Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La fatica

169156
Mosso, Angelo 1 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Perciò la sostanza o facoltà che i nervi trasmettono, presa di per sé, non è capace a produrre una contrazione: ma è necessario che vi si aggiunga qualche cosa d'altro che si trova nei muscoli stessi, o che loro viene somministrato abbondantemente, dalle quali sostanze insorge qualcosa che è simile alla fermentazione od all'ebollizione e la quale produce il subitaneo rigonfiamento dei muscoli." Il concetto che dovremo farci della fatica dei nervi, dipende in grande parte dalla natura dei processi che hanno luogo dentro il nervo stesso. Questo è perciò uno dei punti capitali. Borelli emise fino dal principio due ipotesi, ed i fisiologi si trovano ancora nell'alternativa di scegliere fra l'una o l'altra di quelle, senza saper decidere con sicurezza quale delle due sia la vera. La trasmissione dell' eccitamento nervoso ai muscoli, ossia l'ordine che va, per esempio, dal cervello nei muscoli della mano, può essere un cambiamento chimico, che ogni molecola trasmette alle molecole vicine nella sostanza del nervo. Per servirci di un paragone grossolano, si potrebbe dire che i nervi sono come una miccia, o come una fila di granelli di polvere, messi l' uno accanto all' altro dal cervello fino al muscolo. L'atto della volontà consisterebbe nell'accendere il primo granello nei centri nervosi, e quando brucia l'ultimo granello, questo fa cambiare stato al muscolo e si produce la contrazione. Questo concetto nello stato attuale della scienza è quello che ha le maggiori probabilità di essere vero. Ma disgraziatamente non conosciamo ancora quali siano i cambiamenti chimici che succedono nel nervo che funziona; ed alcuni fisiologi avendo osservato che i nervi non si affaticano, o che almeno si affaticano molto meno del cervello e dei muscoli, sostengono che la trasmissione dell'agente nervoso lungo i nervi, non succeda per una trasformazione chimica paragonabile a quanto si vede nella miccia. Secondo questi fisiologi l'agente nervoso sarebbe di natura meccanica, cioè una specie di vibrazione delle molecole, che si trasmette lungo il nervo senza alterare la sua composizione chimica. Quest'eccitamento meccanico che possiamo paragonare alla trasmissione del suono a traverso le molecole di un corpo solido, arrivando dal centro nervoso al muscolo, produce una decomposizione esplosiva, cioè il cambiamento chimico della contrazione. La prima idea di questo meccanismo appartiene pure ad Alfonso Borelli e citerò le sue paroleProp. XXIII, p. 57. Vol. II.: "Ora ci rimane a cercare cosa passi per i nervi, quale sia questa forza, in che modo sia spinta nei nervi, e per quali canali. È chiaro che il nervo, quantunque piccolo come un capello sottilissimo, è composto di molti fili fibrosi, legate insieme da un involucro membranoso; ciascuna fibra è cava internamente come le canne, benchè alla nostra vista troppo debole, appaiano solide e ripiene. Non è impossibile che le fibre nervose siano dei tubetti cavi pieni di una sostanza come la midolla del sambuco." E strano che Borelli affermando una cosa che non aveva veduto, perchè gli mancavano i microscopi che abbiamo ora, siasi tanto avvicinato alla verità. Ranvier dimostrò pochi anni fa che la guaina che protegge ciascuna fibra, ha dei nodi e degli stringimenti che formano degli spazi come nelle canne o nel sambuco; e questi spazi sono pieni di una sostanza liquida o quasi liquida che chiamasi mielina. La mielina è come un inviluppo che serve a proteggere ed isolare il filamento centrale che chiamasi cilindro dell'asse. E gli strozzamenti che ha scoperto nei nervi il Ranvier, servono ad impedire che le sostanze liquide le quali entrano a comporre il nervo producano un' alterazione del nervo stesso col loro spostamentoRANVIER,Leçons sur l'histologie du sistème nerveux. Paris, 1878, pag. 131. Tom. I.. Da ciò vediamo che col paragonare il nervo ad un ramo di sambuco Borelli ha indovinato il vero. Poscia Borelli soggiunge Opera citata, p. 58.: "Dobbiamo imaginare che le cavità spongiose delle fibre dei nervi siano sempre piene fino alla turgescenza di un succo, o spirito che proviene dal cervello. E come vediamo in un intestino pieno di acqua e chiuso alle due estremità, che se una delle sue estremità viene compressa, o leggermente percossa, subito la commossione e la percossa, si manifestano all' estremo opposto dell' intestino, in quanto che le parti fluide che stanno contigue disposte in lungo ordine l'una accanto all'altra, dando un impulso e percuotendosi l'una coll'altra, diffondono il moto fino alla parte estrema; così qualunque leggera compressione o colpo od irritazione fatta nel principio dei canalicoli delle fibre nervose che esistono nel cervello si diffonde sino ai muscoli." Per dimostrare come nell' azione del nervo sul muscolo, non vi sia un impiego grande di forza e che basta una causa minima per produrre la contrazione, egli dice che dobbiamo rammentarci che il contatto leggerissimo di una piuma nelle narici, o nell' orecchio o nella gola, può produrre delle contrazioni e delle convulsioni molto forti nei muscoli dell' organismo. Ciò che Borelli tentava di indovinare, o forse aveva veduto confusamente, ora possiamo osservare facilmente e con maggior evidenza nei muscoli degli insetti, che mettiamo viventi sotto il microscopio. Facendoli contrarre si vede partire dal punto dove il nervo tocca il muscolo un ingrossamento che percorre la fibra muscolare a guisa di un'onda, la quale si propaga verso le parti del muscolo che sono più lontane dal nervo. Sono passati due secoli, e dobbiamo confessare che in questa parte della fisiologia si è fatto poco progresso, perchè non sappiamo ancora dire con sicurezza quale sia l'intima natura del processo nervoso. Parlando del meccanismo col quale noi eseguiamo dei movimenti volontari, Borelli diceProposizione XXIV, pag. 59.: "Nella quiete profonda e nel sopore degli spiriti animali noi non possiamo comprendere l' esistenza di un atto volontario, né la passione della facoltà sensitiva, ma è necessario che nel cervello si agitino questi spiriti per una qualche mozione locale, come lo esige l'indole della loro virtù a muoversi. Noi possiamo quindi comprendere come i succhi del cervello agitati dagli spiriti, o per mezzo di una trasmissione di movimento, o per un acredine pungitiva irritino e solletichino le origini dei nervi." Se questo modo di esprimersi del Borelli per spiegare i movimenti volontarii, può sembrare oscuro, nessun fisiologo oserebbe fargliene rimprovero, perchè anche oggi non sappiamo dire nulla di più intelligibile. L'origine dei movimenti volontari è sempre stato lo scoglio maggiore della fisiologia, e disgraziatamente è un problema così importante che devono occuparsene tutti e specialmente i filosofi. Darwin parlando dei movimenti involontari, diceCH. DARWIN, The expression of the emotions, pag. 39: "è probabile che alcune azioni le quali si eseguirono prima colla coscienza, siansi per mezzo dell'abitudine e dell'associazione trasformate in movimenti riflessi e che ora siano fissati e divenuti ereditarii nel sistema nervoso. Sarebbero dunque i movimenti automatici dei movimenti che prima erano prodotti dalla volontà e dopo cessarono di esserlo". Tale è il concetto che sostiene anche Spencer, nei suoi Principii di psicologia H. SPENCER, Principes de Psychologie. Tome II, pag. 608.: ma Borelli aveva già formulato questo arduo problema quasi colle stesse parole che adoperano i filosofi moderni. "Non è impossibile, dice Borelli, che sia stata un'azione volontaria quella che ora si fa per abitudine, e noi che non avvertiamo più di averla voluta, crediamo di non volerla. Così è dei movimenti del cuore che nulla osta si compiano senza l'assenso della volontà, e malgrado che non li vogliamo. Noi vediamo del resto che molti altri movimenti delle estremità che senza dubbio cominciarono ad esegnirsi sotto l' impero della volontà, ora si fanno senza che ce ne accorgiamo, e qualche volta anche senza che lo vogliamo " Opera citata. Prop. LXXX. Tomo II, pag. 158. Di questa proposizione del Borelli dovettero occuparsi i filosofi spiritualisti e combatterla, perchè Borelli alterava il concetto ortodosso della volontà, e ne attribuiva una parte anche ai movimenti del cuore, dicendo: "il movimento del cuore si fa dunque per una facoltà, senziente ed appetente non per una ignota necessità, organica". Come si vede, si tocca qui ad uno dei più gravi problemi della filosofia. L'abate Antonio Rosmini rimproverando al Borelli di aver confuso il principio sensitivo coll' anima razionaleA. ROSMINI Psicologia. Libri dieci, pag. 192., disse che in questa, dottrina del Borelli "si può vedere l' origine del moderno sensismo".

