Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbozzato

Numero di risultati: 7 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Fisiologia del piacere

170072
Mantegazza, Paolo 2 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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L'avvenire delle nostre gioie è già abbozzato fin dalla nascita, per il solo caso che ci volle maschio o femmina. In ogni modo, nella funzione del sesso non ci sono concessi che alcuni piaceri, e la forza più prepotente della volontà o del genio non potrebbe sotto questo rapporto farci oltrepassare d'una sola linea i confini nei quali la natura ci ha rinchiusi. Nel mondo morale o intellettuale, sebbene la differenza dei sessi sia grandissima, pure si riduce quasi sempre a variazioni di grado, e tutte le facoltà della mente, delle quali va superbo l'uomo, esistono anche nella donna; come tutti gli affetti che fanno palpitare il cuore al sesso gentile, possono commuovere anche il cuore dell'uomo. L'unica eccezione è segnata dai sentimenti di padre o di madre, i quali naturalmente non possono essere comuni ai due sessi. Ad altre circostanze pari, la massa dei piaceri che rallegrano la vita è sempre minore nella donna. Essa è dotata di una maggiore sensibilità e di sentimenti più squisiti, per cui è fornita di molti materiali atti a generare il piacere; ma essa è molto generosa e poco attenta, per cui deve riscattare con molti dolori una gran parte delle sue gioie. Se la fortuna la seconda, ella può godere assai; ma se la sventura la minaccia, non sa difendersi e lottare, e molte volte beve con eroico coraggio sino in fondo la coppa del dolore, rassegnandosi come a un destino riservato alle anime elette. D'altra parte ella pone quasi tutti i suoi capitali nei beni i più mobili che mai si possano immaginare, cioè sul cuore degli altri; quindi le minime oscillazioni che subisce ad ogni istante la generosità degli uomini la fanno sempre tremare di paura; come i fallimenti dolosi, ai quali l'egoismo altrui la sottomette spesso, le fanno perdere a poco a poco i tesori più preziosi, dai quali essa trae l'interesse della gioia, che è pur necessaria alla vita come l'aria che si respira. L'uomo adunque, nascendo maschio, ha maggiori probabilità di essere felice, in confronto delle femmine. Nel mondo dei sensi l'uomo gode senza dubbio più che la donna nella vista e nel gusto; ma alla seconda fu concessa una coppa assai più ampia al banchetto dell'amore, per cui l'equilibrio è ristabilito. La differenza capitale e costante che stabilisce un diverso ordine nella distribuzione dei piaceri nei due sessi è costituita dagli affetti e dalle facoltà intellettuali. L'uomo gode assai più delle gioie dei sentimenti di prima persona e dei piaceri intellettuali in massa; mentre alla donna sono riservate le più soavi voluttà dei veri affetti, i quali, partendo dal nostro cuore, emanano nel mondo che ci circonda per cercare un punto di appoggio in un altro cuore che palpiti con noi. Tra le gioie dell'uomo primeggiano i deliri dell'ambizione e della lotta; vengono poi i piaceri dell'amore e dell'amicizia, i lavori intellettuali e i sensuali godimenti del gusto. Nella donna, invece, sono in prima linea i sentimenti dell'amore e dell'affetto materno, a cui seguono i piaceri del tatto e tutte le piccole gioie degli affetti. In qualche raro caso l'orizzonte di un sol uomo o di una sola donna abbraccia i due emisferi di gioie. È allora che l'uomo, mentre in un sublime delirio strappa dall'albero della gloria le ultime foglie d'alloro che ne adornano la cima, non dimentica il proprio cuore e ama generosamente; è allora che la donna, rammentando di essere amante e madre, può cingersi la fronte di una corona immortale, guadagnata coi lavori della mente. Questi casi di grande potenza intellettuale e morale sono però rarissimi, e quasi sempre si osserva il predominio di una classe di gioie sull'altra.

Pagina 257

Più innanzi essa agli organi essenziali ne aggiunge altri di puro lasso di voluttà; adorna il fenomeno meccanico col delicatissimo giuoco della galanteria, che si osserva già abbozzato negli animali inferiori in quelle lotte e in quegli schermi che precedono la copula; finchè, arrivando agli animali superiori, a tutte le risorse del senso aggiunge le prime tracce del sentimento che, associandosi a quelle, forma infinite combinazioni deliziose. Le gradazioni del piacere crescono di forma e di intensità man mano che vanno complicandosi gli organi copulatori e si vanno perfezionando i centri nervosi. Le lunghissime congiunzioni di alcuni insetti, e la morte che colpisce i maschi quasi subito dopo la copula, farebbero supporre che questi animali inferiori siano stati favoriti dalla natura di maggiore voluttà; ma l'imperfezione del contatto dei loro corpi e la semplicità del loro sistema nervoso rendono poco probabile quest'opinione.

Pagina 31

Galateo ad uso dei giovietti

183959
Matteo Gatta 1 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Ed eccovi abbozzato con rapidi tocchi il tipo di una brava ed amabile padrona di casa.

Pagina 106

Nuovo galateo. Tomo II

194288
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
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Nel testo ho abbozzato con lievi tinte il carattere d'una signora, la cui amara perdita lasciò profonda sensazione nell'animo di quelli che ne ammirarono le virtù: parlo della signora Marianna Morigi Réina. Parecchi scrittori, che frequentarono i bordelli, hanno fatta la satira del bel sesso; essi avevano ragione; il primo dovere d'un viaggiatore si é d'essere esatto. A chi ha conosciuto delle donne che il fiore della gentilezza univano alle più amabili virtù, incombe l'obbligo d'esattezza eguale. II. Mostrare che degli altrui discorsi non perdete una parola, e che le affezioni risentite che il parlante tende ed eccitare, é dovere sì evidente, che d'ulteriori schiarimenti non abbisogna dopo quanto è stato detto nel libro primo.

Pagina 55

L'uccellino azzurro

212895
Maeterlink, Maurice 1 occorrenze
  • 1926
  • Felice Le Monnier, Editore
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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(Alcune Tenebre e alcuni Terrori, sotto l'aspetto di persone velate, quelle con veli neri, questi con veli verdognoli, arrischiano timidamente qualche passo fuori della caverna; ma a un gesto appena abbozzato di Tyltyl, rientrano precipitosamente). Su, coraggio!... Non vedete che è un bambino?... Che male può farvi?... (A Tyltyl). Sono diventati costì timidi, tutti, meno i più grandi, quelli laggiù in fondo.... TYLTYL (guardando in fondo alla caverna) Dio! Mettono spavento a guardarli... LA NOTTE Sono incatenati.... Essi soli non hanno paura dell'Uomo.... Ma ora chiudi la porta; se no si arrabbiano.... TYLTYL (andando verso la porta appresso) Guarda!... Questa qui è ancora più cupa. Che cosa c'è qua dentro?... LA NOTTE Dietro a questa porta ci sono molti Segreti.... Se proprio ci tieni, puoi aprirla.... Ma ti consiglio di non entrare.... Sii prudente; e noi, teniamoci pronti a richiuderla presto, come abbiamo fatto per le Guerre.... TYLTYL (schiudendo la porta con infinita precauzione, e inoltrando timidamente il capo attraverso lo spiraglio) Oh!... Che freddo?... Mi frizzano gli occhi!.... Presto, chiudete!... Spingete forte!... Fanno forza dal di dentro contro la porta... (La, Notte, il Cane, la Gatta e lo Zucchero chiudono a forza la porta). Oh che cosa ho visto!... LA NOTTE Che cosa? TYLTYL (sconvolto) Non so, ma metteva spavento!... Stavano lì seduti come tanti mostri senza occhi.... Chi era il gigante che voleva acciuffarmi?... LA NOTTE Probabilmente era, il Silenzio; ce l' ha lui in custodia questa porta.... Ma era dunque tanto spaventoso a vedersi?... Sei ancora pallido e tremi tutto.... TYLTYL Sì. Non avrei mai creduto.... Ho le mani gelate.... LA NOTTE Vedrai qualcosa di ancora più terribile se ti ostini a voler andare avanti.... TYLTYL (andando alla porta accanto) E dietro a questa?... Ci sarà qualcosa altrettanto orribile?... LA NOTTE No.... Qui c'è un po' di tutto.... Ci metto le Stelle disoccupate, i miei profumi personali, alcune Luci di mia particolare proprietà, come i Fuochi fatui, le Lucciole.... Ci rinchiudo dentro anche la Rugiada e il Canto degli Usignoli.... TYLTYL Ah, le Stelle, il Canto degli Usignoli!... Dev'essere proprio questa.... LA NOTTE Apri, apri pure, se vuoi.... Tutte cose innocue.... (Tyltyl spalanca la porta. Le Stelle, sotto l'aspetto di belle giovinette velate da luci multicolori, fuggono subito fuori dalla loro prigione; corrono qua e là per la sala e formano sui gradini e intorno alle colonne dei graziosi girotondi rischiarati da una specie di penombra luminosa. I Profumi della Notte, quasi invisibili, i Fuochi fatui, le Lucciole, la Rugiada trasparente si uniscono ad esse, mentre il Canto degli Usignoli, uscendo a fiotti dalla caverna, inonda il palazzo della Notte). MYTYL (entusiasmata, battendo le mani) Oh! Che belle signore!... TYLTYL E come ballano bene!... MYTYL E come sono profumate!... MAURICE MAETERLINK. - L'Uccellino Azzurro. 7 TYLTYL E come cantano bene!... MYTYL Chi sono quelli laggiù che si vedono appena?... LA NOTTE Sono i Profumi della mia ombra.... TYLTYL E quegli altri che sembrano fatti di vetro filato?... LA NOTTE Sono le Rugiade delle foreste e delle pianure.... Ma ora basta. Non la smetterebbero più!... Se sapeste che fatica ai farli rientrare là dentro, se fanno tanto di cominciare a ballare!... (Battendo insieme le mani). Via, presto, voialtre Stelle!... Non è il momento, ora, di ballare.... Il cielo è coperto, grossi nuvoloni appaiono qua e là.... Via, sbrigatevi, rientrate tutte, altrimenti chiamo un raggio di sole.... (Le Stelle, i Profumi, ecc. fuggono via spaventati e si precipitano nella caverna la cui porta si richiude dietro di loro. Intanto cessa anche il Canto degli Usignoli). TYLTYL (andando verso la porta di fondo) Eccoci al grande portone centrale.... LA NOTTE (con accento solenne) Non aprirlo!... TYLTYL Perchè?... LA NOTTE Perchè è proibito. TYLTYL Allora è segno che là dentro c'è l'Uccellino Azzurro.... La Luce me l'aveva detto.... LA NOTTE (maternamente) Ascoltami, bambino mio.... Sono stata finora buona e compiacente.... Ho fatto per te quello che non avevo mai fatto per nessuno.... Ti ho rivelato tutti i miei segreti.... Ti voglio bene, sento pietà per la tua giovinezza, per la tua innocenza, e ti parlo come ti parlerebbe una madre.... Ascoltami, dàmmi retta, bambino mio; rinunziaci, non andare più oltre, non tentare il Destino, non aprire quella porta!... TYLTYL (un poco scosso) Ma perchè?... LA NOTTE Perchè voglio salvarti.... Perchè nessuno, intendi, nessuno di coloro che hanno osato di socchiuderla, appena appena, foss'anche per lo spessore di un capello, è ritornato vivo alla luce del giorno.... Perchè tutto quello che si può imaginare di più spaventoso, tutte le peggiori angoscie, tutti gli orrori di cui si parla nel mondo, sono un nulla in paragone a ciò che di meno terribile assale l'uomo non appena il suo sguardo si affissa sull'orlo di quell'abisso al quale nessuno osa dare un nome.... Tanto che io stessa, vedi, se tu nonostante tutto ti ostinassi a voler aprire quella porta, io stessa dovrei pregarti di aspettare finchè io fossi al riparo dentro alla mia torre senza finestre.... E ora rifletti, decidi tu.... (Mytyl, tutta in lacrime, getta urli di terrore cercando di trascinare via con sè Tyltyl). IL PANE (battendo i denti dalla paura) Non aprite, non aprite, padroncino caro! (Gettandosi in ginocchio). Abbiate pietà di noi!... Ve lo chiedo in ginocchio.... La Notte ha ragione.... LA GATTA State per sacrificare la vita di noi tutti.... TYLTYL È inutile.... Debbo aprire quella porta!... MYTYL (singhiozzando e pestando i piedi) Non voglio!... Non voglio!... TYLTYL Voi, Zucchero e Pane, prendete Mytyl per la mano e scappate con lei.... Ora apro LA NOTTE Si salvi chi può!... Presto!... Presto!... (Fugge). IL PANE (fuggendo smarrito) Aspettate almeno finchè siamo arrivati in fondo alla sala.... LA GATTA (fuggendo anch'essa) Aspettate! Aspettate!... (Si nascondono entrambi dietro alle colonne, dalla parte opposta della sala. Tyltyl resta solo col Cane, presso la porta monumentale). IL CANE (affannosamente, pieno di terrore contenuto) Io rimango.... rimango con te.... Non ho paura, io.... Io rimango!... Rimango vicino al mio piccolo dio.... Io rimango! Io rimango!... TYLTYL (accarezzando il Cane) Bravo, Tylô, bravo.... Qua, un bacio.... Siamo in due.... E ora, in guardia!... (Introduce la chiave nella serratura. Un urlo di terrore parte dal punto opposto della sala, dove si sono rifugiati quelli che sono fuggiti. Non appena la chiave ha toccato la porta, i grandi battenti si aprono nel mezzo, scorrono lateralmente e spariscono a destra e a sinistra, nella grossezza del muro, scoprendo a un tratto, immerso nella luce notturna, un maraviglioso, irreale, sconfinato giardino di sogno nel quale, fra le stelle e i pianeti, dei fantastici uccellini azzurri, illuminando tutto ciò che toccano, volando senza posa di pietra in pietra, da un raggio di luna all'altro, fanno perpetue armoniose evoluzioni fino agli estremi confini dell'orizzonte. Sono innumerevoli, e paiono essi il soffio, l'azzurra atmosfera, l'essenza stessa del giardino maraviglioso. Tyltyl, abbagliato, sperduto, immerso nella luce che emana dal giardino). Oh!... il cielo!... (volgendosi agli altri che erano fuggiti). Venite!... Venite!... Eccoli!... Son loro! Son loro! Son loro!... Finalmente!... Migliaia di uccellini azzurri!... Milioni!... Miliardi!... Troppi!... Vieni, Mytyl!... Vieni, Tylô! Venite tutti!... Aiutatemi! (Gettandosi fra gli uccellini). Si possono prendere con le mani!... Non sono selvatici, no.... Non hanno paura di noi!... Venite qua! Venite qua!... (Mytyl e gli altri accorrono. Entrano tutti, meno la Notte e la Gatta, nel giardino maraviglioso). Guardateli!.... Son troppi.... Vengono sulle mani!... Guardate, si nutrono di raggi di luna?... Dove sei, Mytyl?... Ci sono tante ali azzurre, tante piume in giro, che non ci si vede più.... Non morderli, Tylô!... Non far loro male!... Prendili piano piano.... MYTYL (tutta circondata da uccellini azzurri) Ne ho già presi sette!... Oh, come sbattono le ali!... Non posso, teneteli.... TYLTYL Nè anch'io!... Ne ho troppi!... Volano via!.. Tornano!... Anche Tylô ne ha presi!... Ci portano in alto con loro.... Ci portano in cielo!... Vieni, usciamo da questa parte!... La Luce ci aspetta.... Come sarà contentai... Venite di qua, di qua.... (Fuggono via dal giardino, le mani piene d'uccellini che si dibattono, e attraversando la sala in una confusione di ali azzurre escono a destra, da dov'erano prima entrati, seguìti dal Pane e dallo Zucchero i quali, soli fra tutti, non hanno preso neanche un uccellino. La Notte e la Gatta, rimaste sole, risalgono verso il fondo, guardando ansiosamente verso il giardino). LA NOTTE Non l'hanno mica preso, spero?... LA GATTA No, lo vedo lassù, su quel raggio di luna.... Non hanno potuto raggiungere, era troppo in alto.... (Cala la tela. Subito dopo, davanti al sipario calato, entrano simultaneamente, da destra la Luce, e da sinistra Tyltyl, Mytyl e il Cane, tutti quasi nascosti sotto gli uccellini che hanno preso. Ma questi appaiono giù inanimati, e, il capo penzoloni e le ali spezzate, non sono più nelle loro mani se non delle spoglie inerti). LA LUCE Dunque, lo avete preso?... TYLTYL Sì, Sì ! E non uno solo!... Ce n'erano a migliaia!... Eccoli!... Guarda!... (Guarda gli uccellini, nell'atto di porgerli alla Luce, e si accorge che sono morti). O Dio! Sono morti.... Come mai?... Anche i tuoi, Mytyl?... Anche quelli che ha, preso Tylô!... (Gettando con collera in terra i cadaveri degli uccellini). Ah no, è una cosa terribile!... Chi li hai uccisi?... Oh, come sono infelice!... (Si nasconde la testa col braccio, e scoppia in singhiozzi). LA LUCE (stringendolo maternamente fra le braccia) Non piangere, bambino mio.... Tu, non avevi preso l'uccellino che può vivere alla luce del giorno.... Quello era volato via, chi sa dove.... Ma lo ritroveremo!... IL CANE (guardando gli uccellini morti) Mi permetti di mangiarli?... (Escono tutti da sinistra).

