Ritti dice aperto che il partito radicale italiano è oggi «men che niente»; aggiunge che il programma da lui abbozzato e la critica la quale apre ad esso la via vogliono ispirarsi ad una veduta «realista» della vita pubblica italiana e caldeggiare una politica «realista»; dice e mostra che la politica radicale la quale a lui piace potrebbe anche facilmente essere quella dei migliori uomini parlamentari delle varie gradazioni. L'on. Sonnno, osserva il Nitti, «ha una concezione dello Stato quasi socialista»; l'on. di Rudinì «è un sincero spirito radicale. Pochi uomini nel parlamento hanno così larga concezione della politica». L'on. Giolitti, che è la natura politica più completa, il temperamento più notevole della Camera» «ha più di tutti gli altri il desiderio di essere il capo di una democrazia radicale; egli vorrebbe chiudere la sua carriera in tal guisa». Radicalismo, adunque, nelle idee e nei propositi delle più solide persone politiche della Camera; ma l'on. Nitti non si chiede poi perché questo radicalismo, che dovrebbe perciò essere il programma ovvio e spontaneo della politica del nostro paese, rimanga tuttavia in potenza: e come si abbia invece una politica opposta, di quietismo, di clericalismo, di cattive leggi e cattive riforme.
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