Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbracciandola

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Giovanna la nonna del corsaro nero

204682
Metz, Vittorio 1 occorrenze
  • 1962
  • Rizzoli
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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E corse incontro alla nonna, abbracciandola affettuosamente. "Nipote mio!" esclamò Giovanna, commossa. Il Corsaro Nero alzò gli occhi e vide la fanciulla che era entrata con la nonna. "C'è anche Jolanda!" esclamò. La fanciulla corse ad abbracciare a sua volta il Corsaro Nero. "Papà!" mormorò con affetto. "Sono molto lieto di vedervi," disse il Corsaro Nero con una espressione cupa che non lasciava scorgere affatto la sua allegria "ma..." Si staccò dalla figlia, rivolgendosi alla vecchia: "Come diavolo vi è saltato in mente di venire qui, alla Tortue?" "Abbiamo approfittato di uno sciabecco genovese che veniva da queste parti," rispose la nonna "ed eccoci qui..." "Ma perché siete venute?" "E volevi che ti lasciassi solo?" proruppe la vecchia. "Tu, il mio unico nipote? E senza una persona accanto che abbia cura di te..." "Veramente" disse il Corsaro Nero "questo non è un posto per donne." Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, si rivolse alle quattro creole che avevano smesso di ballare e si erano affollate con gli altri intorno al gruppo composto dal Corsaro Nero e dai suoi familiari: "Avete capito voi?" disse in tono perentorio. "Questo non è un posto per donne... Perciò, fuori di qui!" "Ma," tentò di obiettare ancora il Corsaro Nero "anche voi e Jolanda siete donne..." "Io sono tua nonna" protestò Giovanna. "E io sono tua figlia!" esclamò Jolanda, fieramente. "Quindi abbiamo il dovere di starti accanto anche nei pericoli..." "Che non debbono essere pochi a voler giudicare dalle facce patibolari che ti circondano!" concluse la nonna, girando lo sguardo sui volti dei pirati. I filibustieri, lusingati di essere stati chiamati "facce patibolari" scoppiarono in una grande risata. "C'è poco da ridere!" esclamò la nonna impermalita. "Avete tutti delle facce che fanno spavento..." "Ma sono i migliori pirati del Mar delle Antille!" esclamò il Corsaro Nero. "Migliori, in che senso?" domandò la nonna con diffidenza. "Nel senso che sono tutti Fratelli della Costa..." "Tutti fratelli? Che brutta famiglia!" esclamò Giovanna, facendo una smorfia. "Questi signori" continuò il Corsaro Nero indicando quattro brutti ceffi dalla cui espressione si capiva che, se avessero incontrato per la strada quel viandante di cui si parlava poco fa, lo avrebbero lasciato in mutande "da soli hanno conquistato il Panama..." "Bella prodezza rubare un cappello di paglia!" esclamò la nonna, con una smorfia di disprezzo. "Peuh!" "E questo signore qui," proseguì il Corsaro Nero indicando il Pirata Col Coperchio" aiutato solo dal suo matelot, si è avvicinato di nottetempo ad una caravella spagnola e, a colpi d'ascia, le ha praticato un buco nella fiancata facendola affondare..." "Peuh!" esclamò Giovanna, con disprezzo. "In fondo cosa ha fatto? Ha inventato la caravella col buco..." "E che dire del signor Mendoza," disse il Corsaro Nero senza lasciarsi smontare, indicando il Pirata Meno Un Quarto" che ha lasciato un occhio su un galeone spagnolo, una mano a Trinidad e una gamba a Portobello?" "Dico che non mi piace la gente che lascia la sua roba in giro dappertutto!" rispose la nonna con espressione disgustata. "E lui," così dicendo il Corsaro Nero indicava il nostromo Nicolino "che in una sola giornata nel "E che dire del signor Mendoza, che ha lasciato un occhio su un galeone spagnolo, una mano a Trinidad