Contessa Lara (Evelina Cattermole)

219899
Storie d'amore e di dolore 1 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Ma il sorriso, ch'ella aveva abbozzato, le sfiorì subito nell'udire il suo uomo sentenziar fioco, gravemente: - Son gli ultimi, sai! — Da quel momento, gli stenti della povera famigliuola di portineria, crebbero ogni giorno. Peppe passava ore e ore immobile e muto sur una seggiola, con le spalle avvolte in un vecchio scialle della moglie, col cappello calato su 'l viso esangue, con lo scaldino in mezzo alle gambe; teneva i gomiti puntellati alle ginocchia e i pugni serrati su gli occhi. Che cosa gli frullasse per il capo in quelle giornate eterne, nelle quali soltanto la tosse, a colpi più duri e sconquassanti, gli faceva compagnia, nessuno de' suoi pensava certo a domandarglielo. La Lucia, che non poteva ormai nè pure metter due punti a macchina, perchè quel rumore, come di telegrafo, urtava i nervi all'ammalato, stava fuori quasi tutta la giornata, o a sfaccendare presso gl'inquilini o a comprar loro della roba qua e là nelle botteghe vicine, o anche in cortile a lavar bucati. Non cantava più la Lucia, s'intende. Non si udiva altro che la tosse del tisico, il rumore I dell'acqua cadente rumorosamente dalla cannella aperta e l'urto de' panni fradici, sciacquati e battuti su la pietra del lavatoio; ma i tre bambini, ai quali la madre ordinava di star fuori della portineria per non dar noia al padre, susurravano, ridevano, si bisticciavano fra loro. Alla Marietta, che aveva sei anni, petulante e pronta a piagnucolare, come tutte le femmine, per un nonnulla, bastava che Checco, l'ultimo di que' bambini, il quale contava poco più di quattro anni, s'ostinasse a ottener da lei un sasso, una scatola da cerini vuota o qualcosa di simile, con cui ella faceva i balocchi, per cominciare litigi e querimonie, interrotte soltanto dall'autorità del fratello maggiore, Santino, che con la sua vocina d'angelo serio, faceva intender ragione a tutti e due, e spiegava loro come dovessero star zitti e cheti perchè il babbo stava male, e la mamma aveva da fare, e c'era bisogno di pace in casa: poi avrebbero mangiato tutti, più tardi, un po' più tardi. Fra l'altre disgrazie, Peppe era diventato d'una irascibilità singolare. Una scodella fuori di posto, un bambino che facesse una domanda inutile, come son soliti fare i piccini, la moglie che battesse un po' più forte i panni su 'l lavatoio, bastavano a mettergli un diavolo per capello; e con quel po' di fiato che gli restava ancora, vociava raucamente, strozzato, con gli occhi fuori del capo, maledicendo la vita e la famiglia, bestemmiando Dio e la Madonna, come un dannato. Un sospiro lungo, represso, usciva dal petto affaticato della Lucia, povero petto su 'l quale, non ostante i suoi robusti trentacinque anni, non c'era quasi più avanzo delle solide curve femminili d'un tempo; e la donna, pia, non per pratiche di chiesa — chè non aveva agio di consacrarvisi — ma per quel bisogno innato ne' deboli e negli afflitti, segnatamente fra le donne popolane dabbene, sollevava il pensiero a quell'Addolorata, la cui immagine stava presente nel suo tugurio, e la pregava in cuor suo di farle la grazia. Quale grazia? Nè anche lei avrebbe potuto precisarla. Che il marito, ridotto ormai in quello stato, potesse, per miracolo, guarirle da un giorno all'altro, non c'era da pensarci. Il povero Peppe era nè più nè meno d'una lucerna cui manchi l'olio. E pure, chi sa? Dio può tutto. Soltanto quando uno è proprio morto e seppellito, non c'è più rimedio. Badava, dunque, a chiedere la grazia, una grazia vaga e indefinita come le sue speranze di bene... E il marito la rimbrottava di continuo: la materassa non era stata abbastanza battuta; il brodo era troppo salato, scorticava la bocca; la lucerna non faceva più lume; non si respirava più in quella stanzaccia! La povera donna taceva, inghiottendo lacrime e rimproveri con uno sforzo fisico della gola, violento, penoso, come se trangugiasse una pallottola che la soffocasse; o rispondeva con mitezza, a mezza voce, non già per iscusarsi col malato, ma per dargli ragione, per dirgli che ci voleva pazienza, e altre buone parole consimili, considerando, nel suo strazio, che a lui la materassa pareva più dura di prima, perchè il corpo gli si era scarnito; ch' ei sentiva troppo sale nel brodo, perchè ormai il palato non gli diceva più il vero; e se gli mancava l'aria, voleva dir che i polmoni gli funzionavano male; e se il lume della lucerna non gli bastava più, gli era che i suoi poveri occhi si velavano per l'eternità... Dunque? Dunque l'Addolorata Santissima non gliela voleva fare la grazia! Non che non glie la volesse fare: troppo è misericordiosa la Vergine! Ma lei, si vede, non la meritava! E Lucia concludeva, con un altro sospirone, rassegnata, ma straziata, in fine di ogni soliloquio muto ed ingenuo: — Sia fatta la vostra volontà, Madonna Santa! Il peggio fu quando il tisico, giunto proprio agli estremi, si mise a letto per non più rialzarsi. Essendo insofferente d'ogni fastidio, i bimbi dovettero essere coricati, la notte, chi su la cassapanca, chi sur una sedia, pure di non farli stare vicini a lui. — Lèvameli di lì — diceva egli alla moglie — tanto, devo avvezzarmi a non li veder più! Quanto a denari, il foglio delle cento lire era finito da un pezzo. Allora la Lucia, facendo, come si suol dire, un passo avanti e due a dietro, fu costretta a ricorrere parecchie volte al droghiere, per ottenerne qualche sussidio che le permettesse di spedir le poche ricette rilasciatele dal medico condotto. Ella trovava, per solito, l'antico principale di suo marito insediato dietro il casotto a cristalli spuliti dove teneva la cassa. Il grosso industriale, intento com'era ad allinear cifre sotto cifre, ne' registri che gli stavano aperti dinanzi, poco poteva badarle. Due o tre domande indifferenti su lo stato del facchino morente, a monosillabi più che altro, a grugniti, i quali avrebbero dovuto significare il rincrescimento del padrone, che riconosceva d'aver perduto un subalterno galantuomo: nulla più. Queste erano state, con qualche lira, le manifestazioni di simpatia e di compatimento ottenute dalla sventurata in quelle sue visite; poi dei segni di noia, dei gesti bruschi, quasi nessuna parola, e de' soldi di rame: un'elemosina; tanto che l'ultima volta, dopo aver aspettato un pezzo di parlare al principale, che il ministro del negozio, i commessi e i facchini, con tono fra sguaiato e sprezzante, le dicevano fosse sempre occupato, quando ella vide il sor Luigi passarle innanzi figurando di nè pur guardarla, la poveretta corse via a scoppiare in singhiozzi su la strada; si mise a camminare rasente i muri per non cadere e si coprì il viso con la pezzuola colorata, già fradicia di lacrime ghiacce. In questo tempo Peppe si voltava e rivoltava tra i ruvidi lenzuoli, smaniando. Ogni momento batteva un cucchiaino contro un bicchiere, per chiamar Santino, che si gingillava davanti all'uscio, non andando più a scuola, a fine di assistere il padre quando la mamma era assente. — Che vuoi, babbo? — chiedeva il bimbo accorrendo. Più col girare degli occhi spauriti che con la voce quasi spenta, l'etico domandava ora una cosa, ora un'altra: un cucchiaio di calmante, un sorso di brodo o di limonata, o che gli venissero tirate su le coperte verso la rimboccatura, o messi degli altri stracci su' piedi. E Santino, con buon garbo, giudiziosamente come uno grande, rendeva al povero padre suo que' piccoli, continui servigi, compensati, per la maggior parte, con un brontolío sordo, catarroso, iroso. Una volta accadde una scena inaspettata. L'infermo aveva, secondo il consueto, chiamato il fanciullo presso di sè: - Dammi... Dammi... — E accennava vagamente qualcosa, sollevando a pena una mano. Santino gli porse il bicchiere; il padre voltò il viso dalla parte opposta, dispettosamente. - No.. no.... dammi.... — ripeteva inquietandosi. Santino corse al camino, a prendervi la tazza del brodo, che stava lì in caldo. Chi sa, forse il babbo si sentiva bisogno di sostenersi un po' lo stomaco. Ma quando ei gli portò al letto la chicchera, il malato ebbe uno scoppio di collera, che si tradusse in una specie di rantoloso ruggito, e diede, più forte che potè, un pugno su le coltri. Il ragazzetto guardavasi qua e là da torno incerto, spaventato; non capiva che cosa si volesse da lui. Finalmente il tisico raccolse un po' di fiato e urlò selvaggiamente: — Il clarino!... — guardando fisso la parete dov'era appeso, ben ravvolto nel suo morbido astuccio di panno verde, l'antico strumento. Il figliuolo s'arrampicò sopra una seggiola, e dopo non pochi sforzi, afferrato il clarino, lo portò all'infermo. Questi lo prese fra le mani scarne che gli Contessa Lara. 5 tremavano per la debolezza e per la commozione, lo contemplò un pezzo, rifacendo in cuor suo tutta la storia del suo umile ideale; con grande fatica, piano piano, lo sollevò e, appressandoselo alle labbra, parve tentare di svegliarne qualche flebile nota... Ma la lena gli mancava; lo strumento rimase muto; e l'artista moribondo, raccolta quanta energia gli restava, con uno sforzo supremo diede una spinta al clarino: e mentre quello ruzzolava giù dal letto, fracassandosi in terra, egli nascose il viso spettrale nel cuscino e pianse, l'ultima volta. La sera gli somministrarono l'estrema unzione; e verso l'alba spirò, senza aver pronunciato altre parole. Dopo che Peppe fu andato a riposar sotto terra, nel campo comune, la sua famigliuola ebbe come un inconscio sollievo. Il padrone dello stabile aveva fatto ripulire la portineria, e dare a dirittura tre mani di bianco alla cappa del camino, che non voleva venir netta nè pure quando l'ebbero scrostata: di modo che la stanzetta pareva anche più ariosa e più chiara. La materassa del letto era stata ribattuta; rifoderato il coltrone, ch'era tutto macchiato di unto e di medicinali; e la Lucia aveva ripreso a cucir di bianco. Al mattino, quando ella avea rassettata la sua casetta e fatto anche qualche servizio nel casamento, si sedeva al tavolino, e il tic-tac fitto fitto della macchina risonava per ore, senza interruzione. Alle tre tornavano i bambini dalla scuola; e nel cortile principiava il baccano: massime quando scendevan pure i ragazzi del secondo e del terzo piano, che a tempo del malato avevano avuto la proibizione di metterci piede. Due o tre di loro facevano da cavalli, con una fune passata alla vita; mentre un altro, tenendo nella mano sinistra l'estremità della corda stessa e nella destra una canna a cui era annodato un nastro simulante la frusta, guidava; e lì, trottate, scalmanate a più non posso, fra grida e incitamenti del cocchiere e urlacci de' cavalli scappanti. In tanto un gruppo di maschietti più piccoli giocava a palla, con la smania di raggiungere i vetri del primo piano: per quel desiderio innato nei fanciulli d'esser nocivi a qualcuno, di distruggere qualcosa. In un angolo, quattro o cinque femminucce giravano in torno, tenendosi per mano, e cantando certi ritornelli puerili dalle rime senza significato, che quasi tutti noi ricordiamo con maggior compiacimento via via che gli anni trascorrono. Ci voleva, dopo, del buono e del bello a far rincasare tutti que' diavoletti scatenati; e molte volte non bastavano i berci e le minacce delle serve e delle mamme. L'Adele poi, quella servona tarchiata e bruna dei Lantoni, nativa del circondario di Firenze; la quale (lo diceva anche la sua signora) aveva d'oro il cuore e di bronzo la voce, ci metteva poco a strillar più forte di tutte: - Vienite o non vienite su, figli di cani? — Di dentro casa, i padroni ridevano, senza aversi a male del curioso appellativo che l'ottima ragazza affibbiava a tutti indistintamente. Santino, se bene vispo anche lui a suo tempo, era l'unico che, fra quel branco di ragazzi, non avesse bisogno di sgridate per istar cheto e fare quel tanto di lezioncine richieste dalla scuola. Appoggiato alla tavola dove sua madre cuciva a macchina, egli, con davanti il quaderno a righe azzurrognole, faceva da bravo il suo còmpito, ripetendo sottovoce, prima di vergarle, le cifre delle facili moltiplicazioni e sottrazioni, o la sentenza da copiarsi con la più accurata calligrafia. Sembrava che in quei momenti il fanciullo non udisse lo schiamazzo de' compagni in torno a lui; e quando quella pettegola della Marietta entrava come un fulmine in portineria a cercarvi qualcosa, o pure Checco, andato a gambe all'aria a un urto de' più grandicelli, ricorreva alla mamma con le lagrime che gli lavavano il viso, Santino alzava appena il capo di su lo scritto. — Ha troppo giudizio per la sua età: ho paura che non mi campi! - soleva dir la Lucia se parlava della saviezza del suo bimbo maggiore, seguendo quella curiosa credenza popolare, la quale tenderebbe a persuaderci, che le creature buone e intelligenti non sono destinate al nostro mondo tristo. Oltre a essere ubbidiente, Santino era anche di una certa utilità a sua madre. Parecchie spesucce correva già a farle lui; e bisognava vedere come gli tornavano sempre i conti. Poi sapeva spazzar bene la stanza, cansando pianino il paravento; sapeva accendere il fuoco e mettere a scaldar l'acqua in pentola. Ma quel che più consolava la vedova, quel che faceva, quasi direi, che senza saperlo ella nutrisse un'intima predilezione per il suo figliuolo maggiore, era la tenerezza di lui per lei: una tenerezza dimostrata dal fanciullo più che altro ne' momenti in cui restavano soli, loro due. Quante sere, quando la Marietta e Checco erano profondamente addormentati, una da capo e l'altro da piedi del letto, e nella camera s'udiva soltanto il loro respiro regolare, soffio