos da cui nasce un uomo, così come da un altro caos sorse il grido che generò la luce. Mantegazza, Fisiologia dell'amore. La voluttà senza l'amore è sempre libidine, anche nelle forme più pure e più semplici; è immorale, anche quando sembra essere igienica. Lo stesso, ivi.

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E' ben naturale che non ci si culla sulle sedie, non si « abbracciano » con le gambe i piedi della tavola, non si appoggiano i gomiti o la testa sulla tavola, e non si giuoca col sale, colle posate o collo stuzzicadenti. Ciononostante possiamo osservare abbastanza spesso tali usanze. Stuzzicarsi i denti, specialmente per minuti è una cosa addirittura nauseante. Orrenda è anche la cosidetta « pulizia pneumatica » dei denti, accompagnata sempre da diversissimi suoni poco estetici. Ed ancor peggio è lo schioccare colla lingua, - per esprimere anche esteriormente il godimento « gastronomico » per il buon pranzo, - uso purtroppo non raro. A tavola, finchè altri ancora mangiano, non si comincia a fumare, nè si chiede il

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Galateo ad uso dei giovietti

184037
Matteo Gatta 1 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Vi sono due parole, convenienza e delicatezza, le quali abbracciano un gran numero di tratti urbani, di gentili uffici, e si potrebbero dire il compimento del galateo. Io ve ne metto innanzi un brevissimo saggio. Voi, poniamo, date una festa da ballo. La convenienza ci prescrive di rendere avvertiti i casigliani ai quali i suoni notturni ponno recare disturbo. Ma la delicatezza vi dice d'invitare la famiglia a cui ballerete sul capo. - Un amico ebbe una promozione, un distintivo onorifico? Il cuore vi spinge a fargliene le vostre sincere congratulazioni. Con un conoscente sarà la convenienza che vi suggerirà quest' atto di cortesia. - Un giornale ha parlato con lode di un vostro lavoro? Bisogna ringraziarne l'autore dell' articolo o, se non era segnato, il redattore del foglio. - Se vi è noto che un amico versi in gravi angustie economiche, e a voi sovrabbondano i beni di fortuna, fate di toglierlo spontaneamente e in modo delicato dalle sue strettezze, risparmiandogli la pena di domandare; e così sarà doppio il valore del servizio che gli rendete. - Il vostro cuor generoso vi muove a soccorrere un operaio e più ancora un artista in bisogno? Dategli una commissione, e la vostra beneficenza non sarà una elemosina, ma il compenso della fatica, il pagamento di un' opera. Un' ultima parola, prima di congedarmi da voi, cari giovinetti e care giovinette che mi avete accompagnato sin qui con tanto buon volere. Non pochi di voi apparterranno al ceto patrizio: ma ponetevi bene in mente che sono passati i tempi dei privilegi di casta, e che oggigiorno la vera nobiltà è posta nell' educazione, nel carattere, nell' ingegno, nella sapiente filantropia, nell' accordo della mente, del cuore e delle opere verso il bene, in quell' efficace amore di patria che pospone il proprio interesse al vantaggio dei più. Non insuperbite adunque di ricchezze e di titoli ereditati, che non vi danno diritto a nessun vanto; e però badate di non assumere una cert' aria di superiorità coi vostri compagni meno favoriti dalla fortuna, e non guardate dall' alto al basso la gente del popolo come fosse formata d' altra carne e d' altro sangue, ma trattate sempre anche i vostri inferiori di condizione con affabilità, con dolcezza, con modestia. Sapete quel che insegna il Vangelo. Di tal guisa crescerete cari a tutti, delizia e ornamento delle vostre famiglie, e coll' andare degli anni concorrerete voi pure, nei diversi uffici che sono assegnati all'uomo e alla donna, alla grandezza di questa nostra Italia, di cui avete salutato fanciulli il prodigioso risorgimento. FINE.

Pagina 150

Il saper vivere

185557
Donna Letizia 1 occorrenze
  • 1960
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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A cerimonia terminata, abbracciano il bambino astenendosi da commenti stonati come questo, colto purtroppo dal vero: « Complimenti Lallina! Sembri proprio una sposina di Dior! ».

Pagina 31

Nuovo galateo

189387
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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In un ballo vi abbracciano e vi stringono col garbo de' giumenti; o, privi di guanti, v'insudiciano gli abiti. In un giardino calpestano sperisieratamente i nascenti germogli, o lo spogliano de'più bei fiori, lasciando al padrone il dispiacere di non poter regalare altre persone meno inurbane. In un giuoco scherzevole non vi spruzzano con poche stille d'acqua, ma v'inondano e vi sommergono. In un casino di società, od in altra amichevole unione, vogliono tosto dominare e far prevalere a spese comuni que'divertimenti che più loro aggradiscano, benché meno ambiti dagli altri. Peggio poi se con pazzi e strani modi turbano l'altrui innocente allegrezza, come fece a Londra il Colonnello Lutrel, il quale comparve in teatro, al tempo del ballo, in una bara con tutto l'apparecchio che da questa bizzarria richiedevasi. Un'iscrizione che si leggeva sul cataletto, annunziava che l' uso smodato dei piaceri gli aveva cagionato la morte nella primavera della vita. Questa lugubre comparsa fece profonda sensazione sugli spettatori. Lutrel fu invitato a non turbare ulteriormente la pubblica allegrezza. Questo pazzo non si ritirò se non quando s'accorse che l'assemblea disponevasi a cacciar il preteso morto dalla società dei viventi, e spedirlo al sepolcro. Allorché s'infervorano a parlare, mettono l'artiglio sul petto alla gente, ora ne aggrappano una manica, ora ne spiccano un bottone, dimodoché consumano gli altrui abiti quanto il corso degli anni o le tignuole. » Mi posi allor costui fisso a guardare, » Ed il viso che omai tutto sporcato » Con gli sputi m'avea, presi a nettare; » Ch'ei rosso in faccia, e col polmon gonfiato, » Tanto nel favellar si riscaldava, » Che quasi non potea prender il fiato; » Onde il pié ritirar non mi giovava, » Che forte mi tenea per il mantello, » Ed a parlar di nuovo incominciava ». Trovando sagge soltanto le idee che escono dal loro cervello, talora ricusano di concorrere alla spesa, per esempio, d'una strada, d'un ponte, d'un fosso, e d' una face che dee risplendere sopra comuni scale, perchè non la proposero essi; talora vogliono ad ogni patto ingerirsi in cose che non li riguardano, od assai poco. Si fanno aspettare al momento della partenza, del giuoco, del pranzo, della sessione convenuta, siccome quelli che hanno riguardo a loro stessi soltanto, e d'altrui nessuna considerazione cade loro nell'animo. L'inciviltà è misurata in questi casi dalla durata dell'aspettazione, dall'importanza della cosa, dal numero degli aspettanti, dalla loro superiorità sopra di voi.Io non mi fo giammai aspettare, diceva Despréaux, giacché ho osservato che i difetti d'un uomo si presentano sempre agli occhi di chi l'aspetta. Ritengono indefinitamente i libri che vengono loro prestati, ed anche si lagnano, se si ricorda loro l'obbligo della restituzione, defraudando cosi il proprietario del piacere di farne uso egli stesso, o di soddisfare l' altrui curiosità. Nelle conversazioni, mentre qualcuno canta o suona essi battono la solfa co'piedi e colle mani, o l'accompagnano con voce discordante. Fissano gli occhi immoti sull' ultimo che giunge nella sala, mentre coi loro compagni susurrano ridendo, lo squadrano

