Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il ponte della felicità

219055
Neppi Fanello 2 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-ragazzi
  • UNICT
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Da alcune bisacce tolsero cibi vari e abbondanti e cominciarono allegramente a mangiare, intercalando i bocconi con lunghe sorsate di vino di Cipro. - Chissà che cosa dicono! - mormorò Alvise all'orecchio di Agnolo, che gli stava accanto con il braccio appoggiato alla sua spalla. - Te lo dirò poi, - gli assicurò sottovoce il marinaro. Evidentemente Agnolo, che aveva navigato molto nei mari di Levante, comprendeva il turco. Il ragazzo non vedeva l'ora che il bivacco finisse per essere ragguagliato sulle intenzioni e le mire dei corsari. Alla fiamma crepitante del falò continuamente .... accesero un grande falò e vi si sedettero intorno. alimentato, e nel quale finirono miseramente buona parte delle tavole della zattera, il pasto si protrasse a lungo. Finalmente gli uomini si alzarono barcollando e si guardarono intorno con una cert'aria stupita, borbottando qualche cosa tra loro. Con un gesto rapido Agnolo trasse Alvise nell'angolo più remoto della grotta e gli bisbigliò: - Taci, e non fare il più piccolo rumore. - Trattenendo il respiro, stretti uno accanto all'altro, l'uomo e il ragazzo udirono i corsari camminare più volte avanti e indietro, come se fossero incerti, fin che poi svoltarono l'angolo della scogliera dove si aprivano altre grotte. Poco dopo tutto tacque, tranne il respiro gigantesco delle onde. - Chi sono? - osò allora chiedere Alvise. - Sono corsari, diretti nel golfo di Lepanto per unirsi all'armata turca. Hanno detto che i nostri saranno attaccati dopo il cinque di ottobre. - Ma perchè sono qui? - Sono scesi in questa isoletta per rifornirsi di acqua e domattina riprenderanno il mare. - Ma che cosa cercavano con tanta ansia? - Si meravigliavano di non trovare più la grotta dove erano soliti coricarsi. Buon per noi che avevamo mascherato l'ingresso e che il buio della notte ha favorito i nostri piani! - Tutto questo Agnolo lo aveva sussurrato rapidamente, ansando per l'emozione. - Sicchè, la battaglia contro i Turchi non è ancora avvenuta? - No, certo; ma è imminente. Un centinaio di galee, agli ordini di Alì pascià, sono in procinto di assalire l'armata della Lega. - Dopo un lungo silenzio, il ragazzo disse: - Agnolo, facciamo qualche cosa per la nostra patria? - Di tutto cuore; ma non so che cosa possiamo fare in quest'isola! Non possiamo certo assalire i corsari, disarmati come siamo. La lotta sarebbe impari: due contro otto! - Giocheremo d'astuzia, Agnolo. - Hai già un piano combinato? - Sì; ma è necessario che prima di tutto io mi renda conto di molte cose. Voi, che non potete ancora camminare, aspettatemi qui. - Vuoi uscire? Ne va di mezzo la tua vita, Alvise! - Per Iddio e per san Marco. - Come vuoi, caro ragazzo.... Che Dio e san Marco ti proteggano! - Piano piano, Alvise cominciò a demolire la barricata che ostruiva l'ingresso alla caverna, ma per quanto cauti fossero i suoi gesti, un sasso rotolò con un tonfo sordo lungo la scogliera. Il cuore di Alvise cessò per un attimo di battere; ma nulla si mosse, segno evidente che i corsari si erano addormentati. Rinfrancato, il ragazzo continuò il suo lavoro, e poco dopo era sulla spiaggia. Le ceneri del bivacco biancheggiavano sulla rena, ancora tepida. Tutto intorno, pace e silenzio. Alvise si avvicinò alla barca dei corsari e raccogliendo tutte le sue forze tentò di spingerla verso il mare. Dapprima la chiglia, incassata nella rena, resistette, poi si mosse con lentezza e scivolò fin dove le onde si fermavano spumeggiando. Soddisfatto, il ragazzo tornò sui suoi passi e andò cautamente, come un felino, verso l'angolo della scogliera, dove si aprivano le altre grotte. Anche da quella parte, pace e silenzio. Alvise raggiunse di nuovo la caverna, e al compagno, che lo aspettava