ritmico e leggero, Santino metteva le braccia al collo della madre, le appoggiava la testolina su la spalla, e zitto, senza darle baci, stava in quella posizione un pezzo. Lucia gli passava lentamente le dita fra i ricci castagni, gli faceva, con un sorriso beato, il solletico su 'l labbruccio inferiore, poi chiedeva sottovoce: — Le vorrai sempre bene a mamma, così?... — Il bimbo non fiatava: una piccola capata in su, verso il viso materno era la tacita risposta. A volte si mettevano a ricordare insieme il povero babbo morto, tanto affezionato, tanto faticatore, mentr'era sano; e Santino, serio, prometteva a sua madre di lavorare anche più del babbo, quando sarebbe stato grande; voleva scegliere un mestiere che gli facesse portare a casa tanti soldi, tanti da comprar sempre il pane, il carbone, l'olio... Dopo ciò, madre e figlio andavano anch'essi a letto: lei dalla parte della Marietta, lui da quella del fratellino, quieti. Un giorno il bimbo tornò a casa sbiancato; intanto che faceva il còmpito, s'interruppe più d'una volta per chinare il capo su la carta, e quando sua madre gli scodellò la minestra di fagioli, non potè inghiottirne che due cucchiaiate, a forza. - Che hai? Che ti senti? — chiese Lucia. - Nulla, non ho fame. — Così dicendo il bimbo s'appoggiava su la spalliera della seggiola e mentre gli altri mangiavano, serrò gli occhi come per dormire. - Va' su' l letto, va'! — gli fece la madre. Ma Santino non mostrò d'udire, e muto, svogliato, stette lì, fin che la famiglia non ebbe terminato il povero pasto. La Marietta e Checco, allora, corsero in cortile a ruzzare, e il fratello maggiore andò a sedersi su le ginocchia della mamma. - Tu ti senti male, bambino! — esclamò la vedova, agitata. - Mi duole il capo — rispose lui, strascicando le parole, come se gli costasse fatica di pronunciarle; e conchiuse: - Mamma, voglio andare a letto. — Quando si fu tutto raggomitolato sotto le coperte, chiese che gli si mettesse a dosso dell'altra roba: lo scialle vecchio della madre — che dopo la morte di Peppe ella aveva lavato nel ranno e tenuto alla guazza notturna — i panni che portava giornalmente, e perfino il tappeto che stava su la tavola da lavoro. Batteva i denti come uno nudo di gennaio, e tremava a vetta. Poi, di lì a un'ora, cominciò a buttar via ogni cosa; sbuffava, ansimava: un febbrone asciutto e smanioso lo bruciava. — Madonna benedetta! eccoci daccapo! — sospirò la povera madre, alzando gli occhi e chiamando in soccorso il Cielo nella sua nuova disgrazia. Quella notte, Lucia non si coricò. Il bambino era rimasto lì immobile, come un masso, senza lamentarsi. Spesso però, chiedeva dell'acqua e, con le pupille chiuse, s'attaccava al bicchiere, avidamente. La madre, a ogni istante, gli posava la palma della mano su la fronte, tirandogli su i ricci, che dovevan dargli troppo caldo; poi stendeva il braccio sotto le coltri e gli tastava il ventre e i piedi: scottavano... — Madonna! Madonna cara, che nottata! - badava a ripetere la vedova. l giorno dipoi, quando fu chiamata da una finestra o dall'altra del cortile, salì ad avvertire che non poteva muoversi dal capezzale del figliuolo, colpito da un malaccio improvviso, violento; e piangeva a cald'occhi, pronta, magari, a sorridere fra le lacrime, se qualcuno, per farle coraggio, le dava di paurosa, perchè s' avviliva così subito per una febbre di crescenza; i ragazzi, si sa, ci vanno soggetti. - Che vuole? - diceva la poveretta, scusandosi - lo so da me; ma bisogna considerare che io a' figliuoli darei l'anima; Santino poi, da che è morto suo padre, è stato tutta la mia consolazione... - e si rasciugava gli occhi, singhiozzando convulsamente. — Se vo' fate a cotesto mo', ve lo dico io, vo' campate poco o vo' morite presto — sentenziava con uno scoppio di voce l'Adele, scrollando il capo; e seguitava, sempre brusca, ma in fondo piena di bontà: — Cose che passano. Domani 'un sarà artro, ve lo dico io, vedrete! — Ma la febbre del ragazzo, anzichè cessargli, come si voleva fare sperare alla Lucia, aumentò ancora. Il poverino era giunto a non pronunziar più parola; inconscio, mandava dei lievi gemiti inarticolati, quando la madre, per levarlo dal sudore che gl'inzuppava la camicia e i lenzuoli, lo sollevava a pena a pena, con ogni precauzione, passandogli sotto il corpo qualche telo asciutto; e non c'era stato verso di fargli inghiottire nè anche una goccia dell'olio di ricino, che la signora Lantoni gli aveva mandato, perfin preparato con lo sciroppo di menta, perchè, secondo lei, l'olio di ricino è il rimedio che guarisce tutti i mali dei bimbi. Quanto alla Lucia, ella non sapeva più che si fare. Ora girava per la stanza, toccando senza ragione un oggetto o un altro, come inebetita; ora sedeva al tavolino, dove la sua macchina da cucire posava silenziosa, e incrociatevi sopra le braccia, si nascondeva il viso: quasi che, non vedendo più nulla, avesse potuto anche non più pensare. — Per quanto vo' vi stilliate i 'ccervello, e' vi ci vor pazienza — le tornava a dir l'Adele cercando di persuaderla. — Cor i' ddestino glien' è un cattio combattere! — E anche le altre donne del vicinato badavano a ripeterglielo: ci voleva pazienza, non c'era che fare. Pazienza! Bastasse almeno, Signore, la pazienza! Chi n'aveva avuta quanto lei da un pezzo in qua, messa in croce dalle disgrazie più tremende? Se le fosse mancato anche l'ultimo boccon di pane, non le sarebbe importato: si va a parar mano per la strada; ma lottare un'altra volta con la morte, no, no, no, Madonna santa, non poteva più! E si torceva le mani; se le passava su la fronte per cacciarne il pensiero tormentoso, insistente, che la perseguitava come una fissazione; poi scoppiava in pianti dirotti, spasmodici, che, dicevan le vicine, le facevano bene; ma che invece la sconquassavano tutta. Il terzo giorno, il medico condotto, ch'era stato chiamato con premura dall'Adele, dopo aver lungamente osservato con un cerino acceso l'epidermide del fanciullo, lo dichiarò attaccato dal vaiuolo, e consigliò di trasportarlo, senza perder tempo allo spedale di San Francesco de' Poverelli: lo spedale de' vaiolosi. — Mai, mai, allo spedale! - dichiarò Lucia, co' denti stretti; e riprese subito: — Si figuri! non ho voluto che ci andasse suo padre, morto consunto, lei lo sa, dottore; si figuri, dico, se ci porto il ragazzo! Dovessi vendermi le panchette del letto, dovessi far... che ho da dire? Santino non lo levo di casa. — II medico, con gli occhi bassi, dondolò un po' la persona elegante dinanzi a quella disperata; poi rispose in tono cortese: — Fate come vi pare; per me, però, avete torto: specialmente trattandosi d'una malattia contagiosa. — In tanto, promise di tornare il domani, al più presto possibile. Ma su la sua esattezza non c'era da far troppo conto. Era un giovanotto laureato da poco, e più invaghito delle sue fortunate avventure nel mondo della galanteria, che della sua professione, piena di sacrifici d'ogni genere. Codesta professione egli l'aveva scelta senza entusiasmo e senza ragione di preferenza, come ne avrebbe abbracciata qualunque altra, soltanto per non darla vinta al proprio padre, un rigido colonnello de' granatieri, il quale avrebbe voluto a ogni costo veder il figliuolo consacrarsi alla carriera militare; unica, gridava il vecchio caparbio, fatta per l'uomo che si sente uomo. E il dottorino, non tanto nauseato da quel contatto obbligatorio con ogni sorta di male, quanto seccato dal far visite giù in pianterreni bui come sotterranei o su in vetta a squallide soffitte riarse dal sole, anzi che trattenersi in salotti fioriti, pieni di signore ridenti, evitava quanto più poteva il suo malinconico dovere. Ciò non ostante, nella condotta affidata a lui, pochi ammalati se ne lagnavano. Era buono con tutti; educato a segno di levarsi il cappello su la soglia di qualunque tugurio, e dimostrava una certa simpatia per i ragazzi e per i vecchi. Un giorno, si raccontava, prima d'avvicinarsi al letto d'una moribonda, aveva gettato fuor dell' uscio la gardenia che portava all'occhiello: a' suoi occhi i clienti non potevano esiger di più da lui. Lucia passò la notte più angosciata che mai; le pareva d'aver conficcate nel cuore le sette spade della Madonna che stava a capo al suo letto. Cominciata a pena un'avemaria, la lasciava a mezzo, per tornar a piegare il viso su 'l suo bambino e sentirne l'alito cocente, o per mettergli fra l'aride labbra un pezzettino di ghiaccio; quindi ripigliava l'avemaria; ma un lamento del malato la faceva di nuovo correre a lui, pur troppo, a non far nulla per sollevarlo; e l'avemaria, sempre ricominciata, non aveva mai fine. Così i minuti passavano lunghi come ore, e le ore come giornate; tanto che a' rintocchi Contessa Lara. 6 dell'orologio di Santa Caterina, che sonava i quarti, ella quasi non voleva credere. Madonna cara! com'era possibile che in tutto quel tempo, in quel tempo eterno, non fosse passato che un quarto d'ora? Quando vide il primo biancheggiar dell'alba, le parve di riaversi, come se anche nell'intimo suo si diradassero un po' le tenebre. Dopo le otto, principiò ad affacciarsi qualcuno a chieder notizie di Santino. Le notizie erano le solite: un febbrone da cavalli, e tutto il corpo punteggiato di pustole rosse. — L' è una zizzola! — masticava l'Adele, scrollando il capo, impensierita su 'l serio. Tornò verso sera il medico, e s'accigliò nel vedere il malatino. La madre lo guardava fisso, spiando su 'l viso di lui che cosa ella dovesse sperare o temere; ma l'altro rimase alquanto muto; fece poi tre o quattro domande laconiche, necessarie, e volle carta e calamaio per iscrivere una ricetta. Scritta che l'ebbe, si voltò alla donna: — Mi rincresce d'avvertirvi — diss'egli — che per comprare questa roba vi ci abbisogneranno quasi tre lire; oltre di ciò per tenere il bambino coperto di ghiaccio da capo a' piedi, affinchè l'eruzione sfoghi ben tutta, quando anche avrete comprato la borsa di gomma elastica, che ci vuole, non vi basteranno sette o otto lire al giorno. Rifletteteci, mia cara. Qui, il malato, per quanti sacrifici facciate, mancherà, per forza, di molte cose; mentre all'ospedale, dov'hanno tutto il necessario, lo curerebbero ammodo. Io, per conto mio, col daffare che ho, non posso venir che una sola volta al giorno, se pure... All'ospedale, in vece, si fanno due visite quotidiane, e magari più, se c'è il bisogno; poi ci sono gl'infermieri, che han pratica delle malattie quasi quanto noi dottori. Rifletteteci, mia cara. — Lucia, gli occhi sbarrati nel vuoto, accennava lentamente di no, di no, col capo; poi rispose con un fil di voce: - Si vedrà — e accompagnò, fino in mezzo al cortile, il dottore che usciva. Subito dopo chiamò forte: - Adele ! Adele! — Aveva in testa un progetto. Dal giorno che l'antico padrone di suo marito, fingendo di non ravvisarla, le aveva mostrato chiaramente di non gradirla intorno a sè, Lucia non gli s'era più rivolta. Meglio patir la fame, pensava, che andare a umiliarsi a certa gente; e giurava che sarebbe morta anzi che rimetter piede nella drogheria. Codesto giuramento, ella lo aveva mantenuto per tutto quel tempo che ancora visse Peppe, e anche dopo, da ch'era vedova. Si era rifinito tutto, è vero; di biancheria le restavano appena due paia di lenzuoli per cambiare il letto: un paio a dosso, uno al fosso, come si suol dire; l'anello matrimoniale impegnato ad un montino, Dio sa dov'era ito; ma almeno non aveva fatto delle faccette con nessuno. Quando, però, udì il dottore parlar di tutte quelle lire che ci volevano ogni giorno per i medicamenti di Santino, il pensiero le ricorse tosto al sor Luigi. Chi avrebbe potuto soccorrerla in quei frangenti? Gl'inquilini facevano troppo a mandarle mattina e sera del brodo, carichi di figliuoli e non ricchi, com'erano. E rifletteva, per iscusar con sè medesima l'idea di tornare sopra l'antico proposito: — Quella volta, si sa, la colpa è stata di tutti e due; lui avrà avuto i nervi, e io me la presi troppo calda. Da chi è da più di noi bisogna patirne. Del resto, prima qualcosuccia me l'ha data; non posso dirne male... E ora gli è certo che m'aiuterà; bisognerebbe avere un cuor di macigno per abbandonare una creaturina malata come questa... — Pensava anche che, alla peggio, avrebbe proposto al sor Luigi di farle un prestito, un semplice prestito di cui lo avrebbe rimborsato un poco per volta: così, lui, del suo, non ci rimetteva niente, e tutti eran contenti. Su lo spedale la madre non fermava affatto il pensiero; le sarebbe parso un cattivo augurio. - Adele! — chiamò ancora più forte. — Uh! Che c'egli? — gridò la serva, accorrendo alla finestra. - Nulla, nulla. Mi fate il piacere di starmi un momento dal bambino? Vado e torno. - Accidèmpoli! Vo' m'avete messa in corpo una paura birbona! Tremo tutta! — fece l'Adele, che aveva temuto qualcosa di peggio. E scese. Allora Lucia, buttandosi a dosso lo scialle nero, prese la strada quasi di corsa, senza nè anche veder la gente alla quale passava in mezzo. Quando fu a pochi passi dalla drogheria, le entrò la tremarella nelle gambe. Era più d' un anno, ormai, ch'ella evitava anche di traversar quella via: e la grande insegna color di rame, a lettere cubitali gialle su l'alto della vetrina, e le lunghe targhe ai due lati con la specifica dei generi allineata, quell'insieme di cose materiali non cambiato, mentre per lei e per i suoi era mutato tutto, parve mozzarle un istante il respiro. Ma Santino aspettava: ella si face coraggio: entrò. Il principale scriveva al suo solito posto. Al veder Lucia fermarsi, ritta, dinanzi al suo casotto, alzò il capo e la guardò; poi chiese: — Che cosa volete da me? — Ella cominciò timidamente: - Non sono più venuta, sor Luigi, se lo ricorda? per non incomodarla... Peppe mi morì... già lo saprà... e oggi ho il bimbo maggiore, Santino, col vaiolo. Sta male... creda, male!...