Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracciandomi

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Donnina forte

208662
Bisi Albini, Sofia 1 occorrenze
  • 1920
  • R. Bemporad & figlio
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

- mi disse l' Elisa abbracciandomi. - Lasciami ridere: ah, ah! dopo ti conterò! - Il servitore vi ha lasciato sulle scale dieci minuti? - dimandò Carletto. - Ed é salito quattro scalini alla volta ad aprirvi l'uscio? - aggiunsi io. - No, no: - disse Filippo, il cui largo viso era ridiventato serio. lo gli porsi tutt' e due le mani come faccio sempre, e gli dissi: mi racconti, che cosa é stato? - C' é stato, cara figliuola, che sparse sull' uscio del portinaio c' era un' infinità di mele, e che quattro o cinque bambini erano in terra come tanti gatti, e facevano a chi ne raccoglieva di più. Ma quando la portinaia ci vide, venne colla scopa a spazzar via in tutta furia, mele e bambini! - Ma dovresti dirle di tener i figliuoli di sopra! - interruppe la zia. - In quel bugigattolo?!... Di solito sono all'Asilo; ma oggi è la vigilia di Natale, e hanno diritto di far un po' di chiasso anche loro. - E di seminar le mele per la terra? - È stato Giacomo; che nella furia di salire ad aprirvi le ha buttate là.... - Ma entrò il babbo e tirai un sospirone. *** Mio padre non par fratello della zia: ha un carattere serio, fermo: un bello e grande carattere infine. La sua alta persona, e soprattutto quella sua stupenda testa, attirano gli occhi di tutti: e quando parla.... ma chi di voi, mie amiche, non conosce don Emanuele! In società, però, è molto diverso di quel ch'egli sia in casa: ha certi sorrisi, e sa parlare con tanta disinvoltura di cose frivole con le signore, che io non so rico-noscerlo e lo ascolto attonita. Egli è al suo posto, quando nelle nostre tranquille serate discute coi suoi amici di politica, di economia o di filosofia: nella sua parola calma, convincente e severa c'è allora l' uomo studioso e utile come egli è, non il gentiluomo elegante come non è mai stato. Egli fa una vita laboriosissima, e quand' io ritorno dal teatro, dove vado con mia zia o con mia cugina, egli é ancora nel suo studio a scrivere: ma il più delle volte quell' uscio é chiuso, e non appare la luce di sotto la fessura, e io penso al babbo che é a Roma. Una volta avevo molta confidenza con lui ma ora viviamo così separati! e finisco col dir tutto a Filippo, che si diverte delle mie osservazioni e dei miei giudizi. Una sera mi disse: - Io ho sempre creduto che chi osserva, studia e analizza tutto, finisse collo sciupare la poesia della vita: ma vedo che non é vero. Non c'é nessuna donna io credo, più anatomista di te; eppure sei quella che ha la più grande e vera poesia! - Vedete come m' adora mio cugino?.... Non spalancate gli occhi: ha cinquant'anni ed é brutto come un orco. - Ma che cosa stavo dicendo? Ah, mi ricordo.... che entrò il babbo il quale ebbe per l' Elisa e per sua sorella un sorriso cosi gentile, che la loro attenzione si concentrò tutta in lui. Io ne approfittai per scappar da Giacomo. - E cosi? - Era figliuola di un calzolaio: un certo Mosca, che stava in via santo Spirito. - Mosca? ah! - e rientrai in sala. - Mosca! - ripetei affacciandomi alla finestra. - Ma sì! il Moscerino! il mio Moscerino! - La ricordo; come mi voleva bene! Un giorno ho voluto accompagnarla a casa, e mi sono divertita a veder quella bottega con quel deschetto e tutti quei ferri.... Il suo babbo e la sua mamma erano giovani e belli, ma il babbo era magrissimo, e aveva certi occhi grandi, neri, infossati e una voce sottile e velata. Il mio domestico mi disse, uscendo, che quell' uomo era tisico, ed io quella notte sognai che lo conducevo insieme a sua moglie e alla sua figliuola a Nervi perché guarisse. - Che cosa guardi, Conny? - mi domandò Filippo, passandomi un braccio in-torno alla vita. - Niente - gli risposi, e andai incontro a miss Jane che rientrava, mi sedetti vicino a lei; ma ero inquieta e mi alzai. - Oh babbo! - esclamai. - Pensa che la fruttaiola è il Moscerino, quel tal Moscerino! - Tutti si misero a ridere. - Ma che cosa dice? - lo mi sedetti sul bracciolo della poltrona del babbo e gli misi un braccio intorno al collo. - Ti ricordi di una mia compagna della Scuola comunale? la figliuola di un calzolaio: la più brava.... che tu lodavi sempre quando venivi a visitar la Scuola? Si chiamava Giovannina Mosca: ma noi la chiamavamo moscerino perché era piccola e magra. Ti ricordi babbo? - Mi pare.... sì. - Ebbene, è la fruttaiola che sta qui difaccia. Lasciami andare a farle una visita babbo! appena un momento! Sentii un mormorio di disapprovazione. Alzai la testa: non avevo più pensato che c'era lì tutta quella gente. - Che posizione!... - mormorò mia zia. Avevo una gamba sul bracciolo e credo si vedesse l'altra un pochino. C' era da vergognarsi? Forse si; ma io non me ne vergognai! Cinque anni fa avevo la veste corta, e tutti si credevano in dovere di ammirare le mie gambe.... visto forse che il viso non aveva nulla di particolare. E poi mi ricordai che mia zia pochi giorni prima, mi aveva consigliato di comprar le calze assortite agli abiti perché quando si sale in carrozza, chi è dall'altra parte della via ci vede la gamba fino al ginocchio.... Ed ora.... Non vi pare che io abbia ragione di ridere? - Non lasciarla andare, Manolo! non ci mancherebbe che questa! - esclamò spaventata la zia. - A Natale non si rifiuta niente ai bambini, - rispose il babbo accarezzandomi. lo baciai quella mano che mi passò sulle labbra e mi alzai. - Sentite - dissi - vi racconterò una storiella, e se non vi convertite, peggio per voi! Ero dunque alla Scuola comunale.... - Lo sappiamo, pur troppo! - mormorò la zia con un sospiro. Io continuai: - Perché ero la figlia del soprintendente scolastico, di don Emanuele, misi sulle prime in soggezione compagne e maestre. Ma sapete come sono io.... - Entri in confidenza con tutto il mondo - interruppe mia cugina. - Purchè non sia nobile.... - aggiunse la zia. Ero allegra, ero un folletto, - continuai - e diventai il beniamino di tutte. Due giorni dopo io non avevo più soggezione di nessuno e nessuno aveva soggezione di me. Nell'ora di ricreazione le com- pagne si rubavano il mio braccio destro e il mio braccio sinistro.... - Perché eri la figlia del sopraintendente! donna.... - Oh, zia! è crudele ! Perché non vuole - che mi si possa amare per me, per me sola...? C' era un' unica ragazzina, la più brava e la più povera, che non mi si avvicinava mai; era il Moscerino. Mi faceva un dispetto! non capivo quella ritrosia e credevo che fosse invidia. Un giorno si discuteva chi di noi avrebbe avuto il premio. - Il Moscerino - dissi io e molte altre. - Oh, no: l'hai tu, Conny! di sicuro! - esclamarono due o tre. - Io? ma che! prima di me c' è la tale e la tal altra.... Oh, ma tu sei la figlia del soprintendente! - rispose una, che si chiamava Lisetta. lo mi sentii un colpo nel cuore: tutte le mie compagne si misero a gridare. - Che sciocca! che c' entra questo? la nostra maestra non fa le ingiustizie! - E una vocina gridò più forte con un tono indignato: - Come sei ineducata! - e mi sentii passar un braccio intorno alla vita. - Era il Moscerino. Mi chinai a baciarla: ella mi tirò in disparte e mi disse seria come una donnina: - Studia, Conny! fa' degli splen- didi esami: la Lisetta rimarrà confusa e sarà obbligata di dire che il premio è tuo perché sei la più brava! - Io le risposi: - Si vedrai! - E mi misi a studiare con ardore. Il Moscerino era diventata la mia amica più cara: ella mi diceva: - Non voglio volerti; tu sei ricca, sei nobile: dopo la scuola non ci vedremo più.... - Io, però, le volevo un così gran bene ch' ella non resistette altro. Ma un giorno pensai con spavento: - Se io ho il premio, non l' ha il Moscerino che ha studiato tutto l'anno..., - ma poi dissi: - Rinuncerò al premio! - Quando si è ragazzi piacciono i colpi di scena e non si sognano che sacrifici. Rinuncierò per lei! pensavo tutto il giorno; e studiavo con entusiasmo. Ma un giorno.... il babbo è cosi curioso! A furia di domandarmi: cosa fai? cosa pensi? mi strappò anche quel mio segreto.... - Non farai gli esami - mi disse. - La settimana ventura ti condurrò ai bagni. - Il mio castello si rovesciò: ne piansi il primo giorno, ma poi pensai: - Il Moscerino avrà il premio e la Lisetta la sua lezione - e partii felice per Nervi. E tutto questo di che ci deve convincere? - domandò sorridendo mio cu- gino Gian Carlo. - Che il Moscerino ha un carattere simpatico - rispose Filippo. - E che non c'è da vergognarsi nel farle una visita.... - aggiunsi io. - Una visita a una fruttaiola! - esclamò con irritazione la zia. - Bisogna esser matti! - Babbo, ci vado? - Va'. - Non sola, veh? dove s' è cacciata miss Jane? - gridò la zia. - È qui vicino a me! - disse serio il babbo, sedendosi accanto a miss Jane, che era diventata rossa come una brace. Io uscii e un minuto dopo, indossata in furia la giacchetta e messomi il cappellino, scendevo con Giacomo. Attraversai la strada e vidi là, dietro i vetri della sala, quei cinque visi: quelli del babbo e di Filippo sorridenti e curiosi: quelli de' miei cugini pieni di ironica compassione, e quello di mia zia irritato fino alla collera. Lasciai Giacomo fuori, ed entrai nella bottega. Era uno stanzone grande che non riceveva luce che dalla porticina a vetri, diviso da un paravento su cui erano impastate delle pagine di giornali illustrati: là dietro si vedeva un letto grande, una culla e una tavola. Davanti c'era un caminetto e sopra due scalini di legno i cesti pieni di verdure che sgocciolavano, di frutta e di polli mezzi pelati. La fruttaiola era seduta vicino al fuoco col libro delle preghiere, e il suo bambino, su uno sgabello, aveva le mani e le gambine sotto la gonnella di lei per iscaldarsi al veggio. Si alzò arrossendo come una brace, e venendomi incontro lentamente mi dimandò senza guardarmi: - Che cosa desidera la signora? - Desidero di salutarti, Giovannina. - Ella sollevò gli occhi, ma li riabbassò subito. - Non mi conosci? - le dissi: ma avevo capito che mi aveva riconosciuto. - Sono la Conny: la tua compagna della Scuola comunale. Sto qui di faccia: ti ho riconosciuta un momento fa dalla finestra e sono scesa a augurarti le buone feste. - Oh, grazie.... - mormorò diventando ancora più rossa; e si chinò confusa ad accarezzare la testina del suo bambino. Io le facevo soggezione. Perchè?... per il mio vestito di velluto e per le mie pellicce. Ed ella faceva soggezione a me per l'aria grave che aveva sul viso, ma soprattutto per il bambino che le si aggrappava alle ginocchia. - Non mi riconosci? - ripetei. - Oh sì!... l' ho riconosciuta fin dal primo giorno che sono venuta ad abitar qui.... - Ah davvero? e sei stata contenta di rivedermi? - Ella sorrise tristamente e disse: - Si e no: contenta di veder che sta bene.... che è diventata bella; ma nello stesso tempo m' ha seccato.... Mi scusi, sa? perchè vederla e non poterla salutare è un tormento. - Perchè non potermi salutare? - Vuol ch' io la saluti in faccia alla gente? - Che male c' è? - Per me è un onore; ma per lei.... Oh è giusto! anche a me secca se qualcuno più basso di me mi saluta. - Più basso di lei! Chi poteva essere più povero di lei che abitava quella bottega che spirava miseria un miglio lontano? Non potei a meno di domandarglielo. - Chi.... per esempio ?... - Per esempio.... la Lisetta: se ne ricorda? quella figliuola del carbonaio che sta laggiù al Naviglio. S' era messa a far la sarta poi.... poi ha finito male. Ora è vestita come una signora, ma quando l' incontro sono io che ho vergogna a salutar lei. - Io le presi la mano. Era sempre il mio Moscerino con quel bel carattere onesto e altero. Che cosa avrei dato perchè quelli là che ci guardavano dalla finestra l'avessero sentita! - Tu sei sempre buona come una volta, - le dissi - ti ricordi quando ti chiamavo il mio Moscerino? - Se me ne ricordo! Che bei tempi! Beata lei che può studiare ancora! - Io mi chinai a baciare il bambino. - Com' è bello! - dissi. - Somiglia al suo babbo. - Che cosa fa tuo marito? - La mattina va a vendere sul Verziere, poi gira colle perecotte e le castegne arrosto, e quando non c' è altro, colle cipolle. E tu stai in bottega? - Sì: lavoravo anche di bianco, ma ho dovuto smettere. Vede, la bottega è buia, e poi le mani non posso tenerle pulite. Faccio scatole per gli zolfanelli da cucina, quando ho tempo. - Mi avanzai dietro il paravento. Mi permetti? - Oh guardi, guardi pure. Siamo poveri, ma si fa di tutto per tener pulito. - Infatti il letto aveva le federe candidissime e la coperta gialla che pareva nuova. Vidi sul cassettone dei libri: ah! i Promessi sposi; i Racconti di Giulio Carcano quelli del Thouar per i fanciulli: la Storia Patria del Ricotti e il Vangelo del Barni.... - I nostri libri di scuola - disse. - Si ricorda, signora Conny? - Perchè mi dici signora? non siamo compagne? - Sì: ma lei è sempre la figliuola di don Emanuele, ed io del calzolaio. Non insista è giusto ch'ella dia del tu a me ed io del lei....a lei.... lo le voglio bene ugualmente, sa ? - e sorrise arrossendo. Brava : allora mi contento. - Scusi, - mi disse - giacchè ella è così buona con me, le vorrei chiedere un favore. So che del Thouar ci sono altri racconti popolari: uno deve essere intitolato Le Tessitore, se non isbaglio.... - Li vuoi? - Oh, se me li volesse prestare, mi farebbe un gran piacere! Sono degli anni che ho questo desiderio! - Degli anni! e ci voleva cosi poco a soddisfarla, poverina! - Te li mando giù subito: infatti sono bellissimi - le dissi. - E morali! - aggiunse ella seria. - Ora mi pare che non ne scrivano più di quei libri cosi buoni. Le ragazze leggono certi romanzi che scaldano il sangue e rovinano il cuore. Per noi povera gente ci vogliono storie di poveri, storie di buoni, per darci un po' di coraggio a sopportare le nostre miserie. - Poi si mise a ridere. - Veda che stu-pida sono mai! A volte mi figuro di scrivere io un libro!... - ma si interruppe. Li ha visti? - mi dimandò indicandomi due ritratti appiccicati ai muro, l' uno accanto all'altro. Guardai: oh! il Manzoni e il suo amico Rossari! - Si ricorda - mi disse - quando il povero professor Rossari veniva a visitare le scuole? Com' era buono! come parlava, povero vecchietto! Io ho una sua lettera: lo sa? - No: non lo sapevo: la pregai di farmela vedere. La fruttaiola aperse un cassetto: prese una scatola da torrone e ne levò una lettera. Oh si; era la sua scrittura minuta, tremante, ma chiara. " Mio buon Moscerino, - diceva la lettera "lasci che la chiami anch' io come la chiamano le sue compagne, - e la lodava de' suoi profitti nello studio, e le diceva che il sapere è un conforto nella vita, qualunque sia la posizione nella società. La fruttaiola mormorò: - Aveva proprio ragione! - Io riposi quella lettera nella sua scatola da torrone, e abbracciai il mio buon Moscerino. Ella, immobile, mi lasciò fare; ma poi tutta commossa sollevò il bambino e gli disse: - Da' un bacio alla signora per me. - E i labbruzzi umidi del piccino si posarono sulla mia guancia e scoccarono un gran bacio. Uscii da quella bottega col viso rosso e portando nel cuore una contentezza che non avevo mai provato. I miei cugini, dietro i vetri, ridevano. lo dissi tra me: - poveri grulli! - e credo che in quel momento avrei avuto il coraggio di dirglielo anche sul viso. Mi accolsero tutti, meno la zia che s'era chiusa in un silenzio pieno di disprezzo, con un gran chiasso. - Ah, ah! racconta! racconta! - E Filippo mi condusse vicino a una poltrona. Io mi sedetti, mi soffiai il naso, tossii, poi dissi: - Non racconto niente! perchè non voglio che si rida di quello che per me è commovente. - E mi alzai. - Ha avuto una disillusione.... mormorò Carletto. Frattanto annunciarono che era in tavola. Mio cugino mi offerse il braccio. - Scusami, - gli dissi - c' è miss Jane. E lo piantai. *** Non so rendermi ragione del come, quella sera, a tavola, fui tanto allegra: credo, anzi d'aver fatto dello spirito, perchè mio cugino si occupò di me e si degnò di mo-strarmi il suo. - Hai fatto un gran mutamento, Conny! - mi disse. - Ho l'abito lungo, non hai veduto? E poi questa pettinatura mi dà un carattere serio, non ti pare? - Serio! non me n'ero accorto, - mi rispose ridendo, e aggiunse piano: - M' ero accorto, però, che sei diventata una bella signorina. - Ah, ah! e poi?... ho una passione per i complimenti, lo sai! Dimmene un altro, Carletto, ti prego. - Che tu dici spesso delle cose serie, profonde ma con una cert' aria birichina, e quella tua parola a scoppiettii.... che è originalissima! Davvero! è dunque per questo che quando esprimo una mia opinione, la gente ride e non dice mai: " Brava! tu hai ragione! - È doloroso, sai? Dopo pranzo, sdraiato sul sofà, là di contro a me, Carletto mi guardava con insistenza attraverso il fumo della sigaretta; con tanta insistenza, ch' io saltavo per l' inquietudine sulla seggiola. A un tratto, stufata, mi alzai, e andai a piantarmi dinanzi a lui: - A che specie d'animali appartengo - Uh! - esclamarono tutti. - Ma Conny! - disse ridendo il babbo. - Shoking! Shoking! - esclamò tra i denti miss ,Jane arrossendo. - Sei un bell' originale! ecco cosa sei! - esclamò mio cugino prendendomi tutt' e due le mani. lo mi svincolai. - Non pensi che queste mani hanno strette quelle della fruttaiola? - Oh! e non te le sei lavate dopo? - e si fiutò le sue mani bianche e profumate. - Ah! guarda cosa faccio io invece! - e mi baciai le mie. La zia prese un'aria desolata: l' Elisa arricciò il suo naso petulante e lasciò sfuggire, con un sorriso di compassione, il fumo della sigaretta che avvolse il suo bel visetto. - Oh, che esagerazioni! esclamò. - Quando Carletto smetterà le sue, io smetterò le mie! - risposi, e mi sedetti, pigliando di