Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Fisiologia del piacere

170298
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
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L'egoista si compiace invece della generosità altrui, non perchè questa elevi in lui un nobile sentimento di riconoscenza, ma perchè l'affetto altrui è un capitale preziosissimo di riserva, al quale può ricorrere in ogni caso sgraziato, quando si senta capace di abbordare la grave prospettiva di un facchinaggio di gratitudine. L'egoista adora l'egoismo in sè, ma lo detesta negli altri e, più d'una volta, egli coltiva con amorosa sollecitudine negli altri i sentimenti più generosi, perchè essi formano l'albero rigoglioso a cui si arrampicherà, e da cui trarrà, come un parassita, il nutrimento e la vita. I piaceri dell'egoismo allo stato di forza latente si riducono ad un'amorosissima contemplazione morale di se stessi. L'egoista ha sempre davanti a sè il proprio individuo che accarezza con la sollecitudine d'una madre, che bacia col trasporto di un amante, che abbraccia coll'amore di un amico, che venera come un padre, che rispetta come un grande uomo, che adora come un Dio. La sua fisonomia ha quasi sempre l'espressione di una gioia calma, perchè il riso e i moti muscolari potrebbero turbare la sua tranquillità o sprecare un millesimo della forza vitale, di cui è economo fino alla spilorceria. Egli però, credetelo, non è felice, come non lo è l'avaro, al quale tanto assomiglia. La natura ha fatto l'uomo per il lavoro, e gli ha concessa tanta forza perchè ne usi nel turbine dell'azione e nelle lotte della vita sociale; essa gli ha dato generosamente un eccesso di combustibile perchè possa qualche volta accendere splendidi fuochi che spandano attorno la luce e il calore in largo spazio; essa gli ha concesso il diritto di qualche sublime scialacquo. L'egoista, invece, appena aperto il lume alla ragione, divora cogli occhi la propria catasta di legna, la misura e la pesa, suddividendola all'infinito. Poi accende un focherello umilissimo, che spande più fumo che luce, e intorno a quello si accovaccia, assorbendo avidamente il poco tepore che ne emana. Egli intirizzisce per tutta la vita per voler riscaldarsi a lungo, ed egli muore di freddo prima che la sua catasta sia esaurita, senza mai avere goduto in generosa fiamma di un alto rogo. Non si può impunemente deludere la natura, e chi vuol vivere più a lungo, vive meno degli altri. L'egoismo nasce con noi, ma non cresce rigoglioso, e non produce i suoi piaceri, che nell'età adulta. Nella fanciullezza comincia a germogliare, ma il suo stelo meschino e sottile rimane inavvertito nel campo del cuore. Nella giovinezza è ancor più difficile lo scorgerlo, perchè una vegetazione lussureggiante di alberi e di fiori lo nasconde. Appena la primavera della vita va declinando, l'umile pianticina, cresciuta all'ombra delle generose sorelle, s'innalza e cresce, vivendo alle spalle di quanto lascia cadere l'amore, tra le verdi foglie sfrondate dall'albero delle illusioni. A poco a poco cresce e s'innalza, si fa arbusto, poi albero, e, stendendo in ampio terreno le sue radici, assorbe i succhi che dapprima bastavano ad un'intera vegetazione, formando da solo prato, campo e foresta. Guai se il giovine, abusando di una precocità, diventa avaro della vita a vent'anni! S'egli è mediocre, si fa l'egoista più ributtante; mentre, se ha una scintilla d'intelligenza, sale ad una grandezza spaventosa. Il giovane egoista fa ribrezzo e paura, e il riso cinico che si spegne fra una lanuggine ancora molle, fa rabbrividire. Dall'età adulta fino alla morte i piaceri dell'egoismo vanno sempre crescendo, e nell'estrema vecchiaia sono quasi fisiologici. Allora il lume della vita e così tremulo e fioco, che si perdona all'uomo che con ambe le mani difende la preziosa fiamma, e col proprio fiato tenta di ravvivarla, allontanando con prepotenza chi volesse appressarsi e fruire di un solo raggio di luce. Allora l'egoismo prende il nome di amore della vita, e il vecchio con le mani scarne e tenaci contende a lungo colla morte, che scherza intorno al lumicino della sua esistenza, e, quando meno se l'aspetta, lo spegne. È inutile dire che questi piaceri morbosi sono meglio gustati dall'uomo che dalla donna. Sarebbe difficile il dire se l'egoismo sia stato maggiore nei tempi antichi che ai giorni nostri. Se si volesse credere volgare, si dovrebbe dire che noi siamo più egoisti dei nostri padri, e che questo affetto morboso vada sempre crescendo con la civiltà. Gli uomini di tutte le epoche però si scatenarono sempre contro i contemporanei, gridando che essi erano peggiori dei padri loro; per cui, se ciò fosse vero, dovremmo a quest'ora essere una turba di effeminati, di codardi, di bruti, ciò che fortunatamente non è.

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