Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracci

Numero di risultati: 7 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Fisiologia del piacere

170471
Mantegazza, Paolo 3 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

La forma più semplice di questa espressione di gioia è un segno fatto con qualunque parte del corpo, ma per lo più con la mano; e può nelle forme più complesse associarsi alle parole o agli abbracci più o meno espansivi. In ogni modo, quando è sincero, l'uomo che lo riceve ne valuta subito il valore morale. Il saluto si esprime anche tacitamente con un leggero chinare del capo e un increspare lieve del labbro al sorriso. Il togliersi dal capo il cappello, residuo di un uso cavalleresco del passato, è ora sostituito dal tendere deciso del braccio in alto, gesto che sostituisce pure la comune stretta di mano. Dopo il saluto l'uomo si fa vicino all'uomo e lo interroga sulle sue vicende, e seguendolo coll'occhio intento dell'affetto a vicenda con lui sorride e con lui piange. Quante volte due uomini, che pur non si videro mai, incontrandosi col cuore gonfio d'affetti, si diedero una formidabile stretta di mano e si intesero! Quante volte con una solo parola fusero insieme i loro cuori in un ineffabile delirio d'affetti; quasi due torrenti impetuosi che, correndo dapprima solitari nel loro letto irto di rupi, incontrandosi si calmarono, scorrendo lenti nel pacifico fondo di un lago! Quante volte quattr'occhi umani, che pur non si erano mai incontrati, rimasero a lungo fissi gli uni sugli altri, leggendo a vicenda in mezzo a un velo di lacrime la storia del cuore e rimandandosi torrenti d'affetto nell'estasi più soave! Talora uno dei due è oppresso dal dolore, e viene confortato dalle parole dell'altro: egli riceve un vero soccorso morale, un'elemosina di parole che viene chiamata consolazione. Le gioie che in questo caso si provano da chi esercita, consolando, il sentimento sociale, possono essere molto diverse di natura e di intensità. Un egoista che, senza soffrire col compagno, pronuncia a fior di labbra e per puro convenzionalismo una parola di conforto fredda e stentata, che non gli costa alcun sacrificio, non può provare che una gioia pallida, perchè egli non sodisfa alcun bisogno del cuore. L'uomo generoso, invece, che, commosso profondamente, stringe forte la mano al fratello che soffre, dicendogli con voce commossa, ma energica, una parola di sollievo, prova una profonda emozione. Più d'una volta una parola sola o una stretta di mano meglio alleviano un profondo dolore e rendono amici due uomini che non si erano mai conosciuti.

Pagina 155

Le espressioni più frequenti con le quali si manifesta ad un amico la gioia di vederlo, sono gli abbracci, i baci e le strette di mano. Quest'ultimo segno credo che sia il più naturale, e che meglio d'ogni altro esprima questo sentimento. Nella stretta di mano si può far sentire tutta la forza dell'affezione, e nello stesso tempo non si esce dai limiti di una calma dignitosa. Il bacio è per l'amicizia troppo sensuale, e dovrebbe essere riservato soltanto alle grandi occasioni. Il bacio non è comprensibile che quando è caldo, impetuoso, non ragionato. In tutti gli altri casi non è che il ridicolo cozzo dei nasi o le precauzioni architettate ad evitarlo, l'umido contatto delle labbra che spesso dà un senso di disgusto.

