Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Galateo morale

196229
Giacinto Gallenga 1 occorrenze
  • 1871
  • Unione Tipografico-Editrice
  • Torino-Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Quante volte un male abboracciato articolo di economia politica non fu occasione per cui uno si desse a studiare lo Smith, il Say, il Romagnosi, il Filangeri? E quante volte ancora un'improvvida legge di un tristo ed illiberale ministro non fu la causa, perché uno spendesse utilmente il tempo nella lettura degli ordinamenti di Solone e di Licurgo, dei codici di Giustiniano e di Napoleone, delle opere di Montesquieu e di Beccaria? Tale io mi credo fosse lo intendimento di Colui che metteva in campo il progetto di concorso per un Galateo: se pure egli non volle con questa sua proposta dare un benevolo avviso a quegli Italiani che, in causa delle politiche emergenze, onde furono gli animi occupati in questi ultimi tempi, non poco rimettevano di quella civiltà e gentilezza, che formavano un giorno il loro precipuo vanto. In tutte due i casi è a commendarsi il prof. Baruffi di aver ricordato, mediante l'avviso di tale concorso, il bisogno che stringe di far prestamente ritorno a quelle sane regole di Galateo, che come servono a distinguere le colte dalle selvaggie nazioni, son pure di freno potentissimo ai popoli che le osservano onde non ricadere nelle bruttezze, nei disordini, nelle licenze, che accompagnano mai sempre l'ignoranza e la barbarie. Io ebbi in animo di rispondere, secondo le mie modestissime forze, al concetto del programma di concorso, prendendo, per base della civiltà, la virtù, da cui parmi debba essa dipendere: convinto qual sono che il carattere civile di un popolo è inciso nel suo sentimento morale e che là dove è viziato quest'ultimo, quello è in sul declinare od è già perito. Gli esempi di Grecia, di Roma, di Spagna, di Francia, d'Italia nostra, di tutte, si può dire, le nazioni, sono lì a provarlo: l'epoca della loro massima civiltà corrispose a quella della loro massima moralità. Le turpitudini della nobiltà ai tempi di Luigi XIV e XV furono il preludio degli atroci delitti onde venne insanguinata la Francia sullo scorcio del passato secolo, furono preparazioni a quelle interminabili guerre, il cui solo utile fu un vano prestigio attorno al capo d'un uomo sulla cui tomba, malgrado i suoi trionfi, il più gran poeta de' giorni nostri poteva chiedersi, dubitando: se fosse stata quella una vera gloria? Cosi avviene che là, dove i Governanti danno l'esempio della corruzione nei costumi, dello sfregio alle leggi, si vedono contemporanearaente dar lo spettacolo ai popoli di barbari eccessi, e irridere sconciamente, incoraggiati dai loro satelliti, alle sventure e alle stragi de'cittadini. Esempi: Silla, Nerone, Tiberio, Eliogabalo. E là, dove un popolo non sa acconciarsi ad ubbidire alle leggi civili,e giocoforza che esso cada inesorabilmente sotto il dominio della sciabola e del bastone. Fermo in questo concetto, io mi studiai di esporre i doveri che incombono a colui che in qualunque condizioni si trovi, e quali che siano le sue relazioni in privato od in pubblico cogli altri cittadini, vuole acquistarsi salda riputazione di uomo onesto e civile. Né io sarò per offendermi se il mio lavoro non avrà la buona ventura, d'incontrare il favor vostro, o lettori: perché sarebbe soverchio il pretendere che la sola buona intenzione, non sussidiata dal valor dell'ingegno, quella buona intenzione che ha il potere di salvare gli uomini, avesse pur quello di condurre a salvamento, quand'anche poveri di spirito, i libri. GALLENGA GIACINTO. Avevo appunto ultimata questa specie di prefazione, quando mi giunse da un illustre patrizio torinese il seguente cortesissimo eccitamento a pubblicare il mio libro. Capii che ogni esitazione, dopo quelle sue parole, doveva scomparire: il giudizio dell'autore della Storia della legislazione italiana e dell'Autorità giudiziaria non era cosa da mettersi in non cale; e mi pare che avrei, anche da questo lato, mancato alle convenienze, non pubblicando il mio Galateo. Ecco un estratto della gentilissima lettera ricevuta: Cadenabbia (Lago di Como) 15 ottobre 1870. «L'insegnare la buona creanza ed i rudimenti del vivere sociale è un servigio che si rende alla Società, che ogni dì più si vede quanto abbisogni di ammaestramento anche in questo genere. Nella gentilezza del tratto si racchiude pure in qualche parte quella dell'animo, ed il Galateo, quale ella lo ha concepito ed espresso, va più in là della scorza esteriore e prepara frutti maggiori del semplice pregio delle apparenze ». FEDERIGO SCLOPIS. AVVERTENZA In quest'opera s'incontreranno moltissime, qualcuno potrebbe anche dire, non a torto, soverchie citazioni. La scusa si comprende in una modestissima confessione che io sono costretto di fare, checché ne costi al mio amor proprio d'autore. In uno scritto qualunque il nome dello scrittore entra in grandissima parte a destare e sostener la curiosità e l'interesse di colui che lo legge. Quindi chi è totalmente sconosciuto, quando non possa, con segni di straordinario ingegno, vincere d'un subito l'apatia con cui viene accolto il suo primo esperimento, non ha altro mezzo di procacciarsi un po' di benevolonza dal pubblico, fuorché quello di circondarsi dei nomi, dell'autorità, di quei sommi, che in altre epoche e in varie maniere hanno trattato lo stesso argomento. E subito, per farne un'applicazione, vi citerò le belle parole del Manno. «Due cose principalmente muovono il lettore alla confidenza: il senno degli scrittori che rende sempre testimonianza a se stesso ed il valore dei documenti nel quale si fa fondamento. Se chi scrive palesa fedelmente le fonti dalle quali derivò le sue relazioni, tanta maggiore sarà in chi legge la fiducia, quanto in chi scrive è maggiore l'impegno di non toccare una troppo facile mentita». Io poteva è vero, con qualche maggior fatica ed astuzia, ma, certo con molto minore sincerità, come pur troppo veggo essersi fatto da taluni in qualche opera da cui ebbero a riscuotere — non so con quanta soddisfazione della loro coscienza - lodi, onori e ricchezze, poteva raffazzonare in qualche modo le cose dette da altri, vestire di altre forme i loro stessi pensieri, per modo che qualche inesperto potesse credere che io ne fossi stato lo inventore. Ciò mi vietava, all'infuori di ogni morale considerazione, l'indole stessa del libro: con che coraggio avrei inculcato agli altri la civiltà e la cortesia, la decenza e la giustizia, quando avessi io primo, scrivente, data esempio d'inurbanità , di latrocinio , spigolando nei campi di quei grandi ingegni, senza rendere avvisati i lettori, che quelli, non io, erano i proprietari della messe raccolta? «Letteraria ingiustizia - conchiuderò col Manno - può essere appellata l'ingratitudine di quegli autori, i quali dopo aver arricchiti i loro volumi di pensieri altrui, non degnano di un'annotazione il nome dello scrittore da essi saccheggiato, confidandosi, o della distanza dei luoghi o della diversità della lingua, per cui torni più malagevole il riscontro delle due scritture». Di un tale sconcio io non volli poter essere accusato: e se ebbe a soffrirne da un tal procedere la mia superbiuccia, non potrà, dirsi almeno che, in urto ai principi nel libro stesso raccomandati, io mi sia reso colpevole di letteraria pirateria.

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