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Il successo nella vita. Galateo moderno.

174466
Brelich dall'Asta, Mario 5 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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. - A questa parte della nutrizione serve anzitutto l'albumina, ossia quella sostanza chimica che conosciamo il meglio dal bianco dell'uovo, ma che è contenuta abbondantemente anche nella carne, nel latte e nei legumi. Non hanno invece contenuto d'albumina, o soltanto in quantità minima, la farina, le patate e lo zucchero. Questi prodotti alimentari o non contengono assolutamente albumina, o sono poveri d'albumina, e consistono in maggior parte di cosidetti idrati di carbonio, che sono combinazioni chimiche di carbonio, idrogeno ed ossigeno. Idrati di carbonio in forma pura sono la farina d'amido e lo zucchero. Questi contribuiscono allo sviluppo del corpo molto meno che l'albumina, ma sono invece importantissimi per il secondo scopo della nutrizione, quello cioè di fornire energia per il lavoro. Come in una macchina a vapore, per ottenere un lavoro, è necessario che bruci del carbone, così nel corpo umano devono consumarsi, « venir bruciate » le sostanze nutritive, onde si abbia una produzione di lavoro, rispettivamente d'energia, sia che nell'economia domestica del corpo si tratti del lavoro del cuore, dei polmoni o del canale digestivo, sia che per i lavoratori intellettuali si tratti dell'attività del cervello, o per gli operai dell'attività dei muscoli. Ripetiamo in poche parole ciò che abbiamo detto: dobbiamo distinguere tra albumina ed idrati di carbonio. L'albumina serve allo sviluppo del corpo, gli idrati di carbonio servono quali fonti di energia. E, per completare le nostre parole aggiungeremo ancora che l'albumina può servire anche come fonte d'energia e così sostituire gli idrati di carbonio, mentre invece gli idrati di carbonio non possono mai sostituire l'albumina, ch'è assolutamente necessaria per lo sviluppo del corpo. Oltre all'albumina e agli idrati di carbonio, si abbisogna per la nutrizione anche di acqua e di sostanze minerali. Il grasso non è una sostanza nutritiva indispensabile: per le sue funzioni nella nutrizione, esso appartiene completamente alla categoria degli idrati di carbonio. Cosa accade se una persona prende in sè più nutrimento, di quanto le è necessario? Essa lo immagazzina nel suo corpo, e precisamente in forma di grasso, sotto la pelle, tra i muscoli e gli organi. Questo grasso serve al corpo come riserva, che esso consuma ogni qualvolta la nutrizione che riceve da fuori non sia bastante. Chi dunque mangia troppo, diverrà grasso, chi mangia troppo poco, diverrà magro, supposto sempre, che si tratti d'un organismo sano. Noi conosciamo bene le più importanti regole fondamentali della nutrizione, note generalmente già dai tempi remoti. Per poter misurare il valore d'energia del nutrimento, si usano le cosidette « calorie », ossia quella stessa unità che si adopera anche per misurare e significare la produzione di calore delle sostanze combustibili. Una «caloria» è la quantità di calore necessaria per riscaldare, ossia elevare di 1 centigrado la temperatura di 1 chilogrammo (1 litro) d'acqua. 1 grammo di zucchero o di amido (idrati di carbonio) ha quattro calorie, vale a dire può, bruciando, riscaldare un chilogramma d'acqua di 4 centigradi. Anche un grammo d'albumina ha 4 calorie, mentre invece 1 grammo di grasso ha 9 calorie. Il grasso ha dunque un valore riscaldante, rispettivamente nutritivo molto superiore a quello dell'amido, dello zucchero, della farina, ecc. Coll'aiuto di quest'unità di misura chiamata « caloria », si è potuto constatare e fissare d'una parte quale valore nutritivo abbiano i singoli alimenti, d'altra parte di quante calorie abbia in media bisogno il corpo umano giornalmente. Con ciò è divenuto possibile in teoria, di calcolare approssimativamente quella quantità di ogni specie di alimenti, che è necessaria per soddisfare al bisogno di nutrizione d'una persona, senza che la stessa ingrassi o dimagrisca. Così per esempio hanno: 100 grammi di carne di manzo, magra .... 122 calorie 100 » di prosciutto............................ 397 » 1 uovo di gallina, di circa 47 grammi............ 73 100 grammi di burro......................................756 » 100 » di formaggio svizzero.............. 340 » 100 » di pane di frumento............ 229 » 100 » di pane di segala............... 203 » 100 » di piselli............................. 300 » 100 » di maccheroni.................... 340 » 100 » di patate.............................. 88 » 100 » di zucchero......................... 383 » 100 » di frutta fresche................. 60 » 100 centimetri cubici di latte...................... 67 » 100 centimetri cubici di birra stagionata........... 47 » Un uomo di circa 70 chilogrammi ha ogni giorno bisogno approssimativamente di: 1680 calorie - in stato di completo riposo e quiete 1890 » - in stato di riposo a letto 2100 » - in stato di riposo, nutrendosi normalmente; 2520 » - in stato di riposo, rimanendo a casa 3360 » - se lavora moderatamente; 6720 » - se occupato con un lavoro pesante Donne abbisognano in media del 10 per cento in meno. L'intensità però di assimilazione varia molto da individuo a individuo. Per pratica si sa, che vi sono forti mangiatori magri e viceversa persone che patiscono la fame e che nondimeno sono grasse, a seconda della disposizione individuale. Alcuni possono consumare moltissimo grasso, senza ingrassare, altri invece devono essere molto moderati nel consumo di grassi; ad alcuni le frutta sono ottimo ed efficace nutrimento, ad altri cagionano una digestione più rapida e perciò meno perfetta e conseguentemente li fanno dimagrire. Per quanto dunque la teoria delle calorie abbia in sè e nei riguardi della generalità un grande valore, nei riguardi di moltissimi singoli essa appare inapplicabile. A ciò va aggiunta la difficoltà di stimare e classificare gli alimenti secondo il loro valore di calorie. Specialmente in case private sarebbe molto difficile di far la cucina scrupolosamente a seconda delle calorie, perchè in tal caso prima di cominciare a preparare iI cibo, tutte le vivande nonchè gli ingredienti, dovrebbero venir pesati ancora in stato crudo. Fortunatamente esistono delle misure più pratiche e più comode, secondo le quali si può e si deve controllare le proprie condizioni di nutrizione, e queste sono