Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracciandolo

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Il ponte della felicità

219023
Neppi Fanello 1 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Quando il figlio comparve, un poco pallido in viso per la lunga permanenza nella semioscurità e ....legato ai ceppi.... per la commozione che lo dominava, il comandante gli si avvicinò e, abbracciandolo, gli disse: - Alvise, da vero soldato tu hai subito la tua pena, e ora fai parte della nostra comunità. Hai lasciato la tua vecchia nonna, la tua casa, per venire a combattere contro i nemici della nostra fede, e mi auguro che tu possa tenere sempre alto il nome dei Benedetti. Ti nomino fino da questo istante marinaro della Serenissima e ti benedico, figlio mio. - Chi poteva ridire la felicità e l'orgoglio che inondarono il cuore di Alvise? Lì, ritto sul ponte, guardava garrire contro il sole il vessillo argenteo e porporino di Sebastiano Veniero. La Santa Cattarina procedeva lenta e maestosa nella scia della capitana, e tutto intorno le altre galee navigavano a uguale distanza l'una dall'altra: con le bianche vele gonfiate dalla brezza, che veniva da nord-ovest, sembravano immensi gabbiani adagiati mollemente sulle onde leggiadre. La testa scoperta sotto il sole di luglio, i ricciuti capelli neri accarezzati dal vento che era passato sui fioriti giardini delle spiagge italiche, il bel viso illuminato dagli occhi ardenti sotto le folte ciglia, Alvise andava da un capo all'altro della galea, osservava tutto e a tutti dava aiuto. Ma ciò che più di ogni altra cosa entusiasmava il giovane erano le lezioni nautiche di suo padre. Zuambattista Benedetti, che vedeva riflessa nel figlio, e quasi ingigantita, la passione dei suoi anni giovanili, non tralasciava occasione per istruirlo nei sottili, accorgimenti ai quali, in mille circostanze, deve ricorrere un abile comandante. Alvise faceva tesoro di quegli insegnamenti, e si può dire che, di ora in ora, la sua mente si arricchiva di cognizioni utili per gli anni a venire. Il 23 luglio, la squadra veneziana giungeva in vista di Messina. Subito, tra il rombo incessante delle artiglierie, le navi pontificie pavesate a festa mossero loro incontro e si unirono alle navi venete per tornare insieme nel porto. Le galee di san Marco si attraccarono lentamente nella baia, dove le onde erano rade e calme, e i gabbiani che le avevano seguite da un approdo all'altro volteggiavano loro intorno con larghi voli concentrici. Una barca venne ad affiancarsi alla scaletta della nave capitana e il condottiero della squadra pontificia, seguito da Michele Bonelli, nipote del Papa, da monsignor Paolo Odescalchi, nunzio pontificio, e da Onorato Caetani, generale della fanteria romana, salirono per salutare e festeggiare l'ammiraglio di Venezia. Nei giorni che seguirono si fecero grandi feste e conviti a bordo delle due capitane di Roma e di Venezia, poi, calmato l'entusiasmo, incominciò la lunga attesa. Di quella forzata ma ingloriosa ignavia approfittarono le armate turche che presero a scorrazzare col ferro e col fuoco per terra e per mare e giunsero fin quasi a Venezia. Candia ridente venne devastata, Corfù fu danneggiata, Gerico, Zante e Cefalonia caddero nelle Alvise.... osservava tutto e a tutti dava aiuto. mani del Turco rapace. Il castello di Sopotò, valorosamente conquistato un giorno dal Veniero, fu ricuperato dai Turchi dopo un violentissimo assalto. Penetrati nell'Adriatico, saccheggiarono Dulcigno, Antivari, Curzola, Lesina, e misero a fuoco Budua e molti altri castelli. Le notizie di tante sciagure infiammavano d'ira e di dolore Sebastiano Veniero. Egli deplorava quel tempo inutilmente perduto, e avrebbe voluto muoversi, correre con le sue galee veloci dove il pericolo era maggiore, arrischiare qualche impresa disperata, pur di frenare quella tremenda corsa alla conquista. Solamente l'autorità e la prudenza di Marc'Antonio Colonna, ammiraglio delle navi papali, riuscivano a contenere l'impeto del vecchio condottiero veneto. Anche sulla Santa Cattarina, vivevano di riflesso indomito, della capitana. Zuambattista Benedetti e suo figlio Alvise agognavano di misurarsi con gli infedeli; ma anch'essi, come il Veniero, dovevano mordere il freno. Frattanto, però, non perdevano il loro tempo e Alvise acquistava sempre maggiore abilità nel comando della galea. Padre e figlio scendevano spesso a terra e gironzolavano per i dintorni di Messina, tra le viuzze dell'orto e lungo le fiorite rive del mare che s'increspava sotto l'infocato riverbero del sole estivo. L'aria era satura dell'olezzo delle zagare, e dalle argentee chiome degli ulivi scendeva una fresca brezza a mitigare la grande calura. Il cielo e il mare apparivano di un verdazzurro stupendo. Nelle prime ore del giorno l'atmosfera era così cristallina da lasciare scorgere, in lontananza i contorni delle isole Lipari. Alvise, abituato ai delicati riflessi della laguna veneta, si sentiva stordito in tanta festa di colori e di effluvi che preludevano a quelli più violenti e intensi dei mari di Levante. E verso il crepuscolo, quando la cortina bruna della notte cominciava a stendersi su tutta quella esultanza di vita, la nostalgia dei suoi canali perlacci e dei suoi campieli silenziosi gli pungeva il cuore. Allora, nascondendo il capo sotto le coltri della sua cuccetta, si stringeva al cuore l'azzurra bandiera con il leone di san. Marco e attendeva a lungo il sonno.

Pagina 76

Cerca

Modifica ricerca