- - Mi dispiace — brontolò il droghiere, rimettendosi a vergar numeri. - Scusi; se la disturbo, ma il dottore mi ha detto... che per le medicine e il ghiaccio... ci vorranno... anzi non basteranno... sette o otto lire... al giorno. — L'uomo parve ancora più attento a' suoi registri; Lucia riprese: - Allora sono scappata da lei a pregarla per amor di Dio... — - A pregarmi di che? — domandò con freddezza il grosso negoziante, come se non gli passasse per la mente ch'ella fosse lì aspettando un soccorso, una carità, da lui. - Di darmi qualcosa per... — Il droghiere posò la penna, e fissò in viso la vedova. - Ma voi — disse — credete, me ne avvedo da un pezzo, che il denaro io lo zappi. Venite sempre con queste storie di disgrazie, di malattie, di morti, che so io, come s'io fossi il Padre Eterno...- - Nossignore.... mi perdoni... creda.... ho creduto... — Lucia si sentiva smarrire il cervello. Ma dunque, se quell'uomo non l'aiutava?... In quel punto le si ripresentò alla mente l'idea del prestito, ch'ella afferrò come una tavola di salvezza. - Non intendo già — disse — che lei si sacrifichi, sor Luigi, glie l'assicuro... Ma se mi facesse la carità di prestarmi qualcosa... glie la renderei...- - Già, a porta Inferi! — interruppe, incredulo e brusco, costui. - Non tutt'insieme... non lo prometto, perchè so di non poter mantenere... ma quanto prima... - - Non presto nulla — dichiarò uomo; e, dopo un istante, poi che Lucia s'era coperto il viso col fazzoletto, per nasconder le lacrime e la vergogna, soggiunse: - Eccovi due lire. Questo è quanto vi posso dare; ma ricordatevi di non venir più da me, perchè non intendo mantenere le famiglie degli altri. Ho le mie faccende, io, e a quelle devo pensare. — Così dicendo, fece con la destra un gesto risoluto di congedo; e tornò a piegar la fronte rannuvolata su' suoi libri. La vedova lo guardava trasognata: un torpore del sangue, come un formicolío, le invase il corpo; pure volle tentare uno sforzo terribile, ultimo, e pronunziò: - Ma si tratta di vita o di morte, sa! Ah, glie lo giuro, glie lo giuro proprio che se non fosse stato per questo, non sarei venuta più, no, no, non sarei venuta più!.. - - Basta, ho altro da fare! — vociò il principale, stizzito da quella noiosa insistenza; e soggiunse, come parlando tra sè: — Maledetto il buon cuore! Se a questa gentaglia si fa tanto di dare un dito, vi piglia il braccio, vi piglia! — Lucia uscì. Come le gambe la ressero, camminò fino a casa, e si buttò su la sedia accosto al capezzale del figliuolo, più bianca di un panno lavato, senza dir parola. - Icchè v'avete fatto? — cominciò l'Adele piantandosele davanti con le mani sui fianchi. — E' v'hanno dato poche consolazioni addò vo' siete stata, eh? — Lucia crollò la testa bassa. - Tirate via — rispose filosoficamente la serva — tanto, la morte la ci ha a trovar vivi! — Ma la vedova aveva un'espressione così angosciata e stralunata, che alla buona fiorentina venne meno il coraggio di farle altre chiacchiere, fossero pure a fin di bene e per distrarla. L'aiutò, invece, a ripulire qualcosa — dove c'è un malato, c'è sempre da fare — quindi salì dai propri padroni, e ridiscese quasi subito, seria, composta. Non pareva più lei, tanto la gravità della situazione le pesava su 'l cuore. Più presto di quel che credevano si fece rivedere il giovane medico condotto. - Brutto segno! — pensò l'Adele. Allora Lucia con una voce che non aveva più suono umano, ma risoluta, disse: - Signor dottore, prima di notte porto il bambino all'ospedale. - - Brava, brava, mia cara; fate un'ottima cosa — rispose quello — Vedrete, vedrete. — E visitato l'infermo, che presentava dei sintomi ancora più minacciosi, scrisse la domanda d'ammissione a San Francesco de' Poverelli. - Debbo avvisarvi — fece egli alla donna la quale seguiva, cadaverica, il rapido moto della sua penna — debbo avvisarvi che il regolamento proibisce ai parenti di visitare i malati. Gli è per evitare i contatti con gli esterni, capite, che potrebbero propagare il vaiolo. Una volta entrati lì, si rivedono soltanto guariti, o... - - Nè meno io che sono sua madre, posso andare a trovarlo?... - - Nessuno: è la regola. — Ella piegò più giù la testa su 'l petto, ammutolita, vinta. Più tardi, raccolta ch'ebbe la sua creatura entro il lenzuolo e le coperte, fra le quali giaceva, Lucia sollevò di peso quel corpicino quasi inerte, e se lo portò in braccio nella carrozzella che l'Adele era corsa a prendere. Giunta alla porta dello spedale, mise in mano al vetturino le due lire ricevute dal droghiere. Al portinaio del triste luogo, un pancione in livrea, dal naso violaceo, ella domandò, tenendo sempre Santino in collo: - C'è quello che comanda? - - Il direttore? — rispose l'interpellato con tono di superiorità — Il direttore adesso non si può vedere. — - Ma ho qui la domanda... Il bambino mi sta male... - - Si chiama il medico di guardia, in questo caso. - - Chiamate chi volete, ma chiamatelo presto — supplicò la donna. — Io non mi reggo più. — Il pancione in livrea le indicò una panca di legno, dicendo con lo stesso tono di voce: - Sedete lì. — Lucia sedette. Il fanciullo, che pareva un fagotto di panni, restava immobile, pesante, tutto abbandonato. Ella non osava tirargli su neanche un lembo dello scialle per vederlo in faccia, temendo di fargli pigliar fresco; e ogni momento avvicinava la bocca verso il capo di lui, e susurrava: - Santino! Cuore di mamma! — Ma la creatura non le rispondeva. Scese, dopo un po' di tempo il medico di guardia, e constatato lo stato del vaioloso, ordinò che lo si mettesse per quella notte nella stanza d' osservazione. Mentre il bimbo stava per essere trasportato via da un infermiere, sua madre gli scoccò due, tre, dieci baci su 'l viso rosso, tumefatto, su gli occhi chiusi, vischiosi. - Madonna santa, beneditelo! — pregò, tendendo in alto le braccia, mezzo strozzata dalla violenza dell'emozione; poi raccomandò all'infermiere, che già saliva la scala: - Abbiate compassione! Guardatemelo voi, per l'anima dei vostri morti! — e fuggì barcollando, senza voltarsi. Lo spedale di San Francesco de' Poverelli sorgeva in un punto lontanissimo da quel palazzo de' quartieri nuovi, dove Lucia era portinaia. Ci volevan tre buoni quarti d'ora per farsi trascinare fin là in carrozza, e poco men che due ore per andarci a piedi, anche camminando di buon passo. Ora, il maggior dolore che lacerava il cuore di Lucia, da che non aveva più davanti a sè lo spettacolo del suo fanciullo in lotta con la morte, era di non potersi recar tutti i giorni, a tutte l'ore, là dove egli stava rinserrato fra gente estranea, alla quale il poverino doveva pur essere indifferente come chi sa quante altre creature che soffrivano al par di lui, intorno a lui. — Come starà, in questo momento, Santino mio? — era la domanda unica, insistente, fissa simile a un chiodo piantatosegli nel cervello, che la madre si rivolgeva, certe volte persino a voce alta, mentre, pallida come un cadavere, con un tremor nello stomaco, invecchiata, consumata, tornava a lavorar come prima per gl'inquilini del casamento, correva a comprar loro della roba, faceva de' bucati, in fine disbrigava tutte le solite faccende, tranne quella di cucire a macchina, che avrebbe tenuta ferma, mettendole nei nervi un convulso insoffribile. E, con la visione netta delle corsie dai muri bianchi d'intonaco, lungo i quali si schieran le file dei letti uniformi: le corsie di quello spedale ch'ella non avea mai veduto, la desolata si figurava tutti i pensieri che dovevano Contessa Lara. 7 affollarsi nel cervellino febbrile del suo bimbo, quando, se schiudeva gli occhi, non trovava più lei al capezzale. — Chi sa se gli fanno male, quando gli mutan la camicia! Chi sa se badano che il lenzuolo non gli s'aggrinzi sotto ! Ci vuol così poco a impiagarsi ! Brodo, ghiaccio, ne avrà quanto n' ha di bisogno ? Oh, Dio! oh, Dio mio ! — Ma l' idea più orrenda di tutte, una vera follìa che s' impossessava di lei a poco a poco a crisi acute, era quella che al fanciullo non si desse abbastanza spesso da bere. E le sembrava vederlo smaniare in quel letto non suo, senza potersi esprimere, stordito dall' intensità della febbre, e allungare il labbruccio inferiore nel desiderio d'un sorso fresco; ella sentiva come scottar su la propria bocca quel labbruccio arido, enfiato ; un suono indefinito le portava un lamento ch' ella avea sempre nell' orecchio... — Soffre la sete quella creatural — E Lucia allora, presa da una disperazione tanto crudele quanto impotente, si morsicchiava le mani, si stringeva la testa, torcendosi, come si torcono i tronchi delle serpi mutilate. Quanto più spesso le riusciva di scappare, si recava all'ospedale: due e anche tre volte alla settimana; ma quel giorno poteva contar di perdere quattro o cinque ore di lavoro: di più, la portineria restava abbandonata. Veniva il portalettere, veniva gente a chieder di questo o di quell'altro inquilino, e non c'era alcuno per rispondere. Lei si figurava il brontolío dei casigliani, il malumore del padrone, se fosse giunto a saper la faccenda, e correva verso San Francesco de' Poverelli, correva col viso in fiamma, con le gambe che tanto più le pesavano, come fatte di piombo, quanto più le premeva di far presto. E quando, trafelata, trovavasi finalmente allo spedale, davanti al pancione in livrea, che, non avendo nulla da fare, non aveva premura nè per sè, nè per gli altri, ella si struggeva lì una mezz'ora, avvolgendosi e svolgendosi macchinalmente una punta del fazzoletto intorno a due o tre dita della mano. Il tempo non le passava mai; scendevano e salivano inservienti, medici, impiegati, su e giù per l'ampia scala che mena alle corsíe; la donna sospirava, si raccomandava a Gesù, alla Vergine, a tutti i santi e martini benedetti... Stava su' carboni ardenti... Finalmente, qualcuno le si avvicinava a farle l'elemosina delle desiderate notizie; ed ella riprendeva la sua corsa verso casa, con le gambe che pareva non si volessero staccare dal suolo, col capo che le andava per aria, ma più serena d' animo, un po' rassicurata. Di fatti, le notizie di Santino eran sempre migliori. Una volta, dissero a sua madre che il medico lo aveva messo a un quarto di vitto, poi a metà. Un'altra volta seppe che gli era stato permesso d'alzarsi, e allora ebbe due terzi di vitto, non ostante che, a dar retta a lui, avrebbe mangiato anche il desinare del personale di servizio; tanto era l'appetito che gli tornava con le forze. Lucia sorrideva, con gli occhi inondati di lagrime, a sentir tante cose consolanti, e se le sarebbe fatte ripetere sa Dio quante volte. — Madonna cara! Che grazia mi avete fatta! — esclamava col cuore traboccante di gratitudine verso la Provvidenza. Un giorno, la superiora delle monache addette all'ospedale, le disse che il bambino, ormai perfettamente ristabilito, non avrebbe certo tardato a uscire. Quel giorno, prima di tornare a casa, la Lucia non seppe resistere al desiderio di fermarsi da un merciaio che conosceva, a pigliarsi quattro metri di frustagno marrone, per farne un vestitino nuovo a Santino. Fissò di pagarlo un tanto il mese. Ora che non aveva più da perder tempo in queste gite, poteva guadagnare qualche altra cosa; poi le si presentava un nuovo provento: era venuta ad abitare un quartierino del palazzo una giovane sposa incinta, moglie d'un tenente, la quale voleva la Lucia a mezzo servizio, non facendo ella quasi niente da sè in casa, un po' perchè non c'era avvezza, e un po' perchè soffriva di quella prima gravidanza. In questo modo le cose sarebbero andate meglio, si capisce: una spinta di qua, una di là, e la barca va avanti. Tutto questo, la Lucia ripeteva nell'intimo suo, mentre, con un sorriso felice, si stringeva al petto l'involto del frustagno. E come unse e riordinò con compiacimento la sua macchina per cucire il vestitino, non appena l'ebbe tagliato! Lavorava di sera: mentre quel tic-tac fitto fitto ch'ora le faceva l'effetto d'una musica allegra, s'accompagnava al ritmo eguale del respiro dei due bimbi dormenti uno da capo, l'altro da piedi del letto, certe lagrime grosse e calde rigavan la faccia della madre, perchè andava ripensando che in quei giorni di strazio, quando Santino era lontano, tanto malato, ella se la pigliava persino con la Marietta e con Checco, poverini! vedendoli così allegri, sani, chiassoni... Il vestitino era già pronto; la Lucia se l'era già rigirato fra le mani chi sa quante volte, immaginandosi la figura che avrebbe fatto indossato, quando finalmente giunse la famosa lettera diretta ai genitori o parenti di Santino Naldi, invitandoli a ritirare il fanciullo dallo spedale di San Francesco de' Poverelli. Era guarito. La vigilia del ritorno di lui, la madre non trovava il verso d'andare a letto: un'altra ferrata alla camicina con l'amido dal goletto lustro e interito; un'altra stiratina alle calze a costole d'un color marrone scuro, compagne al vestito. A un tratto, fu bussato all'uscio: potevano esser le dodici. — Chi è? — fece la Lucia, che non aspettava gente a quell'ora. - Son io, Trevisani: apri. — Era il tenente: l'inquilino nuovo. La portinaia gli aperse. Un bel giovane, alto e bruno, co' pantaloni alla militare e una giacchetta da borghese, si presentò su la soglia, occupando l'intero vano con la sua poderosa corporatura. Aveva il viso sconvolto, gli occhi cerchiati di rosso. - Mia moglie sta poco bene — disse - ha abortito. - - Oh Dio, come mai? — chiese la Lucia, incrociando le braccia in atto di rincrescimento. — Non