Pagina 167

Le esclamazioni di gioia possono giungere sino al delirio, e possono accompagnarsi a strette di mano e ad abbracci affettuosi. In tutte queste espressioni si vede una tendenza all'espansione e al moto. Rarissimi sono i sospiri e il pianto. Nella musica patetica invece tutto ispira al raccoglimento e all'emozione. I gesti sono poco estesi, rari e lenti; i sospiri sono prolungati e frequenti, più d'una volta la tensione nervosa ristabilisce l'equilibrio col pianto. Nei gradi massimi del piacere il volto impallidisce, gli occhi sono smarriti, il corpo è assalito da fremiti, da sussulti tendinei, da veri brividi di una voluttà misteriosa. Altre volte il corpo è immobile, quasi colpito da catalessi, e l'uomo sembra rapito in una vera estasi. Questi pochi tratti esprimono la fisonomia generale dei piaceri musicali, ma il quadro non è completato che dalle espressioni di tutti i sentimenti nobili e bassi, buoni e cattivi, i quali tutti, alla loro volta, possono essere suscitati dalle delizie dell'armonia. Ben di sovente noi non pensiamo più alla musica che ci inebbria, ma, trasportati dalla fantasia in regioni lontane, ricordiamo liete memorie o piangiamo sulla terra del cimitero; siam trascinati nel turbine d'una vita operosa o sognamo una vita solitaria e tranquilla. Ora odiamo profondamente, o immensamente amiamo, a seconda dello stato della mente e della natura della musica che ci commuove. Tutte queste fisonomie però verranno studiate nei piaceri del sentimento. Qui mi basterà di aggiungere che tutto l'asse cerebro-spinale può essere tratto in commozione dai piaceri dell'udito, e che indirettamente anche la circolazione e il respiro vi possono prender parte. Il cuore pulsa spesso più forte, e talvolta è preso da accelerate palpitazioni; il respiro si fa lento o affannoso. L'alternar del rossore o della pallidezza del volto e il senso indefinito che ne risentono talvolta le viscere, provano infine che anche il sistema gangliare può entrare come fattore nell'espressione di piaceri dell'udito. Il campo che divide la fisiologia dei piaceri dell'udito dalla loro patologia non ha confini ben determinati. Nei piaceri più intensi dell'armonia si accordano quasi tutti gli uomini: mentre ciò non succede per i piaceri minori o per quelli prodotti dai rumori. Certamente i gusti più bizzarri dell'orecchio non possono influire sulla salute del corpo; ma molti di essi si possono moralmente chiamar patologici, perchè si allontanano dal tipo di perfezione estetica che noi riceviamo dalla natura nascendo. Così possiamo chiamar morbosi i piaceri di quelli che si compiacciono delle strazianti armonie d'una lima stridente, d'una forchetta che si striscia sul piatto, dello scrocchiare delle articolazioni delle dita, dell'abbaiare di un cane, e soprattutto di quelle selvagge disarmonie del sincopato, che il pessimo gusto degli Americani ha portato fra noi.

