Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abborri

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

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L'angelo in famiglia

182902
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Pagina 505

Il marito dell'amica

245001
Neera 1 occorrenze
  • 1885
  • Giuseppe Galli, Libraio-Editore
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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. - Hai trovato un marito almeno che avesse i tuoi gusti, le tue abitudini; che amasse quello che tu ami e abborrisse quello che tu abborri? un marito tenero, appassionato, previdente, compiacente... Maria ebbe un accesso di schietta ilarità. - Che ritratto fantastico! Questo, mia cara, non è un marito, è un amante. - Ah! - fece Sofia trionfante - lo confessi dunque, i mariti non sono così. - Senza dubbio... ma essi sposano; è il gran merito che hanno sugli amanti. I sospiri, le dichiarazioni, i madrigali di tutto coloro che ci fanno la corte, non valgono il solo, semplice sì di colui che ci dà il suo nome. È il poema in confronto del sonetto; non si può giudicarli alla stessa stregua, e non si può pretendere dal poema il ritmo grazioso e leggero di un sonettino. - Tanto grazioso! - sospirò Sofia. - E tanto leggero - appoggiò l'amica - Perchè, infine, qual'è lo scopo di questi corteggiatori, che ci si assiepano intorno? (Ella pensava in quel momento al signor Bandini). Vi amo, essi dicono, ma noi siamo giovani, siamo avvenenti, che gran sacrificio l'amarci! Le nostre poltrone sono soffici, morbido il tappeto, il salotto tiepido; non pagano essi le toelette che ci fanno eleganti, nè l'accordatura del nostro piano che li delizia. Vorrai pure ammettere, senza peccare di superbia, (sorrideva) che abbiamo un certo spirito: così il valoroso che ci dedica il suo amore non corre nemmeno il rischio di annoiarsi tra un bacio e l'altro. Essi, sicuro, vogliono farci credere che ci amano per farci piacere; ma il piacere lo fanno a sè stessi. Sofia rimase un momento sopraffatta; poi seguendo lo slancio dei suoi pensieri superficiali gridò: - E allora ho dunque ragione di dire che noi, povere donne sensibili, siamo costrette a cercare senza posa... - Punto - interruppe Maria, dissimulando un sorriso per la singolare conclusione. - Io direi invece che, poichè è sempre la stessa cosa, meglio il marito co' suoi difetti, co' suoi sbadigli, colla sua veste da camera... Non sarà eroico, ma è sincero. Sofia rise di cuore. Questa dissertazione sugli uomini l'aveva divertita; gli uomini erano un tema favorito per lei, anche a costo di dirne male, o di lagnarsene, o di vituperarli, accusandoli di tutte le disgrazie che colpiscono il sesso debole. - Siamo curiose noi due - disse alla fine. - Invece di raccontarci le nostre vicende siamo qui a discutere come avvocati. - Sì, parliamo un poco di noi. - Prima te. Che vita fu la tua dopo il collegio? - Ho sofferto molto. - Eppure sei rimasta buona: io vedi, quando ho qualche cosa che mi contraria divento cattiva. - Così è dei piccoli dolori; inaspriscono - rispose Maria colla sua gran calma serena, colla sua voce calda, dalle vibrazioni sonore. - Solamente i grandi, i veri dolori danno forza. Tu vivi in una piccola cerchia di piccole emozioni; il tuo mondo interno, scommetto, ha le proporzioni dell'ambiente che ti circonda: un salottino, un lembo di cielo, un raggio di sole, un po' d'aria... quanto basta, appena per respirare. - Ma io... - Cara, non te ne faccio una colpa. È press'a poco la vita di quasi tutte le donne. Che eri tu a cinque anni? Una bella bambina vestita di bianco, coi capelli sciolti sulle spalle; la mamma ti adorava, ti baciucchiava, ti chiamava il suo tesoro; gli amici di casa ti portavano i confetti... non è così? - Precisamente. - E a quindici? A quindici, l'abito era ancora bianco, quando non era color di rosa, ma sempre fatto all'ultima moda sotto