Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Fisiologia del piacere

170298
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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L'egoista si compiace invece della generosità altrui, non perchè questa elevi in lui un nobile sentimento di riconoscenza, ma perchè l'affetto altrui è un capitale preziosissimo di riserva, al quale può ricorrere in ogni caso sgraziato, quando si senta capace di abbordare la grave prospettiva di un facchinaggio di gratitudine. L'egoista adora l'egoismo in sè, ma lo detesta negli altri e, più d'una volta, egli coltiva con amorosa sollecitudine negli altri i sentimenti più generosi, perchè essi formano l'albero rigoglioso a cui si arrampicherà, e da cui trarrà, come un parassita, il nutrimento e la vita. I piaceri dell'egoismo allo stato di forza latente si riducono ad un'amorosissima contemplazione morale di se stessi. L'egoista ha sempre davanti a sè il proprio individuo che accarezza con la sollecitudine d'una madre, che bacia col trasporto di un amante, che abbraccia coll'amore di un amico, che venera come un padre, che rispetta come un grande uomo, che adora come un Dio. La sua fisonomia ha quasi sempre l'espressione di una gioia calma, perchè il riso e i moti muscolari potrebbero turbare la sua tranquillità o sprecare un millesimo della forza vitale, di cui è economo fino alla spilorceria. Egli però, credetelo, non è felice, come non lo è l'avaro, al quale tanto assomiglia. La natura ha fatto l'uomo per il lavoro, e gli ha concessa tanta forza perchè ne usi nel turbine dell'azione e nelle lotte della vita sociale; essa gli ha dato generosamente un eccesso di combustibile perchè possa qualche volta accendere splendidi fuochi che spandano attorno la luce e il calore in largo spazio; essa gli ha concesso il diritto di qualche sublime scialacquo. L'egoista, invece, appena aperto il lume alla ragione, divora cogli occhi la propria catasta di legna, la misura e la pesa, suddividendola all'infinito. Poi accende un focherello umilissimo, che spande più fumo che luce, e intorno a quello si accovaccia, assorbendo avidamente il poco tepore che ne emana. Egli intirizzisce per tutta la vita per voler riscaldarsi a lungo, ed egli muore di freddo prima che la sua catasta sia esaurita, senza mai avere goduto in generosa fiamma di un alto rogo. Non si può impunemente deludere la natura, e chi vuol vivere più a lungo, vive meno degli altri. L'egoismo nasce con noi, ma non cresce rigoglioso, e non produce i suoi piaceri, che nell'età adulta. Nella fanciullezza comincia a germogliare, ma il suo stelo meschino e sottile rimane inavvertito nel campo del cuore. Nella giovinezza è ancor più difficile lo scorgerlo, perchè una vegetazione lussureggiante di alberi e di fiori lo nasconde. Appena la primavera della vita va declinando, l'umile pianticina, cresciuta all'ombra delle generose sorelle, s'innalza e cresce, vivendo alle spalle di quanto lascia cadere l'amore, tra le verdi foglie sfrondate dall'albero delle illusioni. A poco a poco cresce e s'innalza, si fa arbusto, poi albero, e, stendendo in ampio terreno le sue radici, assorbe i succhi che dapprima bastavano ad un'intera vegetazione, formando da solo prato, campo e foresta. Guai se il giovine, abusando di una precocità, diventa avaro della vita a vent'anni! S'egli è mediocre, si fa l'egoista più ributtante; mentre, se ha una scintilla d'intelligenza, sale ad una grandezza spaventosa. Il giovane egoista fa ribrezzo e paura, e il riso cinico che si spegne fra una lanuggine ancora molle, fa rabbrividire. Dall'età adulta fino alla morte i piaceri dell'egoismo vanno sempre crescendo, e nell'estrema vecchiaia sono quasi fisiologici. Allora il lume della vita e così tremulo e fioco, che si perdona all'uomo che con ambe le mani difende la preziosa fiamma, e col proprio fiato tenta di ravvivarla, allontanando con prepotenza chi volesse appressarsi e fruire di un solo raggio di luce. Allora l'egoismo prende il nome di amore della vita, e il vecchio con le mani scarne e tenaci contende a lungo colla morte, che scherza intorno al lumicino della sua esistenza, e, quando meno se l'aspetta, lo spegne. È inutile dire che questi piaceri morbosi sono meglio gustati dall'uomo che dalla donna. Sarebbe difficile il dire se l'egoismo sia stato maggiore nei tempi antichi che ai giorni nostri. Se si volesse credere volgare, si dovrebbe dire che noi siamo più egoisti dei nostri padri, e che questo affetto morboso vada sempre crescendo con la civiltà. Gli uomini di tutte le epoche però si scatenarono sempre contro i contemporanei, gridando che essi erano peggiori dei padri loro; per cui, se ciò fosse vero, dovremmo a quest'ora essere una turba di effeminati, di codardi, di bruti, ciò che fortunatamente non è.

Pagina 109

Il successo nella vita. Galateo moderno.