e una gamba a Portobello?" "Dico che non mi piace la gente che lascia la sua roba in giro dappertutto!" rispose la nonna con espressione disgustata. suo paese ha tagliato mille teste con il suo coltello, tanto che lo hanno soprannominato il Terrore di Pozzuoli?" "Bella roba!" esclamò Giovanna."No, mi dispiace tanto, ma tu questa gente non puoi assolutamente assumerla..." La dichiarazione di Giovanna, che in fondo era la nonna del loro comandante, destò una grande sensazione fra i filibustieri che si guardarono fra loro interdetti. Il Corsaro Nero intervenne: «Come?" domandò."E perché?" «Perché da quello che ho potuto capire," dichiarò la vecchia "questi pirati sono una massa di bricconi... Non sono pirati per bene..." "E noi non ti lasceremo davvero imbarcare con una simile compagnia!" aggiunse Jolanda, con forza. "Ma, signora..." balbettò il nostromo Nicolino "se lei ci caccia via, noi che facciamo?" "Mi dispiace," rispose la nonna crollando il capo "ma siete tutti gente troppo poco raccomandabile..." "Ma io" protestò Nicolino "non ho mai fatto male ad una mosca!" "E le mille teste?" rimbeccò Giovanna. "Le mille teste che avete tagliato in una giornata?" "E... erano teste di pe... pesce, signora..." rispose Nicolino che quando era emozionato balbettava più che mai. "Al mio paese facevo il pescivendolo e non c'era nessuno nella mia città sve... svelto come me a pulire i merluzzi e le sardine..." "E perché allora vi chiamavano il Terrore di Pozzuoli?" inquisì Giovanna guardandolo con diffidenza. "Il Terrone di Pozzuoli, non il Terrore" corresse Nicolino. "Sapete, io sono di vicino Napoli e loro" e così dicendo indicò i pirati "sono tutti settentrionali... E così mi chiamano il Terrone... Il Corsaro Nero ha capito il Terrore e mi ha nominato nostromo... Se gli dicevo la verità perdevo il posto..." "Va bene..." sentenziò Giovanna "questo può restare... Ma gli altri?" Nicolino, visto che a lui era andata bene, volle intervenire a favore degli altri pirati. E con la voce querula che fanno i meridionali in genere quando vogliono ottenere qualche cosa: "Signora," disse "gli altri sono pirati vecchi, fra poco vanno in pensione! Li volete mandar via all'ultimo momento?" Giovanna rifletté un istante. "E va bene," disse "li posso anche tenere, ma ad un patto..." "Che patto?" domandò il Corsaro Nero. "Che assuma io il comando della nave..." Persino Jolanda che, si vedeva benissimo, aveva per la sua bisnonna una vera adorazione, questa non riuscì a mandarla giù. "Ma, nonnina" non poté fare a meno di esclamare. "Avete ottant'anni!" "Ti sbagli, mia cara nipotina" ribatté Giovanna, prontamente. "Ne ho appena venti." "Venti?" trasecolò il Corsaro Nero. "Certo" rispose Giovanna. "Sono nata il 29 febbraio 1587... Siamo nel 1667..." "Quindi avete ottant'anni" calcolò il Corsaro Nero. "No, perché essendo nata il 29 febbraio, cioè 2. Giovanna in anno bisestile, compio un anno ogni quattro" rispose Giovanna con logica strettamente femminile. "Già, ma non so se..." volle ancora obiettare il Corsaro Nero. Ma intervenne Jolanda. "Su, paparino, fai contenta la nonna" pregò, giungendo le piccole mani. "Quando tu non c'eri, al castello, se l'è sempre cavata, sai..." "Sì, questo è vero," annuì il Corsaro Nero, esitando "ma non so se ai miei uomini faccia piacere essere sottoposti a una donna che comanda..." Il Pirata Meno Un Quarto sogghignò. "Perché, mia moglie non comanda forse?" disse. "E la mia?" disse il Pirata Col Coperchio. "Comanda poco quella?" "Io ho sempre sognato di avere una nonna" sospirò il pirata Catenaccio, mentre una lagrima gli solcava il volto patibolare seguendo il percorso tracciato dalla cicatrice. "E