Pagina 41

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190965
Schira Roberta 1 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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In Spagna gli invitati dello stesso sesso che si conoscono si abbracciano con molta enfasi, negli ambienti di lavoro i rapporti sono più formali e si limitano alla stretta di mano. Nella conversazione non si toccano i soliti discorsi, proibiti anche per noi: sesso, salute e soldi. Il pranzo è previsto dalle 15 e la cena molto tardi, tra le 22 e le 23. Il «ritardo» formalizzato è di circa 20 minuti. Portate i fiori se vi invitano, compresi i crisantemi, che lì sono graditi; evitate di indossare i jeans, specialmente la sera, e gli uomini devono avere la giacca. Per i signori, a fine pasto sarà il momento del sigaro: la tradizione di produzione e consumo di tabacco in Spagna è antichissima e molti spagnoli ancora oggi ritengono che un buon pasto si possa concludere degnamente solo con un ottimo sigaro. Gli spagnoli non usano fare scarpetta, mentre in Francia è un vero tabù. Chi viaggia in Francia eviti assolutamente gli argomenti politica, razzismo e religione, mentre i temi un po' osé non sono banditi. Regalate fiori ma non garofani o ortensie. Molto graditi sono i cioccolatini e una bottiglia di champagne. La mancia in Francia non è d'obbligo, è inclusa nel conto. Se però il servizio è stato particolarmente eccellente, lasciate almeno il 5 per cento, chissà che non si ricordino di voi alla prossima prenotazione. La doggy bag, cioè il sacchetto con ciò che non si è riusciti a mangiare e che si porta a casa, oggi è contemplato e ammesso, ma non chiedetelo nel ristorante stellato o dopo un pranzo di lavoro. A tavola i rebbi delle forchette vanno all'ingiù e ai padroni di casa e agli ospiti ci si rivolge con Madame e Monsieur. In Germania si dice Herr seguito dal cognome e Frau per le donne. Sappiate che i titoli vanno sempre riportati e che si tiene molto alle gerarchie, il tu si usa solo in amicizia e la compostezza è la dote più apprezzata. Non chiedete nulla della vita privata durante una conversazione a tavola, potrebbe sembrare invadenza. Gli orari degli inviti per i pasti sono simili ai nostri con la differenza il ritardo non è tollerato, anzi si arriva qualche minuto prima. Bene accetti i fiori alla padrona di casa, ma prima toglieteli dalla confezione, lì non si usa. Le posate principali, forchetta e coltello, si tengono entrambe a destra e il coltello non si usa per le patate, ingrediente nazionale. La sera si usa cambiarsi sempre per la cena ed è gradito un abbigliamento elegante. Poi, cosa sia un capo elegante in Germania non è il caso di approfondire. Dice il mio concittadino Beppe Severgnini (e lui è un grande viaggiatore) che gli inglesi non hanno nulla da insegnarci in quanto a etichetta a tavola, ma lì c'è la netta separazione tra working class, middle class e upper class: ciascuna ha le sue regole. In La testa degli italiani Severgnini dice che in una famiglia borghese nel Regno Unito di norma si comunica con post-it incollati all'anta del frigorifero, e ciascuno mangia spesso da solo, magari in piedi tra un corso di yoga e una partita di squash. In Italia saremo un po' cafoni, ma se non altro mangiamo tutti insieme almeno una volta la settimana. In molte famiglie inglesi si fa il Saying Grace, usanza religiosa che prevede, prima di iniziare a mangiare, di pronunciare una breve preghiera di ringraziamento per il cibo. Nel parlare moderiamo la voce e negli approcci i «giochi di mano» (toni alti, rumori, abbracci e pacche sulle spalle) sono poco graditi. Tuttavia sono rimasta davvero stupita durante la mia ultima visita a Londra da quanto sono rumorosi i ristoranti anche stellati della città. Non affrontate i soliti discorsi tabù, e il fatto che gli inglesi amino parlare del tempo non è solo un luogo comune: serve per rompere il ghiaccio. Ricordate che gli inglesi sono British e non English, imparate a distinguere irlandesi e scozzesi dagli inglesi. Non è obbligatorio portare doni ai padroni di casa, ma sarà gradita una bottiglia di vino. L'invito per un dinner può essere alle 19 oppure alle 18.30 per un tea time a base di abbondanti piatti freddi. Lo slurping (trangugiare, bere rumorosamente) va assolutamente evitato anche da loro. Vietato anche «pucciare» in tutto il Regno Unito in qualunque liquido, dal tè all'uovo à la coque. Le mani vanno in grembo se non sono utilizzate, come vedremo. L'abbigliamento deve essere sobrio e i jeans non sono apprezzati, così come le cravatte regimental che indicano l'appartenenza a un club. Gli inglesi amano consumare formaggio a fine pasto e gli stuzzicadenti, al supermercato, non sono mai nel reparto casalinghi, ma in quello degli articoli da party (servono per infilarci le olive e non per pulirsi i denti). Il pane non viene servito a tavola, tranne che imburrato come accompagnamento al salmone. In molte famiglie vige ancora l'uso antico di dividere i due sessi alla fine della cena: le signore sono invitate a powder their noses (incipriarsi il naso) e bevono sherry, mentre gli uomini rimangono seduti a tavola a sorseggiare porto e fumare sigari. Se il porto viene servito in tavola viene passato in senso orario e non si versa mai al proprio vicino: ognuno si serve da solo. Nei paesi del Centro e Sud America le persone di un certo riguardo metteranno Don e Doña davanti al vostro nome. La cena inizia sicuramente dopo le 21 e il ritardo accettato può arrivare anche a un'ora. Ecco, in questa cultura è meglio mandare fiori il giorno dopo e non portare nulla di commestibile, facendo pensare che il menu debba essere rinforzato: è considerato offensivo. Fanno eccezione prodotti come souvenir di un paese straniero. Urge una parentesi. Anche qui, come negli Stati Uniti e nel Regno Unito, tra una portata e l'altra si tengono le mani in grembo. Il francese (come l'italiano) le appoggia sul tavolo fino al polso, mentre l'inglese beneducato le tiene in grembo. Il galateo a tavola, come noi lo conosciamo oggi, si sviluppa in Francia, in un'epoca di veleni e tradimenti, perciò si impose la regola: entrambe le mani ben visibili ai commensali, quindi sul tavolo. L'Inghilterra non poteva accettare un'imposizione francese, era ancora bruciante la perdita dei territori sul suolo continentale dopo la guerra dei Cent'anni (1337-1453). Ecco perché gli isolani decisero per la mano in grembo, anziché appoggiata al tavolo, ben visibile: spirito di contraddizione! Ricordo, a proposito, il motto di una severissima anziana anglofila baronessa fiorentina che diceva: «Jamais, parfois, toujours» e cioè «Mai, qualche volta, sempre», dove ogni avverbio si riferisce a una posizione, rispettivamente: gomiti sul tavolo, avambracci appoggiati e mani in grembo. Tornando al Sud America, l'abbigliamento di sera è piuttosto formale, quindi sono gradite giacche e cravatte e per le signore sconsigliati i pantaloni in alcune cerimonie ufficiali. Ricordate cosa abbiamo detto dello spazio personale e della prossemica: in questi paesi le distanze sono ravvicinate ed è normale che quando qualcuno vi rivolge la parola si avvicini molto; non ritraetevi. Ho potuto verificare di persona; più si va a sud più le distanze si accorciano, più si va a nord più aumentano. Lo stesso avviene tra abitanti di campagna e di città: i primi, insieme a chi vive in montagna, staranno più scostati e vi daranno la mano restando arretrati con il corpo, mentre chi vive in una grande città (abituato a tram e metropolitana affollati) accorcia le distanze. In Sud America evitate, se siete voi che invitate, di cucinare coniglio: è considerato un animale da compagnia. Nei paesi islamici si salutano con rituali lunghi e si baciano più volte; con gli occidentali usano la classica stretta di mano. Tra uomo e donna non deve avvenire alcun contatto fisico. Nella presentazione evitate di tenere lo sguardo fisso sul volto, molto meglio uno sguardo basso e reverenziale. Nella conversazione non ci si informa mai dello stato di salute delle mogli; è considerata un'invasione di campo, così come ogni battutina sulla condizione femminile. Il pranzo è intorno alle 14 e la cena alle 22: siate puntuali. Non intestarditevi a voler pagare il conto, è offensivo, paga chi fa l'invito, come da noi. Di norma non si porta nulla e ovviamente, se il dono è d'obbligo, sono vietatissimi gli alcolici e prodotti che contengano carne di maiale. Se siete voi a invitare, informatevi sul Ramadan che cade in mesi diversi ogni anno. In questo caso ogni convivio slitterà dopo il tramonto. Ricordate che canottiere e pantaloni corti sono un insulto al buon gusto anche se indossati dai maschi. Val la pena aprire una parentesi sull'abbigliamento. L'occidentale che, nell'immaginario di certi paesi, è ricco e stimabile, se arriva seminudo si comporta come un indegno, come uno di una casta inferiore che non può permettersi una camicia. «Questo provoca un vero e proprio cortocircuito mentale in chi lo accoglie nel suo paese» dice anche Barbara Ronchi della Rocca nel suo libro dedicato al galateo del viaggiatore. Lo stesso, come abbiamo visto, vale per i jeans, che da noi sono ormai sdoganati come abbigliamento per tutte le occasioni; in molti paesi non vengono compresi. In Australia, per esempio, sono considerati una divisa destinata ai lavori più umili della campagna, quindi guai a indossarli anche per una cena tra amici. Iran, Siria e molti paesi islamici considerano i jeans un abbigliamento maledetto, per via dell'origine americana. Un po' come camicie e pantaloni stile militare in Zimbabwe, Zambia e Botswana. Se cercano di convincervi che nei paesi islamici è accettato un rutto a fine pasto come segno di gradimento non credeteci, è un gesto al limite tollerato, ma non incoraggiato. In questi paesi, come nel sud dell'India e in Indonesia, la sinistra si usa per la pulizia del corpo, fate quindi attenzione a passare le portate al vostro vicino con la mano destra. In Giappone evitate il più possibile il contatto fisico, anche la stretta è inusuale; meglio l'inchino. Se siete invitati mostrate deferenza e ammirazione verso i piatti che vi vengono offerti. I giapponesi adorano che la propria tavola venga ammirata; infatti le presentazioni dei cibi sono attentissime alle proporzioni, ai colori e alla composizione: I commensali si presentano con il cognome e usano sun davanti al vostro, che significa onorevole. Il che non è un'offesa, come sta diventando nel nostro paese. Usate i biglietti da visita, lì sono indispensabili, e porgeteli con entrambe le mani: è un segno di deferenza. Starnutire, soprattutto a tavola, è uno dei gesti più maleducati che potreste fare, cercate di ricordarlo. Vige l'assoluta puntualità e, se entrate in casa d'altri, toglietevi le scarpe in segno di rispetto. Non portate fiori, tipico dono del corteggiamento; ben graditi i dolci, avvolti nella carta rossa, segno di gioia. Mai però nel numero di quattro e nove, considerati numeri nefasti. A tavola non si usano tovaglioli, ed è apprezzato l'uso delle bacchette per portare il cibo alla bocca; tuttavia, per evitare pasticci potrete chiedere una forchetta, in mancanza di meglio usate le dita. Nella conversazione siate sempre calmi e pacati e soprattutto sorridenti. Non versate nulla sul riso e cercate di non avanzare nulla, sarebbe maleducato. Non servite prodotti caseari fermentati se avete al tavolo giapponesi o cinesi; non li gradiscono e sembra che non siano digeribili per loro a causa dell'assenza di alcuni enzimi intestinali. Nell'abbigliamento, le donne evitino vestiti sgargianti e profumi intensi. Lo stesso vale nell'occidentalissimo Canada, dove il profumo infastidisce quanto una sigaretta. E, per finire, non lasciate la mancia, sarebbe un'offesa, dal momento che il lavoro per loro è una missione. Anche in Cina è molto apprezzata ogni forma di autocontrollo. Durante le presentazioni si osservano rigidamente le regole e le gerarchie, che vedono al primo posto sempre l'uomo più anziano e la persona di maggior prestigio. La cosa vale anche per la conversazione: vietato toccare argomenti delicati. Gli inviti sono rari e di norma sono intorno alle 18, perché dopo le 21 i trasporti pubblici sono scarsi. I regali sono graditi, ma devono essere estesi a ogni componente della famiglia. A tavola si aspetta sempre che sia chi invita a dare i tempi. Accanto al vino ci sarà una coppetta per il tè, mentre l'acqua non è prevista. In Israele usate i biglietti da visita, vi serviranno, ci tengono molto a ruoli e cariche. Gli anziani godono giustamente di grande rispetto e, quando entrano in una stanza, ci si alza in piedi. Nella conversazione tutto è permesso, tranne ovviamente riferimenti alla questione palestinese. Sono apprezzati i fiori e una bottiglia di vino come regali per i padroni di casa.