trepidante, sussurrò: - Fuggiamo. Appoggiatevi a me. - Senza una parola, Agnolo si aggrappò al ragazzo e insieme percorsero il breve tratto di spiaggia. Raggiunsero la barca e non senza fatica vi salirono e s'impossessarono dei remi. Dolcemente, affinchè il tuffo dei remi non fosse udito dai corsari, essi spinsero la barca verso la galea. Raggiuntala, legarono l'imbarcazione perchè non andasse alla deriva, poi si arrampicarono sulla scaletta di corda che pendeva lungo la murata, e furono a bordo. - Bisogna che ci allontaniamo alla svelta, - disse Agnolo. - Se i corsari si accorgessero ora della nostra fuga, ci sarebbero presto addosso e ci farebbero morire tra i più atroci tormenti. - .... si mosse con lentezza e scivolò dove le onde.... Svelto come uno scoiattolo Alvise si arrampicò sui pennoni e sciolse le vele. Ma la notte era calma, fresca, senza un filo d'aria. Le vele rimasero inerti e lo scafo non ebbe il più piccolo rollìo. Agnolo e Alvise si guardarono, sgomenti. - Non ci resta che aspettare pregando, e che san Marco ci assista! - disse Alvise. - Hai ragione. Il Cielo non ci può abbandonare. - E infatti il Cielo vegliava sui miseri. Una leggera brezza cominciò a soffiare, aumentò gradatamente d'intensità, gonfiò le vele, e la galea scivolò rapida sulla superficie increspata. Agnolo e Alvise ringraziarono Dio e tornarono sul ponte. Il marinaro fece rettificare ad Alvise la direzione delle vele, poi si pose al timone. - Tu, - disse al ragazzo - scendi; un po'di riposo ti farà bene. - Alvise s'impadronì di un mantello che giaceva vicino all'albero di trinchetto, vi si avvolse, e sdraiato accanto ad Agnolo disse: - Rimango con voi a farvi compagnia. Chiacchiereremo un pochino. - Ma la testa del giovane aveva appena toccato le dure tavole che gli occhi gli si chiusero in un sonno di piombo. Agnolo, le salde mani strette alla ruota del timone, rimase a vegliare quel letargo innocente. La notte era senza luna, ma un'infinità di stelle brillavano in cielo e la loro luce fu indicibilmente consolante per il cuore del vecchio marinaro.

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Con l'aiuto di certe erbe aromatiche che crescevano abbondanti nella parte orientale dell'isola, Agnolo, così si chiamava il marinaro, riusciva a fare un'ottima zuppa di pesce. Sempre a oriente dell'isola, Agnolo aveva suggerito ad Alvise di scavare nella roccia alcune buche che, riempite poi d'acqua di mare, formavano piccoli stagni artificiali dove l'acqua, evaporata dal calore del sole, lasciava uno strato di sale, molto utile per i loro cibi. Gli uccelli, che nidificavano numerosissimi sui rami frondosi degli alberi, fornivano con la loro carne e con le loro uova una variante al cibo quotidiano. Essi venivano catturati mediante alcune rudimentali tagliole nascoste intorno agli alberi e cotti nello spiede davanti a una bella fiamma crepitante. Agnolo aveva raccolto una grande quantità di alghe, seccate dal sole, e con dei pezzi di vele cuciti con fibre animali aveva fatto due materasse asciutte e morbide. Così, nell'incessante lavoro e nel reciproco aiuto, la loro vita scorreva abbastanza serena. Ma, dove era in quel tempo la squadra veneta? La battaglia contro i Turchi aveva avuto luogo?... E quale ne era stato il risultato? Domande che i due naufraghi si rivolgevano spesso. Alvise, inoltre, pensava al padre, a nonna Bettina, a Loredana. Che cosa facevano i suoi cari? Invocavano il suo ritorno o piangevano la sua morte? Mentre la zattera procedeva mollemente cullata dalle onde, Alvise lasciava che la nostalgia cullasse il suo tenero cuore. Qualche volta tornava da Agnolo, con gli occhi rossi nel viso dimagrito e bruciato dal sole e dal vento salmastro; ma bastavano poche parole buone del suo compagno per rincorarlo e infondergli fiducia nell'avvenire. Per fortuna la stagione si era mantenuta buona. Solamente qualche giorno prima il cielo si era rannuvolato e la pioggia era caduta