173767
Brelich dall'Asta, Mario 1 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Molti, appena entrati nella sala hanno la consuetudine di abbordare gli ospiti con qualche notizia sensazionale, nella speranza di fare un grande effetto: « Signora ha sentito l'ultima novità? Il Dott. Travelli è stato arrestato! sua moglie ha chiesto la separazione e, potendo, vorrebbe divorziare! » Se, con simili notizie si raggiunge ordinariamente l'effetto desiderato, non è tuttavia di buon gusto, la conversazione, come non è di buon gusto ogni meschino pettegolezzo. Altri preferiscono invece cominciare il discorso con una delle solite scipitaggini: « Oggi è veramente il primo giorno di primavera » oppure: « Da molti anni non si sentiva un freddo simile » o anche « Fuori fa un tempo veramente infame, qua dentro si sta benissimo » ecc. ecc. E' sempre conveniente informarsi del benessere dei presenti , ma anche questo non deve essere fatto con le formule viete e scipite, che corrono sulle labbra di tutti. Il tema della salute offrirà lo spunto di parlare delle vacanze estive, del mare, della montagna, dei luoghi di cura e simili: argomenti generalmente simpatici, che possono stradare facilmente la conversazione nei tempi più diversi e più gradevoli. Una particolare intuizione è necessaria per riuscire gradevoli alla padrona di casa. Bisognerà tener conto sopra tutto della mentalità della signora a cui si parla. Non parlerete di filosofia se conoscete la signora per una donna di cultura limitata: al contrario non parlerete di mode, di serve, di acconciature e di simili frivolezze alla signora di provata finezza e d'elevatezza intellettuale. Non bisogna esagerare nel ritenere la donna troppo frivola e vuota, nè d'altro canto pretendere una profondità particolare in materie trascendentali. Anche qui calza il monito che solo le cose temperate sono le giuste. Nelle visite d'introduzione si può anche parlare di se stessi , specialmente di fronte ai superiori, a cui ci prema di far conoscere le proprie capacità. Sarebbe però inopportuno e indelicato protrarre il discorso a lungo parlando sempre di sè. D'altro canto, non è affatto delicato, per una celebre o comunque benemerita e di alto rango, far troppo desiderare ai convitati notizie sulla propria attività e sulle proprie vicende. E' sottointeso che anche questo deve essere fatto con discrezione. A tavola si è facilmente indotti a parlare dei cibi che vengono serviti. Criticare i piatti ricevuti, come pure i vicini di tavola, sarebbe una indicibile sgarbatezza; inoltre, si cerchi di non dilungarsi nelle questioni dello stomaco. Però si può benissimo cominciare a parlare della questione dell'antialcoolismo specialmente se vediamo che la nostra vicina di tavola s'astiene perfettamente dal vino; se per caso uno dei nostri vicini rifiuta la carne, abbiamo di nuovo un tema abbastanza in voga. Argomenti che potrebbero guastare l'appetito, come p. e.: la descrizione di terribili miserie, il racconto di una grave operazione, d'una disgrazia recente ecc. insomma, temi che sono disgustanti, sono naturalmente da evitarsi. Del resto a tavola non è bello parlare troppo, d'altronde non si può essere tanto scarsi di parole da far sì che la nostra vicina di tavola si senta troppo isolata. A teatro è naturalmente molto facile trovare argomenti di conversazione. Si discute della rappresentazione, degli attori, delle attrici, della musica o della commedia e, in ogni soggetto, sarà facile dare il segno della propria sensibilità artistica e della propria coltura. Negli intervalli non mancherà, dunque, soggetto di buon conversare. In treno, c'è sempre un'occasione propizia per esprimere un parere su ciò che si vede all'esterno. Una persona spiritosa può sempre trovare degli spunti felici nelle innumerevoli cose fugaci che traversano la nostra attenzione; le campagne, i panorami, la vita colorita e rumorosa delle stazioni, castelli e ruderi storici, panorami aperti ecc. ecc. Così non mancheranno occasioni di attaccare discorso con un estraneo, benchè ciò debba farsi con la dovuta delicatezza e senza una indiscreta insistenza. Nella sala da ballo sono tanti e tanti gli argomenti (si confondono poi in un solo!) che non è assolutamente necessario dar consigli a tal riguardo. Dove rifioriscono i« flirt » non c'è argomento da suggerire. Ognuno sa che cosa deve dire. E la conversazione è sempre gradita, anche se non animata. Sul campo di sport è naturale che l'argomento riguarderà una questione sportiva. Se l'altro compagno dà delle risposte sensate e cerca di sostenere il discorso, tutto è a posto, e ci si potrà divertire in ogni occasione. Tanto più spiacevole, addirittura penoso, è cominciare un argomento dopo l'altro e vedere che il compagno non ci bada o, se bada, risponde macchinalmente cose senza importanza. La « riserva » dei temi è presto esaurita, il gelo della noia dilaga crudelmente. Sebbene al giorno d'oggi si è molto più liberi nella scelta degli argomenti, è sempre raccomandabile di avere un certo riguardo specialmente alla presenza di signore e signorine. Ciò dipende anche dal grado dell'amicizia. Ma, se per caso signore e signorine si trovano in una società troppo libertina, è meglio che esse fingano di non accorgersi di niente, e non si scandalizzino, finchè la conversazione non si avvia di nuovo nei limiti concessi dalla buona educazione. Scegliendo un tema di conversazione, facciamo attenzione di parlare sempre di cose gradevoli al nostro compagno; così p. e.: ai fidanzati dei lati belli e buoni del matrimonio, con una signora incinta delle gioie e passioni dei bambini, con un ammalato della sua guarigione ecc. ecc. « Non si parla della corda in casa dell' impiccato »; non si domanda mai ad una signora quanti anni ha, nè a un signore quando ha intenzione di andare in pensione e così via. Come si ha riguardo delle persone nella scelta del tema della conversazione, così si deve considerare sempre il luogo dove si è e le circostanze in cui ci si trova; p. e. in un'esposizione d'arte non si parla della birra deliziosa delle cantine della città, all'opera non ci si dilunga in discussioni sul codice penale, a tavola non si spiega la vivisezione, in montagna si evita la politica, e nella vita dello sport si lascia stare l'erotica. Argomenti professionali non sono affatto adatti in una società numerosa ed è molto fuor di luogo che in una compagnia spensierata due o tre persone si dilunghino in discussioni accademiche, che gli altri non possono seguire con attenzione perchè non s'intendono delle cose che si trattano. Se però essi si trovano in compagnia più ristretta, e hanno tutti la stessa professione, non possono far di meglio che discutere delle cose che riempiono tutta la loro anima, e che sono oggetto della loro ambizione. Naturalmente una simile discussione non può limitarsi ad una conferenza tenuta da una sola persona, ma deve avere carattere di una chiacchiera gradevole, a cui tutti possono partecipare. Così è per la questione di parlare d'affari in società. Come non si parla di altri interessi personali, in pubblico, così non si parla d'affari, se non in una compagnia omogenea. Infatti ottimi affari si sono conclusi in una società durante una conversazione o un