precisamente la tensione dei nostri vestiti, la pesa e lo specchio. Con lo aiuto di questi semplici mezzi ausiliari ognuno è in grado di controllare de sè le proprie condizioni di nutrizione. Qui però si deve notare che quella norma molto conosciuta e diffusa, secondo la quale ogni persona deve pesare tanti chilogrammi, quanti centimetri è più alta di un metro (per esempio, un uomo di 165 centimetri dovrebbe pesare 65 chilogrammi), nei singoli casi è altrettanto inapplicabile, come la rigida teoria delle calorie. Perchè come l'assimilazione varia nei singoli individui, così differisce anche la costituzione dei diversi individui. Uno ha le ossa forti e pesanti e pochi tessuti congiuntivi, un altro invece ha la struttura ossea molto delicata e più contenuto grasso; questi ha le gambe corte, quegli le ha invece lunghe. Per un corpo medio, ideale, i numeri di cui sopra potrebbero corrispondere, ma volendoli applicare praticamente per ogni singolo individuo, potrebbero portare a risultati fallaci ed ingannevoli. Partendo ora dalle nozioni sopra esposte, l'antica disciplina considerava tutto il problema della nutrizione come un processo chimico ed ha immaginato che tutte le sostanze chimiche necessarie potessero venir prodotte artificialmente ed introdotte in brevissimo tempo nell'organismo in forma di pillole. Il fisiologo tedesco von Bunge fece anche esperimenti e nutrì alcuni animali con un « latte artificiale » ch'egli stesso aveva prodotto nel suo laboratorio. La conseguenza di quest'esperimento fu, che gli animali sottoposti a questa « cura del latte artificiale », in breve tempo perirono tutti uno dopo l'altro. Questo prova, che oltre all'albumina, agli idrati di carbonio, all'acqua e alle sostanze minerali, ci deve essere nel nutrimento ancora qualcosa che noi non possiamo produrre artificialmente, perchè è un prodotto della vita stessa. Il più importante di questi prodotti è quello ben noto sotto il nome di vitamina, la cui presenza sta in relazione con l'influenza della luce del sole. Le vitamine esistono soltanto dove vive la natura e vengono distrutte tostochè i mezzi commestibili in cui si trovano (legumi, frutta, latte) in seguito ad una prolungata cottura o scottata con acqua bollente, subiscano un mutamento, o anche se essi fossero conservati troppo a lungo. Quanto più un nutrimento è naturale, quanto meno i legumi, il latte, le frutta, vengono sottoposti a mutamenti, tanto più sono sani, tanto più la formazione delle cellule del nostro corpo procederà liscia e naturale, tanto più resistente sarà il nostro corpo e tanto più a lungo conserverà la sua giovinezza. Oltre alle vitamine, è di grande importanza per l'igiene dell'assimilazione - secondo le constatazioni di Ragnar Berg - la regolare provvista del nostro organismo di cosidetti sali basici. Questi sali sono contenuti abbondantemente in certe specie di legumi, per esempio nelle carote, nelle barbabietole, in tutte le insalate verdi, nei pomodori, in tutti i generi di cavolo, nei cetrioli, nei fichi, nelle prugne, nei limoni e nelle arance. Si trovano abbondanti anche nel pane di puro frumento e nelle patate, mentre invece si trovano appena, molto scarsi, negli asparagi e nei cavolfiori. Nelle lenticchie e nell'uva orsina mancano quasi del tutto. Viveri contenenti, rispettivamente producenti acidi nel senso di Ragnar Berg, sono la carne, il pesce e le nova. Se vogliamo mantenerci stabilmente sani, dobbiamo stabilmente consumare una maggiore quantità di alimenti che contengono sali basici e per non eliminare poi questi sali dai cibi e non distruggerli, bisogna cuocere i legumi nel proprio sugo non troppo a lungo e non su fuoco troppo caldo, in modo ancora da conservar loro in gran parte il sapore e la fragranza naturale. La preparazione industriale degli alimenti è spesso dannosa dal punto di vista igienico, inquantochè mediante la fabbricazione vengono allontanate dagli alimenti stessi parti preziose per la nutrizione, come ciò è il caso nella farina macinata molto finemente e nel riso brillato.Il ritorno alla farina più oscura, ruvida, ma più ricca di contenuto ed al pane nero od a quello di frumento granelloso, sarebbe quindi importante e molto raccomandabile. Tutti questi riconoscimenti, che a ragione tendono a rendere di nuovo l'alimentazione più naturale e più sopportabile, condussero nelle loro forme più acute alla cosidetta cucina cruda. I seguaci della cucina cruda, partendo dall'idea che l'energia del sole immagazzinata nelle piante, passa in questo modo nell'uomo, rispettivamente diventa energia umana, si nutrono principalmente di frutta e legumi crudi. Senza dilungarci in particolari, rammentiamo soltanto che la cosidetta cucina cruda è un sistema di nutrizione unilaterale, che, applicato ragionevolmente, può condurre allo scopo che si prefigge, però dovrebbe essere sempre accompagnato da un controllo medico. Sebbene anche la cucina cruda si astenga dal consumo di tarianismo, il quale ripudia bensì ogni sorta di carne ed anzi, nelle sue forme estreme, anche altri prodotti animali (uova, latte, formaggio), nondimeno si permette il consumo di frutta e legumi cotti. Il vegetarianismo è molte volte conseguenza di particolari concezioni del mondo e della vita, come lo è in misura speciale nel caso della dottrina indiana del Mazdaznan, la quale vuol far conseguire agli uomini la redenzione per mezzo della spiritualizzazzione e ripudia ugualmente il consumo di carne. Sebbene basati esclusivamente su principi etici, i precetti della dottrina del Mazdaznan hanno molta somiglianza con le nostre moderne vedute sulla assimilazione corrispondente alle norme igieniche. Prescindendo dalla parte qualitativa della nostra nutrizione, dobbiamo prendere in considerazione anche i suoi rapporti quantitativi. La maggior parte degli uomini mangiano troppo. La conseguenza di ciò è che essi non sono più capaci di sentire un sano appetito. Questo viene piuttosto costantemente eccitato o stuzzicato mediante cibi fortemente drogati e salati, ghiottonerie e cibi piccanti e pesanti, sicchè il palato non è più assolutamente capace di reagire a nutrimenti semplici. Anche in questo riguardo molto si può migliorare con una nutrizione naturale e non eccitante. Soltanto coloro il cui appetito viene stimolato già dalla vista di un pezzo di pane asciutto, sono in questo riguardo perfettamente sani. Compendiamo ora queste nostre considerazioni nella seguente domanda:

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Chi voglia farlo, troverà facilmente un libro che tratta ampiamente di questa materia e da cui potrà attingere abbondantemente consigli e indicazioni. Del resto ogni persona che si dedica ad esercizi ginnastici, dovrebbe farsi socio d'una società ginnastica, rispettivamente frequentare dei corsi di ginnastica, nei quali non soltanto può settimanalmente più volte esercitare a fondo il suo corpo, ma può anche ricevere istruzioni e razionali indicazioni per la cultura individuale del suo corpo. La mattina, appena svegliati, si salti di un colpo giù dal letto e si cominci subito, a finestre aperte, la ginnastica mattutina. Appunto quel tempo che molti uomini, dopo essersi destati, passano a letto col capo pesante, prima di decidersi a levarsi può venir assai più vantaggiosamente dedicato alla ginnastica di camera, per la quale bastano perfettamente da 10 a 15 minuti. Come questa ginnastica possa venir eseguita, lo mostrano i seguenti esempi, che però non sono da considerarsi come unica guida adottabile (vedi la figura)

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Specialmente quelle parti del corpo che sudano più abbondantemente, come le cavità delle ascelle, i genitali, i piedi, devono venir lavate molto accuratamente. Ove si trascuri questo anche un solo giorno, gli avanzi di sudore e di pelle squamata si decompongono, ne segue una putrefazione albuminosa, i cui prodotti che hanno un odore sgradevole - si attaccano non soltanto al corpo, ma passano anche nella biancheria e nei vestiti e nell'aria. Naturalmente persone che lavorano fisicamente ed abitanti di città devono curare ancora molto più la pulizia della loro pelle, che non una persona che vive in un'aria senza polvere e fuliggine, menando una vita sedentaria. E' chiaro anche, che per la pulizia del corpo non basta sempre e solo l'acqua fredda, ma sono necessari anche sapone ed acqua calda. Ora dunque ci si presenta la domanda: Dobbiamo prendere il bagno caldo o freddo? La risposta a questa domanda dipende anzitutto dall'organismo della singola persona, dalla sensibilità della sua pelle, inoltre dall'abitudine, dalla stagione e dalla temperatura del locale. Per una pelle normale, che sopporta tutto, il meglio è se il quotidiano lavacro di tutto il corpo viene eseguito con acqua fredda o temperata secondo la temperatura della stanza. Per il bagno più a completo, che si deve prendere a seconda del bisogno due o tre volte alla settimana, corrisponde meglio l'acqua calda, che non deve però mai sorpassare i 38 centigradi. Per il lavacro del viso e delle mani è meglio usar sempre acqua fredda. Questa rinfresca e col suo stimolo rende una pelle mal curata e sensibile, più forte e più sana. Anche dopo ogni bagno caldo sta bene prendere una breve doccia fredda. L'alternarsi del caldo e del freddo è un ottimo allenamento per i vasi sanguigni della pelle e la doccia fredda è particolarmente raccomandabile nella stagione fredda, perchè preserva dal raffreddore, che subentra assai facilmente per esempio quando immediatamente dopo il bagno caldo ci si deve esporre alla temperatura della strada, ciò che avviene specialmente se si frequenta un bagno pubblico. Oltre che dal punto di vista della pulizia del corpo, i bagni caldi sono importanti anche per il trattamento di certe malattie. Essi cagionano anche un sensibile dilatamento del vasi sanguigni ed in conseguenza dell'aumentato afflusso di sangue un aumento dell'assimilazione della pelle. Nell'acqua calda si staccano anche più presto le cellule epidermiche, sicchè già anche per questo motivo la pelle si deve rinnovare più rapidamente. Non si devono però usare a tale scopo bagni caldi costantemente e regolarmente, perchè l'uso frequente di bagni caldi rende la pelle floscia ed anche perchè rinfrescano meno. Dopo il bagno caldo si riposi almeno mezz'ora. Per una persona sana, con pelle normale, due bagni caldi settimanalmente sono assolutamente bastanti. Tutti gli altri lavacri vengano fatti con acqua fredda. Uomini con la pelle sana, dopo ogni applicazione d'acqua fredda hanno la sensazione d'una gradevole corrente calda attraverso il corpo. Chi però dopo il bagno freddo è percorso da brividi e non può riscaldarsi dovrà evitare tali bagni. Bagni freddi sono del resto raccomandabili soltanto al corpo che prima di prenderli sia caldo, dunque dopo l'alzarsi da letto alla mattina, dopo esercizi ginnastici, dopo un bagno caldo. Persone nervose e bambini devono prima abituarsi ai bagni freddi e specialmente alle docce fredde (che del resto fanno anche un effetto equivalente ad un leggero massaggio), e perciò si mettano con prudenza sotto al getto d'acqua. La doccia fredda naturalmente non deve durare a lungo: basta mezzo minuto. In generale è meglio bagnarsi più spesso, ma sempre per breve tempo. Bagni prolungati in acqua contenente calcina, producono una pelle ruvida ed asciutta. Chi ne ha il tempo e l'occasione, dovrebbe prendere ogni due o tre settimane anche un bagno di sudore, sia in forma di bagno d'aria calda, oppure di bagno a vapore. La traspirazione che ne segue, inturgidisce la pelle, apre e pulisce i pori ed i canali secretori delle glandole, ed allontana dalla superficie della pelle tutte le sorte di magagne. Tali bagni sono specialmente raccomandabili a persone, che esercitano una professione che li fa poco sudare. Dopo ogni bagno a vapore si prenda una doccia fredda o ci si faccia stropicciare bene il corpo. I bagni di sudore sono anche mezzi curativi e preventivi per infreddature e malattie d'infezione. Mezzi ausiliari adatti per lavarsi e prender bagno, sono le spugne naturali, le spazzole piuttosto soffici e strofinacci. Spugne di gomma lasciano facilmente sulla pelle uno sgradevole odore di caucciù. Per asciugarsi, si faccia uso di asciugamani di tessuto ruvido. Non soltanto è benefico per la pelle la frizione che si può con essi produrre, ma dà una sensazione gradevole anche il calore che deriva dallo strofinìo (specialmente dopo bagni freddi), oltrecciò lo stesso atto dello strofinare dà occasione a un movimento del corpo. Dopo ogni bagno caldo sta bene di ungersi il corpo con olio: ciò è raccomandabile specialmente a persone che hanno la pelle asciutta e ruvida.

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La sostanza midollare è sviluppata in parte abbondantemente, in parte scarsamente, e si può affermare che i capelli in generale tanto più sono forti e buoni, quanto più la sostanza midollare è pronunciata e diffusa. Lo strato più esterno del capello è formato dalla pellicola superiore. Questa consiste di innumerevoli piccolissime squamme, che coprono il capello come le tegole d'un tetto; come nelle pigne, le estremità libere delle squammette tendono verso la cima del capello. Questa proprietà della pellicola superiore rende possibile di constatare presso un singolo capello, anche se privo del bulbo, quale sia la cima del capello. Basta tenere il capello tra il pollice e l'indice e sfregarlo colle dita di qua e di là. Il capello sdrucciolerà sempre avanti in una sola direzione, sicchè in ultimo si tiene tra le dita la cima del capello, come nella resta dell'orzo. La sostanza cornea dei capelli si comporta precisamente come quella della pelle. Assorbe l'acqua e conseguentemente si ingrossa. In alcuni capelli questa capacità d'ingrossarsi è differente, sicchè ne deriva un increspamento di capelli, che varia a seconda dell'umidità dell'aria. La sensibilità con cui i capelli reagiscono all' umidità, li rende atti ad essere adoperati in fini strumenti meteoroligici (igrometri). Increspature e riccioli artificiali perdono nell'aria umida la loro consistenza. I capelli crescono da giù all'insù ossia la parte nuova del capello si spinge avanti in modo che la cima del capello ne è sempre la parte più vecchia. I capelli hanno una data velocità di crescita, che varia a seconda delle differenti parti del corpo in cui si trovano a seconda dell'età della persona e anche sino a un certo grado, a seconda delle stagioni, (d'estate crescono più rapidamente che d'inverno) L'accrescimento medio d'un capello è di 1/3 sino a 1/2 millimetro al giorno. Ogni capello ha anche un limite d'accrescimento, così per esempio la tipica lunghezza dei capelli sulle tempie, sulla nuca è rilevantemente minore che quella dei capelli che coprono il rimanente del capo. Un accurato esame dei rapporti d'accrescimento dei capelli ha inoltre accertato, che contrariamente alla generale credenza, il tagliare i capelli non ne accelera punto la crescita. Dopo tutto quanto si è or detto, è superfluo forse di rilevare a parte, che la celerità dell'accrescimento dei capelli è molto influenzata dalle malattie, sieno queste locali o generali. I capelli sono troppo intimamente legati alle condizioni fisiologiche individuali dell'organismo su cui crescono, per poterli considerare indipendentemente da questo.