Pagina 149

La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

192088
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 1 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
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Se ode, pertanto che due si bisticcino insieme, s'affretta a parlare coll'una, ad abboccarsi coll'altra, spiega, appiana, concilia le opposte ragioni; e le rivali, che non guardavansi in faccia, si abbracciano pacificate, contente. Scusa colla maestra le scappatelle delle piccine, nasconde que' lor mancamenti a cui possa riparare da sè ; per tutte perora, prega, intercede. Angelo vero di pace, è adesso l'amore del collegio in cui vive; diverrà un giorno la benedizione di casa sua.

Pagina 75

Marina ovvero il galateo della fanciulla

193663
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
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Mettete insieme due ragazze, che non si siano pur mai vedute, non son passati cinque minuti che si abbracciano, si baciano, si fanno le più intime confidenze, non possono più star separate, si dicono nate l'una per l'altra, si siedono accanto, si parlano all'orecchio, ridono, piangono, si allontanano dalla compagnia per essere più in libertà; non guardano più le antiche amiche, tutto il mondo è lì. Dimani s'incontra un'altra ragazza, s'abbandona la prima per darsi tutta alla nuova. Queste amicizie d'un giorno, fatte a vapore, erano biasimate da Marina, e raccontava non pochi inconvenienti, nati da questi rapidi passaggi di amicizie, come segreti di famiglia e di qualche importanza, confidati all'orecchio dell'amica, la quale al dimani confidava ad un' amica nuova, per essere di lì a poco confidati ad altre e altre; e così nel giro di brevi giorni una confidenza intima diventava il segreto di Pulcinella. Spesso accade ancora che la fanciulla, abbandonata dall'amica di ieri, si rode di dispetto, e per vendetta fa delle accuse, e quindi la maldicenza e le recriminazioni, che disseccano le purissime vene dell'affetto. Onde quella concordia, che Marina notò sul principio in tutte le allieve, s'accorse che era solo di apparenza, solo alla superficie; ma sotto vi erano le piccole società, le fazioni, le passioncelle, i risentimenti, i dispettuzzi, le malignità. Cresciuta più negli anni e indagato meglio il cuore umano, trovò che quello che si scambia generalmente per affetto e amicizia, non è che amor proprio, o meglio amor di sè, egoismo bello e buono, e non amore degli altri; il che deve essere ben distinto. L'amore vero è l'antagonista dell'egoismo e dell'amor proprio; l'amore non dimanda nulla per sè, ma tutto per altrui; quando s' ama davvero, la nostra vita passa fuori di noi e si riversa sopra un' altra persona; laddove l'amor proprio rivolge tutto a sè, non pensa che a sè, cerca persone per parlar di sè, per narrare i suoi piaceri, per farsi compassionare nelle sventure, e invidiare nelle prosperità; e quindi siam sempre 1ì col nostro: io qui, io là; ma io ho fatto, io ho detto, che reca sazietà nell'amichevole conversare. L'amor proprio nasce da una sensibilità vivissima, che genera due inclinazioni troppo diverse, quali sono, di amare e il desìo di provar emozioni; le quali due disposizioni sono nella donna in grado eminente, perché come è facile a commuoversi e a maravigliarsi, altrettanto sente necessità di amare; e qui sta bene ricordare il nobile detto di Madama di Stael: che l'amore per l'uomo è un episodio, e per la donna è la storia di tutta la vita. Se non che il più delle volte piuttosto che amore è desiderio di piacere e di essere amata, che la domina; ed ecco qui l'amor proprio, che di nuovo fa capolino, il quale facilmente si scambia per una virtù; la vanità esagera le nostre facoltà, e presto ci persuadiamo di essere necessari; e quindi non crediamo mai d'essere stimati ed amati, quanto meritiamo, di qui quella sazietà dell'amica, quando non ha più nulla da comunicarci per farci maravigliare e commuovere, e quel cercare altre amicizie, altre emozioni, alimento che sempre manca, e sempre si cerca (1). La signora Bianca, che tanto bene sapeva distinguere l'egoismo attraverso agli affetti, aveva fin dai teneri anni cercato di sviluppare in Marina quegli amori, che non hanno ritorno, che vanno fuori di noi, che non portano compenso; come la cura de' fiori, degli uccelli; la protezione degli infelici. E forse anche questo contribuì a rendere Marina amorevole e generosa, ricca di affetto, senza cercar mai ricompensa; se non era la ricompensa più sublime, che sta nell'approvazione della coscienza, la ricompensa che Dio infonde nel cuore ben nato quando fa del bene. (1)V.M me NECKER DE SAUSSAURE, L’èducation progressive.