pranzo. E' risaputo come un buon bicchiere di Chianti o di Lambrusco renda abbordabili ed accondiscendenti gli uomini d'affari più schivi. Non c'è spesso miglior mezzo per guadagnarsi il loro favore. Gli affari certo non sono adatti alle gentili signore, piene di fantasie, ed hanno, per questi, sempre un interesse relativo. Chi non sa uscire un poco dai soggetti comuni, noiosi, grigi della vita quotidiana, sarà perduto di fronte alla donna. Politica e religione sono argomenti pericolosi, come tutti gli altri temi che sono adatti ad accalorare i temperamenti, e formano eventualmente dei diversi partiti nella società. Talvolta succedono addirittura delle piccole guerre, perciò è meglio evitare tale argomento o affrontarlo con molta delicatezza. Quando s'intavolano discussioni senza competenza il brio della conversazione è finito. Ognuno crede di essere obbligato di dichiarare la sua opinione! Possibilmente si evitano certe compagnie, ma, se vi si è capitati disgraziatamente in mezzo, - in base al proverbio: « insieme preso, insieme condannato » si cerca di non dire scipitaggini. Dipende dalle circostanze: o nascondiamo il nostro pensiero, o facciamo delle osservazioni sensate e garbate. Non è mai bello volere stramazzare l'avversario e cantar vittoria a gran voce. Nei così detti « discorsi d'arte » bisogna andare cauti per non rendersi noiosi. Ci vogliamo dedicare a questo argomento un po' particolarmente, e citiamo le magnifiche parole dello scrittore Lodovico Fulda: « Discorsi d'arte! Sotto questo nome generico non intendiamo, naturalmente, lo scambio valoroso delle idee di due artisti, ma la discussione vivificante di due conoscitori d'arte, sui problemi della loro vita spirituale, nè il caldo interessamento del profano entusiasta per le bellezze dell'arte, nè lo scambio di due dilettanti sulle impressioni che riempiono il loro cuore e la loro anima; ma una conversazione senza basi, senza convinzione e senza competenza, conversazioni cioè in cui si parla per parlare.... » « Il più frequente discorso d'arte è quello sul teatro... Perchè da quando esiste un palcoscenico ci si lagna del suo peggioramento. Naturalmente, ciò non corrisponde sempre alla verità: ma essere malcontenti è sempre più spiritoso che essere contenti d'una produzione artistica. Essere malcontenti di tutto, lascia indovinare un gusto più sviluppato ed una esperienza più grande! Allora si sorride e si dice: « Lei forse non conosce la parte di Otello fatta da... » e si nomina il nome di un celeberrimo attore. Non è assolutamente necessario che si sia visto il « tal di tale» nè che mai si sia stati a Parigi per poter dire con una spallucciata fredda: « Recitare, sanno soltanto a Parigi ». E così si dica di Berlino o Milano. « Una conversazione « letteraria » è forse ancora più fertile, ma già un poco più difficile. Soltanto persone molto giovani arrossiscono sentendo nominare un libro che non hanno letto, e sono addirittura ingenui quelli che confessano di non averlo mai sentito nominare. Il compagno ideale, come deve esserlo, ha sempre letto tutto, conosce ogni libro uscito, e con la sveltezza con cui si incolla un'etichetta su una bottiglia di vino, dichiara e bolla la sua opinione, il suo giudizio su tutto... » « Il più elegante e nobile, tra i discorsi d'arte, è quello delle belle arti. Perchè per essere almeno un poco esperti in esso, si deve aver studiato pure qualche cosina... A simile gente non viene nemmeno in mente che l'oggetto artistico è una cosa da godere, lo considerano unicamente per un oggetto della loro « critica » Esprimono una frase « criticante » poi basta! Si può venir considerati subito per profondi in materia se si grida, innanzi ad un quadro: Ma questo è di nuovo e precisamente il « tal di tale! ». Colui, che trova nel prodotto singolo tutto l'autore, che razza di acuta perspicacia artistica dovrà mai avere! » « No! tali discorsi d'arte non possono giovare niente all'arte e non hanno niente in comune con essa!... Se il sentimento di solidarietà, e l'entusiasmo non sono ancor periti per sempre, noi artisti dobbiamo sostenere una campagna, senza quartiere, contro quella specie di discorsi d'arte! ».. L'argomento che generalmente interessa di più è il dir bene o, più spesso, male del prossimo. Sarebbe da farisei giudicare le opinioni dei nostri prossimi, in blocco, per sciocchezze o inezie. Corrisponde alla nostra natura e deriva dalla legge della vita comune, che meditiamo sulle azioni ed opinioni dei nostri prossimi, e che comunichiamo le nostre osservazioni a terze persone. Scambiamo le nostre idee e tentiamo di completarle. Ad ogni modo, sotto il titolo di tale osservazione psicologica e filosofica, accadono molto sgarbatezze. Si tratta appunto dal modo col quale ci occupiamo dei nostri cari vicini e si sente chiaramente dove termina l'interessamento psicologico e dove comincia il pettegolezzo maligno, affamato di sensazioni straordinarie. Questi pettegolezzi sono in ogni caso, le cose più spiacevoli della vita sociale. Il pettegolezzo e in « floribus » dappertutto: in ambo i sessi, in ogni grado d'età, da donne e da uomini, si fanno pettegolezzi, non è raro il caso che lo scienziato di fama mondiale faccia i suoi piccoli e grandi pettegolezzi con la stessa passione delle tanto calunniate vecchie zitelle. Quanto più colta è una persona, tanto più pesante e spiacevole dovrebbe esserle la disposizione al pettegolezzo e poi una critica maligna d'un personaggio importante può nuocere molto più gravemente che i pettegolezzi di individui insignificanti. Ci sono sempre uomini che sanno dire sempre qualcosa di buono e di bello dei loro prossimi; piuttosto tacciano, per non dire cattiverie. Se anche questo modo di agire non è sempre il più giusto nei rapporti sociali, ciò, dà prova, in ogni caso, di molta discrezione. Aneddoti, barzellette, storielle ben scelte sono, molte volte, gli unici mezzi per rianimare una conversazione stagnante. Però non si può sorpassare i limiti concessi dalla buona educazione: e sarà bene tacere barzellette troppo forti per le orecchie delle signore. Una mala abitudine dei signori è di fare il così detto « angolo dei signori » e di raccontarsi storielle salate, ridendo e sussurrando, mentre le signore sono lasciate in disparte. Gli scherzi non debbono essere sul conto di una persona presente. Non è cosa virile farsi deridere; un freddurista fa sempre una brutta figura quando non sappia smettere a tempo. L'uomo veramente erudito avrà sempre qualche novità interessante, qualche questione importante da mettere sul tappeto. Naturalmente, qui non possiamo estenderci sulle particolarità: però ci sono cose, che non tutti sanno e sono pure interessanti. Senza voler eventualmente sedurre i cortesi lettori ad uno studio a memoria o a una caccia esagerata al successo in società, diamo una piccola raccolta di risposte su « Questione di tutti i rami di scienza ai quali non tutti possono rispondere ». La loro coscienza non è indispensabile per una persona che vuole essere solo un compagno gradevole, però talvolta certe nozioni sono indispensabili (naturalmente guardiamoci dall'esagerazione!), con piccole sentenze pronunciate al momento giusto possiamo anche rendere più viva e colorata la conversazione.