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Su un mucchio, che conteneva la carne collocò di sopra gli stomachi, le pelli e gli intestini, per cui la carne non si poteva vedere; sull'altro mucchio, che conteneva gli ossi, sparse abbondantemente lucente grasso: quindi invitò Giove a scegliere. Qual mucchio scelse Giove per il sacrifizio agli dei? - Giove s'accorse della frode: tolto il grasso dalla superficie del secondo mucchio, fu colto da un'ira violenta, vedendo di sotto soltanto ossi. Per punizione, tolse agli uomini il benefico fuoco. Come vennero gli uomini per la seconda volta in possesso del fuoco? - Prometeo ascese ancora una volta all'Olimpo, rubò per la seconda volta il fuoco divino, e lo portò, nascosto in un tubo, sulla terra. Che incarico aveva dato Giove a Vulcano, dio del Fuoco? - Vulcano dovette fabbricare una artistica statua di vergine, che rassomigliasse agli dei. Per renderla perfetta, ciascuno degli dei le fece un dono: Venere le diede la bellezza, Pallade la sapienza, Mercurio l'eloquenza, ecc. Come chiamarono gli dei la vergine formata da Vulcano ad immagine degli dei? - Pandora. A chi destinò Giove Pandora e di chi divenne moglie? - Giove la destinò sposa a Prometeo, ma questi non accettò l'offerta; così Pandora divenne moglie di Epimeteo, fratello di Prometeo, il quale fu principalmente indotto a sposarla per la curiosità e cupidigia, suscitate in lui da un vaso ben chiuso, che Giove aveva dato a Pandora. Cosa conteneva il vaso di Pandora? - Tutti i mali e come unica dote benefica, la Speranza. Ora quando Epimeteo aperse il fatal vaso, tutti i mali ne uscirono, e malattie, cure, affanni, fame e sciagure si sparsero sulla Terra, non risparmiando neanche un luogo abitato da uomini. Chi ebbe pietà degli uomini, quando tutti i mali rinchiusi nel vaso di Pandora si versarono su loro? - Giove, il misericordioso. Egli s'affrettò a rinchiudere il coperchio del vaso, quando già stava per sfuggirci anche la Speranza, sicchè questa rimase agli uomini anche a lato e nonostante le loro molte miserie. Chi era Dedalo? - Un artista straordinariamente destro ed ingegnoso, che fabbricava delle statue che si movevano da sè. Che cosa fece di Dedalo un assassino? - La sua gelosia d'artista, Egli era bensì uno scultore e conosciutissimo; pure appunto uno dei suoi scolari si mostrò al pari di lui valente, sicchè egli temette di venir superato. Questo pensiero gli rese insopportabile la vita, sicchè, per liberarsene, condusse un giorno il suo rivale su una roccia e da lì lo precipitò nel mare. Per salvarsi poi dalle conseguenze del delitto, si diede alla fuga. Dove riparò Dedalo? - Dopo molto errare giunse nell'isola di Creta, dove il re dell'isola Minosse lo incaricò di costruirgli un labirinto, un edificio sterminato con tanti corridoi e vie tortuose, che nessuno, una volta entratovi, fosse capace di trovarne l'uscita. A che serviva il labirinto costruito da Dedalo al re Minosse? - Esso doveva essere l'abitazione del Minotauro, un mostro mezzo uomo - mezzo toro, che secondo la leggenda abitava nell'isola di Creta. Il nutrimento del Minotauro era appunto la carne di quei disgraziati, delinquenti o prigionieri, che Minosse mandava nel labirinto, senza la possibilità di mai più uscirne. Come procurava Minosse abbastanza nutrimento al mostro? - Egli imponeva alle nazioni da lui vinte sacrifici umani. Così p. e. Atene gli doveva sacrificare ogni nove mesi sette giovinetti e sette vergini perchè il figlio di Minosse fu una volta assassinato nelle mura di Atene. Quale fu la sorte di Dedalo? - Dopo alquanti anni egli cadde in disgrazia presso il re, e Minosse lo fece rinchiudere insieme a suo figlio Icaro nel labirinto. Come riuscì Dedalo a salvarsi dal labirinto? - Egli costruì per sè e per suo figlio delle ali, se le attaccò addosso con cera, e, dopo aver ammonito Icaro di non sollevarsi in alto, si librò insieme a lui in aria. Come seguì Icaro il consiglio del padre? - Lo sventato fanciullo dimenticò l'ammonimento paterno, nella gioia del volo salì sempre più in alto, e giunse finalmente tanto vicino al Sole, che la cera delle sue ali si sciolse ed egli precipitò nel mare dove trovò la morte. Chi liberò gli Ateniesi dal tributo umano, imposto loro dal re Minosse? - Teseo, figlio del Re Egeo di Atene si offerse spontaneamente di liberare la sua città e si allestì una nave, che per la sua truce destinazione aveva la vela nera. Il re Egeo diede però al timoniere anche una vela bianca e gli ordinò che nel ritorno issasse la vela soltanto nel caso che Teseo nell'ardita impresa fosse morto, altrimenti issasse la vela bianca, onde il re già da lontano sapesse se il figlio viveva. Come eseguì il suo compito? - Egli approdò a Creta e pregò re Minosse di rilasciare agli Ateniesi il tributo. Quale condizione pose Minosse per rinunziare al tributo di Atene? - Egli esigette da Teseo che ammazzasse il mostro del Labirinto, perchè calcolava che se anche Teseo non fosse caduto vittima del Minotauro non avrebbe trovato l'uscita dal Labirinto. Chi aiutò con una fine astuzia Teseo ad eseguire il suo compito? - Arianna la figlia del re di Creta. Essa diede a Teseo un gomitolo, legò la cima del filo all'entrata del Labirinto e consigliò Teseo di lasciare correre il filo man mano che procedeva, onde nella via del ritorno seguendo il filo, trovasse l'uscita. Quale fu l'esito della lotta tra Teseo ed il mostro? - Dopo una dura lotta Teseo riuscì a vincere il Minotauro e seguendo il filo di Arianna uscì dal Labirinto. Come dimostra Teseo la sua gratitudine ad Arianna per il suo saggio consiglio? - Egli la volle sposare e la indusse ad accompagnarlo sulla sua nave ad Atene. In che isola fecero la prima sosta? - Nell'isola di Nasso, sacra a Dio Bacco. Quando però Bacco che allora s'intratteneva nella sua Isola, vide Arianna, fu tanto ammaliato dalla sua bellezza, che ordinò in sogno a Teseo dormente di imbarcarsi immediatamente, abbandonando Arianna. Che fece Teseo? - Uscì di soppiatto dalla sua tenda e s'imbarcò, e quando Arianna più tardi si svegliò, si trovò abbandonata nell'isola solitaria. Come fu compensata Arianna per il dolore che le fu inflitto? - Bacco le comparve in tutta la sua divina bellezza, la fece sua moglie e dea. Cosa accadde nel frattempo con Egeo? - Egli andava giornalmente sulla vetta d'un'altra rupe in riva al mare e scrutava con nostalgia l'arrivo della nave del figlio. Infine un giorno vide da lontano la sospirata nave. Ma il timoniere aveva dimenticato d'issare invece della vela nera, la bianca e vedendo la vela nera, credette che il figlio fosse morto. Disperato si precipitò nelle onde, ed allora quel mare si chiamò il mare Egeo. Chi era Paride? - Uno dei cinquanta figli del re Priamo di Troia e di sua moglie Ecuba, a cui l'oracolo prima della nascita di questo figlio aveva predetto che invece d'un figlio essa partorirebbe una fiaccola, che avrebbe incendiato tutta Troja. Cosa fece Ecuba col piccolo Paride in seguito a questa profezia? - Essa espose il neonato sul molte Ida, dove fu allattato da una orsa ed allevato da un pastore che ne fece il custode delle greggi reali. Che narra la leggenda delle nozze di Tetide e di Peleo? - Poichè Tetide era di stirpe divina, alle sue nozze parteciparono tutti gli dei e le dee; che la colmarono di doni nuziali; soltanto Eride, la dea della discordia, non fu invitata. Come si vendicò Eride dell'offesa patita? - Aprì la porta e gettò in mezzo alla brigata un pomo d'oro con la leggenda « alla più bella » e sparì. Questo fu il vero pomo della discordia, perchè ciascuna delle dee esigeva per sè il pomo. Come fu risolta la lite insorta tra le dee? - Dopo molte discussioni e dissidi le altre dee si ritirarono; soltanto Minerva, Venere, Giunone continuarono a disputarsi il primato di bellezza, e poichè lo stesso Giove non voleva decidere in persona, comandò a Mercurio di condurre le tre dee sul monte Ida da Paride, il quale era noto come il miglior intenditore della bellezza femminile. Come tentò ciascuna delle dee di corrompere il giudice? - Giunone gli promise di farlo il più potente e più ricco della terra, Minerva di farlo il più saggio fra tutti gli uomini, e Venere gli promise la più bella delle donne. Paride prese il pomo e lo offerse a Venere. Chi era Achille? - Il figlio di Peleo e di Tetide, alle nozze dei quali sorse la lite d ella bellezza tra le dee. Prima della sua nascita gli fu predetta un vita lunga, ma senza gloria, se fosse rimasto a casa; invece una vita breve, ma imperituramente gloriosa, se fosse andato in guerra. La madre angosciosa, per renderlo invulnerabile, lo immerse, subito dopo la nascita, nell'acqua del fiume Stige, che aveva la proprietà di assicurare il corpo contro qualsiasi lezione. Durante l'immersione però essa tenne il piccolo corpo per il tallone, sicchè quel punto rimase nonostante l'immersione, vulnerabile (il tallone di Achille). Come accadde che Priamo riconobbe in Paride il suo figlio esposto? - In occasione dei giochi che si celebravano in Troja, il re pose come premio del vincitore il più bel toro delle sue greggi, che era anche il toro prediletto da Paride. Perchè si presentò anche lui al torneo, ed avendo in lizza riportato vittoria persino sull'altro figlio di Priamo, il prode Ettore, tutti gli domandarono chi egli fosse: fu poi la profetessa Cassandra, figlia anche essa di Priamo, che svelò il segreto della sua nascita. Che incarico diede Priamo al suo ritrovato figliuolo Paride? - Lo mandò in Grecia a cercare una sorella del re, che fu molto tempo prima rapita dal Telamone e condotta in Grecia. Dove approdò Paride? - In Sparta, dove non incontrò re Menelao, che allora stava viaggiando, ma incontrò invece la sua bella moglie Elena, di cui tosto s'innamorò. Elena fu presa d'amore per il bellissimo straniero e si lasciò persuadere di seguirlo a Troja. Che conseguenze ebbe questo fatto? - Il re Menelao di Sparta - per vendicarsi dell'ingiuria - stimolò tutti i principi della Grecia a far guerra a Troja, e così il giudizio di Paride nella gara di bellezza delle dee fu la causa prima della decennale guerra trojana.