Pagina 34

Le buone usanze

195467
Gina Sobrero 1 occorrenze
  • 1912
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Esse si alzano ogni volta che entra una visitatrice; abbracciano le loro coetanee, se intime; porgono modestamente la mano, accompagnando l'atto con un inchino, alle signore maggiori d'età; cedono a queste il posto migliore; non fanno capannelli e clamorose risate colle loro amiche; si occupano un po' di tutti, anche se il farlo costerà il sacrifizio del loro piacere, e specialmente poi si occupano di quelli che l'umiltà della condizione o la timidezza del carattere lasciano un po' in disparte nella conversazione generale. Quando c'è la mamma, non tocca alle figliuole tenere animate le chiacchiere, anzi si mostrino bene attente a non interrompere il discorso con contraddizioni ed osservazioni; ma se esso languisce, possono benissimo, con una frase detta a tempo, con una parola sempre buona, animare un circolo di signore anche attempate. In fondo, per una fanciulla, quello del ricevimento e un po' un giorno di sacrifizio; ma essa faccia che sia anche un giorno di scuola, una lezione di quella vita mondana che più o meno dobbiamo vivere tutti. La signorina accompagna le visitatrici alla porta del salotto dove le ha incontrate, e, in mancanza del domestico o della cameriera, apre loro pure la porta di casa senza derogare affatto alla sua dignità; le incarica di saluti per la mamma, per le figlie, per le sorelle, mai per i parenti maschi. Se l'ospite è un uomo, la signora non si alza mai; è però autorizzata a porgere la mano a quello che, venuto in casa sua, ella ha diritto di considerare accetto ai suoi genitori; non lo riaccompagna fuori, può incaricarlo di saluti, non di baci per la sua famiglia. Se, contemporaneamente a questo visitatore ci sono delle signore, ella deve un po' trascurarlo, anche se egli rappresenta per lei il principe grazioso, che le darà un giorno tutte le gioie della vita. Il breve sacrifizio le sarà compensato dall'acquisto della fama, che non potrà mancarle, di dama perfetta, di donna che sa dominare i propri sentimenti, qualità inapprezzabili nel nostro sesso fatto tutto di impressioni e di slanci. Non dirà mai male di nessuno, prima perchè, in questo caso, la regola dell'educazione è fatta più autorevole dal consiglio della coscienza, e poi perchè può, anche senza volerlo, urtare i sentimenti dei presenti. Per massima, questo principio deve informare i suoi discorsi tanto a casa che fuori, colle amiche e coi conoscenti. Succede qualche volta che, con poco riguardo per i sentimenti altrui, si tengano in un salotto discorsi un po' troppo liberi; si parla di scandali della società. Ora una fanciulla non vi deve partecipare; però è inutile che abbia l'aria di scandalezzarsi, di sentirsi offesa; oramai all'ingenuità nessuno crede più, anzi io la autorizzo perfino, se si tratta di una sua amica, a mettere una buona parola, mitigare la severità dei giudizi emessi; il suo desiderio di fare del bene, di difendere la accusata, farà migliore impressione che tutte le sciocche maniere di una virtù che vuol parere oltraggiata. E quest'idea l'accompagni sempre in tutta la vita famigliare e in quella della società. Tanto in questi ricevimenti settimanali che nelle serate che in sua famiglia offre agli amici, la signorina deve vestire con grande semplicità, deve cercare di eclissarsi, anzichè di primeggiare sulle compagne; non intenda con questo di far la cenerentola, che anzi sarebbe di pessimo gusto mostrare trascuratezza. Le sono permessi gli abiti chiari adatti alla sua freschezza, al suo tipo, ma le guernizioni ed i gioielli li conservi per quando è ella stessa invitata. Non tutte le sue ospiti hanno uguali mezzi di fortuna ed ella dà prova di bontà dimenticando la propria soddisfazione, sacrificandosi per non dar loro ombra. Se la riunione ha per iscopo un ballo, ella deve saper rinunziare al piacere di un valtzer, di una quadriglia, quando la mancanza di cavalieri obbliga un'altra fanciulla a star seduta; vicina alla mamma riceve gli invitati via via che entrano, presenta i giovanotti alle sue amiche, accompagna le signore, che non ballano, ai loro posti, e non le dimentica durante la serata; chiede loro soventi se hanno desiderio di qualche cosa, di un rinfresco, osserva che siano in posizione da non aver a soffrire per le correnti d'aria o per le pestate dei ballerini. Se la sua mamma non balla più, è generalmente lei che apre il ballo con l'ospite di più riguardo; ma può rinunziare al suo diritto, quando, per esempio, si tratti di un ballo ufficiale e si trovi tra le ballerine una signora, moglie di un alto funzionario superiore, dipendente o collega del padre. La padrona di casa è costretta ad intrattenere chi la onora della sua presenza, quindi è la fanciulla che presiede il servizio del tea, alla dispensa, magari alla cena; ella deve dunque badare a non trascurare nessuno; la riuscita della festa affidata al suo tatto. Lo so che, a conti fatti, sono queste per lei ore piuttosto di fatica che di piacere; ma prenderà la sua rivincita in altre serate in cui, grazie alla sua provata bontà, troverà pari accoglienze festose e cordiali. Per i ricevimenti intimi, le occorre pure fare provvista di una gran dose di pazienza; se l'intimità è tale da permettere un lavorino, si prepari un ricamo leggiadro, qualche cosa che non richieda troppa attenzione; mai niente di vecchio da rattoppare, niente che dispiaccia all'occhio; sono bellissimi ed utili lavori, ma la giornata è tanto lunga che un'affettazione ed una scortesia ad un tempo, serbarli proprio all'ora destinata alla conversazione. Non è affatto bello vedere una donna appassionata del giuoco, pure mi pare necessario che una gentile padroncina di casa impari alcuni di quei giuochi che sono di moda secondo le epoche e che le permettono di rendersi utile alle persone che non possono più lavorare alla luce delle lampade e che non si appassionano della musica. Se possiede un bel talento di musicista e una bella voce, canti e suoni senza farsi pregare, ma non affligga il suo uditorio con un'arte imperfetta, o con una filza interminabile di pezzi troppo difficili per le generali cognizioni. Se per una circostanza qualsiasi venne invitata a casa sua un'artista o una delle sue maestre, tocca alla giovane allieva occuparsene in maniera che l'ospite si senta apprezzata per quello che vale, e non abbia a supporre che l'invito fu fatto a vantaggio della famiglia che la riceve.

Pagina 21

Eva Regina

203307
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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Gli sposi si abbracciano con un senso nuovo di tenerezza e di rispetto. Un elemento sacro è penetrato nel loro amore e lo purifica, e lo eleva, e lo rassoda e se più tardi, nella vita, quando le cir- costanze, la fatalità, la caducità dei sentimenti umani, potranno aver allontanato quei due cuori, se volessero rivivere l' ora del passato, ricordare le loro giovani pupille piene di lacrime d' emozione, certo qualche cosa di nobile e di salutare tornerebbe in essi a fiorire. La giovane sposa ritorna sorridente, ritorna fiduciosa e tranquilla. Era la vita, ed essa l' aveva creduta la morte ! Un nuovo coraggio le viene e le fa sopportare, adesso, con pazienza e fortezza ogni molestia, ogni male fisico. Intanto nuove forme d' attività s' impongono al suo desiderio e la tolgono dall' inerzia dove languiva. Bisogna ch' ella prepari al caro ospite futuro un' accoglienza uguale all'importanza ch' egli ha per lei. E subito si occupa del minuscolo corredo di cui dirige la confezione, o che molte volte allestisce tutto da sè, dalle carnicine di finissima tela senza apparecchio, alle federe dei guanciali che ne accoglieranno il tenero corpicino : dai corpetti di flanella soffice ai bavagliolini trinati; dalle calze da bambola all'abito lungo, aperto dietro, e alla cuffietta infioccata per le prime comparse nel mondo. E poi gli altri indumenti di prima necessità che la mammina moderna sceglie secondo le ultime regole dell' igiene e prepara in grande abbondanza ; il ricco abito battesimale, a trine, a ricami, ma tutto bianco : la culla, infine, la beata navicella dalla candida vela vaporosa alla cui ombra essa si assiderà. Dolci ore di tranquilla opera nell' attesa sacra ! Stanno forse tra le più belle della vita. I disturbi dei primi mesi sono passati : il piccolo essere incognito dà già segni della sua esistenza nel grembo materno con sussulti lievi` a cui ella risponde con altrettanti sorrisi. Egli pare dire : « Son io, mi senti ? io, informe ancora, che tu nutrisci e completi col tuo sangue e col tuo respiro : io, che morrei se tu morissi, e che ho bisogno di te ! » Ed ella risponde : « Sei tu ? tu, misteriosa anima, accesa in me da misteriose origini: sei tu che non conosco ancora, figlio o figlia ? Sei tu, che assorbi ora tutta la mia vita, tu che non vedo ma che già così profondamente amo ? » La giovane mamma cuce il corredino, intanto, e le giornate scorrono in una monotonia piena di dolcezza : ogni scossa le vien risparmiata, ell' è l' oggetto di tutte le cure ognuno ha sul labbro per lei un augurio, una benedizione, una parola gentile, e tutti i suoi pensieri, tutti i suoi disegni, tutte le sue opere sembrano avvolti in un profumo mistico, circonfusi da un' aureola d'oro.