Pagina 109

Galateo morale

197658
Giacinto Gallenga 1 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
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Non si deve abbordare un crocchio con una tempesta di salamalecchi e d'inchini, né schiacciar le persone con batterie di saluti e di complimenti i quali debbono essere proporzionati al merito delle persone, e al valor delle cose. Sarebbe sciocchezza commendare in egual modo un bel vestito e una bella azione, l'abilità di un cuoco e quella di un artista. Bisogna salutare chi entra, cortesemente, cioè non si deve invece di saluto scuotere lievemente il capo o torcere il collo senza muovere il corpo o guardar l'arrivato, come si dice, a mezz'occhio. Non avvicinarti a person che parlino sommessamente. Il curioso è stretto parente del delatore. Non immischiarti a un colloquio di persone a te superiori od anco uguali, senza esserne invitato. Deggionsi guardare in faccia le persone a cui si parla. Non si deve susurrare all'orecchio del vicino, né accennare colle dita e cogli occhi a persone lontane, né ridere scioccamente e sghangheratamente, né ammiccare maliziosamente onde non dar luogo a sospetti e a mormorazioni. Non portare la mano davanti a una persona per porgere o ricevere cose da un'altra. Non isputare sul fuoco né stuzzicarlo con mollette, ramicelli od altro. Non iscaldarsi i piedi col dorso al camino, né coprirne la bocca colla tua persona. Non leggere carte, lettere od altro in presenza altrui prima di esserne stato pregato.

Pagina 436

Come si fa e come non si fa. Manuale moderno di galateo

200550
Simonetta Malaspina 1 occorrenze
  • 1970
  • Milano
  • Giovanni de Vecchio Editore
  • paraletteratura-galateo
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Nella scelta del padrino e della madrina i genitori faranno bene ad orientarsi verso parenti o amici intimi, senza abbordare conoscenze importanti. Non tutti se la sentono di assumersi certe responsabilità ed è il caso quindi di fare un piccolo sondaggio tra gli amici, qualche tempo prima (magari prima ancora che il bimbo nasca), per non costringere nessuno ad accettare un obbligo morale non desiderato e per assumere il quale non esistono limiti di età. Di solito non si sbaglia se ci si rivolge ai nonni o agli zii, che saranno felici dell'incarico. È scorretto il comportamento di chi si rivolge a persone ricche e influenti solo per la speranza di poterle legare da maggiore amicizia o per altri poco nobili calcoli. Per quanto riguarda la scelta dei nomi da dare al bambino, è il caso di fare ai genitori una raccomandazione: non costringete vostro figlio a portare un nome sgradevole solo perché è quello del nonno, e non lasciatevi neppure attirare dal nome di un'attrice o di un personaggio di successo. Questi nomi passano presto di moda e rivelano inesorabilmente l'età di chi li porta. È infine da ricordare che alcuni nomi, pur bellissimi, producono insieme con certi cognomi sgradevoli assonanze, difficili da pronunciare e a volte addirittura ridicole. Alla fine della cerimonia, la persona che ha in braccio il bambino esce per prima dalla chiesa. Di solito il neonato ha un abito bianco, guarnito da nastri azzurri o rosa (secondo il sesso) e più o meno pomposo. Oggi si tende a semplificare le cose, e pertanto da battesimo si riduce spesso a un elegante completino bianco di lana e niente più. Gli invitati vestono con eleganza semplice, quale si addice alla circostanza. Dopo la cerimonia c'è di solito un piccolo ricevimento, che però non è obbligatorio. Se gli invitati sono pochi, può trattarsi di una colazione. Altrimenti può consistere in un semplice rinfresco, durante il quale vengono distribuiti i confetti. In ogni caso la riunione non sarà mai né troppo lunga né troppo rumorosa, soprattutto quando è presente la giovane madre che non deve stancarsi. Il padrino e la madrina, nell'accettare l'incarico, non soltanto si assumono una responsabilità morale nei confronti del bambino (e in teoria s'impegnano a seguirlo con affetto nelle varie tappe della sua vita): hanno anche l'obbligo più immediato di fargli un bel regalo. Per un bambino di pochi giorni, si ricorre di solito alla catenina d'oro, alla medaglietta o ai tradizionali oggettini ricordo. Gli altri invitati non hanno l'obbligo di fare regali veri e propri: i fiori (bianchi e indirizzati alla madre del bambino) possono bastare. Chi già ha fatto un regalo alla mamma subito dopo la nascita del bimbo, non ha l'obbligo di farne un altro per il battesimo. A questa regola si sottraggono logicamente il padrino e la madrina, dai quali il dono speciale è sempre atteso. Il loro obbligo non finisce qui. La tradizione vuole che il padrino e la madrina si ricordino di ogni compleanno del figlioccio e gli facciano ogni volta un nuovo regalo. Ma ormai questa schiavitù tende a sparire, e in pratica il tempo scioglie tali legami.

Pagina 53

Mitchell, Margaret

222038
Via col vento 1 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Ella non voleva parlare; non era cosí che aveva pensato di abbordare l'argomento del suo amore. Ma la mano di lui faceva pressione. - Ha detto... ha detto... «Sii buona col capitano Butler. Ti ama tanto». Egli la fissò e lasciò ricadere la mano. Abbassò le palpebre; il volto rimase indifferente. A un tratto si alzò e avvicinandosi alla finestra tirò le tendine e guardò fuori come se vi fosse qualche cosa di interessante da vedere. Non vi era che nebbia. - Ha detto altro? - chiese poi senza voltarsi. Mi ha chiesto di aver cura del piccolo Beau; le ho promesso di occuparmene come se fosse mio figlio. - E che altro? - Ha detto... Ashley... Mi ha chiesto di occuparmi anche di Ashley. Egli tacque per un momento; poi rise piano. - È comodo avere il permesso della prima moglie, no? - Che vuoi dire? Rhett si volse; e anche nella sua confusione, Rossella fu sorpresa nel vedere che non vi era scherno sul suo viso. Né vi era maggiore interessamento che nel volto di un uomo che assiste all'ultimo atto di una commedia non troppo attraente. - Mi pare che sia abbastanza chiaro. Miss Melly è morta. Tu hai certamente tutto il diritto di chiedere il divorzio contro di me; e non credo che alla tua