Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbottonarle

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Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189055
Pitigrilli (Dino Segre) 1 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
  • paraletteratura-galateo
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Altro esempio: una signora a un ballo o a un ricevimento ti prega di abbottonarle una spallina o di darle sulla schiena una spinta alla chiusura-lampo. Problema: che cosa le direbbe un fesso? Direbbe: - Oh, signora, le donne io so svestirle, non so abbottonarle. Quella frase non dirla tu. Non dire mai la prima frase che ti sale spontanea alle labbra, perchè è quasi sempre l'espressione di un umorismo e di un'ironia accessibili alle più miserabili fantasie. Eviterai, per conseguenza, le conversazioni sul bel tempo e la pioggia, i «weather talks» inconcludenti, perchè se è inutile ricordare il tempo che faceva ieri, è ancora più inutile «sperare» che faccia bello domani. La speranza è la seconda delle virtù teologali; l'incoraggiare i disillusi a sperare è un ingrediente della nostra piccola farmacia tascabile; ma le forme verbali «io spero» e «speriamo» sono nella conversazione spicciola e quotidiana - le espressioni più vertiginose dell'abissale umana vacuità. Cancella dalla tua grammatica «spero» e «speriamo». Comincerai così a parlare diversamente dagli altri. Se la tua cultura e la tua tecnica musicale non vanno più in là di «Ohé, paesano», di Nicola Paone, non sospendere la maschera di Beethoven al lato del tuo pianoforte. Non imitare quelle attricette semianalfabete, che hanno avuto la sola abilità di andare a letto con un uomo politico nei tre mesi che intercorsero fra il suo solenne giuramento di fedeltà alla Costituzione e la sua entrata nelle Carceri, e si fanno fotografare in piedi, con tre metri di classici latini e greci riccamente rilegati alle spalle, o si lasciano «sorprendere dall'obiettivo» con l'indice fra le pagine di Federico Nietzsche, come se l'indiscreto reporter le avesse strappate ai loro intimi colloqui con Zaratustra. Tu non sai quanto si guadagni a non fare e a non dire le cose che fanno e le frasi che dicono gli altri! Perchè devi sapere - altra cosa che non sai - che molta gente vive per dire ciò che dicono tutti, per enunciare quel certo decrepito proverbio, per fare gargarismi con parole che le sembrano erudite, di difficile conquista, di elegante impiego. C'è della gente che aspetta con frenesia la cena del 31 dicembre al 1° di gennaio, per dire «l'anno scorso», invece di cinque minuti fa, e «l'anno venturo» invece di fra qualche minuto. Ho conosciuto un avvocato che si era innamorato dell'avverbio «praticamente». Valendomi del mio mestiere di scrittore che mi autorizza a riguardose inchieste psicologiche, gli domandai se quel «praticamente» era un intercalare o se lo usava a ragion veduta. Mi rispose: - Ne faccio un ampio uso perchè è una parola che riempie la bocca. Tu, lettrice, se vuoi divenire una donna di una certa categoria, eviterai i tradizionali accoppiamenti e incroci di parole, come «cinismo ributtante, prova tangibile, diametralmente opposto, matematicamente sicuro, marcio dispetto, barbaro modo, pio desiderio, feroce egoismo, sensibilità morbosa, pallida idea, ovale perfetto, spiccata personalità, coraggio civile, freddo cane, risata omerica, riso sardonico, sorriso olimpico, crassa ignoranza, semplicemente assurdo, umanamente impossibile, sacro terrore, più unico che raro, incredibile ma vero, più infelice che colpevole, l'anticamera del cervello, vero al cento per cento, pericolo pubblico numero uno, l'incontrovertibile verità e altre analoghe melensaggini, che costituiscono l'abbigliamento della domenica di certa gente come Giuseppe Villaroel, Enrico M. Fusco, Paolo Pavolini e altri scrittori minori (dato che ce ne siano), candidati al Premio Nobel della frase fatta e del luogo comune. Respingi le espressioni bonaccione «furbo di tre cotte» e «birba matricolata». Respingi i paragoni e i modi di dire a fondo casalingo, gastronomico e cucinario: «diritto come un manico di scopa, i cavoli a merenda, né carne né pesce, di cotte e di crude, color frittatina, il cacio sui maccheroni, tenère il mestolo, quella che porta i calzoni è lei, pan per focaccia, le ova nel paniere, se non è zuppa è pan bagnato, tutto fa brodo e non tutte le ciambelle riescono col buco». Questi modi di dire sono volgari quanto le frasi a fondo digestivo e intestinale. Non dire che piuttosto di andare a una conferenza, preferiresti «prendere l'olio di ricino»; non dire «la zappa sui piedi», e non proclamare che «i panni sporchi si lavano in famiglia». Se senti un odore cattivo, non denunciarlo né con parole, né con comiche espressioni del viso, né portando il fazzoletto alle narici, né sventagliandolo davanti alla bocca. Non hai mai osservato le tigri e i leoni dello zoo? Camminano nobilmente nella gabbia, senza pestare i propri escrementi, e conservano un atteggiamento maestoso, come se non s'accorgessero nemmeno che il pavimento non è pulito. Non t'illudere sul potere deodorante degli eufemismi e dei giri di frase. «La parola di Cambronne», e «le spregiate crete» e il verbo latino «mingere» sono altrettanto disgustosi quanto le cose e gli atti che pretenderebbero di nobilitare. Non si tratta di evitare una parola, bensì un concetto. Quando nei teatri di varietà i comici fanno dell'umorismo gastrointestinale, non ridere, e non pronunciare nemmeno espressioni di nausea e di protesta. Non esclamare «shocking», ma comportati come se i tuoi timpani non avessero funzionato. Non parlare mai delle tue malattie, specialmente se interessano rapparato digerente e dintorni. Non dare eccessiva importanza alla tavola. Il mangiare è una modesta operazione destinata a trasformare in 2.000 o 3.000 calorie giornaliere un po' di combustibile, che vendono l'ortolano e il macellaio. Non circondare quest'operazione di solennità né di ironia. Se al restaurant non ti portano subito il pesce, non domandare se «debbono ancora pescarlo». Mangia ciò che è segnato sulla lista. Abbi sempre una opinione. A chi ti presenta il menu, invitandoti a scegliere, non rispondere: «io prendo ciò che prende lei». Se ti domandano quale té vuoi, Ceylon e Cina, rispondi Cina, o rispondi Ceylon, oppure rispondi che non prendi té, ma non dire mai «per me fa lo stesso».

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