l'occhio vigilante della mamma. Gli amici di casa, invece dei confetti, ti offrivano dei fiori, delle romanze... ti facevano dei complimenti. Ti alzavi alla mattina cantando, poi andavi a passeggio; alla sera ballavi. Tutti sorridevano intorno a te, facevano a gara per persuaderti che la vita è seminata di rose. - È vero. - Ti presentarono finalmente un marito; era giovane, ricco, piacente... tu lo hai preso. - Oh! - sospirò Sofia - non tutto questo, ma infine fu proprio così. - Ed ora concludi; come è vuota la vita! Ma sai perché la trovi vuota? Perché non hai sofferto mai. In fondo alla sua leggerezza Sofia non mancava nè di cuore, nè di ingegno. Le ultime parole dell'amica la colpirono fortemente; Maria se ne accorse e cedette più volentieri ancora a un sentimento generoso che le dettava di essere la prima a rivelarsi. - Senti; io rimasi orfana presto e per questo dovetti imparare a reggermi da me e ho conosciuto che cosa vuol dire lottare... Tu meriti la mia confidenza, Sofia; mi hai accolta in casa senza saper nulla di me; voglio renderti la prova di fiducia, voglio aprirti intero il mio cuore. - Oh cara... Due lagrime spuntarono sugli occhi di Sofia e scendendo lungo le guancie, tracciarono un piccolo solco nella polvere rosa della cipria. - Hai conosciuto mio padre, - continuò Maria. - Sai che uomo era, e come ad una mente elevata unisse un carattere fiero e indipendente. Povero, aveva fatto sforzi incredibili per provvedere alla mia educazione in collegio. Tornata con lui, la nostra vita ritiratissima veniva quasi interamente consacrata allo studio. Eravamo affatto soli; non avevo amiche; non andava mai al passeggio; il carattere un po' selvaggio di mio padre e i suoi crescenti malanni, ci facevano il vuoto intorno; nessuna eco delle gioie mondane veniva a scuotere il silenzio claustrale della nostra casa. Leggevo a mio padre i suoi libri di storia e di scienze naturali; ascoltavo le sue dissertazioni, i suoi lamenti di vecchio disilluso, le memorie e i rimpianti del tempo passato... e avevo sedici anni. Dentro a me la vita, intorno a me la morte. - Povera Maria! Io sarei morta davvero. Mi ricordo, l'unica volta che venni a trovarti che impressione mi fece il muraglione nero del tuo cortile, e quell'unico cipresso funebre che lo ombreggiava, e quella sala austera, vasta come un tempio, nuda e fredda come una prigione... - Te la ricordi? Ebbene in quella sala austera, in quella sala che somigliava ad una prigione ho passato la mia giovinezza, quasi tutta. Nelle belle mattine di primavera, sporgendomi sul muraglione nero coperto di muffa, seguivo in alto il volo delle rondini e da un vicino giardinetto mi veniva a ondate il profumo delle glicinie che non potevo vedere; leggevo sui libri le descrizioni dei prati verdi e degli alberi in fiore; avevo qualche volta una voglia pazza di correre, di gridare, di buttarmi sull'erba, di allargare le braccia verso il cielo sconfinato... D'estate, verso sera, sentivo le ragazze del vicinato che si vestivano, ridendo, e uscivano per il passeggio. Io mi accoccolavo per terra, sfinita, con un desiderio intenso di vivere. Non sapevo se io ero bella. Chi vuoi che me lo dicesse? ma avevo una voglia grandissima di essere bella e di essere amata. - Ma proprio nessuno veniva in casa tua? Tuo padre non capiva che soffrivi? Maria scosse il capo. - Mio padre era vecchio, infermo, disilluso del mondo; la pace, una pace assoluta, era il suo bene. E poi, eravamo sempre in grandi impicci economici; nell'età in cui le altre ragazze vivono serenamente di sogni, io conoscevo già il prezzo del pane sudato, misurato... oh! ma se tu sapessi come le avversità maturano l'intelletto, come tutto ciò che è lotta ringagliardisce e dà forza! Aggiungi che nella mia schiavitù avevo una specie di libertà superiore alle mie compagne, perchè mio padre non mi sorvegliava punto e nella sua biblioteca avevo trovato dei libri di filosofia, di