sul tavolino Il Corriere della Sera. Mio cugino venne a levarmelo di mano. - Manda Giacomo giù in istrada a comprare il Secolo, - disse. - Oh Carletto, no! - esclamai affer- randogli la mano che teneva il giornale. - Vedi! non c' intendiamo! Io non mi vergogno d'esser nobile: sono fiera anzi della mia nobiltà, tanto più che il babbo sa tener così alto il nostro nome. In fatto di politica, se è permesso a una signorina d'aver un' opinione, professo le idee del babbo; ma questo non vuol dire che io debba vergognarmi d'aver frequentato le scuole pubbliche, e di salutare le mie compagne, perchè sono figlie di bottegai. I partiti esclusivi, lo dice anche il babbo, sono quasi sempre ingiusti, perchè le cose di questo mondo sono così confuse, che spesso le più cattive hanno un lato buono e le buone qualche difetto.... - Ma che sciocca, non è vero ? volevo persuader lui, il più aristocratico di tutti i giovanotti di Milano! lui, che aveva sempre trattato le mie idee con tanto disprezzo! Ma perchè non mi rispondeva? e mi guardava fisso in quel modo strano che mi toglie il respiro? Quegli occhi son troppo belli: quello sguardo par che entri fin nell' anima. Parlai ancora, ma non so che cosa dissi: a un tratto, per cercar di liberarmi da quell' oppressione, diedi in una risata. Ah! ah! ha ragione Elisa, ti pare? Una fanciulla più pedante e pesante di me non c' è in tutta Milano! - Egli si volse a cercar una seggiolina bassa e venne a sedersi davanti a me: aveva in tutta la fisonomia un'aria grave che non gli avevo mai veduto. - Sai, - mi disse lentamente e a voce sommessa - che tu confonderesti l'uomo più eloquente e spiritoso del mondo? - Ah, davvero? il che vuol dire, in altre parole, che ho confuso il mio signor cugino Gian Carlo dei marchesi *** ! Oh non c' è bisogno di ringraziamenti: non ho fatto che interpretare la tua frase. - Sei terribile! - Si? - E terribilmente bella. - Ah, questo!... - e mi sentii offesa per davvero. Egli mi sporse uno specchietto che aveva in un taschino. - Guarda che occhi! - Mi guardai: sono grandi e ombreggiati dalle ciglia nerissime e lunghe.... ma sono grigi! - Occhi di gatto! - esclamai. - Sono gli occhi più brillanti, più fieri più profondi, più réveurs.... C' è tutto qui dentro! - E mi guardava fisso fisso. Aveva i gomiti sulle ginocchia e colle mani arrotolava una sigaretta, ne sono ben sicura: pure, quando disse quel: "Qui dentro! - provai una sensazione strana, come se una sua mano si fosse posata sui miei occhi, e senza volerlo, le mie palpebre si chiusero e mi tirai indietro. - Oh, ti prego, Cadetto!... sai che mi sono odiosi i complimenti. - E mi alzai. - Oh, ti prego, Conny, sai che tuo cugino dice sempre e solo, quello che pensa: e che quando c' è stata l'occasione non ha fatto mai complimenti con te.... - Era vero, ma risposi invece: - Non so niente io! quello che so è che tu sei un giovanotto brillante e annoiato, di quelli a cui non si può credere. - E corsi ridendo a sedermi vicino all' Elisa. - Questa è troppo forte! - esclamò, e mi seguì colla sua seggiolina pieghevole. - Birichina! fuori! una confessione! Che cosa pensi di me? - Probabilmente quello che pensano tutte le altre signore - rispose sorridendo l' Elisa. - Ma sai che la Conny.... - Ha lo spirito di contraddizione - interruppi io. - Abbi dunque misericordia di te. - Oh parla pure! san preparato a tutto. So già che la Conny si lascia sempre trasportare dalla passione.... ella che crede d' essere la più ragionevole e calma signorina del mondo! Oh, non spalancar gli occhi a quel modo!... - e mi prese le mani. - un fatto, che tu sentenzi alla prima occhiata che il tale non è buono a nulla o è buono a tutto. - Ma no! - esclamai sorpresa. - Oh, di' che non è vero, se ne hai il coraggio! - aggiunse l' Elisa, ridendo di quel suo riso squillante di bambina. - Lo dico a Gian Carlo, veh!... Senti: ella non ha ancora, si può dire, avvicinato un giovane, non conosce che quelli dei romanzi inglesi, ma ha già dichiarato che siete tutti altrettanti sciocchi.... ha, ha! dei piccoli spiriti, vuoti di tutto fuorchè di amor proprio: che non v' occupate che di cavalli, frivolezze, eccetera, eccetera! Ma ti pare?! - E rise ancora. lo ero diventata di fuoco. - Si; è vero, è vero. - Lo dici con tanta serietà? - chiese Carletto. - Ah, ah! la donnina forte! la fanciulla superiore!... quella che desta i partiti esclusivi! Eccola che giudica di colpo e dà le sue sentenze più delle signore a cui ella rimprovera la maldicenza. - Non è vero! - Zitto! lasciami finire.... E non rifletti su tutte le circostanze, e non capisci che il più delle volte quel che ti colpisce come frivolo, studiato bene ha il suo scopo serio. Eliminar della vita tutto ciò che è gaio vorrebbe dire spogliarlo d'ogni poesia. Ma.... - Gian Carlo ha ragione. - Che c' è! mio marito che dà torto alla Conny - esclamò con sorriso l'Elisa, sollevando il suo visino color di rosa. - E ragione a me! questa è più strana ancora! - aggiunse ridendo Carletto. - Ma va' avanti; - disse Filippo - - ero curioso di sentire che cosa volevi dire con quel ma. - Che ma! Davvero non so più che cosa stavo dicendo. - Se non ho capito male, volevi dire alla Conny che quel che la abbaglia e desta la sua ammirazione, non ha spesso altro movente che qualche desiderio ambizioso o cattivo. Non volevi dir questo? - Veramente volevo dire il contrario, ma è lo stesso, - rispose Carletto con un' aria seccata. Io ero confusa, credo per la prina volta; non sapevo più come rispondere, e l'avevo con Carletto: soprattutto con que' suoi occhi che mi guardavano sempre. - Conny! ti sei lasciata sopraffare? - mi dimandò Filippo. Io non potei rispondere, perchè mi prese un colpo di tosse. - Scusate, - dissi poi ridendo - ci avevo qui tanto dispetto, che ho dovuto tossire se no mi soffocava. Ora è passato. Dunque? parlo chiaro anch'io? È verissimo che non vedevo in voialtri, profumati ed eleganti, che tanti ragazzi leggieri e vuoti. - Ma perchè Carletto sorrise con tanta dolcezza? - Vedevo! - esclamò Filippo. - È già un gran passo! Gian Carlo ringraziala! - Che! ho detto vedevo? No, no: vedo! vedo! - e abbassai lo sguardo con un sorriso di compassione a quel colletto che gI' infilzava il mento, giù giù, fino alla calza di seta azzurra e alla scarpetta lucida. - Che petulante! - esclamò Carletto con un sorriso: ma in verità punto sul serio. - Tu non puoi negare - gli dissi - che la maggior parte de' tuoi compagni sono dei poveri grulli. Li ho visti e li ho sentiti abbastanza anche quelli che si danno delle arie tanto gravi, da parer che dispensin parcamente il loro spirito. Il Sanmarano informi.... L' Elisa spalancò tanto d' occhi. - Vorresti dire che non è simpatico? che è un grullo, lui! - esclamò. - Oh, è allegro, lo ammetto;... è disinvolto: è l'anima della società: quando lui non c' è, la serata è morta. Manca il direttore del cotillon e delle quadriglie: mancano i bons mots.... non è vero, Elisa? - Sei insopportabile, Conny, questa sera! - disse ella, indispettita sul serio. Suo marito rideva. - Già! hai imparato da Filippo a far l'originale per progetto!... Ma che cosa te ne pare. Gian Carlo? Trovar da ridire persino sul Sanmarano che è uno dei giovani più ammodo della nostra società! - Ammodo! esclamai. - Ci vuol così poco per essere ammodo al giorno d'oggi? Basta occuparsi molto di cavalli e essere molto annoiato di tutto il resto. Basta allungarsi con indolenza sul canapè; mandar in aria con grazia il fumo della sigaretta.... accavallar le gambe e mettere in mostra le scarpette lucide e le calze di seta? In quella vidi dondolare davanti a me il piede di Carletto e tacqui arrossendo. Ma egli mi disse con quel suo bellissimo sorriso: - Avanti, avanti, Conny! - Ho finito - risposi. - Ma! - esclamò Filippo. - Hai dimenticato che un giovane ammodo deve avere anche certe risatine improvvise, e certi improvvisi silenzi che turbano e fanno pensare, e certe lunghe occhiate insultanti, scusate! volevo dire insinuanti, e parlar a enimmi, a giochi di parole.... e la sua parola deve scoppiettare e scintillare come un razzo.... - Ma Filippo, Filippo! - supplicò l' Elisa. - .... di un fuoco d'artifizio. Un giovane serio e timido che si siede ritto su una sedia e fa un discorso pieno di buon senso, quello non è ammodo, e vi fa l'effetto d'una doccia d'acqua gelata: non è forse vero Elisa? - Io battei le mani ridendo. Mia cugina si alzò indignata: Carletto, con una gamba sopra l'altra, si dondolava mandando in aria con grazia il fumo della sigaretta. È un orrore! - esclamò l' Elisa. - Credete di far dello spirito, e non capite che vi rendete ridicoli col vostro puritanismo. È un'affettazione!... Dammi un po' di fuoco, Carletto.... - e si chinò su lui ad accendere la sigaretta. - Di un gio-vane disinvolto e spigliato che accavalla le gambe perchè così gli piace, voi me ne avete fatto uno sciocco, tutto affettazioni e tutto pose! Dio mio! ora non si bada più a certe stupide etichette! - Carletto rideva con indolenza. - Mi piace di veder con che calore te la pigli! Si direbbe che tu sia un giovane ammodo. Impara da me, cara Elisa: non vedi come son tranquillo? Ho visto partire la sassata e sono rimasto fermo al mio posto. - Filippo se n'andò nell'altro angolo della sala a discorrere con miss Jane. - M' ha fatto dispetto, ecco! - conti-nuò l' Elisa stizzita come una bambina. - Per me, lo confesso un giovane come il suo giovane ammodo mi piace! Lo trovo franco, svelto: sono sicura che il suo carattere è pieno di slancio e di sincerità. Mi par che tutti dovrebbero essere così, in questi tempi di libertà. Sbaglio? ma un giovane come quella doccia di Filippo...! - Ah, ah! quella doccia! - esclamò Carletto. - Non t' è parso di veder il Rinaldi col suo fare stecchito? - È vero! - rispose l' Elisa. - Conny, ammetterai almeno che il Rinaldi è terribilmente pesante! - Ha però un bel carattere - dissi. - Che cosa importa, quando non sa essere piacevole? - Mi pare che sia un gentiluomo per- fetto, Elisa! Per me t'assicuro che preferisco mille volte Rinaldi al Sanmarano. Con Sanmarano ci si diverte forse per dieci minuti, ma non interessa punto. In ogni suo discorso c' entra l'io, e questo benedetto io dice e fa le più strane cose; tutte le avventure più curiose accadono a lui, egli sa sempre tutte le novità più palpitanti come dice la zia. È un uomo fortunato, via! - Carletto si mise a ridere. - Non gli si può negare, - disse - che non abbia un' immaginazione fervidissima e una loquacità sorprendente. Ho una gran paura, però, che quelle storielle abbiano già fatto il giro del Fliegende Blätter e del Mondo umoristico. - E quelle freddure che una non aspetta l'altra! Mi par che delle parole succeda nella sua testa come dei bussolotti nelle mani di un prestidigitatore. Voi gli date un anello ed egli vi restituisce un ovo. È una cosa che stupisce e che fa ridere, non c' è che dire! Conclusione, - aggiunse Filippo riavvicinandosi - egli è un amabile chiacchierone, che tutti accolgono con festa e colmano di cortesie. - Non tutti, non tutti; - corressi io sorridendo - vi è chi rimpiange che il coraggio di trovar un secondo fine a una buona azione ci sia sempre, ma non quello di svergognare uno sciocco orgoglioso. - Elisa, allungata in una poltrona, disse con aria stanca: - Come si capisce benino che stai molto con mio marito. Hai preso tutto il suo fare di predicatore. - Davvero? me ne vanto! - esclamai allegramente, e corsi a fare il tè. In quella Carletto si alzò, dicendo che aveva un appuntamento al Club e salutò tutti: poi si avvicinò a me, ch' ero ritta accanto alla tavola, poco lontana dall' uscio. - Non pigli una tazza di tè ? - gli dissi. Grazie; no, - mi rispose serio, troppo serio e mi stese la mano senza parlare, guardandomi fisso negli occhi, con un' espressione strana. - Buona sera - dissi un po' confusa. Egli s' inchinò, fece un passo verso l' uscio, poi tornò; mi prese di nuovo la mano e disse a voce bassa, serio, quasi severo: - Conny, tu sei ancora una bambina. Non t'offendere.... Aspetta a giudicare la società: vivi ancora un pochino. Di qui a qualche anno ci riparleremo: allora le tue teorie saranno meno contraddicenti: allora mi dirai che i partiti eclusivi sono ingiusti, ma mi mostrerai anche col fatto che sai quello che dici. Allora ti sarai persuasa cara Conny, che a questo mondo non c' è nessuno che sia buono sotto tutti i rapporti, nè completamente cattivo. Credimi: serietà e leggerezza sono confuse più o meno insieme, e spesso le debolezze e i piccoli difetti non sono che una nebbia che nascondono le grandi e belle qualità. Mi credi?... lo tentai di parlare, ma non ci riuscii: un senso indefinito di soggezione m' invase tutta. Soggezione di mio cugino Carletto? di lui al quale avevo parlato con tanta arditezza, e che avevo guardato anche un momento prima con tanto disprezzo! No, no: sollevai la testa, sorrisi: ma le labbra mi tremavano e non potei staccare gli occhi dalla sua cravatta. - Mi credi? - ripetè egli con quella sua voce lenta, sommessa e dolce. Il suo alito caldo mi passava sulla fronte: la sua mano morbida stringeva la mia. Un brivido mi corse da capo a piedi. - Si, si! mi pareva che mi si ripetesse in fondo all' anima. Ma alzai gli occhi, li fissai in quelli di lui.... - No, - risposi, e risi: ma la risata mi si strozzò in gola. ............... Quando presentai la tazza di tè a Filippo, non lo guardai, ma sentivo fissi su me quei suoi occhi rotondi e sporgenti. - Conny, lascia che veda, - mi disse. - Che cosa - dimandai alzando la testa. - Ho già visto - mi rispose. - Ma che? non capisco, Filippo. - Il primo sintomo di una malattia: ma non mi spavento: sei robusta, sei forte. Son di quelle malattie che risanano una costituzione come la tua. - Tentai di sorridere. - Ma se sto bellone! l'assicuro! - Davvero? sei proprio la Conny di cinque minuti fa? calma, allegra.... - Ma si, Filippo; sono sempre la sua donnina forte! - E sollevai il viso; ma vidi nello specchio di contro ch' esso era pallido di inquietudine. *** La sera di Santo Stefano l' Elisa doveva passare a prendermi colla carrozza per andare alla Scala. Perchè ero così inquieta e mi occupavo tanto di quella benedetta camelia bianca che mi faceva un corno sulla testa? Non ero io la Conny? la famosa Conny che ha suscitato, - me lo ha detto la zia - una discussione in casa T*** per decidere se sia coquette o ingenua: se nel suo modo di vestire semplice e severo ci sia dello studio e una posa di classicismo, o invece mancanza di vanità? Davvero, che se dovessi rispondere io, sarei un pochino imbarazzata. Vanità? Che cos'è? Mi par che in questo caso s' intenda una puerile preoccupazione di ornarsi di fronzoli; la parola stessa lo dice, e un ricorrere a cose vuote e leggiere per piacere altrui. No, no, io non sono vanitosa. Quando mi vesto io non penso agli altri: non faccio che contentare il mio occhio, e siccome a me piacciono i contorni decisi, le linee nette, non ho mai sopra di me nè tulle, nè nastri. Certe testoline tutte fiori e spilloni, mi han qualcosa di raffazzonato, di non ben definito che (sono io forse un'originale) mi fa dubitare del carattere della signora. È barocco infine, e il barocco in arte non mi piace. Sentii una scampanellata. - She here is - e miss Jane mi buttò sulle spalle il mantello. Sull'uscio m' incontrai in Carletto; come fui sciocca di arrossire! - Addio, Conny, - mi disse respirando a fatica per la corsa fatta su per le scale: il suo viso era pallido e negli occhi grandi, castani e profondi, v'era un velo di tristezza. È un fatto ch'egli è uno dei più bei giovani ch' io conosca: in quella sera la sua testa piccola e bionda risaltava stupendamente su quel largo bavero di lontra. M'offerse il braccio senza parlare, e scendemmo. - Sei troppo gentile, dissi tentando di dar alla mia voce un tono di ironia. - Incomodarsi per una signorina! Egli si volse a guardarmi, poi posò la mano sulla mia ch'era appoggiata al suo braccio, e disse con un suono di voce che mi turbò: - Conny, io mi sono riconciliato colla signorina; ora tu, buona e intelligente, non devi ostinarti, per puntiglio, nella tua.... via! nella tua antipatia per il giovane.... ammodo. Ma in quella la vocina allegra dell' Elisa l' interruppe. - Siete qui? che cosa hai detto, Conny? - Non è strano...? - continuò mentre salivo in carrozza - Gian Carlo che di solito se ne sta al caffè Cova ad aspettarci, e viene per compiacenza nell'atrio del teatro quando ci vede arrivare.... - e rideva. Sprofondata nell'angolo oscuro della carrozza, io vedevo brillare davanti a me gli occhi di Carletto, che cercavano i miei. Si entrò al teatro: lo spettacolo era già incominciato e la musica assorbi tutta la mia attenzione: non vedevo e non sentivo altro; nemmeno le chiacchiere incensanti di mia cugina. Quando l' atto finì, battei le mani. - Cara Conny, non usa più di star così attente allo spettacolo, - disse l'Elisa ridendo. - Lo so; ma sai che io non bado a ciò che usa. Sono venuta in teatro per il Don Carlo, non.... - Per don Carletto? - domandò il conte Rinaldi con la sua imperturbabile serietà, e si alzò per salutarmi. Non l' avevo veduto nè sentito entrare. Mia cugina rise: e Carletto mi guardò con un' espressione seria. Io arrossii, ma dissi stendendo la mano al Rinaldi: - Oh! non per don Carletto. - In quel punto mi sentii fissata, e mi voltai istintivamente. Era una signorina nel palco di casa Borromeo la quale abbassò subito il canocchiale, e due grandi occhi neri si fissarono ne' miei con un' espressione cupa e nello stesso tempo così fredda, che mi strinse il cuore. Era bruna, pallida, bellissima: vestiva un abito di crespo bianco scollato senz'altro ornamento che una crocetta d' oro ap-pesa a una catenella. Mi domandai perchè aveva quella posizione strana; pareva che colle spalle si puntasse allo schienale della sedia: il suo seno si sollevava