Pagina 68

Come presentarmi in società

199930
Erminia Vescovi 4 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
  • Vannini
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Una forma più espansiva di accoglienza sono gli abbracci e i baci. Ma vanno lasciati solo al caso in cui due persone che sinceramente si amano, si rivedono dopo una lunga assenza. Tali espansioni sono però più comuni fra le donne che tra gli uomini, e ve ne sono talune che veramente ne fanno abuso. Ora, il dare e ricevere abbracci da chi non ci è particolarmente caro è cosa assai noiosa, e in quanto al bacio, ch'è l'espressione più alta dell'amore, è bene eliminarlo dalle accoglienze puramente formali. Al tempo nostro, poi, si è iniziata e ferve una lotta contro il bacio, anche per motivi igienici. I bambini belli e freschi attirano i nostri baci, si sa; ma oltre il considerare che per quelle povere creaturine è spesso un vero fastidio, e specialmente... da certe bocche!... si pensi che col bacio c'è il pericolo della trasmissione di qualche brutto germe. Ad ogni modo, il bacio si posi sulla fronte e sui riccioli morbidi, al più sulle fresche gotine, mai sulla bocca. Qualcuno suggerisce di baciar al bambino la manina grassa e morbida; e le mamme davvero non si privano di questo piacere, ma una persona estranea non farà bene a usar quest'atto che, dopo tutto, è da inferiore a superiore. Dopo la presentazione volendo intavolare il discorso, si suole usar talvolta una frase di rispetto e benevolenza, di lode o congratulazione, di augurio o anche di condoglianza secondo il caso, che si vuol chiamare complimento. Si fanno poi complimenti in molti altri casi, ai superiori dagli inferiori, alle signore dai cavalieri, e anche tra buoni amici che si rispettano nel tempo stesso che si amano. L'arte di fare un complimento non è molto facile: bisogna che sia opportuno, breve, arguto, che abbia tutta l'aria della spontaneità, anche quando è lungamente elaborato. Chi non ricorda il povero Don Abbondio, quando si stava stillando il cervello per trovare una frase adatta per l'Innominato convertito? Ebbe però il buon senso di respingere quella che gli era venuta in mente: «Me ne rallegro» perché era come dire «che essendo stato finora un demonio vi siate finalmente deciso di diventar un galantuomo come gli altri». E pensa e ripensa gli venne in mente che poteva dirgli: «Non mi sarei mai aspettato questa fortuna d'incontrarmi in una così rispettabile compagnia». Ognuno vede come il complimento non fosse corrispondente allo speciale stato d'animo in cui il poveretto si ritrovava... ma via, dopo tutto non era mal rigirato. E sia detto a sua lode che seppe risponder molto bene alle umili parole del Cardinale Federico, il quale lo pregava di dirgli se nella sua condotta trovava eventualmente qualche cosa di riprovevole: «Oh, monsignore, che mi fa celia? Chi non conosce il petto forte, lo zelo imperterrito di vossignoria illustrissima?» - Benché il briccone aggiungesse poi tra sé: «Anche troppo!». E' un fatto che il complimento sgorga facilmente dal cuore e riesce bene quando si dirige a persona che veramente lo meriti. Ma talvolta invece i meriti sono scarsi, e nel complimento si pecca di enfasi, di esagerazione, e si cade anche spesso nell'adulazione. Se proprio non è necessario, allora è meglio tacere: se il dovere impone una frase cortese, si cerchi d'esser semplici il più. possibile. Riescono poi molto spiacevoli alle persone di buon senso quelle che si profondono in vani complimenti, senza misura, senza opportunità, e come spesso accade, senza sincerità. Le donne si lodano reciprocamente il vestire, la casa, i figli, i lavori femminili; fatte con garbo, queste lodi possono andare. Ma è brutto scaraventar in faccia frasi come queste: - Lei possiede perfettamente tutte le lingue. - Lei suona stupendamente. - Lei è un grande artista... - Quando non si tratti che di poveri dilettanti e di persone appena modestamente colte. Un genere di complimento molto volgare e molto usato è quello che riguarda l'aspetto esterno della persona. «Com'è ingrassata! - Come sta bene! - Che bel colorito! - Ha la faccia proprio tonda!..» - Molto usato, come ho detto, ma tutt'altro che fine, e spesso anche tutt'altro che opportuno. C'è chi lo dice per abitudine a persona che non vede da qualche tempo, c'è chi lo dice badando solo a un momento di apparente floridezza, c'è chi lo dice sempre. E allora c'è il caso che il complimento sembri ironia, o ferisca anche più direttamente le più delicate fibre dell'anima. A una signorina che aveva perduta la madre da quindici giorni, e si trovava in visita confidenziale presso un'intima amica, toccò sentirsi dire da una conoscente sopraggiunta a caso, la testuale frase seguente: Non l'ho mai trovata così bene... Alle signore, in generale, non piace mai di sentirsi dire che sono ingrassate, ad altre invece può dispiacere che si dica il contrario. Lasciamo dunque da parte simili osservazioni o limitiamole alle strettissime conoscenze di cui sappiamo il gusto. Chi poi riceve il complimento, deve mostrare garbo e modestia nella risposta. Certe lodi si possono gentilmente respingere: è opportuno poi, spesso, ricambiare al lodatore, e sviare il discorso riportandolo su di lui. Ad ogni modo si cerchi di rispondere più brevemente che sia possibile, e soprattutto di non far in modo che la risposta sia appicco a nuove lodi. Alle congratulazioni, alle condoglianze, è bene rispondere con affettuosa semplicità, affermando la propria gratitudine e mostrando di credere alla sincerità di chi parla. Talvolta il complimento è il preludio di una domanda di qualche servizio: talora consiste anche in un'offerta... Spiace anche qui l'affettazione e l'esagerazione, e ci ritiene dall'approfittar di quell'offerta che non riputiamo sincera. Benchè si sappia però, come dice il Manzoni, che ai complimenti bisogna far la tara... Un modello perfetto di cortesia è nello scambio di complimenti che il Divin Poeta pone sulle labbra reciprocamente di Beatrice e Virgilio. Ella che ha bisogno d'un favore lo interpella così:

E veramente a leggere nell'Osservatore nei Sermoni quel che scrive egli stesso dei salotti eleganti del suo tempo, a rievocar le scene del Goldoni, in cui mostra gli abbracci e i baci che mal celano la voglia di mordere, a ricordar anche quel che scrive il Parini nel suo Giorno (per contentarsi dei più noti) bisogna proprio concludere che allora il cerimoniale veniva considerato come una moneta falsa, che tutti accettavan per buona, per reciproca necessaria convenzione. Ed egli stesso, il Gozzi, conclude più volte che è molto meglio così, anziché lasciarsi andare ai moti naturali, i quali un po' alla volta tramuterebbero questo mondo in una selva di arrabbiati, come a lui fu mostrato in una specie di visione, dove interviene alla fine madama Civiltà, con le sue donzelle Cerimonie a frenar gli uomini che si azzuffano con pietre e bastoni. L'animo è rimasto lo stesso, ma almeno la vita diventa possibile. «Non ho mai potuto rimuovere il tale dalla sua opinione, e con tutto ciò egli mi ha pure favellato con molta gentilezza; che importa a me? Io avrei voluto piuttosto che desse una negativa aperta. - E s'egli l'avesse data, non gli saresti tu forse stato attorno con mille altri stimoli? Egli se ne sarebbe adirato, e tu ancora. A questo modo, udendo così belle e buone parole, tu non hai avuto cuore di andar più oltre, anzi fosti tu medesimo forzato dalla civiltà a fargli altrettante cerimonie, ed ecco un bell'effetto, che senza punto essere d'accordo, vi siete partiti l'un dall'altro in pace tuttedue, e rivedendovi di nuovo l'un l'altro, vi traete di testa vicendevolmente il cappello, vi fate baciamani e siete quegli amici di prima, se non in sostanza, almeno in pelle...». Filosofia bonaria, spicciola e pratica, come ognuno vede: dei due mali scegliere il minore. Amare sono invece le riflessioni di Melchiorre Gioia: «Siccome è più facile fare degli inchini che dei sacrifizi, atteggiare la testa e le gambe che coltivare gli affetti dell'animo, largheggiare nelle proteste con parole vuote di sentimento che essere pronti ad eseguirle, non pochi sembrano convinti che la maschera sia un rimedio alla bruttezza, perché riesce a nasconderla alcuni istanti». E c'è nell'aria la persuasione, anche ai nostri giorni, che la finzione regni in tutte le proteste di cortesia. - Senta, - diceva una giovinetta di mia molto intima conoscenza a un suo professore, - non è forse una menzogna dir a una persona di cui non c'importa nulla: Sono contentissimo di far la sua conoscenza? - Si mente, e si fa male! Il male, - rispose il professore, il quale non era solo un valente cultore delle matematiche e delle scienze, ma anche una nobile anima sacerdotale, - il male non consiste già nel dirle, quelle parole, ma nel non sentire quello che esprimono. Poichè si dovrebbe sempre essere contenti di conoscere una creatura di Dio simile a noi... - Egli aveva risolto sapientemente la difficile questione, considerandola nel suo intimo valore morale. Bisognerebbe dunque fare che i nostri atti esterni, tutti, rispondessero a sentimenti virtuosi o, meglio, bisognerebbe aver tanta dovizia di bontà e benevolenza che tutti i nostri atti esteriori ne fossero impregnati. Ora, per essere giusti, dobbiamo riconoscere che se non sempre tutti hanno tanta nobiltà d'animo, non è vero però che gli atti di cortesia esterna siano sempre un'odiosa finzione. E non è vero nemmeno che sempre corrispondano a una convenzione reciproca, basata sull'opportunità, e a cui non si dà nessun valore intimo. No, la cortesia dei modi risponde, in generale, a moti e bisogni dell'anima umana, di natura, grazie al cielo, assai più pregevole. E' il bisogno di riuscir graditi agli altri e di guadagnarsi la loro stima, è il desiderio di far loro piacere, è l'estrinsecazione naturale di una schietta generosità, è una istintiva antipatia per tutto ciò che si presenta come vile e grossolano, è la tendenza a pareggiar in decoro di modi e in opportunità di parole coloro con cui ci troviamo in qualche relazione. E nessuno dirà che sia ignobile l'amor proprio che si manifesta così, e nemmeno che sia da biasimarsi l'imitazione che tende a livellare, almeno in questo, le classi