so... proprio non so... senza motivo. Son solo... vieni su, fammi il favore... Tu, di queste faccende non te ne devi intendere... — Ella assentiva col capo. Pur troppo, pur troppo! Così non avesse mai saputo quel che costano i figliuoli! E, spenta la sua candela di sego, chiuse la portineria per seguir l'ufficiale. Se la brutta faccenda de' Trevisani fosse accaduta qualche giorno avanti, Lucia non avrebbe saputo come fare a aiutarli, a incoraggiarli, perchè aveva ella medesima troppe pene sue. Ma adesso, era tutt'altra cosa. L'idea d'abbracciare fra poche ore il suo Santino, il suo tesoro, le metteva a dosso un'energia singolare: vedeva ogni cosa sotto un aspetto di pace. — Coraggio, signora, coraggio! — ripetè più volte alla moglie del tenente, un'esile donnina di circa vent'anni, meravigliata e sfinita di quel che aveva patito, con la testa d'un biondo cenere affondata fra' guanciali. La sofferente non rispondeva; ma dalla mezz'ombra in cui trovavasi l'ampio letto matrimoniale, e che pareva dare a quel viso pallido qualcosa di fantastico, sbarrava, spauriti, gli occhi turchini, sforzandosi a sorridere, forse inconsciamente. — Ora rivedo Santino mio! Fra poco Santino mio è qui! — pensava la Lucia, affaccendata in torno a quella povera giovane; e mentre le porgeva una tazza di brodo, fatto lì per lì con dell'estratto di came d'un vasetto dal coperchio polveroso, trovato per caso in una credenza fra altra roba alimentare che il tenente avea riportata dal campo, la madre già vedeva il suo bimbo col vestitino nuovo. Che cosa le avrebbe detto, lui, per solito tanto amoroso? Che faccia avrebbe fatta? Povera, povera faccina, tutta rovinata dal vaiolo! Che importa? Per la mamma era sempre bello, bello come un sole! E mentre andava qua e là, dalla cucina alla camera, bisognava che la Lucia ripensasse al dispiacere di que' poveri signori Trevisani, perchè lei, la madre felice, non si mettesse a canterellare come a' suoi bei tempi, quando ancora non conosceva tribolazioni. Se Santino fosse rimasto in portineria, certo sarebbe morto come il padre. Povero, povero Peppe! Poveri tutti, i morti, anime sante del Purgatorio! E la Lucia si commoveva d'una commozione indefinita, piena di dolcezza. A giorno, appena vide aperta la finestra di cucina dei Lantoni, corse dall'Adele. — Abbiate pazienza — le disse: — il tenente m'è stato a tormentar tutta la notte, perchè non gli abbandoni la moglie, ora che sta meglio. È matto: dice che gliel'ho salvata io. Io non ho fatto nulla, figuratevi! ma, poveretta, è novellina, e sa ch'io me ne intendo. M'avreste dunque a fare un piacere, Adele. Andatemi a San Francesco de' Poverelli a riprender Santino. Tanto, lui sta bene, grazie a Dio, e non ha bisogno di me. Anzi, me lo rivedo a casa tutt'a un tratto...- - Volentieri — fece semplicemente l'Adele: — basta che loro sien contenti. — Loro — erano i suoi padroni; e gente di cuore, non soltanto permisero alla serva d'assentarsi, ma aggiunsero al vestiario di frustagno, che l'Adele portava allo spedale in una pezzuola, un berretto alla marinara, nuovo fiammante, con l'àncora d' oro sui nastri che pendevano dietro. Svelta, la fiorentina camminò fino a piazza San Carlo, dove prese l' omnibus per via dell'Archibugio; e di lì si recò allo spedale. Quella mezz'ora, o poco meno, ch'ella dovette far d'anticamera, le parve assai lunga; e alla madre quel tempo parve infinito. Sempre più nervosamente ella girava per casa Trevisani. Che ora poteva essere? O perchè non tornava l'Adele? Che cosa ci voleva a pigliarsi quella creatura e a portarsela via? Se avevano scritto che Santino era ormai in piena salute, che allo spedale non poteva rimanerci più... O dunque? Ma quando, dopo parecchie ore, che le parvero un secolo, ella vide tornare l'Adele sola, sottosopra, tutta scombussolata e con gli occhi pieni di bile, Lucia non capì più nulla. - O che c' è? Che vuol dire?.. — interrogò interdetta. - Non me l'hanno dato — rispose l'altra lasciandosi cader le braccia, come dopo aver fatta una grande fatica. Lucia non capiva; chiese: - Perchè? - - Non era lui! - - Come? - - Non era lui, no, no, non era lui - asserì l'Adele entrando e buttandosi sur una sedia. Poi raccontò per filo e per segno il fatto. Aveva dovuto pazientare un secolo: non fa niente; il portiere, un buzzone schifoso che si dava Dio sa che importanza, le aveva significato che lì era inutile aver fretta, angustiarsi, spazientirsi; facevano come gli pareva; ci voleva pazienza: c'era un buscherio di gente; chi andava, chi veniva... non si capiva un' acca... Lucia accennava di sì, di sì, sempre più frequentemente, per mostrare che capiva, capiva... Ma poi, poi che cosa era accaduto? Questo le stava a cuore. Poi, poi era accaduto che all'Adele avevan presentato un bambino di circa cinque anni, che lei non aveva riconosciuto. Quello lì, Santino? Ma nè pure per sogno! Era venuto un inserviente, e dopo, una monaca, e dopo anche la superiora, poi il medico di guardia: tutta una processione. Avevan detto: - Che mai dite che non è lui? — E l'Adele: - Nossignori che 'unn' è lui! - - Il vaiolo, lo sapete, muta la fisonomia. - - E' muterà quanto gli pare, ma questo 'unn'è Santino! Già Santino, gli ha sett'anni: e questo? - - La malattia l'avrà fatto dimagrare. - In vece, questo bimbo qui gli è grasso e robusto, e il nostro gli era mingherlino, piuttosto civile. - - È stato ben nutrito — osservò il dottore. - Poi, Santino gli aveva gli occhi celesti, e questo qui gli ha neri! — - Ve lo volete portar via, sì o no? — chiese il direttore, ch'era sopraggiunto in mezzo a questa discussione. - Io no, ecco! — dichiarò l'Adele o come ho a fare a portar via uno che 'unn' è Santino? - - Fate venir la madre, in questo caso — finirono col dire tutti. Di modo che l'Adele se n'era tornata sola, senza sapere che cosa la si facesse, accorata, con un diavolo per pelo. La madre ascoltò tutto il racconto per filo e per segno, senza batter palpebra; un ghiaccio, come di svenimento, le era corso per le vene. Madonna santa! Che voleva dire ciò?.. E due sole parole le uscirono di bocca: - Vado io. — Ma la mattina di poi, a punto mentre ella si preparava a recarsi allo spedale, s'affacciò alla portineria una femmina che teneva per mano un ragazzino; e chiese di Lucia Naldi, quella che aveva un malato a San Francesco de' Poverelli. Il bimbo indossava il vestito color marrone cucito a macchina, di sera, quando le fatiche diurne erano finite; portava le calzette a costola, il berretto con l'àncora. Ma il vestitino gli era largo e lungo: ci stava come in un sacco, goffo, impacciato, malinconico. - Vi riporto il vostro figliuolo, per ordine del direttore — disse la femmina. — Ormai sta benone e allo spedale non possiamo più tenerlo. — Lucia s'era fermata di botto, come se in un attimo le avessero inchiodato le piante al suolo. Fissò il ragazzo con le pupille dilatate, con le labbra strette, con tutta la faccia che si protendeva in atto di eccezionale stupore. Contessa Lara. 8 - Ma non è il mio, questo! — gridò ella. - Chi, questo? — chiese l'infermiera con tono d'incredulità. - Questo, questo qui! - - Eh diamine! Siete matta! Nome, cognome, età, sta scritto tutto su la tabella. Come volete che non sia il vostro? Guardatelo bene. - - Non è il mio, vi dico! — badava ad affermare la portinaia — Santo Dio, volete che una madre non riconosca il suo figliuolo? - - Si sa, ha avuta una malattia che cambia tutti. Gli è come se uno si mettesse una maschera, credete a me. - - Non può cambiare il sangue, la malattia! Questo bambino nè anche mi conosce. Vieni qua, dimmi come ti chiami — fece la Lucia, attirando verso di sè il fanciullo, intento a fissar la stanza dove si trovava con occhi attoniti, lustri fra la came lustra, tuttora chiazzati di rosso, e occupato, quando non fissava la stanza, a osservare l'abito marrone da lui indossato, del quale particolarmente sembravano interessarlo i bottoni e le tasche. - Come ti chiami? — ripetè la Lucia. Il bambino alzò lo sguardo un po' selvaggio; poi lo tornò subito a chinare, e rimase muto. Allora la Lucia lo respinse dolcemente: - Non è il mio!- Non è il mio! — esclamò sicura — Riportatevelo pur via, chè oggi stesso vengo a pigliar Santino. - E siccome, a punto la Marietta e Checco entravano in casa di corsa, come una folata di vento, la madre li interrogò, spingendoli davanti al piccolo sconosciuto: - È Santino nostro, questo? Ditelo voi! — I ragazzi smisero di ridere; squadrarono il nuovo arrivato con atto di diffidenza, poi se ne allontanarono un po' ammusoniti, facendo segno di no, col capo. - Vedete? Vedete bene che non è il mio! tornò a protestare la Lucia. L'infermiera insistè un altro poco, tanto per fare: raccontò qualche aneddoto straordinario su 'l vaiolo, che rende irriconoscibili anche alle persone di famiglia; ma, vedendo che la portinaia, anzi che persuadersi, sempre più si irritava, si strinse nelle spalle, come chi, in fin de' conti, si sente affatto estraneo ad una faccenda nella quale è immischiato senza sua volontà; e, ripreso per mano il fanciullo da lei condotto, se ne andò con un indifferente: — Arrivederci. — Lucia aveva la febbre a dosso. Saper guarito il suo Santino, saper di poterlo riabbracciare, e in tanto non averlo in casa! Lasciò andar tutto, servizio, bucato: salì soltanto a scusarsi con la Trevisani: e partì. All'ospedale, le dissero che il direttore non c'era. Bisognava aspettarlo. Aspettò. Quanto le parve lungo e angoscioso quel tempo, Dio solo lo sa: Lui che tien conto degl'istanti dei nostri dolori. Era sola, in una vasta camera dalle pareti nude, dipinte a stampino e scolorate. Di mobili, non altro che una vecchia scrivania di noce, ormai senza lustro, con sopra mucchi d'incartamenti giallognoli e un calamaio di porcellana bianca dal piattello attaccato, tutto sbocconcellature e macchie d'inchiostro. Davanti alla scrivania, dalla parte del muro, una poltrona, egualmente di noce, a guanciale di cuoio nero, fiancheggiata d'una fila di sedie impagliate. A sinistra, uno scaffale ingombro di registri luridi, per gli anni e per la polvere. Non osando passeggiare, per il timore di fare strepito e parer troppo ardita, la Lucia stava lì immobile. Non si metteva neanche a sedere per l'agitazione, per l'impazienza che aveva a dosso; quasi che lo star lì in piedi avesse sollecitato l'arrivo del direttore. Ogni rumore più lieve, venuto di fuori, la faceva riscuotere, le rimescolava il sangue, le dava come un colpo nel petto e una stretta alla gola. Teneva fissi gli occhi su la porta: una porta mezzo sgretolata, da cui sperava, a ogni istante, di veder comparire il suo bambino. Ma il tempo passava: nulla, nulla! Dopo un gran pezzo, che a lei parve incalcolabile, l'uscio s'aperse a un signore di una cinquantina d'anni, alto, con in testa un cappello a cilindro, e tutt'insieme un aspetto burbero e confuso. Lucia lo guardava tra ossequiosa e incerta. Egli sedette nella poltrona di cuoio nero, davanti alla scrivania, e rimescolò un gran numero degli scartafacci accatastati iì sopra. Un plico, un incartamento, chi sa che cosa fosse? lo tenne particolarmente attento; sfogliava avanti e indietro le pagine, come se non trovasse quel che cercava. Finalmente alzò la faccia, ombreggiata dal cappello, e, piantando i gomiti su la tavola, mentre badava a stropicciarsi le mani all' altezza del viso, cominciò: - Mi rincresce di dovervi dare una cattiva notizia. — - Lucia lo fissava. D'un tratto, ebbe l'impressione d'una corrente fredda che avvolgesse tutta, e inghiottì a forza la saliva, che non le voleva passar dalla gola. - Proprio mi rincresce — continuò l'uomo — ma che volete? c'è stato un errore... Si son messe le corsíe sossopra, per ripulirle, e questo ha cagionato l'equivoco. Han posta la tabella d'un ammalato a capo al letto d'un altro... e... — Ella lo fissava sempre, smarrita, senza comprendere ancora, ma col presentimento di qualcosa d'orribile, di nuovo, d'ignoto, d'inaspettato. Battendo le palpebre, faceva con le labbra il movimento di chi parla, quasi avesse ripetuto a sè, in silenzio, ogni parola di lui, per meglio intenderla, per crederla. Egli riprese ancora: - E, dunque... in questa confusione, è capitata al bambino che vi avevo rimandato la tabella del bambino vostro, morto il sei di marzo, cioè pochi giorni dopo che ce lo avete portato. - Morto? — chiese lei, calma, con lo stordimento incosciente d'un bue che riceve il primo colpo mortale. - Eh sì, cara mia! Ci vuol pazienza; è stato uno sbaglio, che m'ha proprio fatto dispiacere. Adesso ci vorranno almeno quarantott'ore per rimetter le cose a posto, e farvi avere un certificato di morte in regola. — La donna pareva fulminata. Rimasta ritta davanti alla scrivania, abbandonava le braccia, che le pendevano sotto lo scialle di lana nera, e sporgeva innanzi la testa bassa, con l'occhio vitreo, con la bocca mezzo aperta, cadente. — Del resto, — soggiunse il direttore — le cose sono state fatte ammodo; i genitori di quell'altro ragazzo hanno ordinato un mortorio decente al bambino vostro, credendolo il loro; questo deve consolarvi. E in ultima analisi, — concluse — con la morte c'è poco da fare: pur troppo, lo sapete come me. Quanto ai panni, ve li restituiranno, non c'è dubbio: m' impegno io. — Lucia udiva un rumore di parole vaghe, assordante come uno scrosciar d'acque invisibili. Non rispose mai. Soltanto, quando il direttore s'alzò, ella capì che doveva andarsene. Che cosa ci stava ormai a fare? Chi aspettava? E s'avviò verso l'uscio, col desiderio intenso di ritrovarsi in casa sua, nel suo covo, che le pareva lontano, lontano, come se, per arrivarci, avesse dovuto far un viaggio interminabile, eterno.