reputazione un divorzio possa far danno. Né hai religione; quindi della chiesa non t'importa. Perciò... Ashley e i sogni diventano realtà, con la benedizione di miss Melly. - Divorzio?! No! No! - Dopo un attimo di stordimento balzò in piedi e corse ad afferrarlo per un braccio. - Ti sbagli! Terribilmente. Non voglio divorziare! Io... - Si interruppe come se non riuscisse a trovare le parole. Egli le pose una mano sotto il mento e le volse tranquillamente il viso verso la luce; per un momento la fissò intento negli occhi. Ella sostenne lo sguardo, fissandolo col cuore nelle pupille, con le labbra tremanti come se avesse tentato di parlare. Ma non riuscí a formulare una parola. Cercava di trovare in quel volto bruno un'emozione corrispondente alla sua, una luce di speranza, di gioia. Perché egli doveva aver compreso. Ma i suoi occhi non trovarono altro se non la calma insensibilità che cosí spesso l'aveva respinta. Egli lasciò il suo mento e, voltandosi, tornò al seggiolone; vi si gettò di nuovo, pesantemente, col mento sul petto; i suoi occhi continuarono a guardarla da sotto alle folte sopracciglia in maniera curiosa e impersonale. Ella lo seguí e rimase dinanzi a lui torcendosi le mani. - Hai torto- cominciò finalmente cercando le parole. - Rhett, stasera, quando ho saputo, ho corso come una pazza per venire a casa a dirtelo. Oh mio carissimo, io... - Sei stanca - la interruppe Rhett continuando a scrutarla. - Farai meglio ad andare a letto. - Ma debbo dirtelo! - Non voglio... sentir nulla, Rossella! - Non sai quello che ti voglio dire! - Gioia mia, è scritto chiaramente sul tuo viso. Qualcuno o qualche cosa ti ha fatto capire che il disgraziato signor Wilkes è un boccone troppo grosso dei frutti del Mar Morto, perché perfino tu lo possa inghiottire. E perciò i miei fascini ti sono improvvisamente apparsi in una nuova luce piú attraente. - Emise un leggero sospiro. - Ed è inutile parlarne. Ella trasse un grande respiro, stupita. Sapeva che egli aveva sempre letto in lei facilmente. In altri tempi ciò l'aveva irritata; ma ora, dopo il primo attimo di risentimento contro la propria trasparenza, si sentí il cuore pieno di gratitudine e di sollievo. Egli sapeva, comprendeva; il compito diventava infinitamente piú facile. Inutile parlarne! Naturalmente, egli era amareggiato per la sua lunga trascuratezza, diffidente per il suo improvviso voltafaccia. Ma lei lo colmerebbe di bontà, lo convincerebbe con ardenti effusioni d'amore; e che gioia sarebbe anche per lei! - Tesoro, ti dirò tutto! - Posò le mani sul bracciolo del seggiolone e si chinò sopra di lui. - Ho commesso tanti errori, sono stata una pazza stupida... - Non continuare, Rossella. Non ti umiliare dinanzi a me. Non posso sopportarlo. Conserviamo un po' di dignità, per avere almeno questo ricordo del nostro matrimonio. Evitiamo questa fine. Ella si raddrizzò bruscamente. Evitare questa fine? Che voleva dire «questa fine»? Fine? Se questo era il loro principio! - Ma voglio dirti - riprese rapidamente, quasi temendo che egli le ponesse la mano sulla bocca per farla tacere. - Ti amo tanto, Rhett! Devo averti sempre amato, da tanti anni; ma ero cosí sciocca che non lo sapevo. Devi credermi, Rhett! La guardò per un attimo, dritta dinanzi a lui; fu uno sguardo che la penetrò sino in fondo. Ella vide che in quegli occhi era persuasione, ma scarso interesse. Si mostrerebbe dunque perverso, proprio adesso? La tormenterebbe, ripagandola con la sua stessa moneta? - Ti credo - disse finalmente. - Ma la storia di Ashley Wilkes? - Ashley! - E fece un gesto d'impazienza. - Non... non credo di avergli mai voluto bene. Era una specie di abitudine a cui ero attaccata fin da bambina. E credo che non me ne sarei mai interessata se lo avessi veramente conosciuto. È una creatura cosí bisognosa d'assistenza, cosí povera di spirito, con tutte le sue ciance di verità e di onore... - No - la interruppe Rhett. - Devi vederlo com'è in realtà. È un gentiluomo che si trova in un mondo che non è il suo, e cerca di fare del suo meglio applicando le regole di un mondo scomparso. - Oh Rhett, non parliamo di lui! Che ce ne importa ora? Non sei contento di sapere... ora che io... Incontrò il suo sguardo stanco e tacque imbarazzata, intimidita come una bimba col suo primo corteggiatore. Perché non le facilitava la cosa? Se l'avesse presa fra le braccia, ella si sarebbe accoccolata riconoscente sulle sue ginocchia e gli avrebbe posato il capo sul petto. Le sue labbra posate su quelle di lui si sarebbero spiegate meglio che non potessero farlo le sue parole interrotte. Ma nel guardarlo, comprese che non per cattiveria egli non l'abbracciava. Sembrava esaurito; e come se nulla di ciò che ella diceva lo interessasse. - Contento? - disse poi. - Una volta avrei ringraziato Dio devotamente, se tu mi avessi detto questo. Ma ora non importa. - Non importa? Che dici? Sí che importa! Non mi vuoi bene forse? Melly ha detto di sí. - Aveva ragione, per quel che sapeva. Ma hai mai pensato, Rossella, che anche l'amore piú immortale si può esaurire? Lo guardò ammutolita, a bocca aperta. - Il mio si è logorato - proseguí Rhett - contro Ashley Wilkes, contro la tua pazza ostinazione che ti fa azzannare come un bulldog quello che desideri... Si è logorato. - L'amore non si può logorare! - Il tuo per Ashley si è stancato. - Ma non l'ho mai amato davvero! - Allora ne hai dato un'ottima imitazione... fino a stasera. Non voglio rimproverarti, Rossella, accusarti, rinfacciarti nulla. È passato il tempo di queste cose. Risparmiami quindi le tue difese e le tue spiegazioni. Se sei capace di ascoltarmi per qualche minuto senza interrompermi, ti spiegherò ciò che voglio dire. Quantunque non ne veda il bisogno. La verità è tanto semplice! Ella sedette, sotto la luce dura del gas che le illuminava il pallido viso attonito. Fissava gli occhi che conosceva cosí bene - eppure cosí poco - e ascoltava la voce tranquilla dirle parole che da principio furono senza significato per lei. Era la prima volta che egli le parlava in quel modo, come un essere umano a un altro; che parlava come tutti quanti, senza scherno, senza enigmi, senza volubilità. - Non hai mai pensato che ti amavo tanto quanto