Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbracciandola

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Il Plutarco femminile

217912
Pietro Fanfano 1 occorrenze
  • 1893
  • Paolo Carrara Editore
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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"E tu, rispose la Rosa, abbracciandola amorosamente, e tu starai qui con me, dormirai nel mio letto, mangierai nella mia scodella, e lavorerai come faccio io." E la bambina disse di sì: cominciò a lavorare; e fece ottima riuscita. La buona Rosa, tutta contenta di avere così efficacemente consolato quella sventurata, si infiamm� sempre più nel proposito di far del bene ai suoi simili, quanto gliel concedevano le proprie forze; ed in poco tempo aveva già raccolto dattorno a sè una bella famigliuola di giovanette infelici, innamorate del lavoro, e tutte intente al servizio divino. "Molti sciagurati, chi con un fine, chi con un altro, avevano adocchiato quella casa, dove erano radunate tante ragazze; e le male lingue non mancarono di spargere calunnie; ma la Rosa seppe vincere accortamente e valentemente ogni tentazione e calunnia: il perchè, veduto in modo aperto come stavano le cose, il Comune di Mondovi sua patria, le diè in dono una casa nel piano di Corassone, essendo ormai troppo ristretta la casuccia dov' ella abitava con le sue ragazze. Questa larghezza del Comune accrebbe sempre più il maltalento degli invidiosi, i quali con ogni più iniqua arte volevano frastornare la santa opera; ma la Rosa, sempre più cresceva di coraggio, e superava virilmente ogni battaglia, per modo che, ottenuta un' altra casa anch più grande, a forza di risparmi, di sovvenzioni e di cure indefesse giunse a comprar de' telai, e un compiuto lanificio: del qual risultamento compiacendosi santamente, non aveva altro pensiero che di accrescerlo sempre più. Per la qual cosa, andata nel 1755 a Torino domandò un asilo, che le fu dato dai Padri dell' Oratorio; ed in quelle poche stanze messe su alla meglio de' rozzi letti concedutile dai comandanti militari, vi si posò con parte delle sue compagne; e pose mano a' lavori. Emanuele III allora re di Sardegna, saputa la benefica e veramente utile istituzione fondata dalla Rosa, la lodò altamente, e si propose di ajutarla; al qual fine le concesse il luogo che già appartenne ai frati di San Giovanni di Dio, dove la famiglia della Govona crebbe assai, e crebbe con sempre maggiore efficacia la opera della sua piet�, alla quale fu ben presto data forma di ordinata compagnia, con suo speciale statuto. Tal compagnia si intitolò delle Rosine, e sulla porta furono scritte le parole: Mangerai del lavoro delle tue mani. Ma la pietosa donna (terminerò con le formali parole del valente biografo della Govona) non si stette contenta a tanta grandezza di beneficio; e pur desiderosa di allargarlo quanto più potesse, cercò molte terre, e, sempre chiamando al suo grembo la povertà virtuosa e la bontà sventurata, diede ospizj bene ordinati a Novara, a Saluzzo, a Chieri, a Fossano e a San Damiano d' Asti. Poi, vinta, non dell' animo ma del corpo, per le lunghe fatiche, ammalò e venne a morte tra le sue compagne, come dolce madre tra le sue figliuole; lasciando nella sua memoria bellissimo testimonio della potenza del volere, se fortificato Ball' affetto del bene, e dalla grazia di Dio." Finita che fu la lettura e gli applausi, la direttrice, voltasi tutta ridente alla Nina, le disse: Questa volta non moverà dubbio se la donna di cui le è toccato di scriver la vita, meriti di esser messa fra le più illustri, come lo mosse l' altra volta, che dovè parlare delle donne di Messina. Che dice, la signora Mila, la Govona le par veramente che meriti di esser detta donna illustre?" "Sì signora, rispose la signorina, mi par che lo meriti al pari di qualunque altra." "Non dica al pari, ma molto più delle ricordate sin quì; perchè, se le donne poetesse, guerriere, pittrici e filosofo meritano ogni lode, per avere in ciò agguagliato parecchi valentuomini ed ajutate le arti, le scienze e le lettere; la nostra buona Rosa tanto è da chiamarsi più illustre di loro quanto la opera sua è più efficacemente utile alla civil compagnia, e benefica verso quella parte dell' uman genere, che più è abbandonata dalla fortuna: senza dire che tale opera è veramente la santificazione del lavoro, e promotrice di un' arte di prima necessità a tutti quanti. "La carità verso i poveri non si può negare che sia una delle più belle virtù. sociali; e non senza gran ragione fu posto il precetto evangelico che dice: Vendete quel che avete per far limosine. Ed a questo proposito mi ricordo di aver letto che un certo arcivescovo di Napoli, stando proprio alla lettera del Vangelo, vendè tutta l'argenteria del suo palazzo, e no fece tante limosine; la qual cosa venuta agli orecchi di un gran signore, ricomprò l' argenteria o la, rimandò all'arcivescovo; il quale la rivendè da capo, e da capo fece tanto limosine: o così fece anche per