Pagina 142

L'uccellino azzurro

212817
Maeterlink, Maurice 1 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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(I nonni e i bambini si abbracciano calorosamente). NONNA TYL Come sei diventato grande e forte, Tyltyl mio! NONNO TYL (accarezzando i capelli di Mytyl) E Mytyl!... Guarda!... Che bei capelli, che begli occhi!... E che dolce fragranza!... NONNA TYL Abbracciamoci ancora... Venite, venite sulle mie ginocchia.... NONNO TYL E a me? Niente?... NONNA TYL No, no, prima io.... Come stanno il babbo e la mamma?... TYLTYL Benone, nonnina.... Quando siamo usciti dormivano.... NONNA TYL (contemplandoli e coprendoli di carezze) Dio mio, come sono belli, e che belle faccine pulite!.. Chi ti ha lavato il viso?... La mamma, non è vero?... E che miracolo, le calze senza buchi!... Le rammendavo io, una volta.... Perchè non venite a trovarci più spesso?... Ci fa tanto piacere!... Da mesi e mesi ci avete dimenticati e non vediamo più nessuno.... TYLTYL Non potevamo venire, nonnina; e se siamo venuti oggi, è merito della Fata. NONNA TYL Stiamo sempre qui, aspettando una visitina da coloro che sono ancora al mondo.... Vengono così di rado!... L'ultima volta che siete venuti, vediamo, quando fu?... Per Ognissanti, quando la campana della chiesa ha sonato.... TYLTYL Per Ognissanti, dici?... Ma se non siamo usciti di casa, quel giorno!... Eravamo tanto infreddati.... NONNA TYL No, ma avete pensato a noi.... TYLTYL È vero.... NONNA TYL Ebbene, ogni volta che pensate a noi, ci destiamo e vi rivediamo.... TYLTYL Come! Basta che.... NONNA TYL Andiamo, via, lo sai bene.... TYLTYL No, ti assicuro, non lo so... NONNA TYL (a Nonno Tyl) Son curiosi, lassù.... Non sanno ancora niente.... Non imparano dunque niente?... NONNO TYL È come al tempo nostro. I vivi sono così sciocchi quando parlano degli Altri.... TYLTYL Ma voi dormite sempre?... NONNO TYL Sì, e dormiamo anche profondamente, aspettando di essere destati dal pensiero dei Vivi.... è dolce dormire quando la vita è finita.... Ma però è dolce anche destarsi di tanto in tanto.... TYLTYL Ma allora.... non siete morti per davvero?... NONNO TYL Che cosa dici mai?... Senti che cosa dice!... Usa delle parole che non comprendiamo.... È forse una parola nuova, inventata da poco?... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino Azzurro. 5 TYLTYL Che cosa?... La parola «morto»?... NONNO TYL Sì, ecco: quella parola lì.... Che cosa vuol dire?... TYLTYL Oh bella, vuoi dire che non si è più vivi.... NONNO TYL Oh, come sono sciocchi, lassù!... TYLTYL Si sta bene qui, nonnino?... NONNO TYL Sì, non c'è male.... E si starebbe anche meglio se lassù pregassero ancora per noi.... TYLTYL Il babbo dice che non occorre più di pregare.... NONNO TYL Sì, sì.... Pregare vuol dire ricordare... NONNA TYL Si starebbe tanto bene, se però veniste più spesso a trovarci!... Ti ricordi, Tyltyl?... L'ultima volta, avevo fatta una bella torta di mele.... Ne hai mangiata tanta, che t'ha, fatto male.... TYLTYL Io?... Ma se non ne ho più mangiate, di torte di mele, dall'anno passato in qua!... Non ci sono state mele quest'anno.... NONNA TYL Non dire sciocchezze.... Qui ce ne sono quante ne vuoi.... TYLTYL Non è la, stessa cosa,.... NONNA TYL Come?... Non è la stessa cosa?... Ma tutto è lo stesso, poichè possiamo rivederci!... TYLTYL (guardando alternativamente il Nonno e la Nonna). Non sei punto mutato, nonnino, punto punto.... E nè anche la nonnina.... Ma però siete diventati più belli.... NONNO TYL Sì, non possiamo lamentarci.... Non invecchiamo più.... Ma voi, come siete diventati grandi!... Eh sì, crescete, crescete.... Guardate, là, sulla porta, c'è ancora, il segno fatto l'ultima volta che vi ho misurati.... Era la festa d'Ognissanti.... Vediamo, mettiti qua, dritto!.... (Tyltyl si mette ritto contro la porta). Quattro dita più alto!... Via, non c'è male.... (Anche Mytyl si mette ritta contro la porta). E Mytyl, quattro dita, e mezzo!... Ah, ah!... Come cresce, come cresce la mal'erba!... TYLTYL (guardando intorno a sè, rapito) Ogni cosa è rimasta, la, stessa... tutto è al posto di prima!... Ma tutto è più bello però!... Ecco là l'orologio con la sua lancetta, a cui avevo rotto la punta.... NONNO TYL Guarda la, zuppiera, sbocconcellata quel olorno.. Ti ricordi?... TYLTYL Ecco il buco che feci sulla porta il giorno che presi di nascosto il tràpano!... NONNO Tyl, Eh sì, puoi dire di averne fatte, delle monellerie.... E lo vedi, il susino sul quale ti arrampicavi approfittando della mia assenza?... Ha sempre le sue belle susine rosse.... TYLTYL Queste sono molto più belle!... MYTYL Guarda, guarda il vecchio merlo!... Canta ancora?... (Il merlo si desta e incomincia a cantare a squarciagola). NONNA TYL Che cosa ti dicevo?... Appena si pensa a lui... TYLTYL (notando con meraviglia che il merlo è perfettamente azzurro) Guardai, guarda, è azzurro!... Ma allora, è lui, l'Uccellino Azzurro che devo portare alla Fata!... E voi, perchè non m'avete detto che si trovava qui?... Oh com'è azzurro, azzurro azzurro come una pallina di vetro azzurro!... (con accento supplichevole). Oh nonnino, nonnina cara! Me lo regalate? Me lo regalate? NONNO TYL Vedremo.... Forse sì.... Che ne dici, nonnina?... NONNA TYL Sì, sì.... Per quello che ci sta a fare, qui.... Non fa che dormire.... Non si sente mai.... TYLTYL Ora lo metto nella gabbia che ha portato con me.... Ma, dov'è?... Ah, già, l'ho lasciata dietro quell'albero grande.... (Corre verso l'albero, ritorna con la gabbia e vi rinchiude il merlo). Allora me lo regalate davvero?... Come sarà contenta la Fata!... E anche la Luce!... NONNO TYL Però, sai, non garantisco nulla....Temo che non possa più abituarsi alla vita agitata di lassù, e che torni qui alla prima occasione.... Ma vedremo.... Lascialo stare ora e vieni a vedere la mucca.... TYLTYL (osservando le arnie) E le api, dimmi, come stanno ? NONNO TYL Non c'è male.... Non sono più vive nè