e s'abbassava, e le braccia allungate, colle mani unite che tenevano stretto il binoccolo, sembravano rigide come di marmo. - Carletto, - dissi - chi c' è nel palco di casa Borromeo? - Non li conosco - mi rispose senza guardare, e stava per avviare un discorso con Rinaidi, ma questi disse forte rispondendo alla domanda fatta da me a mio cugino: - È la signorina De Lami con sua madre e suo fratello. - Ah, è vero! - disse Carletto - non li avevo riconosciuti. - I De Lami di Piacenza? - chiesi io. - Sì, - mi rispose il Rinaldi - ma da poco più di un anno stabiliti a Milano, perchè vi hanno qui la figliuola maggiore che ha sposato il Marenzi. - È quella bella signorina di cui tu, Elisa, mi hai parlato con tanto entusiasmo quest' estate? - Io?... è vero; ma ha un' espressione antipatica. C' è qualcosa di maligno in quegli occhi scuri, non è vero Rinaldi? - Non mi pare - rispose egli serio. - Ci trovo solo una grande alterezza, - dissi io. - Gira intorno gli occhi in un modo che par che dica: " Mi degno !... - Ma nello stesso tempo più la guardo, e più mi piace. Sai che effetto mi fa? che abbia un gran dolore e che voglia nasconderlo. - Carletto si alzò ridendo. - Badate, Rinaldi! - esclamò - mia cugina vede romanzi dappertutto. Dimandatele che cosa pensa di voi: sentirete che intreccio! - Poi s' inchinò ed aggiunse: - Se permettete, vado a far una visitina a donna Giulia, - e usci ridendo sempre. Sul viso lungo e sbiadito del conte Rinaldi non apparve un sorriso, e disse lentamente, con serietà: - Questa volta io credo che donna Conny abbia ragione. La signorina De Lami pare anche a me una bella statua del dolore. Ah, ah! mi fate ridere! - esclamò l' Elisa allegramente. - Peccato che Gian Carlo sia andato via: lui vi può dire com'è simpatica la vostra signorina De Lami! E poi bisogna esser ciechi, caro Rinaldi. Mi pare che le si veda chiaro negli occhi ch' ella ha un' anima cattiva. Gian Carlo mi diceva che di tutte le cose ella vede subito il lato brutto. Guarda Conny come è pettinata male la Maria. Dunque dicevo che piglia tutto in cattiva parte, e vede in ogni azione un secondo fine: insomma è invidiosa e permalosa peggio di una zittellona. - Ella la conosce intimamente, contessa? - dimandò il Rinaldi. Mi trovai coi De Lami la scorsa estate a San Bernardino, e quindi posso dire di conoscerla appena di vista, ma mio fratello è amico dei Marenzi, e credo che abbia conosciuto in casa loro la signorina De Lami, la quale è sorella di Lucia Marenzi. - Oh! Carletto ha frequentato molto anche la casa della signorina.... - replicò il Rinaldi. Davvero che quel suo tono di voce sempre uguale, e quel suo viso freddo e immobile, cominciava a irritarmi anche me. Ella mi diede un' occhiata che voleva dire: - Dio mio: com' è pedante! - Ma intanto entrò il tenente Alfieri, e il Rinaldi venne a sedersi vicino a me. Cominciò il secondo atto: i miei occhi si fissarono sulla scena, e per quanto mi sforzassi non riuscii a concentrare la mia attenzione nella musica. Vedevo laggiù il viso pallido e severo della signorina De Lami, poi fra mia cugina e il tenente s'era intavolata una di quelle conversazioni leggiere, maldicenti e pettegole, che mi seccano tanto e mi metton i nervi sottosopra. Mi par una viltà indegna di persone che pretendono di essere educate e oneste. Mia cugina è di quelle che giudicano in bene o in male secondo ciò che sentono raccontare o riferire in società, fra un piccolo gruppo di conoscenti, e non pensano che quasi sempre il male che si dice è una calunnia, o, per lo meno, un' esagerazione. lo mi misi a discorrere col conte Rinaldi. Egli non è punto bello, è troppo alto e troppo angoloso. La sua lunga figura, quando appare nel vano di un uscio, mi par un ritratto antico nella sua cornice: e, non so perchè, quando l' ho vicino mi par di sentire quell'odore di carte vecchie e di muffa che c'è nella nostra biblioteca di campagna. Io credo ch' egli viva fuori di questo mondo, in un mondo tutto ideale; è un originale, e forse, anzi, certo per questo, mi piace. Parla poco e lento, ma la sua parola è sempre gentile, convincente e utile come dice ridendo l'Elisa. È letterato e archeologo, e scrive qualche volta dei serii articoli nella Nuova Antologia o nella Rassegna Nazionale che tutte le signore leggono, ma non capiscono, e di cui, naturalmente, gli fanno le congratulazioni e gli elogi più intelligenti. Il suo babbo è membro della Consulta Archeologica, non c' è da stupirsi quindi ch' io abbia una spruzzatura storico-artistica nella mia testa, che mi vien buona nelle mie conversazioni col conte Rinaldi. Ho detto conversazioni, ma veramente, io, così chiacchierona nell' intimità, in società parlo pochissimo, ed è uno de' miei più grandi piaceri quello di trovarmi a quattr' occhi con chi ne sa più di me per poter ascoltare senza che nessuno interrompa, e abbandonarmi al godimento d' imparar cose nuove, e molte volte anche a quello, un po' maligno, di scrutare e tentar di toccare il fondo alla coltura degli altri. Ma non era a quella di Rinaldi che si potesse veder facilmente il fondo. Quella sera egli era insolitamente eloquente, e descrivendomi certi oggetti scoperti negli scavi delle antiche mura di Milano m' interessò tanto da farmi dimenticare la musica. Ma a un tratto s' interruppe chiedendone scusa. - Lei ascolta in un modo da dar l' illusione che si stia raccontandole cose molto interessanti - disse inchinandosi senza guardarmi. lo l' assicurai che m' aveva realmente divertita ed egli rispose sempre senza guardarmi: - Che ella sia una signorina un po' diversa dalle altre è facile a capirsi, ma che si debba divertire a questi studi, via, sarebbe troppo.... originale. - Non me Io ripeta, conte, perchè forse sarebbe il modo d' invogliarmi a mettermici sul serio, sa? - Egli alzò gli occhi finalmente, e disse colla voce più piana: - Se fosse vero, che si potesse avere ancora la dama colta e seria! l' antica gentildonna che ha l' orgoglio della propria onestà e del proprio nome, che mette la famiglia e gli studi avanti a tutto, e riunisce intorno al marito e ai figliuoli tutto ciò che la coltura, la cortesia, l'onestà, ha di più eletto! Di queste signore - aggiunse - io ne ho trovate parecchie in provincia: ne conosco a Ferrara, a Ravenna, a Bologna, a Perugia, nel Friuli... Ma nelle grandi città com' è difficile d' incontrarne! La signora è portata via, di voglia o controvoglia, dal turbine delle occupazioni mondane, e non ha più tempo di esser seria. - E meno egoista.... - dissi io ridendo. - Da noi le signore si prodigano e non hanno tempo di pensare a sè. Bisogna aver pietà di loro, conte. - In quel frattempo mia cugina si alzò. - Aspetta un momento, - disse Carletto ch' era rientrato in quel punto. - Conny desidera certo di rimanere sino alla fine. - Oh no, andiamo, andiamo pure - risposi. Mentre Carletto mi metteva sulle spalle il mantello, vidi che nel palco di casa Borromeo non c' era più nessuno. - Vorrei incontrarmi sulle scale con lei - pensai, e uscimmo. Arrivate nel corridoio della prima fila vidi venire verso di noi la signorina. Alta, portava la testa con fierezza, e dietro a lei una signora attempata camminava adagio, sostenuta da un giovinotto. Mio cugino, che mi dava il braccio, si fermò bruscamente, voltandosi a dimandare a sua sorella se voleva passare dal Cova per prendere un tè. lo guardavo la famiglia De Lami. Vidi il giovane rialzare la fronte, e sopra le nostre teste, passò, come una palla di fucile, il lampo orgoglioso dei suoi grandi occhi neri. La signorina ci passò dinanzi e scese lentamente cogli occhi fissi avanti a sè, bianca e fredda come una statua di marmo. Mi voltai al conte Rinaldi che mi era vicino e gli dissi piano: - Forse hanno ragione i miei cugini. C'è in lei qualcosa che allontana. Non le pare? - No: mi pare invece che dovrebbe avere tutta la simpatia di una persona come lei. - Perchè? - Non so se Rinaldi rispose: un senso indefinibile di tristezza m' invase all' improvviso; Carletto a cui davo il braccio, chiacchierava con sua sorella e col tenente, ma sentivo il suo braccio avvicinarsi sempre più al suo petto e mi sembrò di sentir battere il suo cuore sotto la mia mano. Un momento che fummo sospinti dalla folla nell'atrio, la sua mano carezzò la mia, e la sua voce mi chiese sommesso, con un' inflessione dolcissima come se dicesse parole affettuose: - Sei stanca ? - Le idee mi turbinarono, e il cuore, non so perchè, mi battè con violenza. Feci cenno di no, senza guardarlo. Si arrivò alla carrozza, io salii e mia cugina dopo di me. Carletto si scusò, dolente di non poterci accompagnare. - Ma dove hai la testa, Conny? mi disse l' Elisa. - Non senti che il Rinaldi ti saluta?- lo sporsi la mano dallo sportello e soltanto quando me la sentii stretta dalla mano lunga e magra del conte, mi riscossi e mi risvegliai come se avessi sognato. *** Non ho mai capito perché Filippo abbia sposata mia cugina Elisa. Lui ha cinquant'anni e lei trenta: lui è brutto e lei bellissima. Lui ama.... veramente non so che cosa ami: fa insomma una vita quieta, regolata: la casa e il Cova: il Cova e la casa: la Perseveranza e la Revue de deux Mondes, la Revue e la Perseveranza, e sempre così. Cioè, mi dimenticavo di mettere, dopo il Cova, la mia poltroncina rossa. Lei è elegantissima, vivacissima, e per star bene, dice, ha bisogno di moto, di visite, di teatri e di balli. Marito e moglie non si vedono dunque che a tavola. Ma è ammodo anche questo, lo sapete. Dunque Filippo viene spesso da me: soprattutto quando il babbo è a Roma. Egli.... ha! ecco trovato chi ama! Ama me! in un modo un po' brusco, ma che, forse appunto per questo, mi piace, mi commove e m' ispira tutta la fiducia. Credo che abbia ragione l' Elisa, la quale dice che un po' del mio carattere sincero.... e del mio fare franco I' ho preso da lui; il mondo lo conosco perchè lui me l' ha descritto, e siccome lui, in fatto di società, è molto scettico, io... ma voi sapete già come la penso io. Filippo dice che non c' è nessun angolo di salotto più simpatico e comodo del mio: ed io ogni tanto gli facevo la sorpresa di una nuova comodità: oggi era il tavolino da fumare accanto alla sua poltroncina rossa: domani era un paralume, un' altra volta un libro uscito di fresco. Le prime volte quasi si offendeva : mi diceva che lo avvezzavo male, che lui voleva servir me e non esser servito, che lui è de' tempi passati, quando era una villania il fumar sul viso alle signore e lo sdraiarsi nelle poltrone.... Da due settimane non lo vedevo. Una mattina, verso mezzogiorno, egli entrò nel mio salotto: io mi ero appena alzata, perchè avevo ballato tutta la notte in casa S***. Non so perché rimasi confusa a vederlo e non trovassi modo di avviare un discorso. Egli fece i suoi inchini forse con maggior gravità del solito: aspettò che gli dicessi di sedere, ringraziò, si sedette e mi fece i suoi complimenti per il furore che avevo destato in casa S***. Glielo aveva detto sua moglie, e un amico che aveva trovato quella mattina al caffè Cova. Ma ad un tratto mi domandò: - Sei in collera Conny? - In collera! no; - risposi - perché dovrei essere in collera? - e sorrisi. - Davvero?... È però molto tempo che non ci vediamo: lo sai? - Oh certo! ma di chi è la colpa se non di chi non viene a trovarmi? - Egli si chinò per guardarmi negli occhi. Perché io non li alzai, non gli lasciai leggere che cosa passava nel mio sguardo? - Senti, cara ragazza: parliamo un pochino sul serio, eh? Abbiamo forse finora parlato per ridere? - Egli mi prese una mano: - Conny, Conny: non tentar di scherzare quando non ne hai voglia! Tu non sei buona di fingere. Mi vuoi ascoltare? - Ma si figuri! - Vi fu un momento di silenzio. Conny, - disse finalmente - il tuo babbo è lontano, ed io mi credo quasi in dovere di pigliare il suo posto: io, il solo, ricordatelo! il solo e vero amico che tu abbia. Oh, ti prego, non buttarti anche tu in quella vita leggiera che ha per iscopo gli abbigliamenti e le feste. È un pericolo, sai! Una donna è raro che si conservi buona in società. Si vede ammirata, corteggiata e finisce per concentrar tutto in sè, per non occuparsi che di sè, e la sua mente si rimpiccolisce e il suo cuore si raffredda. - Oh, a me pare che saprò essere sempre buona, Filippo! - dissi. - Eh, eh! sicura come sarai di piacere, non penserai ad amare. La tua bellezza e i tuoi successi ti terranno luogo di tutte le gioie più sante e più care! - Io sollevai la testa: tutto il sangue m' era salito al viso. - Filippo! - dissi con una voce che tremava di sdegno e di dolore. - La mia vita tranquilla fra il babbo e lei, in mezzo ai miei libri, è stata troppo bella perchè io vi voglia rinunciare. Voi mi avete detto e ripetuto troppo che sono buona, che sono colta, che sono una donnina forte, perchè io lo possa dimenticare, per il piacere di sentirmi dire che sono bella! Lei poi, Filippo, ha fatto di tutto per instillar qui dentro delle idee sode e serie, e un briciolo di quel buon senso che in tanti casi della vita, dicono, val più dell' ingegno.... Filippo, Filippo! se c' è una persona che non deve dubitare di me, è lei! - mi copersi il viso colle mani dando in uno scoppio di pianto. Vi fu un po' di silenzio: la mano larga di Filippo passò e ripassò sulla mia testa, e finalmente mi disse colla voce tremante: - Guarda, figliuola! non puoi credere che piacere è per me questo tuo scoppio di sdegno. Mi fidavo di te: sapevo che nessuno al mondo avrebbe potuto mutare quel tuo cuore così lealmente buono: ma avevo bisogno che tu me lo dicessi: e se t' ho offesa è stato per provocare questo sfogo più che per altro, Conny. Per te io metterei la mano sul fuoco: ma non vorrei che tu, per esser brava, dovessi soffrire e far sacrifici. Vorrei vederti amata come lo meriti, da un uomo serio, buono, che conoscesse tutta la tua anima come la conosciamo tuo padre ed io.... Tu, cara Conny col tuo spirito d'osservazione e la tua superiorità, riesci sempre a scoprire tutte le debolezze delle persone che ti circondano: ma sei ancora troppo giovane, e il tuo cuore è troppo buono e la tua mente è troppo serena, perchè tu non possa nemmeno sospettare certe colpe e certe ipocrisie. Povera la mia donnina! tu mi guardi spaventata.... Oh, ma verrà pur troppo il giorno in cui conoscerai che cos' è la società, e diventerai scettica anche tu. - Si alzò. Io singhiozzai. - Le mie parole ti hanno fatto male figliuola, - mi disse accarezzandomi i capelli - ma ti faranno pensare, ed è quello ch' io voglio. Non t' ho detto tutto, ma tu capirai anche quello che ho taciuto.... Oh, credi! è bene che una parola seria venga a scotere in mezzo agli svaghi e alle emozioni dei giorni felici.... - Quando alzai la testa ero sola nel mio salotto. Provai come uno spavento.... - Oh, si: è bene: ma è però doloroso! - esclamai con un singhiozzo. *** C' era stato l'ultimo ballo di carnevale, m'ero alzata tardi, stavo pensando che cosa avrei dovuto fare in quella giornata, quando entrò mia cugina. - Buon giorno Conny, come stai ? Sei Stanca ? Dio mio, che freddo! - Tirò una poltrona vicino alla bocca del calorifero e vi si rannicchiò mettendosi il manicotto sul viso. - Sono venuta a piedi, lo sai? Che gelo! - e picchiava i piedi sul pavimento. - Pensa! il mio cocchiere stanotte s' è pigliato un raffreddore! Dica quel che vuole mio marito, ma un cocchiere che ha il petto delicato più di una signora io non lo tengo! - Gli hai detto di venire a prenderci alle tre, e invece siam rimaste fino alle sei. Ne avrà certo pigliato del freddo! - dissi io. - Non si va a fare il cocchiere quando non si può sopportarlo. Ma vuoi ridere, Conny?... Figurati che Filippo avrebbe voluto che si mettesse la pelliccia come il servitore! Il cocchiere che è stato là sotto la pioggia tutte quelle ore. Dio sa come l'avrebbe conciata! " O tutt' e due o nessuno; - mi diceva. Lui non pensa che Gaetano deve venir nell' anticamera ad accompagnarci e a prenderci. Che bella figura avrebbe fatto senza pelliccia, in mezzo alle stupende pellegrine di martora di casa Turati e di casa Ponti! - Ah! ma vedi, Elisa! Filippo ha delle ingenuità strane: lui credeva che le pellicce fossero fatte per tener caldo, e che il cocchiere, che doveva star fuori allo scoperto tre ore ad una temperatura di otto gradi sotto lo zero, ne avesse bisogno più del domestico. - L' Elisa mi guardava con un'aria desolata. - Oh, Conny! ti prego.... - supplicò colla sua voce dolce di bambina. - Non ridiventare quella brutta e antipatica Conny di una volta ! - balzò in piedi, e mi buttò un braccio al collo. lo risi e la baciai sulla punta del suo nasino che pareva si fosse voltata in su allora allora, per guardarmi anch' essa e dirmi: -Son carina, non è vero? - Elisa, tu mi hai affascinata: finirai col farmi diventare una donna indolente.... e poco seria come te! - Poco seria! - esclamò scandalizzata. - Conny! come sei cattiva! Vedi, mi vuoi far credere che sono io che t' ho affascinata! ma sei invece tu, più alta, più istruita, e, via.... più seria di me, che colle tue dita lunghe mi avvoltoli e mi fai girare e mi strapazzi come ti piace. Oh, non ti guardo più, va'! - E tornò a sedere nella sua poltrona coi piedi contro la bocca della stufa. - Io presi una seggiola e mi sedetti dietro di lei, voltandole le spalle. - Eppure - dissi calma calma - scommetterei qualunque cosa che ora tu mi fai attaccar i cavalli per forza, e mi conduci dove tu vuoi. - Una risatina allegra e un colpetto della sua testa contro la mia, accolse le mie parole: poi ella arrovesciò le braccia e mi prese per gli orecchi. - Ah, sei la più furba, la più intelligente creatura del mondo! Sei un tesoro, ecco! - Grazie, grazie! ma mi fai male! - Ella rideva ch' era un piacere a sentirla, poi si volse, s' inginocchiò sulla sua poltrona e mi arrovesciò la testa. - Li fai attaccare, non è vero! - mi chiese con una voce