la terza volta. All' ultimo, non volendo l' arcivescovo esser vinto dall'amore di carità, scrisse a quel generoso signore che se non due ma cento volte gli rimandasse l'argenteria, cento volte la rivenderebbe per darla a'poveri; perchè non era di necessità che, in tempi scarsi com' erano allora, l' argento dovesse stare ozioso in casa sua." Questo racconto lo aveva fatto una delle signorine, alla quale la direttrice rivolse queste parole: "La carità del suo arcivescovo è cosa lodevole; ma non è certo per altro che fosse efficace ed operosa. Molti di questi che vivono di limosina sono gente oziosa e viziosa; nè si potrebbe chiamare benefattore della umanità chi a gente sì fatta desse anche tutto il suo: anzi gli accattoni sono una vera piaga della società, ed in paesi bene ordinati non si tollerano. Quante sieno le arti da loro usate per ingannare la dabbenaggine altrui, e per abusare l' altrui bontà, non istarò a dirlo; ma c'è un libretto che tutte le descrive, ed io ne leggerò a loro ogni tanto qualche pagina, acciocchè imparino a guardarsi da tali birbanti. I poveri veri non sono essi: sono quelli detti vergognosi, che non si attentano a chiedere, benchè siano nella miseria; sono i vecchi impotenti e malati: il fare a ',questi la limosina è opera veramente meritoria; il farla agli altri è un mantenere l' ozio ed il vizio; e spesso è un dare a chi ha più di noi, perchè si sono dati parecchi casi, di accattoni, che alla lor morte sono stati trovati ricchi e possessori di cose preziose. Chi per altro vuole acquistar titolo di benefattore dell' umanità, ed aver fama nel tempo avvenire, cerca, sì, di sollevare dalla miseria i bisognosi, ma ordinando la sua carità ad un fine santo e civile, o tal carità sposando al lavoro, che, non solo educa gli uomini al bene, ma è la cagione unica della prosperità delle nazioni, come appunto la buona Rosa Govona; e per lasciare stare altri molti, come ha fatto a' dì nostri Gaetano Magnolfi di Prato." "Anch' io, continuò la signora Nina, quando la direttrice si tacque, non mi sento muover punto a compassione per gli accattoni, specialmente da poi che lessi il fatto di un esercito di costoro, ai quali fece quella saporita celia Ezelino da Romano." "Che celia? disse la direttrice; io non l' ho a mente." E alcuna delle ragazze: "Raccontacela, Nina, raccontacela. "Che si contenta, signora direttrice? "Racconti pure, che la udrò volontieri anch'io. Allora la Nina cominciò: "Antichissimamente comandava a Padova, e in tutti quei paesi d' attorno, un gran signore chiamato Ezelino da Romano. Costui non sapeva rendersi ragione come mai ci fossero nel suo Stato un numero sbalorditojo di poveri; ed investigando venne a sapere com' essi erano gente oziosa ed avara, datasi a limosinar per mestiere, e che tutto ciò che raccoglievano il cambiavano in oro, e lo tenevano cucito dentro agli stracci che portavano addosso. Allora che ti fa il bravo Ezelino? Come se volesse ringraziare Dio per una vittoria avuta sopra i nemici, fece bandire che il tal giorno avrebbe fatto generosa limosina a tutti i poveri dello Stato: però chi fosse veramente bisognoso, venisse a mezzogiorno sulla piazza maggiore di Padova,e lì vi sarebbe stato egli stesso a farla distribuire. Venuto quel giorno, i poveri piovevano a Padova da ogni parte; e tutti erano avviati sulla piazza maggiore, che era cinta di armati; nè il numero di quei cialtroni era certo minore di duemila. Scoccato il mezzogiorno, comparve Ezelino a cavallo, seguito da un drappello di soldati a cavallo, e da una filata di carri che non finiva mai, dove erano un gran numero di vestiti di panno albagio: e postosi egli in mezzo alla piazza, e guardandosi attorno, dopo un poco di tempo parlò agli orecchi a uno dei suoi cavalieri, il quale fece bandire la carità con queste parole: "Il magnifico signore Ezelino, in rendimento di grazie a Dio per la vittoria ottenuta, vuol fare questa segnalata limosina; e sapendo come questa povera gente è mezza ignuda e tutta lacera, gli è parso che cosa più accetta a Dio non potesse fare, che rivestirla tutta quanta di nuovo in su questo avvicinarsi del verno; e però comanda a tutti che, spogliatisi i vecchi stracci, ciascuno si rivesta dei nuovi; e poi così vestiti avranno un buon pasto quì sulla piazza." Il comando fu eseguito: il pasto venne; e furono licenziati. Ma qui fu il busillis. Ciascuno aveva fatto il suo fagottino de' cenci vecchi, per portarselo dietro; ma Ezelino comandò che quegli stracci dovessero lasciarsi lì, e coloro che tentarono di infrangere il comando sentirono quanto pesavano e come ferivano le alabarde dei soldati; sicchè andarono via tutti sconsolati. Si raccolsero poi i loro stracci, che furono bruciati, e vi si trovò tanto oro e tanto argento che Ezelino se ne avvantaggiò molto bene." E la direttrice, e il maestro, e tutte le signorine, risero di cuore a questo racconto; il quale chiuse saporitamente la conversazione di quella mattina.

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