Pagina 390

Le belle maniere

180021
Francesca Fiorentina 1 occorrenze
  • 1918
  • Libreria editrice internazionale
  • Torino
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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E' vero che quest'ultime si ripagano spesso abbondantemente ne'crocicchi delle strade, o dall'erbivendola; ma, via, non è la stessa cosa. Le poverette non hanno gran possibilità di scelta nelle chiacchiere; la loro vita è così monotona! E' imperdonabile, poi, che di tal genere di persone, noi, che dovremmo essere gente educata, numeriamo sempre i difetti, senza trovare neppure un'attenuante. E pensare che gli avvocati ne inventano per gli assassini, perfino per i matricida! Io mi rivolgo soltanto una domanda:se noi, che siamo un po'più liberi di foggiarci la vita a modo nostro, e dovremmo avere un grado d'educazione superiore, manchiamo così spesso, perchè dovrebbero non mancare le persone di servizio, che ne hanno tante e tante occasioni? Che dite voi, figliole mie? Intanto sarete d'accordo con me su questo punto:che se voi non state bene, o siete contrariate in qualche vostro desiderio, sentite súbito i nervi tirare, e provate una voglia matta di ribellarvi a costo di non trattar bene le persone stesse che amate. E' vero? Sì, sì, confessatelo. Allora seguite con me, per un momento, questa disgraziata creatura, che si chiama"donna di servizio", nella sua giornata. La mattina, per quanto le palpebre siano appesantite, sien fiacche le membra e la notte sia stata insonne, le tocca alzarsi; chè, se tarda un po', sono richiami, scampanellate, grida. Chi vi pulirebbe le scarpe, chi vi preparerebbe la colazione? E poi ci sono i pavimenti da lustrare, i mobili da spolverare, forse le legna da spaccare o l'acqua da tirar su, poi c'è la spesa. Con quanta tremarella rientra in casa! Chi sa che ramanzina le farà la padrona! Infatti. . . . . - Credevo che tu ti fossi perduta nella nebbia! - Com'è tigliosa questa carne! - Ma questo cavolo è marcio ! - Non sei proprio capace di contrattare; già i soldi non sono tuoi! La poveretta inghiottisce la pillola, e indossa il grembiulone per mettersi attorno al fuoco. Si scalmana, suda, s'arrabatta, e poi. . . . Il lesso è scipito, l'arrosto sa di cipolla, l'umido è legnoso, l'intingolo non è ben legato. Altra pillola! La disgraziata tuffa le mani nell'acqua, e s'accinge a rigovernare. - In fretta, veh! perchè ci sono da lavare que'panni, che, se no, ammuffiscono. Poi c'è da rammendare qualcosa, poi da preparar cena, poi, poi. . . . E ogni sua occupazione può essere interrotta tre, quattro, dieci volte, se tale, per caso, è il vostro capriccio; e la spazzatura già ammucchiata può spargersi nuovamente sotto i vostri piedi che passano incuranti, o a un soffio di vento; e l'acqua unta della rigovernatura può freddarsi, e l'oscurità può scendere mentre pochi panni aspettano l'ultima risciacquatura. Non un minuto di respiro, non una parola buona, non un tender di mano, non uno sguardo pietoso, un atto che le dimostri che anche lei è una creatura umana, con un'anima viva, con un cuore che sente. . . nulla! Se voi, figliole, impallidite un istante, qualcuno súbito se n'accorge, si turba, vi domanda che cosa avete, vi forza al riposo, v'offre una medicina, vi circonda di cure. Ma la donna di servizio, abbia pur nel viso le tracce d'una vera sofferenza, deve seguitare indefessa il suo lavoro, senza un aiuto come se nulla fosse, perchè ogni sua ora, ogni suo minuto è pagatoe i padroni non vogliono rimetterci. Se poi il male è grave, se è costretta ad assentarsi, quanti rinfacciamenti, quanti lagni, quante parole pungenti, pronunziate a denti stretti nelle rarissime scappatine che si fanno nella sua camera, la quale, il più delle volte, è un oscuro stambugio! Per molto meno s'eccitano i vostri nervi; ma quelli della"serva" devono essere d'acciaio, nè hanno diritto di vibrare. Sul suo viso nessun'ombra deve scendere, nessuno scatto deve scoterle la persona; sarebbe un'offesa personale ai padroni. Gli uomini possono insultarla, perchè hanno gravi preoccupazioni, le donne perchè sono eccitabili, i bimbi perchè non capiscono; ma a lei non valgono per scusa il lavoro forzato, nè i malesseri comuni co'vostri, nè la vita randagia, nè la lontananza da'suoi, nè la pena per i dispiaceri della sua casa, di cui non fa più parte, ma a cui pensa spesso con nostalgico scoramento. Il quadro ch'io v'ho presentato sembra troppo fosco, ma ahimè! i miei occhi ne hanno potuto cogliere la realtà in certe famiglie, a cui non vorrei che somigliassero le vostre. E voi aspettate uno spirito di sacrifizio da persone che, generalmente, sono trattate così? Voi dimenticate troppo spesso che la vostra "serva" - così la chiamate - prima d'esser tale, è un individuo della grande famiglia umana alla quale voi pure appartenete.

Pagina 141

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180611
Barbara Ronchi della Rocca 2 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
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Naturalmente, è vietatissimo fumare in cabina e sconsigliato cospargersi abbondantemente di profumo.

Pagina 155

Sono quelli che, vantandosi di non «fare complimenti», si stiracchiano voluttuosamente e si grattano in pubblico, sbadigliano mostrando anche le tonsille, si toccano continuamente i capelli, starnutiscono senza proteggere gli astanti dalla «pioggia», controllano con cura nel fazzoletto i «risultati» dopo essersi soffiati il naso, siedono a gambe larghe, a tavola scelgono il meglio dal piatto di portata, o si servono così abbondantemente da non lasciarne a sufficienza per gli altri commensali... Dovrebbero avere più attenzione per chi guarda, e un po' meno invece per i propri vestiti, quelli che perseverano nell'antiestetica abitudine di sollevare il dietro del cappotto prima di sedersi - per non parlare di chi lo fa anche con la gonna. Non commento oltre.

Pagina 38

Il Galateo

181528
Brunella Gasperini 1 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
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, ma sono generalmente disposti a raccogliere un'autostoppista femmina e carina (come se una ragazza carina non potesse essere abbondantemente fornita di esplosivi, marijuana e parassiti). A costo di passare per sconsiderata, devo dire che durante le vacanze noi di famiglia abbiamo spesso dato passaggi a questi variopinti ragazzi con lo zaino e il pollice alzato, maschi o femmine, con o senza bandierina nazionale infilata nello zaino, con o senza chitarre, barbe e capelli fluenti; ci siamo sempre divertiti (spiegandoci in miscugli orripilanti di lingue), abbiamo imparato da loro cose che non sapevamo, e loro da noi; alcuni, a distanza di anni, vengono ancora a trovarci in Italia. Nessuno ci ha mai rapinati, contagiati, drogati, o è stato villano con noi. Qualcuno dirà che siamo dei fortunati incoscienti. Può essere. E infatti siamo i primi a dire che, se non si ha simpatia per gli autostoppisti, o se ne ha paura, è molto meglio lasciarli a terra: anche perché, una volta che si ha un ospite a bordo, bisogna trattarlo con cordialità e fiducia, non con nervosismo o sospetto. Se per qualsiasi motivo un autostoppista non vi ispira fiducia, tirate dritto senza rimorsi: se è arrivato fin lì, se la caverà anche senza di voi. È largamente nel vostro diritto non accogliere sconosciuti nella vostra auto, neanche durante le vacanze: però è inutile che vi giustifichiate dicendo che tutti gli autostoppisti sono pezzenti, tossicomani, delinquenti. Tra quelli che abbiamo raccolto noi ricordiamo, per esempio, un professore universitario (americano), un missionario (francese) e un architetto (svedese) molto ricco, che viaggiava in autostop non già perché fosse tirchio, ma perché voleva fare esperienze nuove e dirette: viaggiando da ricchi, diceva, non si conoscono veramente né i paesi, né la gente, né i loro usi genuini: i grandi aerei e i grandi alberghi sono uguali in tutto il mondo.