supplichevole. - Che cosa ? - I cavalli. Sì, sì! falli attaccare, andiamo insieme a far tre o quattro visite che so già di non trovare; poi andiamo sui bastioni. Mettiti il tuo vestitino corto: dopo scendiamo e facciamo un giro a piedi. Va bene, Conny? dimmi di sì dunque! - E s' io volessi dir di no? Non sei buona. - Eppure.... - Oh Conny, Conny! non essere scortese! - e mi stampò un gran bacio sulla fronte. Chi avrebbe resistito? Ordinai che attaccassero. Mentre mi vestivo, l' Elisa, seduta alla mia toeletta si accomadava il cappellino. - Sai ? - diceva - la mamma stamattina è venuta a trovarmi. Era ansiosa di sapere com' era andata la festa: aveva però incontrato l'Antonietta e sapeva già di quel cotillon così poco spiritoso. Le ho detto dell' orribile abito dell' Emma! N' è rimasta sorpresa anche lei.... Ti pare che mi stia bene questo cappellino, Conny?.... Senti: le ho detto del tuo successone: ne è stata felicissima: se non isbaglio s' è riconciliata con te. Non te ne sei accorta? - lo stavo per rispondere, ma ella continuò: - Ah, sai? Gian Carlo mi ha tormentata per sapere dove si andava; non volevo dirglielo: finii col dargli ad intendere che si andrà sui bastioni nell'ora che non c' è nessuno, poi si sarebbe finite al Cova a mangiare una tartina. Ma scommetto che riesce a trovarci ugualmente quel matto: vedrai! - Conny! - mi dimandò a un tratto mentre si strappava un pelo che le spuntava ostinato da un piccolo nèo, e arricciava il naso per il dolore. - Ahi! che peccato! mi s' è rotto senza strapparsi: Senti dunque.... Che cosa ti dicevo? - Nulla. - Ma sì: ti ho domandato se ti piace mio fratello. - Mi provai a ridere, ma non ci riuscii. - Che domanda originale! - dissi. - Oh Dio mio! che cosa c' è? Ti fa la corte, tutti se ne sono accorti: e niente di più naturale che egli ti sia simpatico. Che occhi, non è vero? e poi quei denti! È tutto bello!... Ma che creatura fredda, Dio mio! mi fai stizza, Conny! Di' dunque ti piace? - Non so. - Non lo sai ?! - e picchiò il piede sul pavimento con stizza. - Non lo meriti davvero. Se non credessi di dargli un dispiacere, glielo direi, guarda! - Ah! ah! dispiacere? - e misi in furia la veletta sul viso perchè ella non potesse vedere come avevo arrossito. - Ma sì; non ho mai visto mio fratello così entusiasta di una signorina. Una volta non si degnava nemmeno di guardarle.... Oh ecco un altro pelo! qua! ma t'assicuro, Conny, che mi vien la barba! - Diedi in una risata più rumorosa e prolungata di quel che fosse necessario, sperando di concentrare tutta la sua attenzione nella barba. - Dirò a Filippo di far un baraccone a Porta Genova e di farti vedere al pubblico. Avanti, avanti signori! qui si vede una donna non mai veduta! che ha la barba vera come un uomo! A chi non ci vuol credere è permesso di tirarla! - Eravamo già in carrozza e si rideva ancora come due bambine. *** Si andò a far tre visite : cioè a lasciare i nostri biglietti, perchè non c' era nessuno in casa; ma donna Beppina c' era e ne fui contenta perchè la stimo tanto. Entrammo quasi insieme con una bella signora elegantissima, grassotta, che aveva un viso aperto e due grandi occhi chiari pieni di sincerità e di allegria. - Chi è? - domandai all' Elisa. - Non lo so - mi rispose; e visto che non è più di moda far le presentazioni, dovetti tenermi la mia curiosità. V' erano altre signore, ed esaurito il discorso del teatro, del ballo di casa S*** e del concerto del Quartetto; quella signora disse: - Hai sentito Beppina, della povera Clara? - La sua fisonomia era così serena, anzi così gioconda, che quella povera Clara non impietosì nessuno. Ma vidi donna Beppina farsi subitamente seria, e mi colpì il tono un po' asciutto della sua risposta, come se quel discorso non le andasse a genio. - Sì, disse - è venuta a salutarmi ieri. Povera Clara, oggi ha trovato un conforto. - E si alzò dicendo: Fa un po' caldo, qui dentro. Non è vero? - e andò a chiudere la bocca della stufa; poi chiamò l' Elisa per mostrarle dei ritratti che c'erano sul tavolino. Intanto il discorso della povera Clara continuava intorno a me. - Che colpo è stato per me! - diceva una signora piccolina, tutta esclamazioni tragiche. È venuta la settimana passata a farmi visita con sua madre; aveva un abito che le stava a pennello.... chi avrebbe detto che tre giorni dopo si sarebbe fatta monaca! Che bella monaca col sóggolo bianco! - disse tranquillamente una terza signora. - In che convento è entrata? È partita per Troyes per fare il noviziato fra le Soeurs du Bon Secours. - Oh Dio mio! per curar malati poveri: e i feriti nelle guerre! ma possono mandarla nel Tonchino! - esclamò la signora piccolina, spalancando gli occhioni con terrore e stringendosi con un brivido le mani nel manicotto. Povera creatura! - disse con un sospiro la signora grassotta. - Oramai la sua vita era un tale tormento, che qualunque fatica materiale le riuscirà indifferente. Povera, povera Clara! - Ma perchè? - dimandò una terza signora - non si tratta di vocazione? - Oh signora! è tutto un triste dramma facile a indovinarsi. Non c' era proprio altra liberazione per lei, che d' andare a farsi monaca. Ma che rimorso oggi per sua sorella! - Come! Lucia Marenzi?! - Ma certo! non sapeva...? - lo ebbi un sussulto. Parlavano forse della signorina De Lami? In quel momento la padrona di casa tornò a noi con Elisa e si sedette di nuovo chiedendo con vivacità se sapevamo del fidanzamento di Paola Varenna. - Che! la Varenna? Ah era tempo! ormai come signorina era un po' matura, ma che bella marchesa sarà! eclisserà sua cugina. - Tutte s'interessarono di sapere come la cosa era accaduta, e la povera Clara era già dimenticata. Ma io non riuscivo a strappare il mio pensiero da lei. L'avevo vista una volta sola la sera di Santo Stefano alla Scala, ed era strano come fin d'allora mi aveva interessata quella pallida, altera figura che mi era parso, a ragione, che nascondesse un dolore. Provavo un' emozione che mi toglieva il respiro, pensando che mai più nella vita l'avrei incontrata, ch' ella era partita per il vasto mondo dove non avrebbe udito che lamenti e gemiti, dove non avrebbe visto che lagrime e piaghe, lei vissuta fino allora in mezzo alle agiatezze e alle eleganze. Mi pungeva una curiosità non mai pro-vata, di saperne di più, di conoscere tutta la storia di lei, e un momento che l' Elisa e le altre signore parlavano fra loro, con gran vivacità, del matrimonio di Paola, io dimandai alla signora grassotta che mi era vicina: - Scusi, signora, mi vuol dire se parlavano della signorina De Lami? - Precisamente. Non la conosce? - La conoscevo di vista, e mi era tanto simpatica. - Oh lo credo! se l'avesse poi conosciuta da vicino! un carattere, sa! colta, seria e nello stesso tempo così semplice nel suo modo di fare, e così piena d'entusiasmi e di fede! troppa fede! fu la sua disgrazia. Certe brutture le parevano impossibili fra persone educate. C' è chi dice ch' è stata una bimba e una sciocca a illudersi, ma noi amici abbiamo visto come ha saputo lui insinuarsi nel suo cuore. Io badavo ad aprir gli occhi a sua madre: " Voi non conoscete il marchese, - le dicevo " diffidate. - Ma erano appena venuti a Milano non avevano un' idea di questi sfaccendati eleganti, che non credono a nulla, non rispettano nulla e si stimano padroni del mondo. Il fatto è ch' ella fu presa per lui da una di quelle affezioni che sono la vita di una donna. E quando più supponeva d'essere amata e sua madre s'aspettava da un momento all'altro che egli le chiedessse di potersi dire fidanzato che è, che non è, la luce si fa, per lei prima che per gli altri; la sorella, quella maritata Marenzi.... Una brutta storia insomma! - Orribile.... - mormorai rabbrividendo. - Antonietta! - chiamò in quel momento la padrona di casa - permetti che faccia le presentazioni che ho dimenticate la contessa Elisa di*** che, sai, è figliuola della marchesa*** e sua cugina, donna Conny***. - Poi disse a noi. - La signora Gemmi, moglie del Senatore, una delle mie più buone amiche, una patronessa preziosa dei nostri Asili. - E sorrise respirando liberamente, ma non capì che non era arrivata a tempo. La signora Gemmi mi fissò co' suoi grandi occhi grigi, con un turbamento così visibile da accrescere il senso di malessere che quella triste storia mi aveva dato; poi a un tratto, non so come, fui colpita come un fulmine dalla percezione viva della verità, come se la cosa io l'avessi sempre sospettata, come se tutto fosse stato detto, come se un nome fosse stato pronunziato. Impallidii? non lo so: so che Elisa mi guardava con inquietudine. Dopo un minuto la Signora Gemmi si alzò e nel salutarmi mi strinse forte la mano guardandomi negli occhi; poi mi disse con una voce piena di bontà e quasi commossa: - Cara signorina, permetta che la baci. - E mi abbracciò stretta. Non ricordo come io sia uscita di là; so che mi trovai in carrozza cogli occhi sbarrati che non vedevano nulla. I polsi mi battevano, le orecchie mi sibillavano, un sudore freddo mi inumidiva il viso, e mi pareva che qualcosa si fosse spezzato in me. Una risatina di Elisa mi fece trasalire con uno spasimo. - Ah ah, se si dovesse credere a tutte le ciarle che si fanno in società! Tu non hai sentito Conny, quanti commenti e quante supposizioni buttate là con la sicurezza di fatti veri, a proposito del matrimonio di Paola Varenna! E tu, Conny, di che discorrevi con quella signora.... Oh Dio, ma come sei pallida, che cos'hai?... Era molto stupida quella signora.... come si chiama? non mi ricordo più. Dev' essere la moglie di un bottegaio arricchito, lo scommetterei! Un dolore intenso, improvviso ai cuore mi tolse il respiro e mi fece chiudere gli occhi. L'Elisa mi afferrò una mano spaventata. - Ma Conny, non capisco! si direbbe che ti sei turbata per la storia di quella Clara, come se.... Ah brava, mi avevi spaventata!... Senti dunque, cara: tu che ti dài le arie di donna forte, ti commovi di tutto. Mi fa ridere: scommetto che quella signora Gemma o Diamante, che sia, ti avrà raccontato che la Clara si fa monaca per una disillusione d'amore. Com' è poetico!... ma non è più di moda! Par il titolo di un romanzo di quarant'anni fa. L'ingenua tradita!... ah ah! Ma già, ha ragione mio fratello.... - Che cosa dice? - domandai colla voce dura. - Dice.... cioè diceva che le signorine come voi sono tante grullerelle, perché pigliate sul serio la cortesia più comune, e come una dichiarazione di amore una parola gentile. Vedete subito grande il doppio ogni cosa.... - Ah!... - In quel momento la carrozza si fermò: eravamo sui bastioni. - Che c' è?... - dimandò l' Elisa. - Il signor marchese - rispose il domestico. E allo sportello della carrozza apparve la figura elegante e bella di mio cugino. Il suo volto era raggiante di allegrezza. - Ah, ah! vi ci ho preso! Ma che cos'hai Conny? ti senti male!... Che cosa è accaduto? - disse spaventato, e tutta la sua fisonomia si rannuvolò. Mi pareva d'essere impietrita: immobile nel fondo della carrozza, con gli occhi fissi in quelli di lui, avrei voluto penetrare con lo sguardo fino in fondo alla sua anima. Egli passò dalla parte mia e mi prese le mani; io le ritirai con ispavento: - No! - dissi con voce rauca. - Ma che cos' hai? Conny! parla, oh parla! Mi vuoi far morire?! - il suo viso si era coperto di pallore. - Scendiamo, scendiamo! - disse con impazienza l' Elisa saltando a terra. - Egli ha qui il phaeton, non è vero? - dissi. - Potresti tornare a casa con lui. Conny.... scendi.... ti prego! - Perchè quella voce esercitava su me un fa- scino così irresistibile ? Perchè mi lasciai prendere le mani e scesi di carrozza e lasciai che mi guardasse negli occhi, e mi dicesse con quella sua voce sommessa e dolce che mi fa tremare: - Grazie! - Era una giornata fredda e nebbiosa dei primi di febbraio: sui bastioni non c' era anima viva. L' Elisa volle passare sul viale che guarda giù nella strada di circonvallazione per vedere il tranvai. lo camminavo come trasognata: Carletto mi prese la mano.... un brivido mi corse dalla testa ai piedi.... se la posò sul suo braccio. Egli rispondeva a tutte le domande curiose della sorella; e il suo braccio si stringeva sempre più al suo petto, come quella sera di Santo Stefano. Si arrivò sul ponte della barriera Principe Umberto: nessuno parlava; poco lontano scalpitavano i nostri cavalli: i tranvai e le vetture passavano rumorosamente sotto di noi, e nella stazione fischiavano e sbuffavano le locomotive. Tutto questo mi rimbombava nella testa dolorosamente. Carletto si appoggiò alla sbarra del ponte e mise una mano sulla mia perchè non la ritirassi; poi rivolse il viso verso di me, ch' ero rimasta ritta e immobile accanto a lui. Oh, no, no! non volevo guardarlo, non volevo essere guardata a quel modo! Mi parve di veder rizzarsi accanto a noi, cogli occhi neri e cupi la povera Clara e mi sfuggì un grido d'angoscia. - Non guardarmi così! ti odio! Conny! mia Conny! abbi pietà di me!... - E le sue labbra di fuoco si posarono sul polso gelato della mia mano. Non so che cosa sia accaduto. Mi ricordo solo, come in un sogno, che ero in carrozza e che mia cugina parlava, parlava, e io ascoltavo senza capire; due cavalli ci rasentarono come un fulmine ed io pensai: perché i miei cavalli non corrono? e mi prese un'ansietà, un' inquietudine affannosa, avrei voluto precipitarmi giù, per correre a casa a piedi, sola! Finalmente la carrozza entrò in casa; scesi e dissi al domestico: - Riconducete la signora Contessa a casa sua, - ed io salii lentamente la scala, entrai in casa, apersi l' uscio del mio salotto e trasalii. Egli era là, ritto davanti a me, pallido e serio. S' inchinò e mi stese tutt' e due le mani. lo m'appoggiai colle spalle al muro: non avevo più un filo di forza né di fiato. - Conny.... sono qui: dimmi perché mi odii. lo ti dirò poi, perché ti adoro. - Mi copersi il viso con le mani e singhiozzai senza piangere. - Oh, non posso, Carletto!... non posso! è una cosa così orribile!... Morirei se la dicessi! Va', va,! per amor di Dio!... Abbi pietà di te stesso se non vuoi averla di me.... Va'! ti risparmio una vergogna. - E rialzai la testa con disprezzo. L' uscio si aperse e entrò miss Jane che si fermò cogli occhi spalancati di spavento. lo le corsi incontro. Ella mi disse: - Don Emanuele è arrivato, lo sapete? m' ha fatto chiamare nello studio perché venissi a dirvi che desidera di par- larvi. - Mi volsi e dissi freddamente: - Addio Gian Carlo. - Egli s' inchinò ed uscì. *** Era uscito; era partito per sempre, lui! l' unico uomo che m'aveva parlato d'amore; quegli che mi adorava! Avevo io il diritto di condannare lui e me al dolore, senza una spiegazione, senza lasciargli modo di giustificarsi?... Dio! Dio! che cosa avevo fatto? In società si raccontano tante cose che non son vere: da cosa mi veniva la certezza che si trattasse di lui? Nessuno aveva pronunziato il suo nome. Oh no, non era possibile, non poteva esser vero! Mi lasciai cadere sul sofà, piangendo di disperazione. Chi mi salvava ora? Nessuno; nessuno avrebbe potuto restituirmi il suo amore, perchè io lo avevo insultato! e un uomo come lui non perdona un insulto! Lady Conny, che avete? - mi domandò miss Jane piangendo. - Nulla, sono una pazza, ecco cosa sono! - e mi alzai, mi asciugai gli occhi e mi guardai nello specchio. - Avete detto che è arrivato il babbo? - Sì, e vi cercava. - Ella corse a pigliare il fiocchetto della cipria: me lo passò sugli occhi e fece scomparire la traccia delle lacrime. - Ecco, milady: potete andare. - Entrai nello studio del babbo, ma mi fermai sulla soglia dell' uscio. Egli non era solo: ritto accanto a lui, davanti al camino, c' era il conte Rinaldi. Il babbo mi venne incontro: io gli buttai le braccia al collo e lo baciai con una commozione e una tenerezza tutta nuova: anch'egli m'accarezzò e mi baciò commosso, come se leggesse nella mia anima desolata. Ma poi il suo viso si illuminò di gioia. Mi prese per mano e mi disse con un sorriso: - È vero, Conny, che hai piacere che Rinaldi rimanga a pranzo da noi? Immagina ch'egli temeva di non essere nelle tue simpatie; gli riferii una certa conversazione del giorno di Natale. Conny disprezza i giovani ammodo, ma apprezza molto i giovani seri come Rinaldi. Non è forse vero? - Io lo ascoltavo trasognata, non trovando parole per rispondere. - Conny, il conte Rinaldi è venuto a prendermi a Roma: siamo ritornati un'ora fa insieme. - Credo che ne' miei occhi sia apparso come uno spavento, perché il babbo si chetò, guardandomi inquieto. Lui, il conte, ritto dietro una seggiola colle mani aggrappate alla spalliera, mi guardava col viso contratto d' emozione. Non sapevo bene perché, ma io fui presa da un tremito: non ancora rimessa dal profondo turbamento di pochi minuti prima, tentavo inutilmente di sorridere, di trovar la voce per parlare, di lottare contro un penoso presentimento che le parole del babbo e il contegno di Rinaldi mi avevano fatto sorgere nell' animo. - Conny, non ti senti bene? che cos'hai? - Ho preso freddo.... sui bastioni. Infatti non sto affatto bene, - e mi passai una mano sulla fronte, perché mi pareva che tutto girasse intorno a me. Rinaldi mi spinse una poltrona dietro. - Su, riscaldati un poco vicino al fuoco - Disse il babbo - vuoi che chiami miss Jane? - No, ti prego, sto bene qui. - Alzai il viso verso il Rinaldi ritto accanto a me, e ci guardammo. Lesse egli ne' miei occhi spauriti e supplichevoli? io lessi ne' suoi, pieni di un desolato dolore.... Restò a desinare con noi. Il babbo credette tutta la sera che io mi sentissi male, ma era assorto in una gran beatitudine, povero babbo, per le attenzioni affettuose di Rinaldi, che, senza mai guardarmi negli occhi, mai.... non si occupò di me, accorgendosi che non mangiavo, che ero presa da brividi: mi fece portare uno scialle, mi versò un bicchierino di bordeau insistendo perché lo