Mitchell, Margaret

221793
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Un progetto che avevamo abbozzato il signor Kennedy ed io... - Non sapevo che voi e il signor Kennedy aveste affari insieme - insorse zia Pitty quasi indignata che qualcuna delle attività di Franco le fosse rimasta ignota. - Il signor Kennedy trattava molte cose - replicò Rhett rispettosamente. - Dobbiamo andare in salotto? - No! - esclamò Rossella con un'occhiata all'uscio chiuso. Le sembrava di vedere ancora la bara in quella stanza. Sperava di non dovervi entrare mai piú. Per una volta tanto, Pitty comprese e si sottomise senza troppa buona grazia. - Potete andare nello studio. Tanto io... debbo andare di sopra; ho della biancheria da rammendare. Povera me, ho trascurato tutto in questa settimana. Dichiaro... Cominciò a salire le scale con un'occhiata di rimprovero che non fu notata né da Rossella né da Rhett. Egli cedette il passo alla giovine per farla entrare nello studio. - Che affari avevate con Franco? - interrogò Rossella bruscamente. Egli si avvicinò e sussurrò: - Nessuno. Volevo soltanto togliermi di torno miss Pitty. - Fece una pausa; poi si curvò verso di lei. - Non è buona, Rossella. - Che cosa? - La Colonia. - Non vi capisco. - Mi capite benissimo. Avete bevuto parecchio. - E se anche fosse? Che ve ne importa? - Sempre di una squisita cortesia, anche nel piú profondo dolore. Non dovete bere da sola, Rossella. Si viene sempre a sapere ed è cosa che rovina la reputazione. Che avete, tesoro? La condusse al divano di legno rosa; ella sedette senza parlare. - Posso chiudere l'uscio? Rossella sapeva che se chiudessero l'uscio Mammy si scandalizzerebbe e le farebbe un sacco di prediche, brontolando per settimane intere; ma sarebbe ancor peggio se Mammy udisse la discussione sul bere, specialmente mettendola in rapporto con la scomparsa della bottiglia. Dunque annuí e Rhett accostò le porte scorrevoli. Quando egli tornò e le sedette accanto, il ribrezzo della morte si dileguò dinanzi alla vitalità irradiata da lui, e la stanza sembrò nuovamente piacevole e accogliente, le lampade rosee e calde. - Che avete, tesoro? Nessuno al mondo sapeva dire quella parola affettuosa con la dolcezza di Rhett, anche quando la diceva per ischerzo; ma in quel momento non aveva punto l'aria di scherzare. Ella gli levò in volto gli occhi tormentati e trovò conforto nell'impassibilità di lui. Non sapeva perché la sua presenza le producesse quell'effetto; ma forse la ragione era che egli, in fondo, le assomigliava. In certi momenti le era accaduto di pensare che tutti quelli che conosceva le erano estranei, ad eccezione di Rhett. - Non me lo potete dire? - E le prese la mano, stranamente affettuoso. - Non è soltanto il dolore per il vecchio Franco? Che c'è, avete bisogno di denaro? - Denaro? Oh no! Rhett, ho tanta paura... - Non fate la sciocca, Rossella; non avete mai avuto paura in vita vostra! - Ma adesso ho tanta paura, Rhett! Le parole le si affollavano alle labbra piú rapidamente di quanto ella potesse pronunciarle. A Rhett poteva dir tutto. Era stato anche lui tanto cattivo che certo non l'avrebbe giudicata. Che bellezza conoscere qualcuno che era malvagio e disonesto, chiacchierone e bugiardo, mentre il mondo era pieno di gente che non avrebbe mentito neanche per salvarsi l'anima e che preferirebbe morire piuttosto che compiere un'azione disonesta! - Ho paura di morire e di andare all'inferno. Se egli avesse riso, sarebbe morta. Ma Rhett non rise. - Siete in ottima salute, mi pare... e forse l'inferno non c'è. - C'è, Rhett! Sapete benissimo che c'è! - So che c'è; ma è qui, sulla terra. Non dopo che saremo morti. Dopo la morte non vi è nulla, Rossella. Il vostro inferno lo provate adesso. - Questa è una bestemmia, Rhett! - Che però è confortante. Ditemi: perché dovreste andare all'inferno? Ora motteggiava; i suoi occhi brillavano beffardi. Ma Rossella non vi fece caso, perché le sue mani erano calde e forti, e aggrapparsi ad esse era un conforto. - Rhett, non avrei dovuto sposare Franco. Ho fatto male. Era il fidanzato di Súsele e amava lei, non me. Ma io gli diedi ad intendere che lei stava per sposare Toni Fontaine. Come ho potuto far questo? - Ah, è andata cosí! Mi ero chiesto tante volte come mai... - E poi l'ho reso infelice. Gli ho fatto fare ogni specie di cose che gli ripugnavano, costringendolo, per esempio, a farsi pagare da gente che veramente non era in condizioni di farlo. Ed era cosí addolorato perché gestivo gli stabilimenti e perché avevo costruito la bettola e assunto i forzati... Si vergognava al punto da non osare piú di alzar la testa. E poi, l'ho ucciso. Sí, l'ho ucciso io! Non sapevo che facesse parte del Klan. Non immaginavo che avesse tanta audacia. Ma avrei dovuto saperlo. E l'ho ucciso. - «Tutte le acque dell'oceano non detergeranno queste mie mani...» - Come? - Niente. Andate avanti. - Avanti? È tutto qui. Non basta? L'ho sposato, l'ho reso infelice e l'ho ucciso. Dio mio! E tutto mi sembrava giusto, quando lo feci; ma ora capisco che ho fatto male. Mi pare di non essere stata io a fare tutte queste cose... Sono stata perversa con lui, ma senza volere. Non ero stata educata in questo modo. La mamma... - Si interruppe e inghiottí. Aveva evitato tutto il giorno di pensare ad Elena, ma ora non poteva piú scacciare l'immagine di lei. - Mi sono chiesto spesso come poteva essere - fece Rhett. - Mi sembra che voi somigliate piuttosto a vostro padre. - La mamma era... Oh Rhett, per la prima volta sono contenta che sia morta, cosí non può vedermi. Non mi aveva allevata per essere malvagia e perversa. Era cosí buona con tutti! Avrebbe preferito che io morissi di fame piuttosto che agire cosí. Desideravo tanto di essere come lei in tutto e per tutto e non le somiglio affatto. Non ci pensavo... c'erano tante altre cose da pensare... ma avrei voluto somigliarle. Non volevo essere come il babbo. Gli volevo bene, ma egli era cosí... cosí... spensierato. A volte ho cercato di essere gentile col mio prossimo e buona con Franco; ma allora tornava l'incubo e mi faceva tanta paura! E desideravo soltanto di correre ad afferrare del denaro, fosse o non fosse mio. Le lagrime le scorrevano sul volto, ed ella si era aggrappata a lui con tanta forza che egli sentí le sue unghie penetrargli nella carne. - Che incubo? - la sua voce era dolce e calmante. - Ah, già... dimenticavo che non sapete. Quando cercavo di esser buona e di dire a me stessa che il denaro non è tutto, andavo a letto e sognavo di essere a Tara, subito dopo la morte della mamma e dopo la venuta degli yankees. Rhett, non potete immaginare... Mi vien freddo a pensarci! Tutto bruciato e niente da mangiare. E nel sogno sono torturata dalla fame! - Andate avanti. - Ho fame; e tutti, il babbo, le ragazze e i negri, muoiono d'inanizione. E si raccomandano a me e io dico continuamente: «Se riesco ad uscirne, non voglio soffrir la fame mai più»; e allora il sogno si trasforma in una nebbia grigia attraverso la quale io corro, corro disperatamente, col cuore che mi scoppia; sono inseguita da qualche cosa e non posso respirare; ma penso che se riesco ad arrivare, sarò salva. Ma non so dove io cerchi di arrivare. Allora mi sveglio tremando di freddo e di spavento. E quando mi sveglio mi pare che nel mondo non vi sia abbastanza denaro per potere impedire che io soffra la fame... In quei momenti Franco era cosí sdolcito e meschino che diventavo furibonda e perdevo la calma. Credo che non mi capisse; ed io non cercavo di farmi capire. Pensavo che un giorno, quando avessi avuto del denaro, gli avrei spiegato... Ed ora è morto ed è troppo tardi. Ed io ho fatto male... Se dovessi rifarlo, credo che agirei diversamente. - Basta - impose Rhett svincolandosi dalla stretta frenetica di Rossella e traendo di tasca un fazzoletto pulito. - Asciugatevi gli occhi. Non c'è buon senso a disperarsi in questo modo. Ella prese il fazzoletto e si asciugò le guance, piú sollevata perché le sembrava di aver deposto un po' del suo grave fardello sulle larghe spalle di Rhett. Egli appariva cosí calmo e tranquillo; e anche la piega leggera della sua bocca la confortava perché provava che la sua angoscia e la sua confusione erano eccessive. - Vi sentite meglio adesso? Dunque, vediamo di andare in fondo a questa faccenda. Dite che se doveste tornare da capo, agireste in modo differente. Ma è vero questo? Riflettete un momento. Agireste davvero in altro modo? - Ma... - No; tornereste a fare lo stesso. Avevate altra scelta? - No. - E allora perché vi disperate? - Perché sono stata cattiva ed ora lui è morto. - E se non fosse morto, voi continuereste ad essere cattiva. Insomma, se ho ben capito, voi non siete addolorata perché avete sposato Franco, siete stata caparbia con lui e avete senza volerlo cagionato la sua morte. Siete disperata solo perché avete paura di andare all'inferno. È cosí? - Ma... mi sembra che sia lo stesso. Tutto è cosí confuso... - Anche la vostra morale è considerevolmente confusa. Voi siete nella esatta posizione di un ladro che è stato colto con le mani nel sacco, e non è addolorato perché ha rubato ma perché ha una tremenda paura di andare in prigione. - Un ladro... - Oh, non prendete le cose alla lettera! In altre parole: se non aveste questa stupida idea di potere essere dannata per l'eternità, sareste ben contenta di esservi liberata di Franco. - Rhett! - Andiamo! Dal momento che vi state confessando, tanto vale che diciate tutta la verità, piuttosto che una decorosa menzogna. Ditemi un po': la vostra... hm... coscienza vi ha mosso molti rimproveri quando voi avete offerto... come vogliamo dire?... quel tesoro che è piú caro della vita, per trecento dollari? L'acquavite stava adesso lavorando nel cervello della giovane donna che si sentiva un po' stordita e indifferente. - Veramente non ho pensato a Dio in quel momento... né all'inferno. E quando vi ho pensato... ho calcolato che Dio avrebbe compreso. - Ma non avete pensato che Dio avrebbe compreso anche la ragione per cui sposavate Franco? - Come fate, Rhett, a parlare cosí di Dio mentre non ci credete? - Ma voi credete in un Dio della collera; e questo è ciò che importa adesso. Perché il Signore non dovrebbe comprendere? Siete forse spiacente di possedere ancora Tara e che questa non sia in mano dei «Carpetbaggers»? Vi dispiace di non essere affamata e lacera? - Oh no! - E avevate altra alternativa, eccetto quella del matrimonio con Franco? - No. - Chi lo ha costretto a sposarvi? Gli uomini hanno il libero arbitrio. E perché si è lasciato trascinare da voi a fare quello che