Pagina 190

L'angelo in famiglia

182666
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
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Essi molto facilmente non saranno perfetti, ma Dio solo ha il diritto di sindacarli, di condannarli, perchè solo ha il volere e il potere di premiare abbondantemente le loro virtù ed i loro sacrificj. Oh! tu riverisci il padre tuo e la madre tua, poichè sulla loro fronte risplende l'autorità stessa di Dio, di quel Dio che ha voluto darti la vita per loro mezzo, che li ha incaricati del tuo allevamento, della tua educazione, ed ha loro scolpito nel cuore un affetto tenerissimo per te, affetto che li porta a sagrificarsi continuamente pel tuo bene. Ma la riverenza che tu porti ai tuoi genitori non dev'essere sterile; essa dev'essere mossa, accompagnata, indivisibile da un grande amore, da un amore che trae le sue fiamme dal cuore stesso del Dio di amore, da un amore che genera un'obbedienza pronta, cieca e costante. Questo io credo sia il punto più difficile, poichè quanto al rifiutare riverenza ed affetto ai genitori, questa è fortunatamente la triste prerogativa di non molti figli snaturati che tu non sei davvero tentata ad imitare. Pure l'obbedienza, che spontaneamente dovrebbe scaturire dalla riverenza e dall'affetto, come acqua dal fonte, pure l'obbedienza ci costa fatica, e tu pure, non vale dissimularlo, talora sei tarda, curiosa, instabile. Da che mai proviene questo strano disordine? Proviene, a mio credere non tanto dalla pervicacia del volere, quanto dalla debolezza nostra, da quella debolezza che ci fa ripetere col poeta: E veggio il meglio ed al peggior m'appiglio. Di solito l'obbedienza dovuta ai genitori è strettamente legata all'obbedienza della legge divina, poichè ordinariamente essi ci ordinano quello che Dio vuole da noi, ed essi non sono se non uno strumento, vorrei quasi dire, un portavoce della parola stessa del Signore. Ed allora perchè vorremo noi rifiutarci ad obbedire subito senza indugio, senza esame, e sempre? Molte volte invece gli ordini paterni ci appajono nudi nudi e privi d'ogni autorità superna; pure se apertamente non sono contrarj alla legge del Signore, nel qual caso noi siamo tenuti ad obbedire il Padre del cielo, perchè oltre che Egli è Padre a noi ed al padre nostro, è altresì nostro Creatore e Maestro e Sovrano; tranne questo caso difficile molto e molto raro, noi siamo tenute ad obbedire gli ordini paterni prontamente, cecamente, costantemente. Se la tua mamma ti comanda di coricarti o di levarti per tempo, di uscire o di restar in casa, di lavorare o di studiare, di fare questa o quella cosa, tu dai prova d'un amor molto fiacco se obbedisci lentamente, o di malavoglia, e la tua mamma sgradisce il servizio tuo e tanto più lo sgradisce se oltre la proroga che ti prendi in renderglielo, gliene domandi il perchè. Non è più obbedienza quando si conosce la ragione per cui ci viene ordinata una cosa; od almeno è un'obbedienza di second'ordine, un'obbedienza poco meritoria. Se la mamma ti proibisce di stringere confidenza con quell'amica, di parlare con quell'altra, certamente essa ha le sue buone ragioni che prudenza e carità le impediscono di comunicarti, e se anche te le comunicasse tu non le comprenderesti, perchè giovane ed inesperta. Credilo, la tua stessa convenienza t'insegna ad obbedire senza sottoporre ad esame l'ordine che ti viene impartito, e t'impegna ad obbedire sempre, oggi come jeri, domani come oggi. Un giorno tu stessa potresti diventar madre pur restando figliuola, e come potrai pretendere un'obbedienza maggiore di quella che tu presterai alla madre tua? Siamo all'ultimo dovere che ti obbliga inverso i tuoi genitori; ultimo di posto, ma non ultimo d'importanza. Esso è il soccorso. Sì, noi dobbiamo loro soccorso di consiglio, d'opera e di preghiera, lo dobbiamo se buoni o se cattivi, lo dobbiamo se le nostre membra hanno il vigore della giovinezza, o se sono intorpidite dal peso degli anni. Se il padre o la madre nostra per qualche circostanza hanno d'uopo del tuo consiglio, tu devi tenerti altamente onorata nel prestarglielo, e devi porre ogni studio perchè la tua parola non suoni rimprovero o mortificazione, ma riverenza ed affetto; quantunque la natura istessa del consiglio che devi prestare renda evidente la superiorità delle tue cognizioni, del tuo ingegno, o della tua esperienza, se tu pensi che Dio tutto ti ha procurato col loro mezzo, ti sarà facile farne ridondare ad essi, dopo che al Signore, quel merito qualsiasi che tu ne puoi avere. Così facendo non farai pagar caro l'ajuto tuo, chè se ad esso fosse unita una dose anche minima di orgoglio, anzichè ajuto, il tuo sarebbe un peso. Già ti ho dato un cenno essere tuo debito ajutare i tuoi genitori a liberarsi dai loro difetti; ora aggiungo che devi adoperare ogni mezzo per riconciliarli con Dio, se sventuratamente gli fossero nemici, e che prima di tutto devi predicar loro col tuo esempio, col tuo affetto, colla tua annegazione. Se tu hai la grande ventura di prestare le ultime cure al padre o alla madre tua, non ti contentare di procurar loro una o molte infermiere, pochi o molti comodi; ma tu stessa, fossi tu pure una principessa od una regina, presta loro tu stessa i servigi più umili e più faticosi per quanto il comportino la tua salute e la tua complessione, chè il tuo grado e la tua dignità, benchè altissimi, non ne patiranno nocumento od alterazione di sorta. Se il tuo fisico soverchiamente delicato ti toglie e ti impedisce l'adempimento di questo dovere 22 osservane almeno lo spirito, facendo tutto quanto ti è dato di poter fare. Ma oltre a quest'obbligo di materiale soccorso, ve n'ha uno di ben maggiore importanza, che ha di mira direttamente l'anima. Se i tuoi genitori, o qualunque altro di tua famiglia ammala gravemente, tu sei strettamente tenuta a procurar loro i conforti religiosi, senza attendere che l'agonia togliendo loro il possesso della vita, tolga insieme la serenità della mente indispensabile a prepararsi al grande passaggio. Molte persone soverchiamente delicate, temono di accelerare la morte delle persone carissime, coll' avvicinare al loro letto il Ministro di Dio. Temono di spaventarle; ma perchè non temono di mandarle per il loro stesso timore dritte dritte all'Inferno, oppure a giacere lungamente in Purgatorio? Insensate, snaturate! Non vedete che la vita sfugge, che un'ora od un giorno di più o di meno non aggiunge o diminuisce che un'ora od un giorno di cruccio e di tormento? Non vedete, non sapete che l'altra vita dura eternamente, e che dipende da voi chiamare a quel letto un prete il quale ha la rappresentanza e la potestà stessa di Dio, e che in suo nome potrà dire con verità, come Gesù alla Maddalena:Va, ti sono rimessi tuoi peccati? E poi non è, credilo, non è proprio vero che il confessore e la confessione abbrevino la vita; jeri stesso io ho sospeso lo scrivere per correre al letto di una signora mia conoscente che, repentinamente sorpresa dalla malattia, si trovava a fil di vita. I figli tutti volarono a quel letto, ma non tutti con uno stesso pensiero, perchè non tutti informati allo spirito di Dio. Una figlia, madre essa pure, gracile di fibre, ma forte di virtù, mandò tosto pel prete, il quale venne subito e ad onta che altri figli, liberi pensatori, vedessero di mal occhio la sua visita, la confessò e la riconciliò col Signore. Non si spaventò quella signora, benchè non molto usa alla Chiesa ed ai Sacramenti; no non si spaventò, nè è morta per le premure religiose della buona figliuola, chè anzi avendo tranquillato il suo cuore, e perdonato e chiesto perdono agli offensori ed agli offesi, superò la crisi del male, ed oggi migliorata di molto, ci lascia tutti nella speranza di una pronta guarigione. Ci resta ora a parlare del soccorso materiale e pecuniario da noi dovuto ai genitori nostri, e questo si può dire in poche parole, poichè ognuno di leggieri ne comprende l'importanza. Se essi si trovassero bisognosi ed affamati, e noi avessimo un pane, dimmi non saremmo noi obbligate a dividerlo con essi? Se poi noi ci trovassimo in condizione molto diversa dalla loro, noi non dovremmo pur mai vergognarci dei nostri genitori, ma dovremmo fare ogni sforzo perchè la loro condizione fosse il più possibilmente migliorata, secondo almeno il loro stato. Per quei figli che disprezzano o lasciano languire nella miseria i genitori, nei loro vecchi anni, mentre ne li potrebbero sollevare, sono terribili i flagelli minacciati dal Signore, e desolata quella generazione sulla quale è piombata, in un'epoca anche lontana, la maledizione paterna!... Ma scusami, io aveva un momento dimenticato che parlo ad una figlia modello, ed ho commesso l'indiscrezione di conturbare il tuo sguardo con uno spettacolo d'orrore. Tu invocherai, tu attirerai sul tuo capo e sul capo di tutti quanti verranno dalla tua famiglia la paterna benedizione, perchè dopo d'avere onorato il padre e la madre tua colla riverenza e coll'affetto, coll'obbedienza e col soccorso materiale e spirituale, sempre sempre li ajuterai colla preghiera, con quel profumo che partendo dal cuore s'innalza a Dio per presentargli le necessità proprie e le altrui. Sì, sì, la preghiera tu la leverai calorosa e costante specialmente pei tuoi genitori, affinchè, se vivi, si facciano o si mantengano fedeli al loro Signore, e, se morti, il perdono, la pace e la gioja sempiterna del Paradiso li accolga e li investa per tutta la beata eternità. Se tu sarai una figlia riverente, obbediente, soccorrevole, io ti predico le più elette benedizioni da quel Gesù che nella sua vita mortale insegnò coll'esempio e colla parola come si rispetti, si obbedisca, si soccorra chi ci ha dato la vita del corpo. Egli era Dio, e si fece obbediente a Maria ed a Giuseppe, il quale neppure era padre, ma solo ne fungeva le veci; e tu ed io crederemo di troppo umiliarci col prestare il nostro ossequio e la nostra devozione al padre ed alla madre nostri od a coloro che li rappresentano?...