scienza, di medicina sui quali io mi ero precipitata, come sull'unico spiraglio di luce che mi fosse concesso. Pascevo lo spirito per ingannare la lunga anemia del mio corpo. - Hai sempre amato lo studio, tu. - Sì, ma più che lo studio, la verità. Avevo la smania di sapere, di conoscere... Frugai impavida, in tutti i problemi religiosi e filosofici... Da un lieve segno di stanchezza apparso sul volto di Sofia, Maria comprese che si era messa in un argomento troppo serio; la leggiadra donnina non poteva seguirla sul sentiero faticoso dove la sua anima aveva combattuto. Sostò improvvisamente, turbata, sentendosi un rossore sulla fronte; pentita forse di quell'abbandono di sè stessa. Alle vive sollecitudini di Sofia, continuò: - Tu vedi ad ogni modo, come io crebbi; bene o male che sia, la mia educazione così differente da quella che si imparte alle fanciulle, mi fece quello che sono. - E nessuna altra corrente ti sviò... nemmeno più tardi? - Vuoi dire l'amore? Esso venne e ribadì le mie catene da una parte, allargò dall'altra l'orizzonte delle mie gioie ideali. La mia esistenza non mutò affatto - si fece solo più concentrata. Tutti i desideri, le ansie, i sospiri che tacitamente mandavo al mondo, al di sopra dei muri della mia prigione; le aspirazioni sitibonde alla vita che mi tentavano nelle sere d'estate, quando sentivo l'eco delle gioie altrui; i turbamenti ignoti, le smanie cocenti, tutto ciò che ondeggiava come nebbia nel mio cervello, come fuoco latente nelle mie vene; tutta infine la mia giovinezza compressa e selvaggia si radrizzò lanciandosi verso quel sentimento nuovo. L'amore prese subito il posto d'ogni cosa che mi mancava; ma l'amore compresso, l'amore segreto, l'amore senza speranza, il più fatale, il più forte degli amori! Esso mi fu gioia, mi fu sorriso d'amica, mi fu carezza di madre, fu la fede del mio avvenire... io non avevo che lui! Te lo immagini questo amore serio e profondo? Lo vedi crescere di giorno in giorno e mettere radici indistruttibili in un cuore come il mio, che non aveva nessuno degli allettamenti mondani? Sofia strinse un momento la piccola testa tra le manine eleganti. L'amica le aveva schiuso un abisso di pensieri. Ella si trovava per la prima volta davanti ad una vera passione e ne provava le vertigini, non esenti da un brivido di terrore. - Ma chi era quest'uomo? domandò timidamente. - Chi era?... (Un gran pallore passò sulla fronte di Maria). La crescente ristrettezza nostra ci consigliò di prendere in casa un giovane, caldamente raccomandato a mio padre per senno e sapere. Quando dico un giovane non ti devi figurare... no, non dei soliti. Egli aveva poco più di trent'anni, ma le fatiche di aridi studi lo avevano invecchiato anzi tempo, e più nello spirito che nel volto. - Tuttavia ti piacque? - Lo amai - disse. E dall'accento grave, quasi solenne, Sofia colpita non replicò altro. Trascorse un minuto di silenzio, dopo il quale l'amica avrebbe forse ripreso le sue confidenze; ma durante quel minuto lo squillo del campanello avvertì l'arrivo di qualcuno; infatti la cameriera facendosi sulla soglia annunciò il signor padrone. - Ripiglieremo questa sera i nostri discorsi, - disse Sofia alzandosi. - Con mio marito saremo obbligate a sorbirci un po' di noia... non è lui certamente che potrebbe comprenderti, cara la mia Mariuccia. - Mi spaventi - rispose Maria abbozzando un sorriso, e poichè il passo del marito già risuonava, nella stanza vicina, aggiunse. - Ma chi hai dunque sposato? - Non te l'ho ancor detto? Vedilo, il professore Emanuele Campo... Maria emise un grido rauco, soffocato; fu assalita da uno smarrimento improvviso; si aggrappò colle mani contratte ai bracciuoli della poltrona quasi temesse di cadere; e Sofia nulla vide, nulla udì, essendo balzata verso l'uscio, spalancandolo, con fracasso di imposte sbattute e di allegro vocio. Emanuele Campo entrò.

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