anch'esse, come dite voialtri lassù; ma però lavorano sodo lo stesso.... TYLTYL (avvicinandosi alle arnie) Eh, sì, infatti, si sente l'odore del miele.... Devono pesare, le arnie!... I fiori sono così belli, qui!... E le mie sorelline morte sono qui anche loro?... MYTYL E dove sono i miei tre fratellini che erano stati messi sotto terra?... (A queste parole, sette bambini di diversa statura escono fuori dalla casa uno dietro l'altro in ordine di altezza). NONNA TYL Eccoli!... Eccoli!... Sbucano, fuori appena si pensa a loro, appena si parla di loro!... (Tyltyl e Mytyl corrono incontro ai bambini. Si spingono a vicenda, si abbracciano, ballano, girano in tondo vertiginosamente gettando grida di gioia). TYLTYL Guarda, guarda Pierino! (Si prendono per i capelli). Si fa alla guerra, come una volta?... E Roberto!... Buongiorno, Giovannina! E la trottola? Non ce l'hai più?... Guarda, guarda, Maddalena e Pierina, e anche Enrichetta.... MYTYL Enrichetta! Enrichetta! Cammina ancora carponi!... NONNA Tyr, Già, non cresce più.... TYLTYL (scorgendo il cagnolino che saltella intorno a loro) Guarda Kikì, con la coda tagliata, tagliata da me con le forbici di Paolinal... Non è mutato affatto, nè anche lui.... NONNO TYL (con solennità) No, qui nulla muta più.... TYLTYL E Paolina ha sempre quella bolla sul naso!... NONNA TYL Sì, non vuol andarsene.... Non ci si può far nulla.... TYLTYL Oh, come si vede che stanno bene, come sono lustri e grassi!... Che belle guance!... Sono proprio ben pasciuti.... NONNA TYL Stanno meglio, infatti, da quando non son più vivi.... Non c'è più nulla da temere per loro, nessuno più è malato, non c'è più ragione d'inquietudini.... (L'orologio, dentro alla casa, suona le otto). NONNA TYL (con stupore) Che cos'è ?... NONNO TYL Non saprei davvero.... Dev'essere l'orologio.... NONNA TYL È impossibile.... Non suona mai le ore... NONNO TYL Perchè non pensiamo più alle ore.... Ma forse qualcuno ci ha pensato?... TYLTYL Ci ho pensato io, sì!... Che ore sono?... NONNO TYL In verità, non lo so.... Ho perduto l'abitudine.... Ma l'orologio ha sonato otto colpi: devono dunque esser le otto, come dicono lassù. TYLTYL La Luce mi ha dato appuntamento per le otto e tre quarti.... È per via della Fata.... Si tratta di una cosa importantissima.... Scappo. NONNA TYL Vuoi andartene proprio all'ora di cena?... Presto, presto, apparecchiamo la tavola davanti alla porta.... C'è per l'appunto una squisita zuppa di cavoli e una bella torta di susine (Portano fuori la tavola, la mettono davanti all'uscio di casa. Tutti aiutano a preparare la tavola: chi porta i piatti, chi le posate, ecc.). TYLTYL Tanto, l'Uccellino Azzurro ce l'ho già.... E poi è tanto tempo che non mangio la zuppa di cavoli!... Da quando sono in viaggio.... Negli alberghi non la danno mai.... NONNA TYL Ecco!... È pronto.... A tavola, bambini.... Non perdiamo tempo, se avete fretta di andarvene.... (La lampada è accesa, la minestra è scodellata. I nonni e i bambini siedono a mensa, dandosi l'un l'altro delle spinte, delle gomitate, con grida e risate allegre). TYLTYL (mangiando con ghiottoneria) Com'è buona!... Dio, com'è buona!... Ne voglio ancora!... Ne voglio ancora!... (Batte rumorosamente sul piatto col cucchiaio di legno). NONNO TYL Via, via, un po' di calma.... Sei sempre lo stesso maleducato di una volta.... Bada, rompi il piatto.... TYLTYL (rizzandosi sullo sgabello) Ne voglio ancora! Ne voglio ancora!... (Riesce ad afferrare la zuppiera, che attira a sè. Questa si rovescia, e la minestra si versa sulla tavola e sulle ginocchia dei commensali. Grida e urli). NONNA TYL Vedi! Te l'avevo detto.... NONNO TYL (dando a Tyltyl un sonoro schiaffo) Questo è per te!... TYLTYL (rimane un istante sconcertato; poi, portando la mano alla guancia, tutto contento) Sì!... Erano proprio eguali a questo, gli schiaffi che ci davi quando eri vivo!... Nonnino, come mi piace e come fa bene!... Lascia che ti abbracci.... NONNO TYL Bene, bene. Te ne dò un altro, se ti fa tanto piacere.... (L'orologio suona la mezza). TYLTYL (con un sussulto) Le otto e mezzo!... (Getta via il cucchiaio). Mytyl, abbiamo appena il tempo di andare.... NONNA TYL Via, restate ancora un minuto.... Non brucia mica la casa.... Ci vediamo così di rado.... TYLTYL È impossibile.... La Luce è tanto buona.... E le ho promesso.— Andiamo, Mytyl, andiamo.... NONNO TYL Dio, come sono noiosi i Vivi con tutte le loro faccende e le loro agitazioni!... TYLTYL (prendendo la gabbia e abbracciando tutti in gran fretta) Addio, nonnino.... Addio, nonnina.... Addio fratellini, sorelline, Pierino, Roberto, Paolina, Maddalena, Entrichetta!... E addio anche a te Kikì!... Non possiamo proprio trattenerci di più.... Non piangere, nonnina, torneremo spesso.... NONNA TYL Tornate ogni giorno!... TYLTYL Sì, sì !... Torneremo più spesso che sia possibile.... NONNA TYL È la nostra sola gioia, è una festa per noi quando venite a trovarci col vostro pensiero!... NONNO Tu, Non abbiamo altre distrazioni.... TYLTYL Presto, presto!... Datemi la gabbia! NONNO TYL (porgendogli la gabbia) Eccola!... In quanto all'uccello, però, non garantisco nulla: se il colore non è buono.... TYLTYL Addio! Addio!... I FRATELLINI E LE SORELLINE Addio, Tyltyl!... Addio, Mytyl!... Ricordatevi dello zucchero filato!... Addio!.. Tornate!... Tornate presto!... (Tutti agitano i fazzoletti, mentre Tyltyl e Mytyl si allontanano lentamente. Ma già durante le ultime battute la nebbia si era gradatamente fatta più densa, e il suono delle voci si era affievolito: in modo che alla fine della scena tutto sparisce nel fitto della nebbia. Quando sta per calare il sipario, si scorgono ai piedi della quercia soltanto Tyltyl e Mytyl). TYLTYL Passiamo di qua, Mytyl.... MYTYL Dov'è la Luce?... TYLTYL Non lo so.... (guardando l'uccello dentro la gabbia). Oh bella!... L'uccellino non è più azzurro!... È diventato nero!... MYTYL Dàmmi la mano, fratellino.... Ho tanta paura.... Ho tanto freddo.... CALA LA TELA.