sociali. Queste tendenze dell'animo umano sono ormai diffuse per opera della civiltà odierna in tutto il nostro ambiente, ma sono anche innate e spontanee figlie della natura. Vedete due sorelle: hanno avuto la medesima educazione e i medesimi esempi: lo stesso sangue scorre nelle loro vene, eppure l'una ha modi e linguaggio di spontanea cortesia, l'altra conserva in tutto una irriducibile impronta di volgarità. E nelle campagne, si veggon talvolta vecchierelle amabili, servizievoli, cerimoniose persino... Chi ha insegnato loro ad esser tali?... E chi invece ha formato o sformato, l'animo dei loro figli e delle loro figlie, che vediamo spesso così petulanti, indiscreti, rumorosi, intrattabili? Cerchiamo dunque in fondo all'animo umano l'istinto di far piacere altrui, anche a costo di qualche sacrificio, il ragionevole desiderio di ottenere l'altrui gradimento, e, quando l'avremo trovato, le offerte cortesi, le istintive ripugnanze ad ogni atto basso e spiacevole. Tanto che la gentilezza, considerata nel suo scopo e ne' suoi mezzi, dice benissimo Melchiorre Gioia, non differisce dalla morale fuorchè nella gradazione. E infatti, salvar la vita a un pericolante, dar del denaro a un bisognoso, sono germogli della stessa radice da cui viene che si porga un mazzo di fiori, una sigaretta, un dolce. Mentre l'aggredire e il rubare sono fratelli maggiori di quei pessimi istinti che ci spingono a dir villania, o a sciupar un libro che ci venne prestato. E come per praticar la virtù bisogna spesso far violenza a noi stessi, così il galateo ci impone spesso di far tacere le nostre inclinazioni e sacrificare i nostri gusti, se vogliamo che la nostra compagnia riesca gradita agli altri. Taluno potrà negare questa intima connessione di fatti: taluno potrà dire che mentre le persone più cerimoniose son talvolta le più malvage, invece le più rozze sono spesso quelle che hanno più buon cuore. E si citerà per esempio il famoso Burbero benefico di Carlo Goldoni. Ebbene, che cosa vuol dir questo? Rispondiamo anzitutto che casi simili, benché esistano generalmente, sono la' minoranza. E del resto non ne consegue punto che debba essere così, né che sia bene così. Molto meglio se il Burbero benefico non facesse tremar tutto il palcoscenico..., molto meglio se potremo, coll'educazione continua dell'animo nostro, metter in valore le qualità reali, e renderle attraenti agli altri. Chè cogli altri dobbiamo continuamente vivere, e spesso la società giudica l'uomo più da come si presenta, che da come egli è realmente. E in certi casi è più difficile farci perdonare una sconvenienza che un vizio. Vi sono regole di convenienza che variano col tempo, vi son quelle che non possono variare mai, perché hanno, come dicevamo, la loro base nella stessa legge morale. Cambierà la forma del saluto; si potrà star a destra o sinistra d'una persona, secondo i casi, si discuterà se la moglie deve appoggiarsi al braccio del marito o (come si fa ora da più d'uno) se il marito deve tener il braccio della moglie... ma sarà sempre villania non rivolgere il saluto, non curarsi della persona che ci cammina accanto, offendersi tra marito e moglie. Importa dunque persuadersi che la cortesia non è propriamente un cerimoniale. Vi sono anche dei casi in cui le regole precise non si possono dare; e allora?. Allora un istinto ci guida a scegliere il tratto, la parola, il gesto più opportuno, se l'animo è abitualmente gentile, o ci induce a commettere goffaggini e inurbanità se non abbiamo la norma interna del buon gusto e del ben volere. L'arte di piacere agli altri è in gran parte quella di saper esercitare un costante dominio sopra noi stessi. Ecco perché le persone impulsive hanno raramente finezza di modi, ecco perché molti trovan più comodo andar avanti come piace a loro, e dichiarano che non vogliono seccarsi... Ma, a conti fatti, che cosa risulta? La loro scortese incuranza vien ripagata dall'antipatia che generalmente destano, e dalla privazione di molti vantaggi. Al contrario, coloro che si sorvegliano costantemente, che si frenano, che sanno opportunamente tollerare e dissimulare, si guadagnano simpatia, stima, affezione, si trovano