è possibile a un uomo amare una donna? Che ti ho amato per degli anni finché sono riuscito ad averti? Durante la guerra volli andarmene per cercare di dimenticarti; ma non potetti; e perciò ritornavo sempre. Dopo la guerra ho arrischiato di essere arrestato, per tornare indietro e trovarti. Ti amavo tanto che credo che avrei finito con l'uccidere Franco Kennedy, se non fosse morto. Ti amavo, ma non potevo fartelo sapere. Eri troppo brutale con quelli che ti amavano, Rossella. Prendevi il loro amore e lo agitavi come uno scudiscio sulle loro teste. Di tutto ciò che diceva, una sola cosa era importante: che egli l'amava. Alla debole eco di passione che era nella sua voce, ella sentí serpeggiare nelle sue vene gioia ed eccitazione. Tratteneva il respiro, ascoltava, aspettava. - Sapevo che non mi amavi quando ti sposai. Sapevo di Ashley. Ma, sciocco che ero, credevo di riuscire a farmi voler bene. Ridi, se vuoi; ma io provavo il bisogno di aver cura di te, di viziarti, di coccolarti, di darti tutto ciò che desideravi. Volli sposarti per proteggerti e darti piena libertà in tutto ciò che poteva farti felice... come feci piú tardi con Diletta. Avrei lottato tanto: nessuno sapeva meglio di me quali pene avevi attraversato, ed io volevo farti cessar di combattere e combattere io per te. Avrei voluto vederti giuocare come una bimba... perché eri una bimba, coraggiosa, spaventata, caparbia; ma una bimba. E credo che tu lo sia ancora. Solo una bimba può essere cosí cocciuta e insensibile. La sua voce era calma e stanca; ma vi era in essa qualche cosa che richiamò alla memoria di Rossella un fantasma scomparso. Quando, in quale crisi della sua vita aveva udito una voce come quella? La voce di un uomo che si trova di fronte a sé e al suo mondo, senza sentimento, senza titubanze, senza speranza. Sicuro... era stato Ashley, nel freddo frutteto di Tara battuto dal vento; aveva parlato della vita e dello spettacolo delle ombre con una calma stanchezza che aveva nel suo timbro un'amarezza disperata. E come la voce di Ashley, allora, l'aveva fatta rabbrividire con la minaccia di cose che ella non poteva comprendere, cosí ora la voce di Rhett le faceva cadere il cuore. La sua voce, i suoi modi, piú ancora che il contenuto delle sue parole, la turbavano, le facevano comprendere che la sua eccitazione di pochi istanti prima era stata intempestiva. Vi era qualche cosa che non andava bene. Non sapeva che cosa; ma ascoltava disperatamente, con gli occhi fissi sul suo viso bruno, sperando di udire parole che dissipassero i suoi terrori. - Eravamo fatti l'uno per l'altra. Questo era cosí ovvio, che io ero il solo uomo fra i tuoi conoscenti che poteva amarti conoscendoti com'eri realmente... dura, avida, senza scrupoli, come me. Ti amavo e tentai la ventura. Pensai che Ashley sarebbe svanito dalla tua mente. Ma - e si strinse nelle spalle - tutti i miei tentativi non valsero a nulla. E ti amavo tanto, Rossella. Se tu me lo avessi consentito, ti avrei dato tutta la tenerezza e tutto il fervore che un uomo può dare a una donna. Ma non potevo fartelo capire, perché mi avresti creduto debole e ti saresti servita del mio amore contro di me. E poi... c'era sempre Ashley. Mi faceva impazzire. Non potevo sedere a tavola di faccia a te la sera, perché sapevo che tu desideravi che al mio posto vi fosse lui. E non potevo tenerti fra le braccia la notte sapendo che... beh, lasciamo andare, adesso. Ora mi domando perché ne ho sofferto. Fu questo che mi fece andare da Bella. Vi è una certa consolazione grossolana nello stare con una donna che vi ama senza restrizione e vi rispetta come un gentiluomo... anche se è una prostituta analfabeta. Questo lusingava la mia vanità. Tu non mi hai mai blandito molto, mia cara. - Oh Rhett... - cominciò disperata solo nell'udire menzionare il nome di Bella. Ma egli le fece cenno di tacere e proseguí. - La notte che ti portai sopra... credetti... sperai... sperai tanto che non ebbi il coraggio di guardarti in faccia l'indomani mattina, per paura di essermi ingannato e che tu non mi amassi. Avevo paura che tu ridessi di me; perciò uscii e andai ad ubbriacarmi. Quando tornai tremavo come una foglia; e se tu mi fossi venuta incontro, se mi avessi fatto il piú piccolo cenno, credo che ti avrei baciato i piedi. Ma tu rimanesti impassibile. - Eppure ti desideravo, Rhett; ma tu fosti cosí villano! Come ti desideravo! Credo... sí, deve essere stata allora la prima volta che ho capito che ti volevo bene. Ashley... dopo di allora il suo pensiero non mi diede piú alcuna gioia; ma tu eri stato cosí villano che io... - Insomma, pare che eravamo in contrasto, non è vero? Ma ora non importa. Te lo dico soltanto perché tu non ti stupisca di nulla. Quando sei stata male per colpa mia, sono stato fuori della tua porta, sperando che tu mi chiamassi; ma tu non mi chiamasti mai; e allora compresi che ero stato un imbecille e che tutto era finito. Si fermò e guardò attraverso lei e al di là, come aveva fatto tante volte Ashley, vedendo qualche cosa che ella non poteva vedere. E Rossella continuò a fissare senza parlare il suo volto tetro. - Ma vi era Diletta; ed io mi dissi che, dopo tutto, qualche cosa rimaneva. Mi piaceva pensare che Diletta eri tu, nuovamente bambina, prima che la guerra e la povertà ti avessero indurita. Ti somigliava tanto, era cosí volitiva, cosí gaia e coraggiosa e piena di spirito; e potevo accarezzarla e viziarla... come desideravo accarezzare e viziare te. Ma lei non era come te... lei mi voleva bene. Era una fortuna che io potessi prendere tutto l'amore che tu non desideravi e darlo a lei... E quando se ne andò, portò via tutto con sé. Improvvisamente ella provò un'immensa pena per lui, una pena che cancellò il suo dolore e lo sgomento che le sue parole le avevano fatto provare. Era la prima volta in vita sua che sentiva compassione per qualcuno senza provare contemporaneamente un senso di disprezzo, perché era la prima volta che si avvicinava con comprensione ad un altro essere umano. E comprendeva l'orgoglio ostinato simile al suo che gli aveva impedito di rivelare il suo amore per timore di una ripulsa. - Amore mio - esclamò avvicinandosi di nuovo, sperando che egli