Quartiere Corridoni

216400
Ballario Pina 1 occorrenze
  • 1941
  • La libreria dello Stato
  • Roma
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Le bambine, più assestate, non vociano, abbracciano le amiche, circondano le insegnanti, domandano come hanno passato le vacanze. Campanello! Divisi per classi, tutti si infilano in cortile o nella palestra per l'inaugurazione dell'anno scolastico. Ascoltano il discorso del direttore, applaudono gli alunni che ricevono il premio, cantano gli inni della giovinezza e della Patria. All'uscita, grandi e piccini, alunni, maestri, famiglie degli alunni sono commossi come a uno scambio di consegne. La famiglia consegna alla scuola i suoi bambini, la scuola li accoglie. Insieme, scuola e famiglia li educano e li crescono degni della Patria.

Pagina 10

C'era due volte il barone Lamberto

219698
Gianni Rodari 1 occorrenze
  • 1996
  • Edizioni EL - Einaudi Ragazzi
  • Trieste
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La signora Zanzi e la signora Merlo si abbracciano per la gioia, confidandosi che loro l'avevano sempre pensato. Il signor Armando ci resta di gesso, perché un pensierino su Delfina l'aveva fatto anche lui. Il signor Bergamini e il signor Giacomini battono le mani e si permettono di scherzarci sopra: — A quando i confetti? — Viva la signora baronessa! — Un momento, — dice Delfina, senza scomporsi, non ho ancora detto la mia opinione. — Dica di sí, Delfina, — insiste il barone, — e questo sarà il piú bel giorno della mia vita. — Invece dico di no. Sorpresa, esclamazioni, commenti vari: «Ma che maniera di buttar via la fortuna!», «Ecco, non le basta un barone, forse vuole un principe azzurro», «È perfino maleducazione, rispondere di no a un signore cosí perbene!» — È proprio un «no-no», o è soltanto un «no-forse», oppure un «no-vedremo», o magari un «no-aspettiamo un po' di tempo»? — incalza il barone. — Mi lasci qualche speranza. Mi dica almeno «ni». — Ma neanche per sogno. Per il momento il matrimonio è l'ultimo dei miei pensieri. — E il primo qual è? — domanda il signor Armando. — Il primo, — dice Delfina, — è di capirci qualcosa in tutto questo pasticcio. Il barone ci aveva promesso una spiegazione. — Piú che giusto, — sospira il barone (quante volte gli tocca sospirare, oggi). — Vi dirò tutto. — Era ora, — commentano i ventiquattro direttori di banca, che si sono infilati anche loro nella soffitta (i ventiquattro segretari sono rimasti fuori sulle scale, per assoluta mancanza di spazio). — L'anno scorso, in ottobre, mi trovavo in Egitto... Il barone Lamberto rivela il suo segreto. Racconta ogni cosa per filo e per segno, mentre Anselmo fa di sí, di sí con la testa. Anselmo, anzi, interviene una volta per ripetere le parole precise del santone arabo incontrato per caso all'ombra della Sfinge: «Ricordati che l'uomo il cui nome è pronunciato resta in vita». Tutto ora diventa chiaro alla mente dei ventiquattro direttori di banca. Essi passano dal sospetto alla commozione. Quando il barone arriva al punto in cui i banditi gli tagliano prima l'orecchio poi il dito, essi non resistono: cadono in ginocchio, gli baciano le mani, specialmente il dito nuovo. Qualcuno gli bacia anche l'orecchio. Quando il barone arriva al momento in cui si sveglia nella cassa da morto, la signora Merlo si fa il segno della croce e la signora Zanzi, appassionata del gioco del lotto, mormora tra sé: «Morto che parla fa quarantasette». Anselmo piange e lascia cadere due o tre volte l'ombrello, che i direttori di banca si chinano a raccogliere per mettersi in vista. — Ecco, — dice il barone, — questo è tutto. E ora, che ne direste di fare un brindisi alla salute dei presenti? — A proposito di salute, — dice Delfina, — se ho capito bene, siamo noi che le abbiamo restituito la sua. — Certo. — E senza nemmeno essere dottori, — prosegue Delfina. — Siamo proprio meglio dei maghi. Abbiamo mantenuto in vita questo gran signore con la nostra voce. Con il nostro lavoro. Di cui non comprendevamo nemmeno il significato. Per settimane, per mesi, quassú a ripetere il suo nome come pappagalli, senza sapere perché. A proposito, un disco o un nastro registrato, non avrebbero ottenuto lo stesso effetto? — No, signorina, — spiega Anselmo. — Avevamo fatto qualche esperimento, ma non funzionava. — Ci voleva la voce umana, — dice Delfina, — ci volevano i nostri polmoni. Per mesi abbiamo tenuto nelle nostre mani la vita del barone Lamberto senza saperlo, senza nemmeno sospettarlo... — Già, — esclama il signor Armando, sorpreso, avremmo magari potuto chiedere un aumento di stipendio. — Di più, — scopre il signor Giacomini, stupito, — avremmo potuto chiedere anche un miliardo. Lei, signor barone, ce lo avrebbe dato un miliardo. Lei, signor barone, ce lo avrebbe dato un miliardo, se glielo avessimo chiesto? — Si capisce, — ammette il barone, — anche due. — Ma allora, — balbetta il signor Bergamini, sbalordito, — allora, in un certo senso, siamo stati... truffati. — Macché truffati! — esplode il direttore della banca di Singapore. — Siete stati pagati benissimo. Ma senti che roba! — La manodopera, — commenta il direttore della banca di Zurigo, — ha sempre delle pretese scandalose. — Adesso però, — dice Delfina, — non serviamo piú. — Per carità! — si affretta a dire il barone. — Avrò bisogno di voi come prima, a qualunque prezzo. — No, signor barone! — grida dal fondo delle scale uno dei segretari. — Questo no! — Come? Chi è che si permette? Resti al suo posto, lei! Faccia silenzio! Sembra che i ventiquattro direttori generali vogliano saltare tutti insieme sul povero piccolo segretario, per schiacciarlo con il loro peso. — Piano, piano, — fa il barone incuriosito, — lo lascino dire... Venga su, lei, parli apertamente. — Signor barone, — dice il segretario, emozionatissimo, — lei non ha piú bisogno di nessuno. Sono ore che nessuno pronuncia piú il suo nome, eppure lei, a quanto pare, continua a vivere, non accusa disturbo veruno e non accenna minimamente ad invecchiare. — È vero! — esclama Anselmo. — È proprio vero, signor barone! — È vero, è vero, — gridano, al colmo dell'entusiasmo, i ventiquattro direttori di banca. Delfina e i suoi amici si guardano. Il barone guarda Delfina. Sembra che la storia stia arrivando a una svolta decisiva. — Anselmo, — dice il barone, — controlliamo. Anselmo cava di tasca il suo libriccino e comincia il controllo delle ventiquattro malattie, del sistema scheletrico, del sistema muscolare, del sistema nervoso, dell'apparato circolatorio, eccetera eccetera. È tutto a posto. Non c'è una sola cellula che faccia i capricci. La circolazione dei reticolociti è in aumento. — Interessante, — mormora il barone, — interessante. Mi sento come nei miei giorni migliori. Come mai? — Signor barone, — insiste il piccolo segretario, deciso a far carriera, — il perché è chiarissimo. Lei è rinato, signor barone! La sua vita di prima, quella che era appesa al filo della voce di questi... di questi sei... di questi signori, è finita. Là fuori, sul lago, è cominciata per lei una seconda vita. Lei non ha piú bisogno di nessuno! Di nessuno! — Interessante, — ripete il barone, — dev'essere proprio cosí. Mi sento veramente rinato. Quasi quasi prenderei un altro nome, per dimenticare quello di prima. Che ne direste di Osvaldo? — Mi permetto di consigliare Renato, — osa ancora il piccolo segretario. — Perché? — Renato vuol dire, appunto, nato due volte. E poi... e poi... col suo permesso, anch'io mi chiamo Renato. — Bravo, — dice il barone. — Ragazzo intelligente. Anselmo, segnati cognome e indirizzo. Merita una promozione. Dunque, mi pare che a questo punto possiamo sciogliere l'assemblea. — E noi? — domanda la signora Merlo. — Siamo licenziati? — domanda il signor Armando. — Avremo almeno la liquidazione? — domanda il signor Bergamini. I ventiquattro direttori di banca protestano in coro: — Anche la liquidazione! Ma dove andremo a finire? Il barone Lamberto-Renato, invece, sorride. Strano sorriso, però. Sembra che stia pensando di fare uno scherzo a qualcuno. Uno scherzo maligno... — Ma sí, — dice dopo aver sorriso per un centinaio di secondi, — la liquidazione ci vuole. Anselmo, prepara per ciascuno di questi tre egregi signori e di queste gentili signore... un sacchetto di camomilla. Scegli l'annata migliore. Consiglierei... Tibet del Settantacinque. — Bravo! — approvano i direttori di banca e i loro segretari. — Bravissimo! — grida il piccolo segretario Renato, per battere il ferro finché è caldo. Delfina e i suoi amici restano silenziosi e meditabondi. Anche perplessi. Anche indignati. Cinque paia d'occhi fissano Delfina. Forse lei ha una buona risposta pronta. Si capisce che la sta pensando da come corruga le sopracciglia, da come si batte col dito medio sul ginocchio. Anche il barone Lamberto guarda Delfina con curiosità. Lei per un pezzo resta zitta fissando un punto nell'aria, non si capisce esattamente dove, forse