facilitato dagli altri l'aspro cammino della vita. Quando noi leggiamo nel Vangelo: «Beati i mansueti perchè possederanno la terra» noi troviamo certo un insegnamento di alto valore mistico. Ma noi vi troviamo anche una constatazione pratica di ciò che accade realmente: coloro che hanno soavità di modi sanno rendersi padroni del cuore altrui e spesso foggiare la propria fortuna. E, del resto, in quel codice supremo di verità, noi possiamo trovar anche altre conferme a quanto abbiamo detto. Non si accompagna forse alla legge severa di non portar odio e di non recar danno alla persona del nostro prossimo, anche la proibizione di dirgli raca? E non è forse prescritta la cortesia del tratto quando vengono biasimati coloro che vogliono i primi posti nelle adunanze e nei banchetti? E quando ci viene insegnato a dir semplicemente si e no, oltre che la menzogna, non viene sbandita anche l'enfasi antipatica, la scortese diffidenza? E non ci viene imposto di mostrar un volto sorridente e aperto, anche quando ci siamo imposti qualche privazione, mentre gli ipocriti, senza curarsi di rattristar gli altri, vanno attorno con viso ostentatamente malinconico? Quando il Fariseo volle criticar la donna che aveva versato il balsamo odoroso sui piedi del Salvatore, egli si sentì da questo un tranquillo rimprovero perché nel riceverlo aveva trascurato con lui gli atti di urbanità in uso presso il loro popolo. Ma tutto si riduce, in fine, al gran precetto: Fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi stessi - non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi. - Su questa salda base si può edificare l'edificio intero del Galateo. E anche, per prevenire ogni pericolo di finzione, bisogna tener presente l'altro precetto: «dell'abbondanza del cuore parla la bocca». Di qui la necessità di educare l'animo a sentimenti gentili: di qui la cura che devono avere i genitori per cominciar presto coi loro figlioli. La padronanza di sè, lo spirito di sacrificio necessario tante volte nelle relazioni sociali, non si improvvisano. E può darsi talvolta che un generoso impulso dell'animo spinga ad atti eroici, in qualche occasione straordinaria, ma è difficile che l'autoeducazione giunga a tempo con cambiar il carattere d'un uomo che da piccolo non venne ben formato. D'altra parte riflettiamo che se l'eroismo e la generosità non sono sempre alla portata di tutti, la gentilezza, invece, la cortesia, la discrezione sono le necessità quotidiane della vita sociale. L'opportunità e finezza del tratto suppliscono spesso alla mancanza d'istruzione, dissimulano molti difetti, rendono più amabili le stesse virtù, come la grazia dà pregio alla bellezza; mentre la bellezza dura, fredda, sgarbata non ha potere sugli uomini. «Se tutti gli uomini conoscessero il loro interesse sarebbero tutti onesti» disse Spencer. E si può anche aggiungere: sarebbero sempre reciprocamente gentili. I genitori che insegnano per tempo ai loro figli questa grande arte della gentilezza, che la fanno diventar parte intrinseca del loro carattere, fanno loro uno dei doni più preziosi, poiché danno loro la possibilità di farsi degli amici dappertutto, e di vincere senz'urti molte delle grandi lotte della vita. E l'amico che dà a questo proposito un buon consiglio all'amico, merita tutta la sua riconoscenza; appunto come quel tal vescovo Matteo Gilberti di Verona, il quale mandò un dono prezioso al suo ospite, un certo conte Riccardo, con l'avvertimento che fra tutti i suoi modi così belli e costumati, disdiceva «un atto difforme colle labbra e colla bocca, masticando alla mensa con uno strepito molto spiacevole a udire». E il bravo conte, invece d'aversene a male, ringraziò il vescovo con tutta l'effusione per quel suo dono che tenne vera prova d'amicizia. Così ci racconta Monsignor Della Casa, il quale dice che l'ambasciatore scelto all'ufficio un po' difficile e delicato, era appunto quel tal Galateo che lo indusse a scrivere il fámoso trattato che porta tal nome. Cerchiamo dunque di far tutto quello che ragionevolmente può far piacere agli altri e ricordiamoci che la gentilezza è il fiore dell'umanità, e nel tempo stesso il profumo della virtù.