bevessi, e poco dopo aver preso il caffè si alzò per andarsene, dicendo che io avevo bisogno di riposo. Si chinò sul sofà sul quale mi aveva fatto distendere: io gli ubbidivo colla docilità di una bambina: una bambina colpe-vole che ha molto da farsi perdonare. - Buona sera donna Conny, - mi disse forte; io gli stesi tutt' e due le mani, egli le prese, esitò, poi le baciò. - Mi perdoni, - mormorò pian piano con voce soffocata - il mio sogno era stato forse troppo ardito.... Non tèma: non ci tornerò più. - Io gli sfiorai colla punta delle dita i capelli, dicendo con filo di voce: - Che Dio la benedica! - Ed egli partì. *** Erano passati alcuni giorni: la zia e l' Elisa avevano chiesto di vedermi, ma io mi chiusi in camera, e miss Jane ebbe l'ordine di dire sempre a tutti che avevo un forte mal di capo e dormivo. Filippo non era mai venuto. Sapevo che la zia aveva avuto dei lunghi e vivaci colloqui col babbo, ma egli non mi diceva nulla, ed io, che il primo giorno gli avevo promesso di parlargli, ora non ne trovavo più il coraggio. Era una domenica, e uscii con lui per andare alla Messa. Sulla bottega della fruttaiola c' era il bambino: mi fermai a baciarlo. Era un pezzo che non lo salutavo più.... ora volevo tornare a tutte le abitudini di una volta. - Dove andiamo, babbo? non a San Francesco veh! c' è uno sfoggio di cappellini eleganti, e di libri da messa colle cifre.... non ci si prega bene. - Dove vuoi andare? - In cerca di qualche chiesina fuor di mano: dove non ci sia che qualche povera donnetta, e dove il prete abbia una pianeta scolorita da cui escano i fili d' oro! - Il babbo passò il mio braccio sotto il suo, e disse, incamminandosi a passo lesto verso il corso di Porta Venezia: - Brava la mia Conny, torna allegra come una volta: e intanto che siamo soli.... vuoi tu dirmi quel che mi avevi promesso? Vuoi tu spiegarmi.... - Si rannuvolò, e la sua voce divenne seria quando aggiunse: - È stato per me un gran dolore, non te lo posso nascondere, lo scoprire che il tuo cuore non aveva scelto Rinaldi, che mi pareva fatto per te; ma forse a ragione mia sorella: è un giovine troppo vecchio. Tu sei espansiva, allegra, ardente, e hai bisogno di un uomo che, non solo ti voglia bene, ma te lo dica.... Conny, non vuoi proprio confidarmi nulla? - Io respiravo a fatica: avevo un nodo alla gola, che m' impediva di parlare. Si camminò un poco in silenzio: il Corso era quasi deserto. Sperai che si entrasse nella chiesa di San Babila, ma invece si andò innanzi. - Conny, ieri sera sono andata da mia sorella: lo sai? - No, non me lo avevi detto. - Ho dovuto andar io.... perché c' era qualcuno che non voleva venir da me. - Mi sentii un colpo nel cuore. Perché il babbo me ne parlava? Non capiva che soffrivo? Egli continuò: - Qualcuno che non vuol rimettere il piede in casa nostra senza il permesso della signorina Conny: ma che ti prega, ti supplica, in nome di quello che hai di più caro, di dargli questo permesso: egli vuole una spiegazione.... di che? né io né sua madre siamo riusciti a saperlo. Dice che è un vostro segreto. Io mi fido di te, Conny... e di Carletto: per questo non ho insistito perchè tu parlassi. - Io mi ero accostato il manicotto sulla bocca per soffocare i singhiozzi. - Dio mio! perchè mi diceva tutte quelle cose, nella strada, in mezzo alla gente? Non sentiva che mi trascinavo a fatica, e che il respiro mi si faceva sempre più breve? - Conny: di' la verità: vi amate: di questo non ne dubito: vi siete bisticciati per qualche sciocchezza.... e a quest' ora tu sei pentita, povera la mia bambina!... Dunque appena ritornati a casa, gli scrivo che la signorina Conny permette al marchese Gian Carlo di venire a vederla. Che! piangi? - Sì, piangevo: piangevo perché avevo bisogno di sfogare tutto il dolore che mi aveva empito il cuore in quei giorni.... Che era accaduto? dunque una parola sola, la speranza del suo ritorno bastavano a fugare tutto il disprezzo ch' io avevo provato per lui? Come lo amavo! come lo amavo se mi avvilivo al punto da non credere a ciò che avevo sentito, e da esultare perch' egli mi amava. Sollevai la testa e sorrisi perché nel mio cuore non era rimasta che una gioia immensa che mi pareva un sogno. Eravamo arrivati quasi a Porta Venezia. - Ma dove si va, babbo? Qui non ci son più chiese! Se fossimo ai tempi dei Promessi Sposi direi che si va alla chiesa de' Cappuccini! Ma si svoltò in una via deserta, chiusa in fondo dal bastione, in via Borghetto. - Vedi quella porticina a destra?... - mi disse il babbo. Quella è una chiesina proprio come la vuoi tu: nuda e stretta. Vedrai che pulpito! par troppo piccolo per un uomo. - In quella, una voce allegra, ma che parlava un dialetto sguaiato, mi fece alzar la testa. Una ragazza elegante scendeva a salti dalla stradetta a zig-zag del bastione, e dietro a lei.... Sentii una imprecazione soffocata del babbo, e il suo braccio strinse il mio come per sostenermi. Tutti i miei nervi avevano sussultato con spasimo: ma fu un lampo: la testa mi si rizzò, e mi sembrò di essere diventata più alta e che tutta la mia anima si fosse ad un tratto mutata.... Dietro a lei scendeva, ridendo e chiacchierando, un bel giovane biondo, con un lungo cappotto chiaro. Ci vide, e il suo viso si coperse di pallore, poi diventò rosso come di fuoco: il mio sguardo tagliente come una lama gli deve essere penetrato fino in fondo al cuore. Il babbo spinse la porticina della chiesa: io lo seguii, ma prima di richiuderla mi voltai. La ragazza s' era appoggiata al braccio di lui, e mi passarono davanti: mio cugino si guardava la punta degli stivali. Ciao, Conny! - gridò ad un tratto la fanciulla. Mi sentii un tuffo nel sangue e la guardai cogli occhi scintillanti di sdegno e di ribrezzo. Era la Lisetta; quella mia compagna di scuola di cui mi aveva parlato la fruttaiuola. Mi parve che mio cugino trasalisse stupito, e certo respinse il braccio di lei. Ma ella vi s'aggrappò di nuovo dicendo forte: - Che stupida quella Conny! Siamo state compagne di scuola e finge di non conoscermi. - La porta si richiuse dietro di me e mi trovai in chiesa. M' inginocchiai: i miei occhi erano fissi a una candela che ardeva sull'altare, e quella fiammella agitandosi mi pareva che s'allargasse e formasse delle grandi stelle che m'abbagliavano: ma non pensai di guardar altrove. Una povera donna, inginocchiata vicino a me, diceva al suo bambino: - Di': Buon Dio, beneditemi, fatemi diventare un bravo giovane, sincero e onesto. - E nelle orecchie mi si ripeteva: " un bravo giovine sincero e onesto.... - E nella mente, fisso, questo pensiero: L'ho amato! l'ho amato! e mi chiusi il viso nelle mani con un senso doloroso di vergogna. *** Quando fui sulla soglia del mio salotto mi passai una mano sulla fronte. Non mi pareva vero d'esserci arrivata; mi pareva un gran pezzo ch'ero assente da casa mia, che non vivevo la mia vita tranquilla e felice. Filippo era seduto nella mia paltroncina rossa colla Revue fra le mani; si alzò spalancò serio e compassato, ma poi mi guardò, gli occhi e aperse le braccia. lo mi vi buttai singhiozzando. - Finalmente! - disse. - Ringrazia Iddio che ti sei svegliata in tempo.... domani sarebbe troppo tardi.... Povera figliuola! hai avuto il tuo momento di vertigine anche tu, forte e ragionevole. Era forse necessario: hai fatto la tua esperienza. - Io m'aggrappai stretta e convulsa al suo collo. - Non è stato a tempo Filippo; - disse il babbo con una voce soffocata dall'emozione - l' altro giorno ha rifiutato Rinaldi. Rinaldi! - esclamò Filippo con sorpresa, e le sue braccia mi strinsero, quasi con tremito. - Era il mio sogno - mormorò. - L' unico uomo che ti meritava. Emanuele, - disse poi con una voce ferma e forte, - ti giuro che io ho fatto di tutto per evitare alla tua figliuola questo dolore: ma non ho potuto! Nessuna donna sa resistere al fascino del suo sguardo; è lui stesso che lo ha detto una sera: l' ho sentito io, e so che ha fatto l'esperienza su parecchie signore della nostra società. Questa volta, è vero, aveva tutta l' intenzione di finire al municipio: il mese scorso ha perduto al gioco non so quanto, e aveva bisogno di rifarsi.... - Abbi pietà di questa povera creatura! - gridò risentito il babbo. - Oh! non conosci la tua figliuola; ella ha bisogno di veder chiaro in tutto, di non essere ingannata: non è vero Conny? Vedi, io mi ero detto: Conny è buona e seria. Conny conosce il mondo - e sorrise con amarezza. - Conny, che ha letto i filosofi e i metafisici, analizza, capisce tutto, e sa che cosa bisogna fare per resi- stere alle vanità e alle seduzioni di quella brutta bestiaccia che si chiama società. Conny ha vissuto finora in mezzo a libri sani e a vecchi onesti, ma sa istintivamente quante leggerezze, quante slealtà e quante colpe si trovano nella giovane società: e saprà capire, studiare e rimaner sempre in alto, sopra a tutti, la donnina forte! Questo mi ero detto, cara figliuola; e questo voleva dire: non c' è bisogno di metterla in guardia: non sa ancora che cosa sia l'amore, ma ella saprà distinguere il falso dal vero, il complimento dalla dichiarazione, la parola dal sentimento, la leggerezza dalla serietà. - Tacque. lo tenevo il viso nascosto contro il suo petto e piangevo in silenzio. A un tratto alzai la testa, mi guardai, attorno, e dissi: - Filippo, non ne parliamo più, la prego! - e gli stesi la mano: egli me la baciò ed uscì. - Babbo, staremo sempre insieme! mi condurrai a Roma con te, non è vero? - Sì, cara figliuola; mi asciugò gli occhi, poi mi baciò con tenerezza. - L' indomani mi svegliai pallida ma calma. C' era nel mio sguardo una luce nuova profonda, cupa, e un lampo pieno d'alterezza e qualche volta di sarcasmo, che credo mi durerà tutta la vita. FINE

In Toscana e in Sicilia

245867
Giselda Fojanesi Rapisardi 1 occorrenze
  • 1914
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Mi dava confetti, ginocchiate, o qualche grembiale o uno scialletto, abbracciandomi e stringendomi forte forte, in modo che mi faceva paura, e non mi lasciava se non gli ripetevo che gli volevo bene, che glielo avrei voluto sempre, e sarei rimasta sempre in casa con lui. Io, pur di liberarmi dalle sue mani, promettevo tutto quello che voleva, e fuggivo via per i campi con Beppino. Una sera, avevo allora sedici anni e Beppe ne aveva diciannove.... Ma dovete sapere che Beppino ed io ci si voleva un gran bene, e s'andava d'amore e d'accordo in tutto e per tutto: lui si sfogava con me per la durezza e l'avarizia del su' babbo; io cercavo di consolarlo come potevo, ma non gli sapevo nascondere che anche a me, quell'uomo non mi piaceva con quegli occhiacci cattivi.... Quella sera dunque Beppe, che non ne poteva più, mi disse serio serio: - Nena, quando avrò abbeverato le bestie e chiusa la stalla, vieni dietro casa, guarda che nessuno ti veda; ti voglio dire una parola. - Io ci andai, e Io trovai che mi aspettava. Quando mi rivide, mi venne incontro, e pigliandomi per mano, mi disse risoluto: - Senti, Nena, io ti voglio un bene dell'anima, e mi sono avvisto che anche tu me ne vuoi. Sei una bella ragazza, hai sedici anni, e presto presto qualche giovinotto del vicinato si farà avanti e vorrà venire a veglia da te.... questo io non lo potrei sopportare.... la idea che tu prenda marito e che tu esca da questa casa, mi fa diventar matto di dolore e di gelosia.... impegnamoci dunque; ci conosciamo da tanti anni, siamo ormai avvezzi a stare insieme.... ci troveremo contenti di certo.... eh! che ne dici? - Figurati, - risposi io senza mezzi termini, tanto ero sicura di lui - non desidererei niente di meglio, perchè ti voglio bene proprio di cuore, ma il tu' babbo non ne vorrà sapere: voialtri siete ricchi, o io non ho che quella casuccia e quelle quattro zolle di terra, e anche, finchè vive la mi' mamma, che Dio la faccia campare cent'anni, appartengono a lei; tu' padre vorrà darti una ragazza con una bella dote. - A questo 'un ci pensare: a dir di sì ci ho da esser io. Tu promettimi di non sposare un altro, di voler bene sempre a me, che al resto ci penserò io quando sarà tempo. Ancora siamo un pò troppo giovani, ma fra un par d'anni, se si campa, metterò carte in tavola, e, o con le bone o con le cattive, il consenso il babbo me lo darà. - Passò un anno - riprese la zi' Nena, dopo un breve silenzio - in cui Beppino e io si fu contenti come pasque: si facevano insieme le faccende per i campi; lui mi risparmiava tutte le faticacce, m'aiutava a caricarmi in testa le grosse rope d'erba o la paniera, quando portavo da mangiare all'opre; insomma, fra noi due era un vero paradiso. Ma siccome ci dev'esser sempre qualcosa contraria, perchè la contentezza non sia troppo grande, avevo lo struggimento di vedere che Girolamo, mentre diventava sempre più cattivo con la mi' mamma, che era tanto buona, faceva sempre più il tenero con me, e quella tenerezza, a dirvela schietta, mi garbava poco.... A questo punto la Nena si fermò come incerta se dovesse andare avanti, o se saltare qualche fatto, il cui ricordo la turbava; poi scosse le spalle e riprese: - Un giorno, che la mamma era andata in chiesa e che Beppino aveva attaccato il carro per andare a prendere un carico di fieno, Girolamo mi capitò improvvisamente in camera: - Nena - mi disse - sei sola? ci ho piacere, perchè ti voglio dire una cosa - e prendendomi per la vita, mi dette un bacio proprio sulla bocca, io mi svincolai tutta stizzita e gli gridai; - sapete un pò com'è? gli è tempo che la facciate finita con le vostre carezze e con i vostri baci; non sono più una citta, e voi non siete il mi' babbo, avete capito? - Appunto perchè non sono il tu' babbo, te le fo queste carezze. Nena, tu mi piaci, e tu mi piacesti appena ti vidi, ma allora tu eri troppo tenerina; sposai la tu' mamma per tirarti su a briciole di pane, e perchè tu non mi scappassi. Ora ti dichiaro che ti voglio per me, hai capito? e che non ti lascerò sposare nessuno.... - Mi fate schifo - gli urlai io - se vi arrischierete ancora a dirmi di queste cose, dirò tutto alla mamma e me n'andrò di casa, a costo d'andar per serva.... - Ora dici così - riprese lui calmo, sorridendo - ma poi cambierai idea: della tu' mamma non me n'importa un fico; che cosa mi può fare? andarsene? buon viaggio; se mi leva l'incomodo mi fa un piacere. Pensa che son ricco, ricco più di quanto t'immagini, e che ti ricoprirò d'ori, ti farò un bel vestito di seta color petto di colombo; ti comprerò i pendenti e il vezzo di corallo arrotato, e ti farò dare dalla Lucia il bel vezzo di perle di numero, che le regalai quando venne sposa... La Nena s'interruppe per riprender fiato; le ragazze che l'ascoltavano, fremevano; i giovinotti, scettici, sorridevano sotto i baffi; si capiva che non erano poi tanto inorriditi da ciò che la donna narrava. Questa riprese: - Ebbe il coraggio di dirmi ancora: - Ti prenderò una serva e non farai più faccendacce; lavorerai quando ne avrai voglia. Ti lascio per oggi: pensa a quel che t'ho detto: fra qualche giorno mi darai la risposta - Se n'andò fuori di casa, e io mi buttai attraverso il letto piangendo come una vite tagliata. Girolamo ormai aveva buttato giù buffa e le mie paure non erano senza un perchè - Che cosa farò? dov'è un'altra creatura più disgraziata di me? - pensavo, singhiozzando - Alla mamma non posso dir niente, perchè morirebbe di dolore; a Beppe neppure, per non metter su il figlio contro il padre... Ah! citte mie fu un momento terribile; con quel birbone non ci volevo più stare.... Pensa, pensa, mi venne un'idea: quando tornerà all'assalto per aver la risposta, gli dirò che faccio all'amore con Beppe, e che ci siamo promessi di sposarci; starò a vedere se avrà il cuore di rovinare chi ha giurato d'esser la moglie del su' figliolo! Poera giucca! facevo i conti senza l'oste; quell'uomo era un vero demonio, e quando s'era ficcato in testa una cosa non c'era verso di smoverlo. Lo seppi poi, che di questi capricci ne aveva avuti più d' uno, e che la su' prima moglie, poera donna, era morta martire. Intanto io messi le mani avanti e confessai alla mi' mamma che facevo all'amore con Beppe, che tutti e due ci si voleva bene e non ci si sarebbe lasciati per tutto l'oro del mondo. La mi' pòra mamma non mi parve punto meravigliata, anzi si mostrò contenta, dicendomi: - Vedi, Nena, quando acconsentii a sposare Girolamo, lo feci, più che altro, con la speranza che tu e Beppe un giorno vi sareste sposati e che, oltre ad avere un marito ricco e buono, tu saresti stata sempre con me. Spero che anche Girolamo ne sarà contento. Così mi disse la bon'anima, ma io la supplicai di non dir niente al su' marito - tanto, ancora è presto; Beppe è troppo giovane per tôr moglie; glielo diremo a suo tempo. - E venne, pur troppo, il tempo di dirgli tutto.... Una mattina, era di lunedì, me ne rammento come se fosse ora, Girolamo si levò dicendo che aveva un gran mal di capo, e che perciò non poteva andare al mercato: - Ci andrai tu, Lucia - disse alla moglie - con Beppe, in calessino, per riscuotere i quattrini dei buoi - Quella poera donna, che ubbidiva sempre senza fiatare al marito, fece di sì col capo, si vestì e se n'andò, dopo avermi raccomandato di badare al desinare e alla cena. Io 'un n'ebbi ne anche la forza di rispondere; avrei voluto correrle dietro, attaccarmi a lei, e scongiurarla di non lasciarmi sola in casa con quel birbone, ma me ne mancò il coraggio. Appena furono partiti e che si fu perso di vista il calesse, Girolamo, che era rimasto sul palchetto che dava nell'aia, entrò in cucina e venne verso di me. - Cì siamo! pensai tremando - infatti mi si piantò davanti con le braccia incrociate sul petto dicendomi: - Ci hai pensato a quella cosa? che risposta mi dai? - Ci ho pensato, e vi dico che vi onoro e che vi rispetto come un padre. - Noe, noe ; ma che padre! Voglio che tu mi consideri come il tu' marito, capisci? - Voi siete il