stendesse le braccia e la traesse sulle sue ginocchia - tesoro, ho tanta pena, ma ti farò felice... Ora che sappiamo la verità... Guardami, Rhett! Avremo altri bambini... non come Diletta, ma... - Grazie, no - fece Rhett come se rifiutasse un pezzo di pane. - Non voglio arrischiare il mio cuore per la terza volta. - Non parlare cosí, Rhett! Che cosa posso dire per farti comprendere? Ti ho detto che sono cosí addolorata... - Mia cara, sei proprio una bambina. Credi che col dire «mi dispiace» si possa rimediare a tutti gli errori e le offese degli anni passati, cancellarli dalla mente, togliere tutto il veleno dalle vecchie ferite... Prendi il mio fazzoletto, Rossella. In nessuna crisi della tua vita ti ho mai vista con un fazzoletto. Prese il fazzoletto, si soffiò il naso e sedette. Era evidente che egli non l'avrebbe presa fra le braccia. E cominciava ad essere evidente che tutto quel discorso sull'amore che aveva avuto per lei non significava nulla. Era un racconto del tempo passato; e pareva che non fosse neanche accaduto a lui. E questo era spaventoso. Egli la guardava in modo affettuoso, con occhi riflessivi. - Quanti anni hai, cara? Non hai voluto dirmelo. - Ventotto - rispose triste, soffocando la voce nel fazzoletto. - Non sono molti. Anzi son pochi per avere conquistato tutto il mondo e perduto la propria anima, non è vero? Non aver paura; non alludo alle fiamme dell'inferno per la tua storia con Ashley. Parlo metaforicamente. Da quando ti conosco, tu hai sempre desiderato due cose: Ashley, ed essere abbastanza ricca per poter mandare tutti quanti all'inferno. Ora sei abbastanza ricca; hai mostrato i denti al mondo; e se vuoi avere Ashley, è a tua disposizione. Ma pare che tutto questo non ti basti piú. Era sgomenta, ma non al pensiero delle fiamme dell'inferno. Pensava: «La mia anima è Rhett, e lo sto perdendo. E se lo perdo, non c'è piú nulla che mi interessi! Né amici né denaro né... nulla.. Se avessi lui, non m'importerebbe di essere nuovamente povera. Non m'importerebbe di aver di nuovo freddo e fame. Ma non può essere che egli voglia... No, non può essere!» Si asciugò gli occhi e parlò con disperazione. - Rhett, se una volta mi hai amata tanto, deve pur essere rimasto qualche cosa nel tuo cuore per me! - Trovo soltanto due cose, e sono quelle che tu detesti di piú: pietà e uno strano senso di bontà. «Pietà! Bontà! Dio mio» pensò disperata «solo pietà e bontà...» Ogni volta che ella aveva provato per qualcuno questi sentimenti, erano stati accompagnati da disprezzo. Possibile che egli la disprezzasse? Tutto sarebbe preferibile a questo. Anche la cinica freddezza dei giorni della guerra, la folle ubriachezza che lo possedeva la notte in cui la portò su per le scale, le parole ironiche e pungenti che nascondevano - ora lo sapeva - un disperato amore. Tutto, piuttosto che quella bontà indifferente che era scritta cosí chiaramente sul suo volto. - Allora... vuol dire che io ho sciupato tutto... e che non mi ami piú? - Precisamente. Ostinata come una bambina che crede ancora che la manifestazione di un desiderio basti per ottenerne l'adempimento, esclamò: - Ma io ti amo! - Questa è la tua disgrazia. Lo guardò per vedere se dietro a quelle parole si nascondeva lo scherzo; ma non vide nulla. Egli si limitava a constatare un fatto. Ma era un fatto che ella non poteva, non voleva credere. Lo fissò con occhi in cui ardeva una disperata ostinazione; e la linea della mascella che improvvisamente si disegnò sotto la sua guancia morbida era quella di Geraldo. - Non essere sciocco, Rhett! Io posso fare... Egli tese in avanti la mano aperta con orrore beffardo; le sue sopracciglia nere si inarcarono con la vecchia espressione sardonica. - Non avere quell'aria cosí risoluta, Rossella! Mi spaventi. Vedo che stai pensando di trasferire la tua tempestosa passione da Ashley a me; ed io temo per la mia libertà e per la pace del mio spirito. No, Rossella, non voglio essere perseguitato come quell'infelice Ashley. Del resto, sto per partire. Ella sentí che la sua mascella tremava; e strinse i denti per fermarla. Partire? No! Tutto, ma non questo! Come poteva vivere senza di lui? Tutti l'avevano lasciata, tutti coloro a cui aveva voluto bene; era rimasto solo lui. Non poteva andarsene. Come trattenerlo? Si sentiva impotente contro la sua freddezza. - Parto. Avevo l'intenzione di dirtelo al tuo ritorno da Marietta. - Mi lasci? - Non fare la moglie abbandonata, Rossella. La parte drammatica non è adatta per te. Mi par di capire che non desideri un divorzio e neanche una separazione. Va bene; vuol dire che ornerò abbastanza spesso per impedire i pettegolezzi. - Che me ne importa delle chiacchiere! - esclamò con impeto. - Voglio te. Portami con te. - No. - E nella sua voce era una nota decisiva. Per un attimo stette per scoppiare in lagrime come una bambina. Ebbe voglia di gettarsi a terra, di imprecare, di urlare, di battere i piedi. Ma un rimasuglio di orgoglio la trattenne. Pensò che se lo avesse fatto egli avrebbe riso. «Non devo urlare; non debbo piangere. Non debbo far nulla che possa suscitare il suo disprezzo. Deve rispettarmi anche... anche se non mi ama. Levò il capo e cercò di chiedere con calma. - Dove vuoi andare? - Forse in Inghilterra... o a Parigi. Forse a Charleston a cercare di far la pace coi miei. - Ma li detesti! Ti ho sentito ridere tante volte quando... Egli alzò le spalle. - Rido ancora, Rossella; ma ho finito di vagabondare. Ho quarantacinque anni; l'età in cui un uomo comincia a valutare quello che ha gettato via leggermente in gioventú; l'unione familiare, l'onore, la solidarietà, tutte cose che hanno radici profonde... Oh, non mi pento, non rimpiango nulla di ciò che ho fatto. Mi sono divertito; tanto che ora comincio ad averne abbastanza e a desiderare qualche cosa di diverso. Desidero la parvenza della rispettabilità - da parte degli altri, cara, non mia - la calma dignità che la vita può avere tra persone perbene, grazia gentile dei giorni passati. Allora, ne realizzavo il fascino dolce e lento... Nuovamente Rossella ebbe l'impressione di trovarsi nel frutteto di Tara; negli occhi di Rhett era la stessa espressione che aveva visto quel giorno in quelli