Se vi è qualche sua coetanea, il saluto può essere più espansivo; non sono però consigliabili i baci e gli abbracci davanti ad altra gente. E' naturale che la conversazione sarà più animata tra signorine, ma non è lecito far gruppo a sè, e dimenticar quasi le altre visitatrici. La signorina bene educata sa mescolarsi ogni tanto nella conversazione generale, sempre con qualche frase gentile, e senza mai permettersi (Dio guardi!) osservazioni maligne e inopportune, tratti di spirito di cattivo gusto. Se viene offerto il thè il caffè, tocca a lei far girare le tazze, porger lo zucchero, la panna, i biscotti. Ella poi accompagnerà le visitatrici alla soglia del salotto, e, in mancanza di persone di servizio, aprirà loro la porta, badando bene di non rinchiuderla finchè non sente che sono scese di qualche scala. Nei trattenimenti di maggior importanza, la fanciulla ha una parte assai notevole. Tocca a lei preparar con buon gusto i fiori nei vasi, i dolci e i biscotti nelle coppe, tocca a lei sorvegliare il servizio dei domestici nel giro dei rinfreschi, o sostituirlo addirittura. Per questi ricevimenti, indosserà un vestito chiaro ed elegante, ma non mai troppo sfarzoso, per non aver l'aria di sopraffare le sue ospiti. Se c'è un po' di ballo in confidenza, la signorina suol aprirlo con qualche giovanotto intimo di casa; ma se vedesse scarsezza di cavalieri, dopo di questo, saprà rinunziare con bel garbo, ed esortare invece gli amici del fratello a invitar le signorine, presentandoli all'occorrenza. A tavola, se ci sono invitati, terrà d'occhio che non manchi nulla a nessuno, e rivolgerà specialmente ai bambini o a fanciulli timidi le sue gentili premure. S'intende poi che la preparazione della mensa, con tutte le eleganze permesse dalla condizione della famiglia, suol essere opera delle brave fanciulle di casa. E spesso è opera loro anche qualche pietanza speciale, qualche dolce; del quale però si guarderanno bene d'annunziare: - L'ho fatto io! - Tocca ai genitori, se sono in confidenza, procurar loro questa piccola soddisfazione d'amor proprio. Se vi sono ospiti in casa per qualche giorno, la giovanetta si unisce alla mamma per preparare tutto il necessario nelle loro camere, e nel far passare più gradevolmente che sia possibile il tempo in cui si tratterranno. Naturalmente, si compiacerà di più nella compagnia delle sue coetanee, ma sapendosi sacrificare all'occorrenza anche per qualche signora anziana, o per qualche vecchio un po' fastidioso. Le signorine generalmente non fanno visite da sole, e da sole non ne ricevono, quando si tratta di visite di etichetta, mentre scambiano le normali visite di amicizia, secondo le convenienze, e prendono normalmente parte a riunioni, sia fra loro che con amici. Talvolta queste riunioni hanno uno scopo benefico. E benedetta pure quella carità che prende nuova attrattiva dalla grazia femminile. Ma attente alla beneficenza che prende l'aspetto di un divertimento, e diventa una esposizione di novità! Meglio non far le cose buone che profanarle e snaturarle. La signorina che esce colla mamma le cede sempre la destra e così fa coll'istitutrice. Naturalmente se esce col babbo o coi fratelli, la destra è sua. In altri tempi, una signorina non doveva mostrarsi mai per la strada con uomini che non fossero suo padre o suoi parenti. Al giorno d'oggi questa regola è più che superata; una giovane farà però bene, nell'accompagnarsi a giovanotti, a tener conto dei possibili pettegolezzi ed a non esporvisi troppo. Solamente se fosse un vecchio rispettabile o persona molto a lei superiore che la trattenesse, potrà farlo liberamente. Un ultimo avvertimento. Per quanto alla sua età sia lecito amare il divertimento, e se le condizioni della sua famiglia lo permettono, si guardi bene dall'intervenire a ogni spettacolo, a ogni ballo, a ogni trattenimento. Di una fanciulla che si vede dappertutto, si suppone ch'ella voglia mettersi troppo in mostra, e questa opinione sfavorevole si traduce spesso (chi lo crederebbe? non certo le signorine che in tal modo pensano appunto a trovar più felicemente marito) si traduce, dico, nel far cadere le intenzioni matrimoniali in qualche giovane di buona volontà.