marito della mi' mamma e..... - Non potevo continuare, perchè la bile, il dispetto e la paura mi mozzavano la parola; e lui ebbe il coraggio di aggiungere: - Marito della tu' mamma non son più... io la sposai per aver te. - O sentite, allora metterò carte in tavola - gli dissi io, guardandolo bene in faccia, risoluta - sappiate che non vi posso patire, e che mi siete stato esoso fin dal primo giorno che v'ho conosciuto; vi rispettavo perchè eri il marito di quella povera donna, e perchè siete il padre di Beppe, col quale faccio all'amore da più d'un anno...., gnor sì, e ci vogliamo un ben dell'anima e abbiam giurato di sposarci... Non l'avesse mai detto! Pronunziate che ebbi queste parole, Girolamo diventò livido, con gli occhi che gli schizzavano veleno, mi si avventò come una bestiaccia feroce, gridando: - Ah: sgualdrinella, mi disprezzi perchè sei innamorata di quel bardassa di Beppe? La vedremo... hai giurato di sposarlo? e io ho giurato che devi esser mia, e ti piglio senza il tuo permesso... Allora m'acchiappò tutta una bracciata, ma io, che avevo il falcino ancora infilato nella cintola del grembiale, lo tirai fuori e glielo messi sotto il mento, dicendo: - se non mi lasciate subito, vi taglio la gola come è vera la Madonna Santissima - e l'avrei fatto, ve lo giuro. - E avreste agito bene - esclamarono tutti ad una voce gli ascoltatori, che pendevano commossi dal labbro della zia Nena. - Ma lui, vedendo che non facevo celia, non intese a sordo, e mi lasciò, dandomi uno spintone e urlando come un lupo affamato queste improperie: - Cialtrona, morta di fame, pretendi di sposare il mi' figliolo tu? tu che ho raccolta in casa mia per carità?... Levatelo dalla testa sai? perchè piuttosto lo strozzerei con le mi' mani. E così dicendo, furibondo, staccò lo schioppo a due canne dal muro, se lo messe ad armacollo e andò giù per i campi; non lo rividi più fino a sera. Figuratevi con che cuore stetti io tutto il giorno!... Avevo perfino paura che avesse preso lo schioppo per ammazzare la mi' mamma e Beppe. Quando questi due tornarono a casa, venne subito anche lui per pigliarsi i quattrini dei buoi venduti; ma con un viso che faceva spavento. Non volle cenare dicendo che gli continuava il mal di capo, e se n'andò in camera sua. Io, a cena, mi sforzavo di mangiare, ma mi faceva fogo, e i bocconi non m'andavano nè in su, nè in giù; pure cercavo di parlare, per non far conoscere il mio turbamento. Ma da quel giorno incominciò una vita d'inferno: lui era sempre più cattivo e ci faceva patire di tutti gli stenti; stava di continuo alle calcagna di me e di Beppe, perchè non ci si trovasse soli, e la sera poi mi rinchiudeva in camera. Beppe, benchè l'avessi fatto sconsigliare dal sor Priore, buon'anima, al quale m'ero confessata, volle parlare un giorno sul serio a su' padre per chiedergli il consenso di sposarmi. Girolamo lo trattò di tutti i vituperî, e perchè lui si piccava a dirgli che in tutti i modi mi volea sposare, gli mise le mani addosso e lo picchiò come un cane, tanto da costringerlo a stare a letto un giorno. Il ragazzo non si rivoltò perchè era bòno e timorato di Dio, ma se la legò al dito e prese la risoluzione d'andar via di casa e di star lontano fino a che non avesse venticinque anni compiti. Allora m'avrebbe potuto sposare senza il consenso del padre, e si sarebbe andati a stare nella nostra casina; la mamma, se avesse voluto, sarebbe venuta a star con noi. Io intanto non avevo svelato il mio orribile segreto a nessuno; il sor Priore me lo aveva messo a scrupolo di coscienza; diceva che non si deve mai aizzare il figliolo contro il padre, e la moglie contro il marito. Gli diedi retta, stetti zitta, ma quanti bocconi amari dovetti ingollare, citte care, anche ora che son vecchia, se ci penso, mi viene la pelle d'oca. - Dovete sapere - riprese la Nena - che intorno a quel tempo scoppiò la guerra nelle Lombardie; dicevano che bisognava mandar via i tedeschi e che dopo si sarebbe stati tutti tanto bene.... lo queste cose non le capivo, ma da Arezzo e dai paesi vicini venivano dei signori che parlavano come tanti avvocati, per arrolare quelli dei nostri giovinotti che se la sentivano d'andar volontari alla guerra per salvare la patria, come dicevan loro. Un giorno, che per caso Girolamo si era un po' allontanato, Beppe mi disse: - Nena, oggi faccio un ultimo tentativo col babbo, o lui mi dà il permesso di sposarti, o io vado alla guerra, perchè così non si può più andare innanzi: lui è cattivo con te, con la Lucia e con me, un giorno più dell'altro; ci tratta male, ci fa lavorare come ciuchi dandoci da mangiare appena, tanto da cavarci la fame quando si e quando no. La tu' mamma regge l'anima co' denti, e tu sei diventata come una candela di cera. Quando non ci sarò più io, se proprio non vuol piegarsi a lasciarci sposare, vi tratterà meglio di certo. Io piansi, lo pregai, lo scongiurai, gli dissi che piuttosto sarei andata via io, che avrei cercato un servizio, ma che per carità, non parlasse d'andare alla guerra, che se gli fosse capitata una disgrazia, sarei morta di dolore e di rimorso. Fu tutto inutile: per quanto dicessi e facessi, non mi riuscì di smoverlo. - Senti, Nena - mi disse con le lagrime agli occhi - giurami su questa medaglia benedetta che teneva al collo la mi' pòra mamma, che se tornassi dalla guerra con un braccio, una gamba, o, che so io, un occhio di meno, tu mi sposerai lo stesso, e che se i' morissi non sposerai nessuno... Allora parto contento; tu patirai, ma non morirai, perchè di dolore non si more. Aveva ragione: è proprio vero, di dolore non si more. - E a questo punto, due lagrimoni scesero sulle belle gote bianche e ancora fresche, della zia Nena; indi continuò : - Io giurai, piangendo come un'anima disperata, tutto quello che volle lui, poi ci si abbracciò stretti stretti, e ci si diede tanti baci... erano i primi e... furon gli ultimi. Quando la sera, Beppe disse a Girolamo che se non gli dava il consenso di sposarmi sarebbe andato alla guerra nelle Lombardie, quello gli rispose: - Va', va' pure; te lo potrei impedire, ma non ci penso neppure... Un mangiapane di meno in casa; va', va' dove vuoi, anche all'inferno, ma quella cialtrona morta di fame, finchè ho gli occhi aperti io, non la sposerai, se credessi di strozzarvi tutt'e due con le mi' mani. Io ero dietro l'uscio e sentii tutto. - Beppe uscì fuori, bianco come un cencio, che tremava come una foglia, ma senza dire una parola: mi strinse forte forte le mani, scappò via... e non l'ho più rivisto! Ci fu un momento di silenzio: eran tutti commossi. Dopo un po' la zia Nena riprese: - quando, il giorno dopo, ebbi la certezza che Beppe era partito per davvero, corsi dal sor Priore a dirgli che non volevo più stare in quella casa maledetta, ma lui mi sgridò dicendomi: - O non hai cuore per la tua povera mamma? Avresti il coraggio di lasciarla sola, nelle mani di quell'omaccio? Via, pensaci un po'. - Sor Priore - risposi io - se Girolamo mi strapazza e mi maltratta, non me ne curo, patirò tutto per amore della mi' mamma, ma se ricomincia a darmi noia, ora che non c'è più Beppe, e pretende ch'io gli dia retta, che cosa devo fare? - Raccomandati alla SS. Vergine, lei t'aiuterà, non dubitare; poi vieni da me nel caso, e vedremo. Girolamo diventò sempre peggio, sempre più sorgnone, burbero e sgarbato, bensì non mi parlò più mai di quel che temevo: era invecchiato, stava male in gambe, e spesso avea dei giramenti di capo che lo facevano andar in terra di botto. Beppe fece scrivere due volte al sor Priore, pregandolo di salutarmi e d'aver compassione di me. Poi non se ne seppe più nulla fino al giorno in cui venne la nota dei morti a Curtatone... l'ho sempre tenuto a mente questo nome! Beppe era stato uno dei primi a cadere! Quel che io patissi non ve lo starò a dire, immaginatelo voi. Girolamo non parlò più: era diventato di pietra. Una notte scese dal letto e cadde tutto un tonfo in terra: era morto d'un accidente, salvando! O fosse il rimorso o altro, si trovò in un cassetto il suo testamento, fatto dopo la morte di Beppe, in cui lasciava tutto il suo alla moglie. Ecco perchè ho del ben di Dio, ma ho mantenuto il mi' giuramento, non ho preso marito, sebbene, come vi dicevo, l'abbia più volte trovato.- Le ragazze erano commosse ; i giovinotti lodavano la zia Nena per la sua fedeltà; e le mamme facevano mille ri- flessioni, e qualcuna pensava: - a chi lascerà tutto il suo quando morirà? - La zia Nena intanto era immersa nei dolorosi ricordi della sua triste gioventù che col suo racconto aveva rievocati; ad un tratto si scosse: era tardi; il lume a mano minacciava di spegnersi, perchè l'olio era un pezzo giù: - Figlioli, è tempo di svegghiare e d'andare a letto: buona notte. Tutti rincasarono quella sera, contro il solito, in silenzio.

Pagina 105

Una peccatrice

249849
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

- esclamò egli abbracciandomi con effusione; - mi pare di amarti dippiù ogni volta che ti rivedo! «Alzai gli occhi, umidi di lagrime, su di lui, atterrita dall'idea che quelle parole fossero simulate. «No! non era possibile in lui... nel mio Pietro!... il più nobile cuore ch'io abbia conosciuto: era il suo sguardo ardente di passione, e la sua voce che recava l'accento del cuore. «Singhiozzante gli gettai le braccia al collo, come per non lasciarmelo sfuggire mai più, e nascosi la testa nel suo petto. « - Che vuol dire questo pianto? - domandò egli asciugandomi gli occhi coi baci; - son molto colpevole adunque?... « - Oh, no! no!... - singhiozzai; - è che... quello che provo vedendoti... «Egli mi abbracciò, muto, senza rispondere, quasi pentito. «Per otto o dieci giorni non mi lasciò più un minuto. «Sentivo che questa felicità sovrumana mi logorava lentamente, e mi dava ogni giorno forze novelle per sopportarne la piena. «Il giorno che ci fu recato un invito per una serata che dava C***, Pietro mi disse: « - Vi anderò soltanto a condizione che ci venga anche tu. « - Perchè piuttosto non uscire assieme, a farci una delle nostre passeggiate sì belle?!... Sai bene che per me i godimenti che dà la società, il gran mondo, non hanno più attrattive... - gli risposi. « - Bisogna forzarti; non puoi vivere sempre come vivi. Tu sei un angelo di bellezza, ed io sono orgoglioso di te; voglio godere del tuo trionfo. « - Giacchè lo vuoi... - gli dissi reprimendo un sospiro. « - Una sera, - seguitò egli tenendosi le mie mani fra le sue, - una di quelle sere in cui ti cercavo come smaniante, avevo perdute la speranza d'incontrarti; quando vidi passare, al braccio del conte, una donna vestita di bianco, con un semplice bournous bianco sulle spalle, di cui il cappuccio era tirato sulla testa: aveva il corpo svelto ed elegante, l'andatura molle ed incantevole, il sorriso affascinante, alcuni ricci neri scappanti dall'orlo del cappuccio bianco sulla fronte di un candore più puro e direi più rasato. Eri tu!... che parlavi a quell'uomo, che sorridevi a quell'uomo... che non potevi sapere quel che provava quell'incognito che ti passò d'accanto senza che te ne avvedessi. Sentii stringermi il cuore da una mano di ferro... Ti seguii trepidante, divorando degli occhi il tuo passo, i tuoi movimenti, il tuo minimo gesto; reprimendo i battiti del mio cuore per udire l'insensibile fruscio della tua veste... Ti seguii senza speranza che tu ti rivolgessi a vedermi... Andavi da S***. Ti aspettai in istrada sino alle tre, ora in cui la tua carrozza venne a prenderti, vedendo passare i fortunati che andavano a quella festa, che dovevano vederti ed esserti vicini; guardando la luce abbagliante che scaturiva dai veroni aperti, le allegre coppie che si aggiravano per le sale; ascoltando il suono di quella musica festante. Due o tre volte mi sembrò di vedere la tua figura, l'ombra tua, che girava fra le vorticose coppie di un valzer... e piansi lagrime ardenti, disperate;... e passeggiai delirante come un pazzo, sotto quella casa... Ora voglio che tu ti vesta di quegli abiti, Narcisa; che quel cappuccio bianco copra i tuoi capelli. Io non posso esprimerti quegli atomi, quelle percezioni di sensazioni ineffabili che provo in queste reminiscenze; cercando d'illudermi spesso sino alla realtà del dolore che provai, per sentire più viva l'ebbrezza della felicità che tu mi dai ora! «E mi abbracciava, e mi baciava frenetico, ardente. «In mezzo a quelle parole che mi facevano piangere di gioia una frase mi era rimasta fitta dolorosamente come una spina nel cuore: egli avea detto. Non puoi vivere sempre come vivi!... «Quella vita che aveva formato il mio paradiso, adunque, quella vita che noi non avevamo vissuto che per amarci, che per comunicarcela l'un l'altro coi baci, non poteva sempre durare... non era stata che la luna di miele!... «Quando pensai al come vivere un sol giorno senza tal vita, fremetti di terrore, e corsi a vestirmi per nasconderlo a lui. «Uscimmo a piedi lungo la cinta esterna della città, per godere di un magnifico lume di luna. Pietro si mostrò sì allegro, sì contento della nostra felicità, che per qualche tempo riuscì a scacciare anche i miei tristi presentimenti. Non seppi nascondergli la penosa impressione che mi avevano lasciato le sue parole: Non puoi vivere sempre come vivi. « - Sì, - mi rispose egli, - i piaceri, lo feste, ti sono necessarii, poichè ti fanno brillare come un diamante messo in luce... sono necessarii al mio istesso amore per provare quello che provavo d'indefinibile nel fascino che ti faceva abbagliante fra tutte le pompe del tuo lusso. « - Queste parole mi fanno male, Pietro! - supplicai stringendomi contro il petto il suo braccio. « - Perchè? - domandò egli sorpreso. « - Perchè mi provano che tu non potrai amarmi sempre come mi hai amata, come ormai è necessario che tu mi ami perchè io viva! « - Sei pazza! - esclamò egli, baciandomi sulla bocca. «Rimasi fredda, muta a quel bacio; fissando i miei occhi nella luna per dissimulare ch'erano umidi di pianto. Le lagrime che solcarono le mie guancie mi tradirono. « - Ma che hai dunque? - esclamò Pietro fermandosi, vivamente commosso, e abbracciandomi: - che ti ho fatto, Dio mio?!... « - Oh, perdonami... perdonami! - singhiozzai, ponendomi le sue mani sulle labbra; - son io che son folle!... perdonami, Pietro!... tu puoi farmi felice con una parola... Mi ami ancora?... mi ami sempre... come mi amavi?... «Pietro soffocò quelle parole sulle mie labbra coi baci, suggendo avidamente le mie lagrime. « - Oh! che ti ho fatto io per meritarmi questo?! - mi diss'egli colla voce tremante, dominando a stento la sua emozione. Non ti adoro come sei degna di essere adorata?!... Amarti ancora!... ma ogni giorno che passa è un affetto nuovo che si aggiunge all'immenso affetto di cui ti amo!.. « - Grazie! grazie, amico mio! Tu non sai qual bene mi facciano queste parole... come io ne aveva bisogno!... E... e... se qualche giorno... se mai... - ed io stentavo a proferire fra i singhiozzi che mi soffocavano, - tu non mi amassi più, tu non mi amassi come prima, come io voglio essere amata da te... tu me lo dirai... dammi parola che me lo dirai!... meglio questo che I'agonia dell'incertezza... Tu non sai mentire, Pietro!... tu me lo dirai!... « - Narcisa!... « - Oh! fammela questa promessa, Pietro!... tu puoi farmi felice con questa parola... « - Ma sei pazza... calmati, amor mio... « - Oh no! te lo chiedo ginocchioni... promettimi... promettimi che tu mi dirai... che me lo dirai quando non mi amerai più!... «E le mie ginocchia, senza avvedermene, si piegarono. « - Mio Dio! Narcisa... lo non so quello che tu abbi stasera; ma se ciò può farti piacere quantunque io senta tutta l'inutilità di tale promessa... se ciò può servire a calmarti... ebbene!... io te la do. « - Oh! grazie, grazie! - esclamai baciandolo in fronte, con un doloroso trasporto; - grazie!... Io sarò più tranquilla!... potrò almeno godere senza sospetto questi giorni di felicità che puoi darmi... « - Narcisa!... per pietà!... « - Oh, no... Pietro! non vedi che son felice ora?!... «Egli rimase triste e pensieroso lungo tutta la strada. «Io provavo un inenarrabile godimento nell'appoggiarmi al suo braccio, nel sentire palpitare contro il mio polso quel cuore che ancora palpitava per me. Tre o quattro volte alzai gli occhi su quel volto maschio ed energico che adoravo, che divoravo dello sguardo, come se fossi avara del bene che possedevo ancora di saziarmene. « - Confessiamo: - disse Pietro nel salire le scale della casa ove andavamo, sorridendo ancora con una lieve tinta di mestizia, come per scacciare la penosa preoccupazione che ci aveva invaso ambedue; - confessiamo che siamo pure i gran fanciulli, e che i nostri discorsi sono stati ben singolari per due innamorati che vanno ad una festa da ballo. «Respirai più liberamente quando la carrozza ci trasportava rapidamente verso la nostra abitazione: mi parea d'essermi levato un gran peso dal cuore col togliermi quella maschera di convenienza che la società esige, e che, quella sera, in mezzo a quella splendida folla, mi era sembrata odiosa. «L'indomani Pietro si rimise a studiare di lena, come non l'avevo mai veduto lavorare. Io passavo i giorni nel suo gabinetto di studio, disegnando o sfogliando i fiori dei quali era sempre piena la giardiniera che contornava il suo tavolino e dei quali spargevo le foglie sulla carta in cui egli scriveva; o, quand'egli lo voleva, andavo al pianoforte e gli suonavo il pezzo che domandava. «Egli usciva sempre la sera per darsi un poco di distrazione, che le occupazioni assidue del giorno gli rendevano necessaria. Qualche volta l'accompagnavo. Una sera volli rimanere in casa per vedere ciò che avrebbe fatto: uscì solo. «Quattro mesi prima sarebbe stato più avaro del tempo che avrebbe potuto passarmi vicino. «Di tratto in tratto egli si mostrava preoccupato, quasi triste... sembrava staccarsi con isforzo alle sue