non voleva? - Ma... - Non vi tormentate, Rossella. Se doveste tornare da capo, voi sareste ancora trascinata a mentire e lui a sposarvi. Vi esporreste nuovamente a un pericolo ed egli dovrebbe vendicarsi. Se egli avesse sposato la vostra sorellina, forse non sarebbe morto, ma essa lo avrebbe reso anche piú infelice di quanto avete fatto voi. Non poteva andare diversamente. - Ma io avrei potuto essere piú buona con lui. - Avreste potuto... se foste stata differente. Ma eravate nata per tiranneggiare chi ve lo avesse consentito. I forti sono fatti per essere tiranni e i deboli per piegarsi. È stata colpa di Franco che non vi ha percossa con la frusta... Mi meraviglio di voi, Rossella che sentite svegliarsi la vostra coscienza a quest'età. Gli opportunisti come voi non dovrebbero averne. - È un male essere opportunista? - È sempre stata ritenuta una cosa vergognosa... specialmente da quelli che hanno avuto le stesse opportunità e non le hanno colte. - Oh Rhett... Voi state scherzando mentre io credevo che sareste stato gentile! - Sono gentile... Ma voi, cara Rossella, siete brilla. Ecco tutto. - Come osate... - Oso. Siete sull'orlo di quella che volgarmente si chiama una «sbornia malinconica»; quindi cambierò argomento e vi rallegrerò raccontandovi qualche notizia che vi divertirà. Veramente, stasera sono venuto qui espressamente per parlarvi di questo prima di partire. - Dove andate? - In Inghilterra; e forse rimarrò assente qualche mese. Lasciate un po' stare la vostra coscienza, Rossella. Non ho voglia di continuare a discutere sulla salvezza della vostra anima. Volete sentire questa novità? - Ma io... - cominciò Rossella debolmente e s'interruppe. Fra l'acquavite, che stava attenuando le aspre punture del rimorso e le parole beffarde ma consolatrici di Rhett, il pallido spettro di Franco si andava ritraendo nell'ombra. Forse Rhett aveva ragione. Forse Dio comprenderebbe. Si riprese abbastanza per poter ricacciare l'idea in fondo al suo cervello e decidere: «Ci penserò domani.» - Che novità? - chiese con sforzo, soffiandosi il naso nel fazzoletto di lui e spingendo indietro i capelli che avevano cominciato a scompigliarsi. - La novità è questa. - E Rhett sorrise. - Vi desidero ancora piú di quanto abbia mai desiderato alcuna donna; e credo che ora che il povero Franco non c'è piú, vi interessi saperlo. Rossella strappò le mani dalla sua stretta e balzò in piedi. - Io... Voi siete l'individuo screanzato che esista! Venire proprio in questo momento a farmi dei discorsi... Dovevo saperlo che siete sempre lo stesso! Col cadavere di Franco ancora caldo! Se aveste un po' di costumatezza... uscite subito da questa... - State zitta, altrimenti fra un momento vedrete qui miss Pitty - rispose Rhett senza alzarsi ma afferrandola per i polsi. - Temo che non abbiate compreso la mia idea. - La vostra idea? Non ci tengo. - Ella lottò per svincolarsi. - Lasciatemi e uscite. Non ho mai visto una simile mancanza di tatto! - Zitta! - ribatté Rhett. - Vi sto chiedendo di sposarmi. O volete che mi metta in ginocchio? - Oh... - fece Rossella ansimando; e piombò a sedere sul divano. Lo fissò a bocca aperta, chiedendosi se forse era l'acquavite che le faceva uno scherzo, poiché ricordava la dichiarazione di Rhett: «Mia cara, io sono di quegli uomini che non si ammogliano». O lei era ubriaca o lui era pazzo. Ma non ne aveva l'aspetto. Sembrava calmo come se avesse parlato del sole e della pioggia e la sua cadenza strascicata colpí le sue orecchie senza un'enfasi particolare. - Vi ho sempre desiderata, Rossella, da quel giorno che vi vidi alle Dodici Querce, quando scagliaste il portafiori, dimostrando cosí che non eravate una signora. Ho sempre avuto l'intenzione di farvi mia, in un modo o in un altro. Ma poiché voi e Franco avete messo assieme un po' di denaro, capisco che non verrete piú a farmi qualche interessante proposta di prestiti e garanzie. Quindi vedo che mi tocca sposarvi. - È uno dei vostri soliti scherzi, Rhett? - Ma come: io vi apro l'anima mia e voi fate delle insinuazioni! No, Rossella: questa è una vera e propria dichiarazione, in debita forma. Riconosco che non è di buon gusto farla in questo momento, ma ho una buona giustificazione per la mia sconvenienza. Parto domani per una lunga assenza e temo che se aspetto il mio ritorno, vi troverò sposata con qualcuno che ha un po' di denaro. E allora ho pensato: perché non io, e il mio denaro? Veramente, Rossella: non posso passar la vita a cercare di afferrarvi fra un marito e l'altro. Parlava sul serio. Non vi era dubbio. Nel rendersi conto di questo ella si sentí la bocca arida e inghiottí. Lo guardò negli occhi per potergli rispondere e li vide ridenti, ma con qualche cosa di profondo che non vi aveva mai visto prima; una strana lucentezza che sfidava ogni analisi. Sedeva con aria indifferente; ma ella comprese che la sorvegliava attentamente come un gatto sorveglia la tana di un sorcio. Nella sua calma era un senso di forza rattenuta che la fece indietreggiare un po' sgomenta. Le chiedeva di sposarlo: commetteva un gesto incredibile. Una volta Rossella si era proposta di tormentarlo se le avesse rivolto quella richiesta; si era proposta di umiliarlo e di fargli sentire il proprio potere, assaporando una gioia maligna nel far questo. Ora egli aveva detto quelle parole, ed ella si sentiva piú che mai in suo potere; e non le veniva neanche in mente ciò che aveva avuto in animo di fare. Come una ragazza a cui fosse stata rivolta per la prima volta una parola d'amore, arrossí e mormorò: - Non... non mi sposerò mai piú. - Ma sí, vi sposerete. Siete nata per essere moglie. Perché non mi sposereste? - Perché... non vi amo, Rhett. - Questo non è un ostacolo. Non mi pare che nelle vostre due esperienze matrimoniali l'amore abbia avuto gran parte. - Come potete dir questo? Sapete che a Franco volevo bene! Egli non rispose. - Sí, gli volevo bene! - Va bene; non discutiamo. Volete riflettere sulla mia proposta mentre io sarò lontano? - Rhett, non mi piacciono le cose che si trascinano. Preferisco rispondervi subito. Penso di tornare a Tara, lasciando Lydia Wilkes con zia Pitty. Desidero andare a casa per molto tempo e... non desidero rimaritarmi. - Storie. Perché? - Cosí... Non mi piace essere maritata. - Ma, mia povera figliuola, voi non siete mai stata veramente maritata. Che cosa volete sapere...? Ammetto che siete stata disgraziata... una volta per dispetto e un'altra volta per denaro... Avete mai pensato a sposarvi... per il piacere di farlo? - Piacere! Non dite sciocchezze. Non vi è nessun piacere nel matrimonio. - No? Perché no? Ella aveva ripreso una certa calma e insieme a questa l'acquavite riportava a galla la naturale schiettezza. - Sarà un piacere per gli uomini... E Dio sa perché! Non l'ho mai capito. Ma la donna non ne ricava altro che il proprio mantenimento e un sacco di lavoro; e poi bisogna accontentare la pazzia del marito... e un bambino all'anno. La risata di Rhett fu cosí sonora che echeggiò nel silenzio della casa e Rossella udí aprire la porta della cucina. - Zitto! Mammy ha delle orecchie di lince; e non sta bene ridere cosí forte dopo... Smettetela di ridere! Sapete che quello che dico è la verità. Piacere! Storie! - Ho detto che siete stata disgraziata; e quello che dite ne è la prova. Avete sposato un ragazzo e un vecchio. E per soprammercato, scommetto che vostra madre vi ha detto che bisogna sopportare «quelle cose» perché poi si ha il compenso della maternità. Beh, tutto questo non è esatto. Perché non provate a sposare un uomo giovine che ha una cattiva reputazione e che sa fare con le donne? Vi assicuro che è piacevole. - Siete grossolano e presuntuoso; e mi pare che questa conversazione stia andando troppo in là. E sia... assolutamente volgare. - Ma è anche divertente, no? Scommetto che non avete mai discusso sulle relazioni coniugali, neanche con Carlo e con Franco. Ella lo guardò aggrottando le ciglia. Decisamente Rhett sapeva troppe cose, Dove diamine aveva imparato tutto quello che sapeva sulle donne? Era proprio sconveniente. - Non fate il cipiglio. Fissate l'epoca, Rossella. Non vi chiedo un matrimonio immediato a causa della vostra reputazione. Lasceremo un intervallo conveniente. A proposito: quanto è un «intervallo conveniente»? - Non ho detto affatto che vi sposerò. E non è conveniente neanche parlarne in questi momenti. - Vi ho detto la ragione che mi spinge a parlarvene. Parto domani e sono un innamorato troppo ardente per reprimere piú a lungo la mia passione. Ma forse sono stato troppo precipitoso nella mia richiesta. Con una subitaneità che la sbalordí, egli scivolò dal divano in ginocchio e, con una mano sul cuore, recitò rapidamente: - Perdonatemi se vi ho sbigottita con l'impeto del mio sentimento, mia cara Rossella... volevo dire, signora Kennedy. Ma non può esservi sfuggito che da un pezzo l'amicizia che nutrivo per voi si è trasformata in un sentimento assai piú profondo, molto piú bello, piú puro, piú sacro. Oserò nominarvelo? Ah! È l'amore che mi rende cosí temerario! - Alzatevi! - minacciò Rossella. - Non fate lo sciocco... Se Mammy entrasse e vi vedesse?! - Sarebbe stupita e incredula vedendomi per la prima volta cosí gentile - replicò Rhett alzandosi con leggerezza. - Andiamo, Rossella: non siete una bambina né una scolaretta che cerca la scusa delle convenienze o altro del genere. Dite che mi sposerete al mio ritorno, o, dinanzi a Dio, non partirò. Rimarrò qui e tutte le sere verrò a suonare la chitarra sotto le vostre finestre e a cantare con quanta voce ho in gola; vi comprometterò, sicché dovrete sposarmi per salvare la vostra reputazione. - Siate ragionevole, Rhett. Non mi voglio rimaritare. - No? Ditemi la ragione. Non può essere timidezza di ragazzina. Che cos'è? Improvvisamente ella pensò ad Ashley, lo vide chiaramente come se le fosse accanto, coi suoi capelli d'oro, gli occhi sonnolenti, pieno di dignità, cosí straordinariamene diverso da Rhett. Ecco la vera ragione per cui non voleva rimaritarsi, benché non avesse una particolare obiezione contro Rhett che a volte le era anche simpatico. Ella apparteneva ad Ashley, da sempre e per sempre. Non aveva mai appartenuto a Carlo né a Franco, non potrebbe mai appartenere veramente a Rhett. Tutto ciò che ella aveva fatto, lo aveva fatto soltanto perché amava Ashley. Ashley e Tara: ella apparteneva a loro. I sorrisi, i baci, il riso che aveva dato a Carlo e a Franco erano di Ashley, anche se egli non li aveva mai chiesti e non li avrebbe chiesti mai. E nella profondità del suo essere era il desiderio di conservarsi