voialtri, ragazzi?" "Anche noi!" esclamarono i pirati all'unisono. "Viva la nostra comandante?" gridò il Pirata Meno Un Quarto. "Viva Giovanna, la nonna del Corsaro Nero!" gli fecero eco gli altri pirati in coro, sventolando tutti in aria i loro cappelli, meno il Pirata Col Coperchio che non poteva, com'è facile immaginare, mettere a nudo il proprio cervello sventolando la calotta d'argento. "Viva!" "Allora, siamo tutti d'accordo" concluse il Corsaro Nero. E avvicinatosi alla infernale vecchietta: "Nonna," le annunciò con voce sonora "vi cedo il comando della mia nave..." Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, respirò con forza. Quindi, sguainata la lunga spada che le pendeva al fianco e levandone la punta verso il cielo, gridò minacciosamente: "Ed ora a noi due, conte di Trencabar, governatore di Maracaibo! A noi due, assassino dei miei nipoti! A noi due!" Dall'alto del ballatoio che attraverso una scala di legno conduceva al piano superiore si affacciò un bambino, il figlio del bettoliere: "Dice così mamma" disse "che per favore quando dice: 'A noi due!' lo dica un po' più piano... Su, c'è un malato!"

Il Plutarco femminile

217912
Pietro Fanfano 1 occorrenze
  • 1893
  • Paolo Carrara Editore
  • Milano
  • paraletteratura-ragazzi
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"E tu, rispose la Rosa, abbracciandola amorosamente, e tu starai qui con me, dormirai nel mio letto, mangierai nella mia scodella, e lavorerai come faccio io." E la bambina disse di sì: cominciò a lavorare; e fece ottima riuscita. La buona Rosa, tutta contenta di avere così efficacemente consolato quella sventurata, si infiamm� sempre più nel proposito di far del bene ai suoi simili, quanto gliel concedevano le proprie forze; ed in poco tempo aveva già raccolto dattorno a sè una bella famigliuola di giovanette infelici, innamorate del lavoro, e tutte intente al servizio divino. "Molti sciagurati, chi con un fine, chi con un altro, avevano adocchiato quella casa, dove erano radunate tante ragazze; e le male lingue non mancarono di spargere calunnie; ma la Rosa seppe vincere accortamente e valentemente ogni tentazione e calunnia: il perchè, veduto in modo aperto come stavano le cose, il Comune di Mondovi sua patria, le diè in dono una casa nel piano di Corassone, essendo ormai troppo ristretta la casuccia dov' ella abitava con le sue ragazze. Questa larghezza del Comune accrebbe sempre più il maltalento degli invidiosi, i quali con ogni più iniqua arte volevano frastornare la santa opera; ma la Rosa, sempre più cresceva di coraggio, e superava virilmente ogni battaglia, per modo che, ottenuta un' altra casa anch più grande, a forza di risparmi, di sovvenzioni e di cure indefesse giunse a comprar de' telai, e un compiuto lanificio: del qual risultamento compiacendosi santamente, non aveva altro pensiero che di accrescerlo sempre più. Per la qual cosa, andata nel 1755 a Torino domandò un asilo, che le fu dato dai Padri dell' Oratorio; ed in quelle poche stanze messe su alla meglio de' rozzi letti concedutile dai comandanti militari, vi si posò con parte delle sue compagne; e pose mano a' lavori. Emanuele III allora re di Sardegna, saputa la benefica e veramente utile istituzione fondata dalla Rosa, la lodò altamente, e si propose di ajutarla; al qual fine le concesse il luogo che già appartenne ai frati di San Giovanni di Dio, dove la famiglia della Govona crebbe assai, e crebbe con sempre maggiore efficacia la opera della sua piet�, alla quale fu ben presto data forma di ordinata compagnia, con suo speciale statuto. Tal compagnia si intitolò delle Rosine, e sulla porta furono scritte le parole: Mangerai