una trave del soffitto, forse un vetro della finestra, dietro il quale passa maestosamente una nuvola bianca. — D'accordo, — essa dice finalmente, tra la sorpresa generale, — accettiamo il dono generoso del signor barone. — Le sue camomille sono piú profumate delle rose di Bulgaria. Ma noi non vogliamo essere da meno di lui, vero? Ho pensato che anche noi possiamo regalargli qualche cosa... — Piú che giusto, — approva il direttore della banca di Singapore. — Fate una colletta con i vostri risparmi e regalate al barone Lamberto un oggetto ricordo d'oro o d'argento. — Un servizio da caffè, — propone un altro direttore. — Un orologio a cucú. — Un portachiavi a forma di isola di San Giulio. — Zitti, voi, — ordina il barone. — Ascoltiamo Delfina. — Grazie, signor barone, — dice Delfina, con un piccolo inchino. — Propongo dunque ai miei cinque compagni di offrire gratis al barone, per l'ultima volta, un saggio della nostra bravura. In fin dei conti egli non ci ha mai visti mentre pronunciavamo il suo nome. Siete pronti? E senza neanche guardare i suoi imbarazzati compagni, Delfina attacca: — Lamberto, Lamberto, Lamberto... Poi anche il signor Armando si fa coraggio e tira fuori la voce: — Lamberto, Lamberto, Lamberto... Uno alla volta gli altri si uniscono al coro: — Lamberto... Lamberto... Lamberto... «Belle voci, ottima pronuncia», pensa il maggiordomo Anselmo, soddisfatto: è stato lui, a suo tempo, a scegliere i sei dicitori tra centinaia di candidati. Il barone ascolta con un sorrisetto fermo come una vespa all'angolo della bocca. Poi il sorrisetto vola via. Al suo posto un'espressione di stupore gli si disegna su tutta la faccia. Anche i ventiquattro direttori, poco fa semplicemente curiosi e interessati, appaiono stupefatti. Delfina affretta il ritmo, battendo il tempo con la mano sul ginocchio e incitando con le occhiate e con i gesti i suoi compagni a far sempre piú in fretta. — Lamberto Lamberto Lamberto... Con l'allenamento che hanno, passano da sessanta colpi al minuto a ottanta, a cento, a centoventi... A duecento colpi al minuto sembrano sei diavoli scatenati che stiano litigando a colpi di scioglilingua. — Lambertolambertolambertolam... Sotto gli occhi dei presenti, sempre piú meravigliati, il barone Lamberto-Renato comincia a ringiovanire, ringiovanisce, continua a ringiovanire. Ora gli si darebbero venticinque anni. E un giovanotto che potrebbe partecipare ai Giochi Universitari, un attor giovane pronto a salire sul palcoscenico per interpretare parti da primo amoroso. Passa dall'età della laurea a quella della maturità classica. E non si ferma, perché Delfina e compagni non si fermano, non cessano di sparare il suo nome a velocità di mitragliatrice: — Lambertolambertolambertolamberto... Quando il barone è arrivato ad avere diciassette anni ed è già diventato cosí snello che i vestiti gli stanno larghi addosso, comincia anche a diventare piú piccolo, attraversando all'indietro l'età della crescita. — Basta! Basta! — grida il maggiordomo Anselmo, atterrito. I ventiquattro direttori hanno la bocca spalancata, ma non trovano parole da far uscire. Lamberto sembra un ragazzo nei panni del suo papà: i pantaloni sono molto piú lunghi delle gambe, i segni della barba sono spariti dalla sua faccia. Ora avrà quindici anni... — Lambertolambertolambertolamber... — Basta, per carità! Lamberto ha un'espressione sorpresa, non capisce bene quello che gli sta capitando... Si tira indietro le maniche della giacca che gli coprono le mani... Si tocca la faccia... Adesso avrà, sí e no, tredici anni... E ora Delfina smette di dire il suo nome e fa segno agli altri di smettere. Si fa un gran silenzio, si vede Anselmo che sparisce di corsa da qualche parte, ma torna quasi subito, portando un bel vestitino con i calzoni corti: — Signorino, si vuol cambiare d'abito? Questo è quello che le fu regalato nel millenovecento..., anzi nel milleottocentonovantasei... È un po' fuori moda, ma tanto carino. Venga, signorino, venga... Mentre Anselmo accompagna Lamberto in un'altra stanza a vestirsi da giovinetto, si sentono dei singhiozzi... È il segretario di nome Renato che si dispera. — Credevo, — egli dice a Delfina tra le lacrime, — che voi non aveste piú alcun potere sulla vita del signor barone. Ahimè, la mia carriera è finita! — Su, su, — lo consola Delfina, — non se la prenda, lei è tanto giovane, domani è un altro giorno, eccetera eccetera. — Mi dica almeno in che cosa ho sbagliato. — In questo, — gli spiega con pazienza Delfina, — che lei ha formulato una teoria ma non si è preoccupato di verificarla. — Ma è vero o no che il barone stava bene senza che piú nessuno pronunciasse il suo nome? — Forse durava ancora l'effetto del funerale, con tutta quella gente a nominarlo gratis. Ad ogni modo io ho voluto fare una prova. Intanto che c'ero, ho voluto anche vedere che cosa sarebbe successo introducendo nell'esperimento la variabile della velocità. È chiaro e distinto? — Altroché, — sospira Renato. — Lei ha proprio una mentalità sperimentale. Vorrebbe sposarmi? — No, naturalmente. — Perché? — Perché no. — Ah, capisco... Ma ecco che Lamberto ricompare, tenuto per mano da Anselmo, con l'aria di un ragazzetto sperduto e confuso. Si guarda in giro, senza saper che fare. Guarda i presenti come se non li avesse mai visti. Vede Delfina e un timido sorriso compare sul suo faccino. — Delfina, — dice, — vuole diventare la mia mamma? — Ci mancherebbe, — risponde Delfina. — Prima mi vuole per moglie, ora mi vuole per madre. Deve sempre attaccarsi a me per stare in piedi? Lamberto sembra sul punto di piangere. Proprio in quel momento il direttore generale della banca di Singapore, che si è rapidamente consultato con i suoi colleghi, prende la parola per dire: — Signor barone... Anzi... hm... hm... signorino... la situazione ci sembra ora cambiata in modo radicale. Lei non ha piú l'età per presiedere ventiquattro banche in Italia, Svizzera, Hong Kong, Singapore e Altrove... Bisognerà nominarle un tutore, perché è minorenne. A questo provvederemo nella prossima assemblea dei direttori generali. Nel frattempo... Ci è venuta un'idea. Con il suo aspetto fresco e attraente, lei sembra fatto apposta per commuovere il pubblico. Gireremo un film pubblicitario per la Tv, nel quale si vedrà una cassaforte delle Banche Lamberto e Vediamo un po'... Lei si rinchiuderà nella cassaforte sorridendo e pronunciando queste parole: «Qui dentro sto al sicuro come nella mia culla». Le va l'idea? Lamberto guarda Anselmo, guarda Delfina, in cerca di consiglio. Ma Delfina non apre bocca. Gli tocca proprio fare da solo. Stringe i denti e i pugni. Ci pensa su un bel po', finalmente si alza e con voce ferma risponde: — Manco per niente! Il mio tutore sarà Anselmo, che è abituato a obbedirmi, non uno di voialtri, vecchi gufi di banca! E quanto a me... voglio studiare... Voglio fare... La sua faccia s'illumina. Finalmente Lamberto sorride apertamente, allegramente. Si mette perfino a saltellare intorno per la stanza. — Voglio diventare un artista del circo equestre. È sempre stato il mio sogno e questa volta ho tutta una vita per realizzarlo. — Bravo! — grida la signora Zanzi, sempre piú commossa. — La cosa è assurda, impossibile e perfino indecente, — sentenzia il direttore della banca di Singapore. — Lei è indecente, assurdo e perfino un po' antipatico, — gli risponde Lamberto. — Bravo! — grida la signora Merlo. I direttori di banca parlano tutti insieme. Delfina e gli altri parlano tutti insieme. Anche Anselmo parla e parla, mentre Lamberto continua a ballare, saltare e mostrare la lingua al signore di Singapore. — Farò il trapezista, l'acrobata, il giocoliere, ballerò sulla corda, domerò i leoni e gli elefanti, farò il pagliaccio, il suonatore di tromba e di tamburo, ammaestrerò foche, cani, pulci e dromedari... Farà... farà... Che cosa farà? Questo non si può ancora sapere. Ma Delfina adesso è molto contenta del regalo che ha pensato per lui. Proprio in quel momento il signor Giacomini, che per non restare con le mani in mano aveva lanciato l'amo dalla finestra, tira su un pesce di otto etti. — Chi ha detto, — grida il signor Giacomini, eccitatissimo, — che questo era un lago morto? Anselmo, prepari la padella per il fritto. E chi parla male del Cusio l'avrà da fare con me.

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Come le foglie

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Giacosa, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1921
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • teatro - commedia
  • UNICT
  • ws
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Si abbracciano.

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Cavalleria rusticana

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Giovanni Verga 1 occorrenze

(si abbracciano e si baciano. Turiddo gli morde lievemente l'orecchio)

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