per lui, benché sapesse che mai egli la prenderebbe. Non sapeva che il suo viso era mutato, assumendo, attraverso quei pensieri una dolcezza che Rhett non aveva mai visto prima. Egli fissava gli occhi verdi un po' obliqui, la tenera curva delle labbra rosse, e per un attimo si sentí mancare il respiro. Quindi egli torse la bocca con violenza e bestemmiò, spazientato. - Siete una stupida, Rossella O'Hara! Prima che ella fosse tornata presente col pensiero, egli l'aveva circondata con le sue braccia dure e forti, come quella notte, tanto tempo fa, sulla buia strada di Tara. Ella provò nuovamente quello smarrimento, quel senso di condiscendenza, quel calore che la indebolivano. E il volto serio di Ashley Wilkes si confuse e dileguò nel nulla. Egli le ripiegò la testa sul proprio braccio e la baciò, dapprima dolcemente e poi con un crescendo d'intensità che la costrinse ad aggrapparsi a lui come alla sola cosa ferma in un mondo che le girava a attorno. La bocca insistente di lui le scostò le labbra tremanti, facendole correre attraverso i nervi dei brividi violenti, svegliando in lei sensazioni che non aveva mai conosciute. E prima che lo stordimento la vincesse completamente, Rossella si accorse di ricambiare il suo bacio. - Basta, vi prego... svengo! - sussurrò cercando fiaccamente di volgere il capo altrove. Egli le strinse la testa piú fortemente contro la sua spalla e Rossella intravide confusamente il volto bruno di lui, i suoi occhi spalancati e che avevano una strana lucentezza. Il tremito del suo braccio la spaventò. - Voglio farvi svenire. Voglio farvi svenire. Sono anni che siete in attesa di questo... Nessuno degli imbecilli che avete conosciuto vi ha mai baciata cosí... Non è vero? Né il vostro prezioso Carlo né Franco né quell'idiota del vostro Ashley... - Vi prego...! - Ho detto quell'idiota del vostro Ashley. Tutti signori... Che cosa sapevano delle donne? Che cosa capivano di voi? Io vi conosco. La sua bocca fu nuovamente su quella di Rossella ed ella si arrese senza lottare, troppo debole per volgere il capo e senza neppur desiderio di volgerlo; il corpo scosso dai battiti violenti del cuore, mentre la paura della forza di lui e della propria debolezza le dava il capogiro. Se non smetteva, certo ella perderebbe i sensi. Se smettesse... non smetterebbe mai?! - Dite di sí! - Le labbra di Rhett erano incollate alle sue ed ella vedeva i suoi occhi cosí vicini che le sembravano enormi, come se riempissero il mondo intero. - Ditemi di sí, maledizione o... Ella mormorò «sí» senza neanche accorgersene. Come se, per suggestione, il monosillabo le fosse uscito dalle labbra senza sua volontà. Ma appena lo ebbe pronunciato, si sentí improvvisamente calma; il capo cessò di girarle e anche l'ebbrezza dell'acquavite diminuí di botto. Gli aveva promesso di sposarlo senza averne affatto l'intenzione. Non sapeva come tutto ciò fosse accaduto, ma non le dispiaceva. Ora le sembrava naturale di aver detto «sí», quasi come se, per divino intervento, una mano piú forte, della sua si fosse impadronita delle sue faccende per risolverle. Egli respirò profondamente e si chinò come per baciarla di nuovo; ella piegò il capo indietro e chiuse gli occhi. Ma Rhett si ritrasse senza baciarla e ciò le diede una leggera delusione. Essere baciata in quel modo le dava una sensazione strana ma eccitante. Egli rimase un po' di tempo a sedere tenendo ancora la testolina di lei appoggiata alla propria spalla; e come se si fosse imposto uno sforzo, il tremore delle sue braccia cessò. Si scostò un momento e la guardò. Ella aperse gli occhi e vide che quell'ardore che l'aveva spaventata era scomparso dal volto di Rhett. Si sentí incapace di sostenere il suo sguardo e chinò gli occhi confusa e fremente. Quando egli parlò, la sua voce era calmissima. - Avete detto sul serio? Non avete l'intenzione di ritirare la vostra parola? - No. - Non è stato perché... hm... come si dice?... vi ho fatto « perdere il lume degli occhi» col mio ardore? Ella non rispose, perché non sapeva che cosa dire; era tuttora incapace di guardarlo. Rhett le pose una mano sotto il mento e le sollevò il volto. - Vi ho detto una volta che avrei sopportato da voi qualunque cosa, eccetto una menzogna. E ora voglio la verità. Perché avete detto di sí? Rossella si sentí ancora impossibilitata a rispondergli; ma avendo riacquistata un po' di padronanza di sé, continuò a tenere gli occhi pudicamente abbassati ma sollevò un poco gli angoli delle labbra in un piccolo sorriso. - Guardatemi. È per il mio denaro? - Oh, Rhett! Che domanda! - Guardatemi e non cercate di imbrogliarmi. Io non sono Carlo né Franco ne uno di quei giovinotti della Contea che si sono lasciati prendere alla pania delle vostre ciglia palpitanti. È per il mio denaro? - Ma..., in parte, sí. - In parte? Sembrò che la risposta non lo irritasse. Respirò ancora rapidamente, e fece uno sforzo per spegnere nei propri occhi l'ardore che le parole di lei vi avevano acceso; un ardore che a lei la confusione impediva di scorgere. - Ecco - cominciò Rossella imbrogliandosi e confondendosi nelle parole - il denaro è necessario... Lo sapete benissimo, Rhett; E Franco non ne ha lasciato molto. Ma poi... noi siamo adatti uno all'altro... E voi siete il solo, fra quanti uomini ho conosciuti, che sopporta la verità da una donna; è piacevole avere un marito che non vi crede una stupida e al quale non occorra raccontare delle frottole... e... sí, Rhett, vi voglio bene. - Mi volete bene? - Oh Dio - ribatte ella stizzosamente - se dicessi che vi amo pazzamente, mentirei; e per di piú, voi non lo credereste. - A volte, gioia mia, ho l'impressione che esageriate nel dire la verità. Non credete che sarebbe piú carino da parte vostra dire: «Rhett, vi amo», anche se non fosse vero? Ella rimase anche piú confusa, non comprendendo dove egli volesse arrivare. Sembrava cosí strano, agitato, irritato, beffardo; lo vide ritrarre le mani da quelle di lei e ficcarle nelle tasche dei calzoni, e si accorse che stringeva i pugni. «Se anche dovessi perdere il marito, voglio dire la verità» pensò allora torva, col sangue in tumulto come sempre quando egli la tormentava. - Sarebbe una menzogna, Rhett; e a che scopo dovremmo dire delle sciocchezze? Vi voglio bene, ve l'ho detto. E voi mi capite. Una volta mi avete detto che non mi amavate perché avevamo troppi punti in comune. Tutti e due furfanti; questa fu la vostra... - Dio mio! - sussurrò Rhett rapidamente volgendo il capo altrove. - Preso nella mia stessa trappola! - Che avete detto? - Nulla. - La guardò e rise; ma non era un riso cordiale. - Fissate l'epoca, cara - e rise di nuovo, chinandosi a baciarle le mani. Ella provò sollievo nel vedere che il malumore era passato, e sorrise a sua volta. Rhett giocherellò per un istante con la sua mano rispondendo al suo sorriso. - Vi è mai capitato, fra i romanzi che leggete, di trovare la vecchia situazione della moglie indifferente che si innamora del proprio marito? - Sapete che non leggo romanzi - rispose Rossella; e cercando di mettersi all'unisono col suo tono scherzoso continuò: - Del resto, una volta mi avete detto che è il colmo del cattivo gusto, marito e moglie che si amano. - Quante cose maledettamente idiote ho detto! - ritorse egli bruscamente e si alzò in piedi. - Non imprecate. - Dovreste abituarvici, e imparare a imprecare anche voi. Dovreste assuefarvi a tutte le mie cattive abitudini. Questo fa parte del prezzo per... volermi bene e mettere i vostri graziosi artigli sul mio denaro. - Sentite: non mettete le cose in questi termini, soltanto perché io non ho voluto mentire allo scopo di farvi diventare presuntuoso. Voi non siete innamorato di me, non è vero? Perché io dovrei esserlo di voi? - No, cara, non vi amo, come voi non mi amate; e se vi amassi, sareste l'ultima persona a cui lo direi. Dio protegga l'uomo che vi ama davvero. Perché voi spezzereste il suo cuore, tesoro, da quella gattina perversa e crudele che siete, cosí incurante e sicura che non si prende neanche il disturbo di nascondere i suoi artigli. La trasse in piedi e la baciò di nuovo; ma questa volta la sua bocca era diversa; sembrava che egli cercasse di irritarla, offenderla, insultarla. Le sue labbra scivolarono sulla sua gola e infine premettero il taffettà sul suo seno, cosí a lungo e con tanta forza che ella si sentí bruciare la pelle. Alzò le mani a respingerlo, con verecondia oltraggiata. - Non dovete! Come osate...?! - Avete il cuore che batte come quello di un coniglio - motteggiò Rhett. - Se fossi presuntuoso, penserei che quei battiti son troppo veloci per un semplice affetto. Lisciatevi le penne arruffate. E smettete quell'aria di verginella. Ditemi che cosa debbo portarvi dall'Inghilterra. Un anello? Come lo volete? Ella ondeggiò un momento fra l'interesse destato da queste ultime parole e il desiderio femminile di prolungare la scena di collera e di indignazione. - Oh... un anello di brillanti, Rhett... molto grosso! - Cosí potrete farlo scintillare dinanzi agli occhi delle vostre amiche povere dicendo: «Vedete che cosa ho ghermito!» Benissimo; avrete un grosso anello, tanto grosso che le vostre amiche meno fortunate potranno consolarsi sussurrando che portare delle gemme cosí grandi non è da signora. Improvvisamente attraversò la stanza ed ella lo seguí stupita fino alla porta chiusa. - Che c'è? Dove andate? - A casa mia, a finire il bagaglio. - Ma... - Che cosa? - Niente. Vi auguro buon viaggio. - Grazie. Aperse l'uscio e attraversò il vestibolo; Rossella lo seguiva, un po' sconcertata come per un mutamento inatteso dell'atmosfera. Egli infilò il soprabito e prese guanti e cappello. - Vi scriverò. Fatemi sapere se cambiate idea. - Non volete... - Che cosa? - Sembrava impaziente di andar via. - Baciarmi come saluto? - Fu un bisbiglio, come se ella avesse temuto le orecchie della casa. - Non vi pare di avere avuto abbastanza baci per una sera? - ritorse egli sorridendole. - Pensare che una giovine donna pudica e bene allevata... Ma non ve lo avevo detto che vi sarebbe piaciuto? - Siete un individuo impossibile! - gridò lei incollerita, senza piú curarsi di essere udita da Mammy. - E se non tornate piú, non me ne importa nulla! Si voltò e corse a precipizio su per le scale, aspettando di sentire la sua calda mano sul braccio per fermarla. Invece egli aperse tranquillamente la porta d'ingresso; una corrente fredda penetrò nel vestibolo. - Ma tornerò - disse soltanto; ed uscí, lasciandola in cima alle scale con gli occhi fissi sulla porta chiusa.

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