del lavoro delle tue mani. Ma la pietosa donna (terminerò con le formali parole del valente biografo della Govona) non si stette contenta a tanta grandezza di beneficio; e pur desiderosa di allargarlo quanto più potesse, cercò molte terre, e, sempre chiamando al suo grembo la povertà virtuosa e la bontà sventurata, diede ospizj bene ordinati a Novara, a Saluzzo, a Chieri, a Fossano e a San Damiano d' Asti. Poi, vinta, non dell' animo ma del corpo, per le lunghe fatiche, ammalò e venne a morte tra le sue compagne, come dolce madre tra le sue figliuole; lasciando nella sua memoria bellissimo testimonio della potenza del volere, se fortificato Ball' affetto del bene, e dalla grazia di Dio." Finita che fu la lettura e gli applausi, la direttrice, voltasi tutta ridente alla Nina, le disse: Questa volta non moverà dubbio se la donna di cui le è toccato di scriver la vita, meriti di esser messa fra le più illustri, come lo mosse l' altra volta, che dovè parlare delle donne di Messina. Che dice, la signora Mila, la Govona le par veramente che meriti di esser detta donna illustre?" "Sì signora, rispose la signorina, mi par che lo meriti al pari di qualunque altra." "Non dica al pari, ma molto più delle ricordate sin quì; perchè, se le donne poetesse, guerriere, pittrici e filosofo meritano ogni lode, per avere in ciò agguagliato parecchi valentuomini ed ajutate le arti, le scienze e le lettere; la nostra buona Rosa tanto è da chiamarsi più illustre di loro quanto la opera sua è più efficacemente utile alla civil compagnia, e benefica verso quella parte dell' uman genere, che più è abbandonata dalla fortuna: senza dire che tale opera è veramente la santificazione del lavoro, e promotrice di un' arte di prima necessità a tutti quanti. "La carità verso i poveri non si può negare che sia una delle più belle virtù. sociali; e non senza gran ragione fu posto il precetto evangelico che dice: Vendete quel che avete per far limosine. Ed a questo proposito mi ricordo di aver letto che un certo arcivescovo di Napoli, stando proprio alla lettera del Vangelo, vendè tutta l'argenteria del suo palazzo, e no fece tante limosine; la qual cosa venuta agli orecchi di un gran signore, ricomprò l' argenteria o la, rimandò all'arcivescovo; il quale la rivendè da capo, e da capo fece tanto limosine: o così fece anche per la terza volta. All' ultimo, non volendo l' arcivescovo esser vinto dall'amore di carità, scrisse a quel generoso signore che se non due ma cento volte gli rimandasse l'argenteria, cento volte la rivenderebbe per darla a'poveri; perchè non era di necessità che, in tempi scarsi com' erano allora, l' argento dovesse stare ozioso in casa sua." Questo racconto lo aveva fatto una delle signorine, alla quale la direttrice rivolse queste parole: "La carità del suo arcivescovo è cosa lodevole; ma non è certo per altro che fosse efficace ed operosa. Molti di questi che vivono di limosina sono gente oziosa e viziosa; nè si potrebbe chiamare benefattore della umanità chi a gente sì fatta desse anche tutto il suo: anzi gli accattoni sono una vera piaga della società, ed in paesi bene ordinati non si tollerano. Quante sieno le arti da loro usate per ingannare la dabbenaggine altrui, e per abusare l' altrui bontà, non istarò a dirlo; ma c'è un libretto che tutte le descrive, ed io ne leggerò a loro ogni tanto qualche pagina, acciocchè imparino a guardarsi da tali birbanti. I poveri veri non sono essi: sono quelli detti vergognosi, che non si attentano a chiedere, benchè siano nella miseria; sono i vecchi impotenti e malati: il fare a ',questi la limosina è opera veramente meritoria; il farla agli altri è un mantenere l' ozio