Pagina 127

La strada non è il luogo delle espansioni esagerate: abbracci e baci in pubblico sono sconvenienti e qualche volta un po' ridicoli. Incontrando un amico che da molto tempo non si rivedeva, e la cui presenza improvvisa ci reca una gran gioia, si cerchi tuttavia di non dare spettacolo al pubblico: basta una viva esclamazione, una calorosa stretta della mano o anche di ambedue le mani, e si serbi il resto (lo dico specialmente alle donne che sentono assai più il bisogno di baciarsi e di stringersi) a luogo più opportuno. E non si facciano lunghe fermate per via: talvolta ciò disturba il conoscente, a cui pretendiamo invece, in tal modo, di mostrar affetto e premura, e disturbano gli altri passanti, specialmente se queste fermate si fanno lungo i marciapiedi e sulle cantonate. Camminando in più persone, bisogna aver riguardo alla reciproca dignità. Se sono in due, il posto d'onore è a destra o lungo il marciapiede. Se sono in tre, il più degno starà nel mezzo; a destra verrà chi gli viene appresso per grado o età, a sinistra l'altro. Se la brigata fosse di quattro o più favoriranno dividersi per non ingombrare tutto il marciapiede. Dovendo attraversare un passaggio stretto, è ovvio che si lasci prima passare il superiore; ma se fosse un passo un po' pericoloso o difficile, come può accadere in campagna, il più giovane preceda l'altro per esser pronto a porgergli la mano. Discorrendo coi nostri compagni di passaggio, si abbia cura di non alzar soverchiamente la voce, di non rider troppo, di non far cenno che sembri offesa o scherno a chi si trova sul nostro cammino. E' poi molto scortese, come già si è detto, fermarsi, nell'enfasi del discorso, sul marciapiede e costringer così anche gli altri a fermarsi. E' un perditempo e poi un intoppo alla circolazione. La persona bene educata tiene, o sola o accompagnata che sia, un contegno serio e riservato; una donna poi peccherebbe troppo gravemente d'imprudenza se si allontanasse dalle norme più severe. Essa in tal modo incoraggerebbe i bellimbusti e gli avventurieri, i quali non mancano mai, specialmente nelle grandi citta. Ma può capitare anche alla fanciulla più riservata, alla signora più rispettabile d'aver a fare qualche volta con un mascalzone (altro titolo non merita) che si ponga a darle molestia. Se il contegno più austero, se il silenzio più sprezzante non bastano a scoraggiare colui, la donna seria e prudente non si abbassi a rimproveri nè a minacce; faccia cenno al primo vigile che le capita, e gli affidi l'incarico di dare al malcreato la debita lezione. E' il mezzo più semplice e il più conveniente. Davanti agli avvisi, alle vetrine, alle curiosità d'altro genere, non si facciano lunghe fermate, il che è indizio di curiosità eccessiva e di poco riguardo agli altri. Se poi è uno spettacolo sconcio, come una lite, un ubriaco, o altro, si ricordi il severo rimprovero che si buscò Dante dal suo maestro Virgilio e Maestro Adamo. E il povero Dante ne rimase così umiliato, così vergognoso, che non sapeva nemmeno trovar parole per scusarsi: tanto che il buon maestro ebbe compassione di lui e, concedendogli tosto il suo perdono, gli aggiunse un prezioso consiglio che fa anche per noi e per tutti:

Pagina 179

Cerca

Modifica ricerca