monotona e insistente per ventiquattr'ore. Sembrava, quella pioggia, l'addio accorato dell'estate. Il sole, tornato nel cielo di un pallido azzurro, aveva illuminato il mare improvvisamente scolorito. Solo la vegetazione delle dune e le foglie dell'albero apparivano più verdi e lucide dopo quell'acquazzone. All'alba e al tramonto l'aria cominciava a farsi pungente e già aveva il mesto sapore dell'autunno. Che ne sarebbe stato dei due naufraghi quando il maestrale, e le raffiche della pioggia sempre più fitte, e le brume sempre più dense avessero avvolto l'isola? Quando le verdi foglie dell'albero fossero ingiallite e la pispigliante tribù dei pennuti dispersa in cerca di lidi più clementi? Ma nel chiaro mattino di fine estate era dolce vogare, cullati dalle onde leggiere, sospinti dalla tepida brezza. E nel cuore di Alvise ferveva un grande amore, per le cose e per gli uomini. Egli andava, andava, sulle ali dei suoi giovani anni, e gli pareva di compiere viaggi sognati in giorni lontani, viaggi ammalianti che, pur percorrendo tutte le strade del mondo, lo riconducevano sempre alla sua città benedetta. Eccolo lì, il leone di san Marco che sventola sul pennone di fortuna della zattera, vicino alla piccola vela bucherellata! Gli bastava di alzare gli occhi su quel fragile lembo di patria perchè tutte le cose, mare, cielo, scogli e spiaggia, assumessero uno splendore insolito. Lo avresti creduto tu, piccola Loredana lontana, un simile miracolo, mentre la tua mano dipingeva l'emblema dell'Evangelista sullo sfondo turchino? Immerso nei suoi pensieri, il giovane non si accòrse che stava per doppiare la punta della scogliera e avvicinarsi alla loro piccola rada sabbiosa. Si era dimenticato di lanciare il solito richiamo all'amico intento certamente ad ammannire il frugale pranzo. - Agnolo, Agnolooo! - gridò con tutta la forza dei suoi capaci polmoni. Nessuna voce rispose al suo appello. Sorpreso e inquieto, Alvise afferrò una specie di remo giacente nel fondo della zattera, e con poche bracciate spinse l'imbarcazione ad arenarsi sul lido. I suoi occhi corsero subito alla grotta; ma Agnolo non c'era. Lo scoprì poco dopo, addossato agli scogli. Con grande fatica si era trascinato fin là e stava fissando un punto lontano. Nella luminosità cristallina dell'orizzonte si profilava una galea. La prora era rivolta verso l'isolotto e le vele, tutte spiegate, sembravano di una leggerezza irreale. - Agnolo! Agnolo! - mormorò Alvise, mentre Lo scoprì poco dopo, addossato agli scogli. sentiva il cuore battergli in gola. - Iddio ci assiste: saremo liberati, Alvise! - rispose il marinaro. E le sue chiare pupille si velarono di lacrime. - Quando credete che la galea giungerà qui, Agnolo? - chiese Alvise, afferrato da una grande impazienza. Avrebbe voluto gettarsi in mare e a forza di braccia andare incontro alla nave salvatrice. - Figliuolo mio, potrà esser qui verso sera, purchè il vento non cada. - Tanto tempo impiegherà?... - disse Alvise, deluso. - E se frattanto sopraggiunge la notte, la nave passerà senza vederci. - Non temerlo. Quando il sole tramonterà, accenderemo un bel fuoco per richiamare la sua attenzione. - Vado subito a raccogliere degli sterpi e delle alghe secche. - Piano, piano, Alvise! - mormorò il marinaro, sorridendo all'impazienza del giovane. - Aiutami piuttosto a scendere da questi scogli. Consumeremo prima il nostro pasto, poi penseremo al da farsi. - Il cibo era pronto e saporito; l'appetito non mancava; eppure Alvise non riusciva a inghiottire nulla. La commozione e l'orgasmo gli stringevano la gola e pareva lo soffocassero. Teneva il viso rivolto al mare, verso quella nave che per la sua lontananza sembrava ancora tanto piccina, e che pur conteneva, nel sue scafo leggero, un mondo intero di care speranze. E la muta, ardente preghiera delle mani incrociate sulle ginocchia lo accompagnava sull'immensa distesa lucente.

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