ed il vizio; e spesso è un dare a chi ha più di noi, perchè si sono dati parecchi casi, di accattoni, che alla lor morte sono stati trovati ricchi e possessori di cose preziose. Chi per altro vuole acquistar titolo di benefattore dell' umanità, ed aver fama nel tempo avvenire, cerca, sì, di sollevare dalla miseria i bisognosi, ma ordinando la sua carità ad un fine santo e civile, o tal carità sposando al lavoro, che, non solo educa gli uomini al bene, ma è la cagione unica della prosperità delle nazioni, come appunto la buona Rosa Govona; e per lasciare stare altri molti, come ha fatto a' dì nostri Gaetano Magnolfi di Prato." "Anch' io, continuò la signora Nina, quando la direttrice si tacque, non mi sento muover punto a compassione per gli accattoni, specialmente da poi che lessi il fatto di un esercito di costoro, ai quali fece quella saporita celia Ezelino da Romano." "Che celia? disse la direttrice; io non l' ho a mente." E alcuna delle ragazze: "Raccontacela, Nina, raccontacela. "Che si contenta, signora direttrice? "Racconti pure, che la udrò volontieri anch'io. Allora la Nina cominciò: "Antichissimamente comandava a Padova, e in tutti quei paesi d' attorno, un gran signore chiamato Ezelino da Romano. Costui non sapeva rendersi ragione come mai ci fossero nel suo Stato un numero sbalorditojo di poveri; ed investigando venne a sapere com' essi erano gente oziosa ed avara, datasi a limosinar per mestiere, e che tutto ciò che raccoglievano il cambiavano in oro, e lo tenevano cucito dentro agli stracci che portavano addosso. Allora che ti fa il bravo Ezelino? Come se volesse ringraziare Dio per una vittoria avuta sopra i nemici, fece bandire che il tal giorno avrebbe fatto generosa limosina a tutti i poveri dello Stato: però chi fosse veramente bisognoso, venisse a mezzogiorno sulla piazza maggiore di Padova,e lì vi sarebbe stato egli stesso a farla distribuire. Venuto quel giorno, i poveri piovevano a Padova da ogni parte; e tutti erano avviati sulla piazza maggiore, che era cinta di armati; nè il numero di quei cialtroni era certo minore di duemila. Scoccato il mezzogiorno, comparve Ezelino a cavallo, seguito da un drappello di soldati a cavallo, e da una filata di carri che non finiva mai, dove erano un gran numero di vestiti di panno albagio: e postosi egli in mezzo alla piazza, e guardandosi attorno, dopo un poco di tempo parlò agli orecchi a uno dei suoi cavalieri, il quale fece bandire la carità con queste parole: "Il magnifico signore Ezelino, in rendimento di grazie a Dio per la vittoria ottenuta, vuol fare questa segnalata limosina; e sapendo come questa povera gente è mezza ignuda e tutta lacera, gli è parso che cosa più accetta a Dio non potesse fare, che rivestirla tutta quanta di nuovo in su questo avvicinarsi del verno; e però comanda a tutti che, spogliatisi i vecchi stracci, ciascuno si rivesta dei nuovi; e poi così vestiti avranno un buon pasto quì sulla piazza." Il comando fu eseguito: il pasto venne; e furono licenziati. Ma qui fu il busillis. Ciascuno aveva fatto il suo fagottino de' cenci vecchi, per portarselo dietro; ma Ezelino comandò che quegli stracci dovessero lasciarsi lì, e coloro che tentarono di infrangere il comando sentirono quanto pesavano e come ferivano le alabarde dei soldati; sicchè andarono via tutti sconsolati. Si raccolsero poi i loro stracci, che furono bruciati, e vi si trovò tanto oro e tanto argento che Ezelino se ne avvantaggiò molto bene." E la direttrice, e il maestro, e tutte le signorine, risero di cuore a questo racconto; il quale chiuse saporitamente la conversazione di quella mattina.

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