penose meditazioni per prodigarmi ancora quelle sue ferventi carezze, che mi fanno obliare in un bacio tutti i terrori dell'avvenire. «Non potevo esser gelosa... Alla festa, ove l'accompagnai, avevo veduto le più eleganti e belle dame sorridergli con quella grazia che dà diritti a sperare, prodigargli le più obbliganti attenzioni, e l'avevo veduto rimaner freddo e cortese innanzi a quelle attrattive, cercando avidamente il mio sguardo e il mio sorriso. Egli è troppo generoso e nobile per potermi parlare come mi parla e guardarmi come egli lo fa se il rimorso di un altro affetto lo facesse arrossire. No! il mio Pietro è troppo elevato per scendere sino alla dissimulazione... egli avrebbe piuttosto la forza brutale di abbandonarmi. «Eppure questa certezza, che per molte sarebbe una consolazione, per me è il più crudele disinganno, perchè mi toglie persino la speranza dell'avvenire... Quello che scrivo mi scotta le mani, come mi brucia il cuore... Avrei sempre la speranza di riavere il cuore di Pietro che si allontanasse da me per un'altra donna, poichè egli dovrebbe, tosto o tardi, accorgersi che giammai, giammai donna potrà amarlo come lo amo io, giammai simile amore potrà suggerire alla donna tutti gli incanti più raffinati per fargli bella la vita, per fargli sentire tutte le infinite percezioni di questo amore colle pulsazioni violente delle sue arterie... ma Pietro stanco del mio affetto, di me... Pietro disilluso del prestigio che mi faceva bella ai suoi occhi... io non l'avrò più!... mai... mai più!!... «Dio! Dio mio!... la morte... piuttosto la morte!... «Alcune notti egli è rientrato assai tardi... Ho udito che raccomandava di non far rumore per non isvegliarmi... come se avessi potuto dormire, io!... mentre soffocavo i singhiozzi nascosta dietro la portiera dell'uscio. «Oh, egli ha potuto pensarlo ch'io dormissi... prima che egli fosse ritornato!... «È desolante, è spaventevole tutta questa insensibile gradazione che ogni giorno sempre più assopisce nel suo cuore tutte quelle sensazioni minime, delicate, squisite, che la passione suscita e sublima, e che muoiono con essa... «È dunque morto il suo cuore per me... Dio mio?!... «No! egli mi ha parlato ancora di quelle parole, tenendo la mia mano fra le sue, fissandomi sempre del suo sguardo, che avea tutta l'espressione d'allora... Ma ciò non è durato sempre!... sempre!... a dissetarmi di questo bisogno ardente che ne ho!... «Quand'io gli parlo della sua tristezza, della sua preoccupazione, della sua freddezza sin'anche, egli si mostra qualche volta come impaziente, e dissimula appena una lieve tinta del dispetto che prova di non saper meglio nascondere le sue impressioni. Io leggo chiaramente nel suo cuore: egli ha ancora la generosità d'imporsi per me un sentimento che non prova, di nascondermi quelle illusioni perdute che egli si rimprovera come una colpa sua, colpa che però non ha, di cui il pentimento gli dà la forza di stordirsi nelle mie carezze sino alla febbrile e quasi ebbra eccitazione che può scambiarsi coll'esaltazione della passione. «Un giorno era uscito prima ch'io fossi levata, e avea mandato a dirmi che, invitato da alcuni amici, avrebbe desinato fuori. La sera non era ancora venuto a vedermi; verso le 9 feci attaccare, impaziente d'attendere più oltre, e andai a cercarlo dove sapevo trovarsi ogni sera. «Feci fermare il legno dinanzi il Caffè di Sicilia e mandai il piccolo jokey a cercarlo; egli si alzò subito da un crocchio d'amici, fra i quali era seduto, e venne a mettersi in carrozza con me. « - Ti chiedo mille scuse, mia cara, della noiosa giornata che ti ho fatto passare; - mi diss'egli; però distinsi nel suo accento una sfumatura d'impazienza. Io gli strinsi la mano, poichè ero assai commossa, e non risposi. «La carrozza attraversò tutto il corso Vittorio Emanuele e prese la stada d'Ognina. Fuori l'abitato volli scendere e prendere il braccio di lui. Il calesse ci seguì ad una cinquantina di passi. «Entrambi sentivamo di avere un penoso discorso da intavolare, che non avevamo il coraggio di incominciare, e che perciò ci faceva rimanere in silenzio. «Provava il bisogno però di parlargli, di aprirgli il mio cuore; per averne la forza pensai alle sere istesse passate al fianco di lui... sere di cui le rimembranze erano ancora palpitanti di piacere, e a misura che il mio pensiero le vedeva più vive, che il mio cuore batteva più forte, che i miei occhi si velavano di lagrime, io mi stringevo al suo braccio come fuori di me, come se avessi voluto con quella stretta attaccarmi a quel passato che idolatravo; infine non potei più frenare i singhiozzi. «Pietro si fermò in mezzo alla strada, commosso profondamente, ma non sorpreso da quella scena che forse si aspettava. « - Che hai dunque Narcisa? - esclamò egli, prendendomi le mani. « - Oh, Pietro! - esclamai infine, - tu non sei lo stesso di prima! No! tu non mi ami come prima!... « - Narcisa, tu sei folle coi tuoi dubbi penosi... Se non ti amassi come prima, potrei fare la vita che faccio?... «Queste parole, che cercavano di esprimere un pensiero consolante, erano dure per me: esse parlavano di quella vita che avea fatto la nostra felicità come di un sagrifizio. « - È vero adunque, - proseguii, - questa vita ti è penosa?!... tu sei stanco di farla?!... « - Ascoltami, Narcisa! - interruppe egli, stringendomi le mani, quasi avesse voluto infondermi forza per ascoltare quello che avea a dirmi, e raddolcire quanto vi poteva essere di amaro; non si può sempre vivere di questa vita che noi abbiamo fatto, che è la mia più dolce memoria, senza avere delle ricchezze, che io non posseggo, e neanche tu, e le possedessi, io non potrei accettarle da te; bisogna che io mi faccia una posizione, che risponda alle aspettative che si son potute basare sul mio primo lavoro, che è bello del tuo riflesso soltanto. Per ciò fare bisogna piegarsi un poco a tutte quelle convenienze che la società esige rigorosamente. Io ho dimenticato tutto per te, sei intieri mesi: gli amici, il mio avvenire, gli impegni assunti; anche una madre che adoravo, la più buona, la più santa fra le madri, che aveva pur diritto all'amore del figlio suo, e che sei intieri mesi non ha avuto una parola da lui, non l'ha abbracciato una volta... Oh, credimi, Narcisa... è colla più viva commozione, colla più profonda riconoscenza anche, che io rammento questi sei mesi d'amore... Ma perchè quest'amore istesso duri con tutti i suoi incanti bisogna che esso sia assaporato lentamente: in fondo all'ebbrezza che stordisce si trova presto la disillusione che uccide l'amore... ed io voglio amarti sempre, mia Narcisa! «Soffocai i miei gemiti col fazzoletto, e rimasi muta, pietrificata dinanzi a lui che mi stringeva ancora le mani, e mi fissava quasi avesse voluto leggere nei miei occhi. «Dio mio! quello che soffersi in quel punto, credo che non potrò soffrirlo mai più... neanche al momento... «Quand'ebbi la forza di parlare gli dissi tristemente, divorando tutta l'estensione del mio dolore per nasconderglielo: « - Se mi amassi ancora, come dici, non avresti mai proferito ciò... « - Narcisa! - replicò egli, tradendo una viva impazienza, - non son uso a mentire... mi pare... « - Oh no! tu non mentisci... o piuttosto tu vuoi ingannare te stesso, perchè hai pietà di me... Grazie, Pietro! « - Io avrei dovuto parlarti da qualche tempo su questo proposito, - mi diss'egli; ho temuto sempre di farti dispiacere, ed ho indugiato. Tentai di lavorare per adempiere in parte agli obblighi impostimi, ma ti confesso che nulla mi è riuscito.... Mia madre mi ha scritto molte volte le più calde preghiere perchè io vada ad abbracciarla... «Egli aveva esitato a proferire l'ultima frase, e l'avea poscia pronunziata colla precipitazione di colui che prende una risoluzione decisiva. «Mi aggrappai al suo braccio, poichè sentivo le gambe piegarmisi sotto. « - È giusto, - mormorai quindi a metà soffocata: - tua madre ha ragione!... «Ebbi il coraggio supremo di non piangere. Egli rimase muto, facendo sforzi visibili per dominare la sua commozione. « - Mi accorderai almeno quindici giorni prima di partire? - gli diss'io, gettandogli le braccia al collo, piangendo in silenzio. « - Oh! amor mio! - esclamò Pietro quasi con le lagrime agli occhi: - non credevo di essermi meritate tali parole!... « - Ebbene!... fra quindici giorni tu partirai per vedere tua madre!... «Volle abbracciarmi, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ma mi allontanai di un passo, supplicandolo colle mani giunte di non farlo. «Temevo di perdere la forza della mia risoluzione in quell'abbraccio, al quale mi sentivo spinta violentemente da tutte le passioni, suscitate sino al parossismo, che tumultuavano in me. «Egli rimase colpito e sorpreso da quell'apparente freddezza, e m'accorsi ch'era anche indispettito. « - Grazie! - mi rispose freddamente. «E rimase muto... E non una parola di più... Come se avesse temuto ch'io mi pentissi di ciò che gli avevo accordato. «Ripresi il suo braccio per continuare a passeggiare, mentre non avevo la forza di strascinarmi. Lo guardavo: era freddo, pensieroso, quasi cupo. « - Oh,Pietro - gridai quindi singhiozzante, non sapendo più frenarmi, avvinchiandogli Ie braccia al collo; - mi ami?... mi ami come prima?!... Oh, Pietro!.... una volta mi promettesti, mi giurasti... che mi avresti confessato quando tu non mi avresti amato più... come prima... Pietro!... confessalo che non mi ami più!... « - Narcisa! te ne supplico... queste parole mi fanno male! - m'interruppe egli impallidendo. « - Oh, per pietà!... per pietà, Pietro! Me, l'hai promesso... me l'hai giurato!... Sii uomo!... dillo, dillo che non mi ami più! «Invece di volere questa conferma al mio doloroso sospetto, attendevo, con ansia smaniosa, una parola in contrario, che avesse potuto farmi gettare nella sue braccia, delirante di passione. Egli esitò... egli non l'ebbe;... e rimase muto, immobile... come combattuto da un'interna tempesta. « - Non ha dunque cuore quest'uomo! - gridai come una pazza, dopo avere invano atteso, in una terribile angoscia, col petto anelante, le mani giunte, le lagrime agli occhi, quella risposta. Non ha cuore per comprendere quello che si passa nel mio, per farmi felice anche con una menzogna! avevo detto in quelle parole. « Quelle parole però mi perdettero. « Pietro non capì il vero senso appassionato, addolorato, ansioso, che dava loro il mio cuore in quello stato, proferendole; egli capì soltanto tutte quello che vi è di duro, di sprezzante, d'insultante anche - sì, d'insultante - in queste parole prese alla lettera, che parevano dire: Siete un vile! mentre avevano detto: Non avete pietà di me? «Egli si levò pallido, coll'occhio, un momento innanzi umido di lagrime, asciutto e quasi fosco, coi lineamenti duri e severi; egli... quest'uomo! ebbe la forza di dirmi colla sua voce più calma ed incisiva: « - È meglio forse che ci separiamo, Narcisa. «Ebbi paura di lui. «Non potrei mai riprodurre tutto quello che vi era di lacerante in quelle fredde parole che soffocavano in lui il risentimento, che fa supporre pur sempre l'amore, per esprimere la calma ed inflessibile decisione della mente. «Mi sentivo morire, e caddi annichilata sul muricciolo accanto alla strada; Pietro mi diede il braccio, mi sollevò, e mi strascinò quasi sino alla carrozza. «Là, inginocchiata sul tappeto, col volto nascosto fra i cuscini, piansi lagrime ardenti, disperate. «Ora che ci penso a mente più serena, io non risento tutto il pentimento di quelle parole delle quali gli chiesi perdono a mani giunte, colle espressioni più umili, e che mi parvero aver deciso la mia condanna; se Pietro mi avesse amato ancora, egli non avrebbe dato la significazione letterale a quelle parole;... se il suo cuore non fosse stato morto per me, egli non avrebbe potuto prendere quella risoluzione. «Era finita dunque per me!... per sempre!... Ed io, folle!... folle!... gli chiedevo ancora quella franca confessione che mi avevo fatto promettere in un delirio d'amore, come se le parole avessero potuto illudermi, quando tutto parlava in lui chiaramente. «Passai una notte d'inferno, lacerando coi denti il merletto dei guanciali inzuppati di lagrime. «Quando il chiarore incerto che penetrava dalle tende del verone cominciò ad oscurare il globo d'alabastro della lampada da notte, mi alzai, ancora vestita degli abiti che indossavo la sera scorsa... Esitai un istante prima di tirare il cordone del campanello: volevo illudermi ancora su tutta l'estensione della mia sventura. « - È alzato il signore? - domandai alla cameriera che veniva a prendere i miei ordini. « - Anzi Giuseppe, il suo cameriere, crede che non sia nemmeno andato a letto; poichè l'ha udito passeggiare tutta la notte. «Fui commossa profondamente; dunque anch'egli aveva provato tutta la lotta di quella disperata passione! «Mi acconciai allo specchio, con triste civetteria; non volevo accrescere il suo dolore colle tracce del mio; volevo attaccarmi a lui con tutte le risorse di quell'eleganza che egli aveva tanto ammirato in me; e passai nelle sue stanze. «Lo trovai che scriveva, seduto al tavolino nella sua stanza da studio, con un lume ancora acceso dinanzi, sebbene morente. «Oh, signor Raimondo, mi perdoni questi dettagli, sui quali insisto con il doloroso piacere che si prova a ritornare sui particolari di dolci malinconiche rimembranze. «I fiori che ornavano ogni mattina la giardiniera, situata a semicerchio attorno al suo tavolino, quei fiori fra i quali egli s'immergeva, direi, quando si metteva a scrivere, e che avvolgevano i suoi sensi in un vapore di colori e di profumi, e suscitavano mille indefinite percezioni nella sua mente; quei fiori dei quali egli avea detto di aver bisogno come dell'aria per lavorare e per pensare a me, erano appassiti; le tende delle finestre chiuse, sicchè eravi quasi buio nella stanza; attraverso l'uscio aperto della sua camera da dormire vidi il letto scomposto, colle lenzuola lacerate e cadenti a terra, ed un cuscino sul tappeto accanto ad una poltrona rovesciata. «Pietro mi voltava le spalle, colla testa appoggiala fra le mani; aveva dinanzi un monte di quaderni e di fogli di carta, dei quali alcuni lacerati; sul foglio che gli stava sotto la mano era scritta l'intestazione di una lettera e tre o quattro versi cancellati. Egli non mi udì avvicinare, e si riscosse bruscamente quando mi vide vicino a lui. Poscia si alzò e venne a stringermi la mano, sorridendo tristamente. « - Volevo venire a farmi perdonare le mie cattiverie di ieri sera... però non potevo supporti alzata a quest'ora. « - Non ho dormito, Pietro... - gli risposi colle lagrime agli occhi. «Egli volse i suoi in giro per l'appartamento, quasi avesse voluto nascondermi il disordine; li abbassò, e rimase muto. «Non aveva voluto confessarmi che ancor esso avea sofferto: sentii stringermi il cuore dolorosamente. «Venni ad appoggiarmi alla sua spalla, come nei bei giorni in cui sentivo un brivido percorrerlo allo sfiorargli il volto coi miei capelli, e lo guardai in silenzio, spalancando gli occhi per dissimularne le lagrime. Vidi lo sforzo ch'egli faceva per contenersi, baciandomi sulle labbra; ma quel bacio commosso non aveva il febbrile trasporto di una volta, che gli avrebbe fatto stringere il mio corpo fra le sue braccia fino a soffocarmi... Fu solo.. quasi triste.. « - Tu scrivi? - gli diss'io con un coraggio di cui non mi sarei creduta mai capace. «Come colto in fallo egli abbassò gli occhi sulle carte che gli stavano ammonticchiate dinanzi alla rinfusa, e rispose con un cenno del capo, quasi avesse dubitato di avere la mia forza. « - Scrivi a tua madre, Pietro... Le hai detto che fra quindici giorni sarai da lei?... «Questa volta egli non rispose e si recò la mia mano alle labbra. «Mi portai l'altra al cuore, per comprimerne i battiti, dei quali il rumore mi spaventava. «Oh, signor Raimondo... un uomo di ferro avrebbe avuto pietà di quest'agonia straziante, che mi affascinava però colla forza stessa del dolore, che mi strascinava a misurare tutta l'estensione della mia disgrazia... Pietro!... egli!.. non ebbe pietà di quest'agonia, che pure avrebbe dovuto indovinare dalla calma disperata del mio accento, dal tremito convulso delle mie braccia, che si appoggiavano alla sua spalla, dalla terribile tensione del dolore che inaridiva le lagrime sulla mia orbita... Egli non ebbe una parola... una sola!... o piuttosto non ne ebbe la forza... Egli rimase colle labbra fredde e tremanti sulla mia mano, che recava quella percezione al cuore come una stilettata, cercandovi forse la forza di rispondermi. «Un impeto cieco, disperato mi spingeva. « - Son venuta a chiederti una grazia, Pietro, - gli dissi; - questi ultimi quindici giorni che hai avuto la bontà di concedermi... io... io vorrei passarli in Aci-Castello... su quella bella spiaggia che visitammo sì spesso nelle nostre passeggiate notturne... Siamo al 28 di Ottobre, il 13 di Novembre partirai. «Speravo ch'egli soffocandomi dei suoi baci, avesse annullata la sua risoluzione della sera... Non fu nulla di ciò... « - Oggi stesso manderò Giuseppe ad affittarvi un casino: - mi rispose stringendomi le mani e figgendomi gli occhi in volto come cercandovi la spiegazione di quel desiderio; - e domani partiremo. Vuoi che usciamo assieme oggi? «Quella domanda fu il mio colpo di grazia: quando egli mi amava come un pazzo mi avrebbe pregata di non uscire; in appresso non mi avrebbe fatto quella domanda poichè non si sarebbe potuto supporre che l'uno di noi potesse uscir solo... negli ultimi giorni mi amava ancora abbastanza per non propormi una passeggiata come un compenso, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ciò che equivaleva a dichiararmela una compiacenza, come avea fatto in quel momento. «Mi voltai a cogliere un fiore da un vaso di porcellana per recare il fazzoletto alla bocca... Mi sentivo