di Ashley. Erano le stesse parole; come se fossero pronunciate da Ashley e non da Rhett. Frammenti di frasi le ritornarono, ed ella citò, pappagallescamente: - Un fascino... una perfezione, una simmetria, come nell'arte greca. Rhett chiese bruscamente: - Perché dici questo? È proprio il mio pensiero. - Lo ha detto Ashley una volta... a proposito degli antichi tempi. Egli si strinse nelle spalle e la fiamma scomparve dai suoi occhi. - Sempre Ashley - disse; e per un attimo rimase in silenzio. - Quando avrai quarantacinque anni, Rossella - riprese - forse comprenderai quello che ti dico adesso; e forse allora sarai stanca anche tu di falsa aristocrazia, di maniere pretenziose, di emozioni a buon mercato. Ma ne dubito. Credo che sarai sempre più attratta dall'orpello che dall'oro. Ad ogni modo, non posso aspettare fino allora per vedere. E non lo desidero neppure. Non mi interessa. Andrò in cerca di vecchie città e di vecchie campagne dove sia rimasto qualche cosa degli antichi tempi. Sono un sentimentale. Atlanta è troppo rude per me, troppo nuova. - Basta - disse ella improvvisamente. Aveva appena ascoltato ciò che egli veniva dicendo. Certo non lo aveva compreso. Ma sentiva che non poteva più sopportare con forza d'animo il suono della sua voce, se non vi era amore in essa. Egli fece una pausa e la guardò in modo strano. - Insomma, hai capito le mie intenzioni? - chiese alzandosi in piedi. Ella gettò le mani in avanti, col vecchio gesto supplichevole; e il suo cuore fu di nuovo sul suo viso. - No! - gridò. - So soltanto che non mi ami e che te ne vai! Amore mio, che farò se tu te ne vai? Per un momento egli esitò come chiedendosi se una dolce menzogna fosse migliore della verità. Poi si strinse nelle spalle. - Rossella, non ho mai avuto la pazienza di raccogliere i frammenti di un oggetto rotto per incollarli insieme e dire a me stesso che l'oggetto riappiccicato vale quanto l'oggetto nuovo. Quello che è rotto è rotto... e preferisco ricordarmelo quando era in buono stato piuttosto che aggiustarlo e vedere le tracce della rottura finché vivo. Forse se fossi piú giovine... - sospirò. - Ma sono troppo vecchio per credere in questi sentimentalismi e per ricominciare. Troppo vecchio per portare quel peso di continue menzogne che accompagna la vita fatta di cortesi disillusioni. Non potrei vivere con te e mentirti; e non potrei certo mentire a me stesso. Non posso mentire neanche adesso. Vorrei potermi interessare di ciò che fai e di dove vai, ma non posso. Respirò brevemente e soggiunse: - Non è il caso, mia cara. Rossella Io guardò mentre saliva le scale ed ebbe l'impressione che il dolore la soffocasse. Il rumore dei suoi passi sul pianerottolo si allontanò; e con esso si allontanò l'ultima cosa al mondo che la interessava. Ella sapeva che nessun appello alla ragione o all'emozione avrebbe potuto mutare quel gelido verdetto. Sapeva che tutto ciò che egli aveva detto era il suo pensiero, anche se in certi momenti aveva parlato leggermente. Lo sapeva perché sentiva in lui qualche cosa di forte, di inflessibile, di implacabile... tutte le qualità che ella aveva cercato in Ashley senza trovarle. Non aveva compreso nessuno degli uomini che aveva amato; e li aveva perduti entrambi. Ora si rendeva conto vagamente che se avesse compreso Ashley non lo avrebbe mai amato; e che se avesse compreso Rhett, non lo avrebbe mai perduto. E si chiese tristemente se aveva mai compreso nessuno al mondo. Vi era adesso nella sua mente un'inerzia che si sarebbe potuta dire misericordiosa; un'inerzia che per lunga esperienza ella sapeva che avrebbe dato luogo fra breve a una sofferenza acuta, come i tessuti che, separati violentemente dal ferro del chirurgo, hanno un breve istante di insensibilità prima che cominci il loro tormento. «Non voglio pensarvi adesso» si disse cupamente, ricorrendo all'antico incantesimo. «Se penso che debbo perderlo, diventerò pazza. Vi penserò domani.» Ma il suo cuore, scacciando l'incantesimo, cominciò a dolere. «Non posso lasciarlo andar via! Deve esservi un mezzo!» - Non voglio pensarvi adesso - ripeté ad alta voce, tentando di respingere la sua disperazione nel fondo della mente, cercando di trovare un riparo al fiotto crescente di patimento. - Voglio... Andrò a casa, a Tara, domani. - E il suo spirito si risollevò impercettibilmente. Era già tornata a Tara una volta, cacciata dallo spavento e dalla sconfitta; e dalle sue mura riparatrici era tornata forte e armata per la vittoria. Potrebbe - se Dio l'aiutasse! - rifare ciò che aveva fatto una volta. Non sapeva come. Ora non voleva pensarvi. Tutto ciò che desiderava adesso era un luogo di riposo dove poter soffrire, dove poter sanare le sue ferite; un rifugio dove potere studiare un piano di battaglia. Pensò a Tara; e fu come se una mano dolce e fresca si posasse furtivamente sul suo cuore. Le apparve la bianca casa che le dava il benvenuto tra le rosse foglie autunnali, sentí il tranquillo sussurro del crepuscolo che scendeva sopra di lei come una benedizione, udí la rugiada cadere sui verdi cespi ornati di un candore fioccoso, vide il colore rugginoso delle zolle e la tetra bellezza dei pini sulle colline ondulate. Si sentí vagamente riconfortata da questo quadro; e la sua sofferenza e il suo frenetico rimpianto furono un poco attenuati. Per un attimo rimase a ricordare tante piccole cose: il viale di cedri che conduceva alla piantagione, i cespugli di gelsomini del Capo, di un verde vivido sul muro bianco, il fluttuare delle tendine candide. E vi sarebbe Mammy. Improvvisamente desiderò disperatamente Mammy, come l'aveva desiderata quando era una bambina, desiderò l'ampio seno su cui posare il capo, la mano nera e nodosa sui suoi capelli. Mammy, l'ultimo legame con gli antichi tempi. Con lo spirito del suo popolo che non riconosce la sconfitta anche quando se la trova di fronte, rialzò il mento. Riconquisterebbe Rhett. Sapeva di poterlo fare. Non era mai esistito un uomo che ella non potesse avere, se lo voleva. «Penserò a tutto questo domani, a Tara. Sarò piú forte, allora. Domani penserò al modo di riconquistarlo. Dopo tutto, domani è un altro giorno.» FINE

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