soffocare... Ebbi appena la forza di mormorargli: « - No... no... grazie... Non uscirò tutta la giornata... «Io stessa non udii il suono di quelle parole... Forse neanche egli le avrà udite... Uscii barcollando, operando uno sforzo supremo per dominare il mio dolore immenso, aggrappandomi alle tende che incontravo per non cadere... Nel mio salotto caddi su di una duchesse, annichilata. «Pietro passò al mio fianco tutto il giorno. Mi faceva una pena orribile a vedere gli sforzi che faceva per contenere la sua commozione, per combattere la lotta che ferveva in lui, per mantenersi saldo nella risoluzione che parea essersi fissata, e che quei momenti avevano fatto ondeggiare in lui... Egli fu amoroso con me, come si può esserlo sino ai limiti della commozione, senza il trasporto però della passione, di quell'amore caldo, cieco, irresistibile, quale egli me l'avea fatto provare, quale ormai m'era necessario per vivere, quale avrebbemi fatto dimenticare, almeno, per un'ora, in un bacio, tutta l'estensione dell'immensa sventura che mi percuoteva. «Egli non ebbe una parola, non una sola parola che alludesse alla nostra separazione; ma neanche un'altra che la facesse mettere in dubbio. «Un momento mi parve cattivo e spietato quell'uomo che non mi amava più. «Poi gli baciai le mani, delirante, piangendo a calde lagrime; gli avvinchiai le braccia al collo e lo soffocai quasi fra le mie lagrime e i miei baci, come se avessi voluto farmi perdonare la triste impressione di quel momento. «Giammai! giammai io ho amato Pietro di quest'amore immenso, frenetico, divorante di cui l'ho amato in quel punto... «L'indomani partimmo per Aci-Castello. «No! se anche scrivessi questi versi col sangue che tale tortura ha stillato dal mio cuore, io non potrei arrivare a descrivere tutto lo strazio ineffabile di quest'agonia immensa che è durata 15 giorni; in cui ho dovuto divorare lo mie lagrime; soffocare gli urli disperati del mio cuore, perchè m'impedivano di vedere, di sentire come ogni ora di più il cuore di lui s'allontani dal mio; come quelle sensazioni impercettibili, che formavano l'amore sovrumano di cui quest'uomo mi adorava, vadano morendo in lui... lo non potrò esprimere quello che ho provato di orribile in tutta l'intensità del dolore, quando, con la terribile lucidità che mi dà la mia angoscia, ho letto chiaramente in quel cuore... troppo chiaramente, per mia sventura!... la sorpresa, la tristezza di lui, direi anche, il rimorso delle perdute illusioni del suo amore di un tempo che cerca invano... lo l'ho veduto quell'uomo, quel cuore, chiudere gli occhi, immergersi nel vortice delle più tempestose carezze, soffocarmi coi più febbrili trasporti... frenetico... furibondo quasi, cercando quelle illusioni che avea adorato in me... e nulla!!... nulla!!... e staccarsene pallido, annichilato... quasi piangendo come un fanciullo, guardandosi attorno come smemorato, come cercando ancora quelle sensazioni che non sa più trovare in me... e che io!!!... disgraziata!!... io non posso più dargli!!... «Oh, signore! nessuno!... no! nessuno potrà mai arrivare a comprendere la sublime agonia di quell'istante! «Dio!... Dio mio!... se impazzissi! «No! Dio non è giusto! No! Dio non ha pietà di questo dolore sovrumano! «Pietro è triste, malinconico ogni giorno di più, la pietà istessa che risento di me, di quest'amore di cui l'amo, ch'egli comprende, e del quale non può contraccambiarmi, malgrado tutti i suoi sforzi generosi, questa pietà lo distacca da me, lo fa fuggire, come se temesse di trovare un rimorso nei miei occhi, che, Dio sa con qual coraggio gli nascondono quello che si passa in me. Egli è sdegnato contro se stesso e dolente della simulazione che deve imporsi per compassione di me, delle menzogne che deve giurarmi col volto cosperso del rossore della vergogna. La notte lo sento passeggiare spesso sino all'alba, ora in cui parte per la caccia, e non ritorna che a sera, stanco, spossato, come se avesse voluto nella stanchezza dei sensi addormentare il rimorso del suo amore perduto, e trovarvi una pace che la tempesta delle sue passioni non gli accorda giammai. Eppure, dopo queste corse che hanno gonfiato i suoi piedi, che hanno logorato le suo forze sino alla prostrazione, egli non trova sonno nel letto... egli si stanca ancora a passeggiare per la sua camera... «Qualche volta ho trovato l'indomani il suo fazzoletto e i suoi guanciali umidi: al sapore acre ho conosciuto che erano lagrime... «Lui! questo carattere orgoglioso e forte, quest'uomo di ferro... ha pianto!... ha pianto di dolore, di rimorso, di rabbia, per quest'amore che gli sfugge, che vorrebbe imporsi. «No!.. tale martirio non può durare per entrambi... Io sarò forte!... sì, quest'amore istesso me ne darà la forza. «Morire, mio Dio! morire nelle sue braccia almeno... addormentata dalle sue carezze!... «Abbiamo passato 13 giorni su questa spiaggia che mi sembra deliziosa, malgrado le ore crudeli che vi ho provate. Si dice che il dolore rende fosche le tinte più brillanti del luogo ove si prova... Anch'io ho sentito ciò altravolta; ma quì, in questi ultimi giorni, questi luoghi io li ho amati nei loro minimi particolari; forse perchè mi è caro anche il dolore di quest'agonia che posso provare vicino a lui. «Nel momento in cui scrivo per parlare di lui, per illudermi con lui... sola, di notte, nella mia camera da letto... vedo, attraverso le tende della mia finestra aperta, sbattute dal vento tempestoso di questi ultimi giorni d'autunno che spoglia gli alberi delle foglie, la massa antica, imponente, severamente e grandemente poetica del vecchio e rovinoso castello che pende da una balza suI mare; coi suoi muri massicci e screpolati, sui quali stridono i gufi in mezzo alle ginestre che vi germogliano, che disegnano Ia loro massa bruna su questo cielo trasparente ove risplende la più bella luna del mondo; con questo mare immenso, lucido, che da questa lontananza sembra calmo e lievemente increspato e che muggisce colla sua voce potente fra i precipizii dell'abisso che circonda le fondamenta del castello. «L'altro giorno volli vedere questo castello a metà distrutto, su cui sembra talvolta vedere ancora passeggiare le scolte luccicanti di ferro fra i merli dei torrioni; che mi fa vivere in mezzo agli uomini di una volta che l'hanno abitato coi vivi ricordi che tramanda e che sembrano infondersi incancellabilmente alla sua vista. Pietro volle dissuadermene, dicendo che la strada per giungervi era molto pericolosa per una donna. « - Non sarai tu con me? - gli dissi, come se mi fosse stato impossibile un accidente vicino a lui, o come se quest'infortunio avessi dovuto amarlo, dividendolo con lui. «Egli... costui, cui l'amore avea dato squisite percezioni, cui avea fatto oprare un miracolo di genio e di sentimento nel suo dramma, capì appena tutto il senso di quelle parole. «Mi diede il braccio, come per nascondermi il suo imbarazzo, e mi accompagnò alla salita che precede l'ingresso della rocca. «I muri della torre principale che guardano il paesetto, sembrano di un'altezza smisurata, guardati dal basso, in quel punto, elevati come sono su di un immenso scoglio che dalla parte del mezzogiorno sospende le sue torri sul mare. Due tavoloni di querce sono gettati su di un arco in rovina per traversare l'abisso orribile che si stende al di sotto, in fondo al quale mormora il mare di un sordo rumore, e che fa venire le vertigini al solo guardarlo. «Pietro passò innanzi e mi porse la mano raccomandandomi di non guardare il precipizio per non avere la vertigine; all'incontro io provavo un'affascinante sensazione nel mirare quella gola oscura, a quasi duecento piedi sotto di noi, ove, fra le acute punte degli scogli, biancheggiava la spuma minuta delle onde rotte e imprigionate nella caverna, su cui l'assito che ci sosteneva si piegava sotto il peso dei nostri corpi scricchiolando. «Se cadessimo,qui, abbracciati! - esclamai io quasi involontariamente, stringendo la mano di Pietro che mi guidava. «Mi pareva più dolce quella morte; e preferibile alle torture che provavo, e che supponevo anche in lui. « - Quale pazzia! - mormorò egli stringendo il mio braccio, come per prevenire l'effetto di un capogiro, e accelerando il passo, che avea reso ardito e sicuro, quasi per garantire la mia vita ch'eragli sospesa. «Egli non ha detto: Che cara pazzia!... Ha detto semplicemente: Quale pazzia!... «Ho veduto dalla sommità di quelle torri questo mare azzurro che si confonde con il ceruleo dell'orizzonte, che si stende nella sua grande immobilità in lontananza e freme e spumeggia ai miei piedi; ho veduto quelle barche che sembravano giocatoli da quell'altezza, quel litorale sparso di ville e di paesetti, e Catania... Catania ove Pietro mi aveva tanto amato... «Vi fissai un lungo sguardo, non avvertendo le lagrime che bagnavano le mie guance. « - Che guardi? - mi domandò egli, come se mi avesse domandato: Perchè piangi? « - Catania! - risposi colla voce ancora tremante. «Egli sentì forse tutto quanto vi era di passione e di rimembranze in quella parola; e lo provò anch'egli fors'anche in quel momento, poichè soggiunse, come cedendo ad una generosa risoluzione: « - Vuoi che ritorniamo a Catania? «Non risposi e restai cogli occhi umidi e fissi sul golfo in fondo al quale biancheggiavano le cupole che indicavano la città, appoggiandomi al braccio di lui. Sentivo quanto vi era di nobile sacrifizio in quella proposta; ciò ch'escludeva l'amore, ch'era quello che mi bisognava. « - Dov'è Siracusa? - domandai poscia, come non accorgendomene, cedendo ad un intimo impulso. «Pietro mi additò un punto tra mezzogiorno e ponente, dietro il Capo Passaro che si vedeva distintamente, ove dovea essere il suo paese natale. « - Perchè non mi conduci a Siracusa piuttosto? - gli dissi gettandogli le braccia al collo, singhiozzando e fissando nei suoi i miei occhi brillanti di lagrime. Egli abbassò gli occhi, baciandomi le mani, e rispose, dopo avere esitato un istante: « - Se lo vuoi... « - No! Io non lo voglio... Ciò che io voglio è il tuo amore! il tuo amore sfrenato, ardente, quale lo sentivi per me, quale cerchi ancora come smanioso e non sai più trovare, quale io spero qualche volta illudendomi, e tento tutte le occasioni per travedere in te... e non m'accorgo, pazza, disgraziata ch'io sono, che tu non lo trovi... che tu hai la generosità, la nobiltà di fingerlo meco; ciò di cui senti rimorso;... e che tutto... tutto!... perfino le tue carezze, perfino i tuoi sacrifizii mi dimostrano che tu non senti più per me... « - Partiamo! - soggiunsi poco dopo strascinandolo pel braccio, soffocando l'emozione che sentivo prorompere nell'eccitazione della corsa, poichè mi sentivo morire. «L'ultimo raggio di sole rischiarava ancora i merli della più alta torre, e nell'abisso che dovevamo traversare era buio profondo; e gli echi ne erano mugghianti; e gli sprazzi di spuma biancheggiavano come giganteschi fantasmi. «Un momento mi sembrò che l'immenso fascino di quello spaventevole abisso attraesse l'abisso doloroso del mio cuore; che quei bianchi fantasmi mi stendessero le braccia come a prepararmi un letto eterno che dovesse accogliermi assieme all'uomo che adoravo tanto più freneticamente quanto più lo vedevo allontanarsi da me... Un momento il mio piede si stese sul precipizio e la mia mano strinse più forte la sua per allacciarlo in un modo che nulla sarebbe valso a rapirmelo mai più... « - No! no! gridò il mio cuore gemente: no!... ch'egli viva! ch'egli sia felice!... io non potrò mai essergli grata abbastanza dei giorni che mi ha dato, dei sacrifizi che ha avuto la bontà d'imporsi per me!... Ch'egli sia felice... anche con un'altra!... « Un'altra!... Ecco quell'idea terribile, sanguinosa, che mi ha attraversato il cuore come un ferro infuocato, e alla quale non avrei forse saputo resistere se ci avessi prima pensato... «Mi avvidi, quasi con gioia, come se fossi stata salvata da un immenso pericolo, che camminavamo sul selciato della strada. «Una o due volte, in quella notte agitata e febbrile passata al davanzale della mia finestra, ho avuto dei momenti di speranza, d'illusione, speranza tale che mi faceva mettere dei gridi di gioia, che mi faceva comprimere le tempia fra le mani, quasi le arterie che battevano di felicità, minacciassero di sconvolgermi la ragione... Egli mi avea proposto di accompagnarmi a Catania!... egli aveva avuto forse un istante d'amore per me!... dell'amore di una volta!... «Oh! Dio! Dio!... morire almeno in tal momento!... «Ieri volli uscire con lui; volli fare una passeggiata in barca. Egli prese i remi, ed entrambi, soli, ci cullammo nella piccola barchetta da pescatori su quelle onde azzurre come il cielo. «Quand'egli è solo, pensieroso, vicino a me... provo un momento di dubbio, d'incertezza... Mi pare di sperare, mi pare di averlo mio! tutto mio!... e che nulla abbia potenza di strapparlo all'amplesso frenetico delle mie braccia. «Appena fummo al largo egli lasciò i remi e venne a prendere la mia mano. «Lo guardai come non l'avevo mai guardato: sentivo che non potevo amarlo di più di quanto io l'amavo in quel momento; mi pareva impossibile ch'egli dovesse lasciarmi il dopodomani. «Egli baciava le mie mani, e sostava per guardarle in silenzio, come se avesse temuto di alzare gli occhi nei miei, e per tornare a baciarle... Le sentii umide delle sue lagrime. « - Pietro! - esclamai palpitante di una sublime emozione, mentre tutti i pori del mio cuore si dilatavano ad assorbire le inebbrianti emanazioni di una lusinghiera speranza; - ieri ti pregai di condurmi a Siracusa!... con te... «Egli non potè più frenare il pianto, e scosse la testa tristamente. « - Impossibile! - mormorò con un soffio appena intelligibile. « - Impossibile?... - ripetei radunando tutte le forze di cui mi sentivo capace; - e perchè, Pietro?!... « - Oh! grazia! grazia, Narcisa! - singhiozzò egli stringendomi fra le sue braccia, nascondendo la sua testa nel mio petto: - grazia!... io sono molto vile!!... «Era orribile a vedersi l'angoscia disperata di quel volto energico, l'annichilamento completo di quel carattere di bronzo. « - Sì, io son vile! io son colpevole! io sono infame!... - seguitò con voce delirante: - oh! grazia, Narcisa!... «L'amavo tanto che non sentii tutto lo spasimo sublime che quelle parole mi facevano provare: ebbi soltanto pietà di lui. «Lo abbracciai; piangendo anch'io; tremando convulsivamente del suo tremito; mischiando le mie labbra alle sue. « - Dillo! Pietro... dillo! - gridai con disperato sforzo di volontà, - tu non mi ami più!... tu non mi ami più come prima! «Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta della barca. «Quel silenzio durò cinque minuti. «Quando risollevò il volto fui atterrita dallo spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati profondamente. « - Ascoltami, Narcisa! - cominciò egli con voce solenne, quasi calma: - io ho un sacro dovere di gratitudine verso di te... dovere che mi fanno care le reminiscenze che non potrò dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo giurò sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti la tua felicità. Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del godimento, nel delirio dell'esser felice che forse all'uomo non è concesso di godere... e Dio mi punisce col soffiare su tutte quelle sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi... e spegnerle per me. Nel tremito ardente dei tuoi labbri sul tiepore della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue braccia, nel delirio fervente delle tue carezze; ho cercato invano un atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di più che terreno, quando, seduto sul lastrico della. strada, ti vedevo al verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi trasporti del possederti, quando mi pareva di divenir folle per la felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia sbalorditi della sua estensione. lo ho cercato invano questo profumo, questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi son rimproverato, e di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per inebbriarmene, poichè la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di quest'amore... e che tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai forse sino all'ebbrietà, non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io ho paura di ciò, Narcisa!... poichè la speranza di riamarti un giorno come ti ho amato, m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più nulla a godere sulla terra. Bisogna che io mi allontani da te per qualche tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io dubiti della speranza fin anche di questa felicità, per esser pazzo di te come ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in mezzo allo pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia, delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui tanto stolto da bere troppo... «Egli non potè più proseguire, soffocato dalla violenza della sua commozione; tenendosi il petto colle mani increspate da una violenta contrazione; inginocchiato ai miei piedi; coll'occhio luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto; coi capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore. «Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era sublime, come l'amore di cui m'aveva amato. «Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte, sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore, quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da tutte le vene vi affluiva. « - Addio dunque! - gli dissi con una calma nella voce della quale io stessa ero atterrita: - Addio, Pietro!... «Egli cercò i miei labbri coi suoi freddi, tremanti d'angoscia e di voluttà. « - Addio!... gli mormorarono ancora i miei labbri palpitanti nei suoi. - E svenni fra le sue braccia.

Pagina 170

Cerca

Modifica ricerca