Pagina 327

Il codice della cortesia italiana

184734
Giuseppe Bortone 3 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
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Una signora dalla linea spiccatamente tonda e dalle curve abbondantemente pronunziate, che voglia vestire attillata; un'altra, da un bel viso di luna piena, che voglia portare il cappellino a guscio d'ovo; la sessantenne che si faccia acconciare sulla fronte una grigia frangetta a mo' di bimba - perché cosí prescrive la moda - non sono eleganti, ma goffe e ridicole. Ben se ne accorgerebbero se avessero gli occhi dietro la nuca e potessero notare gli sguardi strani e i sogghigni delle altre signore: non di rado, anche quelli dei signori uomini, pur essendo essi di manica larga, piú generosi, perché si fermano meno sui particolari. Per gli uomini, è ridicolo seguire la moda; essi, pur tenendone presenti le linee generali, debbono - nel vestire, come in tutto il resto - far prevalere il gusto personale, evitando ogni ricercatezza ed ogni effeminatezza, che sminuirebbero la loro dignità e la loro serietà. Se si sapesse come nasce la moda! Alcuni anni fa, un mio amico che vive a Parigi, un capo ameno quasi quanto me, ma fra i piú accreditati lanciatori di figurini, fece un viaggio al Madagascar e ne tomò ricco sfondato; perché, avendo caricato un piroscafo di pelli di scimmia, di cui, al Madagascar, c'era allora un'epidemia, appena a Parigi, lanciò la moda delle guarnizioni di pelle di scimmia. Poi, divertendosi un mondo, mise un allevamento di marmotte e, due anni dopo, lanciò la moda delle guarnizioni di pelle di marmotta! Ora - beato lui! - non lancia piú i figurini della moda, ma passa la sua vita fra due magnifiche ville: una al mare, al cui ingresso si vede uno scimmione imbalsamato che ride; e una in montagna, dove si è accolti da una imbalsamata marmotta in atto di canzonare. E oggi - non so se tutte le signore ne sieno a conoscenza - la pelliccia piú elegante è quella arca di Noè, fatta con ritagli di pelle d'ogni sorta; e tanto piú è elegante quanto piú è varia. Non si errerebbe affermando che la maggior parte delle donne sarebbero disperate, se le avesse fatte la natura come le concia la moda. Vero è che, nella scala zoologica, la femmina dell'uomo non è quella che ricorre al maggior numero di civetterie; ma è vero altresí che, nelle femmine degli altri animali, le civetterie sono - pare impossibile! - meno irragionevoli. La natura si corregge, ma non si altera, non si deforma: il trucco conseguirà il suo effetto soltanto a condizione che non si scopra. Vestirsi, specialmente per le signore, è un'arte, e l'arte suppone delle sfumature, una personalità: nel vestire, esse hanno una eccellente occasione di dar prova del loro gusto e di rivelare appunto la loro personalità: ed esse lo faranno soltanto a condizione che si sottraggono agli artifizi e alle esagerazioni. Quante donne non vediamo che, belle per se stesse, vestite di stoffa preziosa e di taglio perfetto, tuttavia non sono eleganti? Evidentemente, esse non sanno mettere in valore né la loro grazia, né l'eccellenza di ciò che indossano, né le cure spese per loro dall'artefice. Ciò vuol dire che l'eleganza non consiste in qualcuna di queste cose, o in tutte messe insieme: ciò vuol dire che i fattori essenziali dell'eleganza sono doti che, se si sono avute da natura, tanto meglio; diversamente, possono svilupparsi. Quando una signora indossa un vestito nuovo, un bel vestito, non deve aver l'aria, direi quasi, di essergli straniera; non deve dare l'impressione di pensare ad esso; i suoi atteggiamenti non debbono perdere la spontaneità; non deve farsi assalire da preoccupazioni e da timori che, per quanto non espressi, si notano ugualmente e contribuiscono a distruggere la bella armonia fra la persona e il suo abbigliamento, che è la nota essenziale, il fondamento della eleganza. Dicasi lo stesso per ogni altro particolare dell'acconciatura: preoccuparsi troppo della tinta delle labbra, della cipria, della espressione degli occhi, del sorriso, significa rimanere col pensiero fisso a queste cose, estranei alla conversazione, con lo spirito lontano: ogni naturalezza, ogni spontaneità è perduta! Se ciò dipende da timidezza, perchè non fare in casa l'abitudine d'indossare quel vestito, di acconciarsi in quel dato modo? In famiglia, la naturalezza e la spontaneità non sono sacrificate; le esagerazioni e le preoccupazioni sono bandite: una volta, poi, fatta l'abitudine, la spontaneità si conserva sempre e dovunque. In altre parole, bisogna, in ogni caso e sopra tutto, « essere se stessi ». Ecco ciò che, a questo proposito, è scritto nel nostro Dizionario della moda: « Personalità. - Le signore parlano spesso di personalità: le signore e anche i signori. Oggi è molto diffuso, né sempre è riprovevole, l'orgoglio per cui ciascuno mantiene vivo e palese il complesso delle sue particolari qualità, inclinazioni, preferenze; e tutte insieme costituiscono appunto la personalità. Nel campo della moda, poi, essa è la forza che presiede ad una funzione tra le piú delicate e rappresentative, vale a dire alla scelta degli abiti, essendo sempre desiderio delle signore trovare abiti che rivelino al mondo la loro personalità. Ma in che modo compiono gli abiti tale funzione? La compiono valendosi di quello che essi stessi dicono, perché ogni veste e ogni stoffa, come pure ogni cappello e ogni scarpa, dicono sempre qualche cosa, e assai chiaro è il loro discorso. Dicono quello che le signore vorrebbero che poi dicessero al mondo, quando, nel mondo, docilmente vestendole, le accompagnassero ». Si son vedute recentemente, nelle varie metropoli dei continenti, le piú straordinarie aberrazioni della moda: sulle calze femminili, uccelli, serpenti, fiori dipinti con colori «elettrici »; sui toraci maschili, lembi di caprone saldamente incollati e arricciolati « permanentemente »; agli orecchi, pesanti cerchi e catenelle con amuleti; ai polsi, massicci bracciali d'ogni materia e d'ogni foggia; sulle braccia, femminili e maschili, indelebili ghirigori mostruosi. Altro che « bizzarrie della moda »! In verità le nostre donne - sia detto a loro onore! - non soltanto non le hanno mai incoraggiate, ma cordialmente le deridono nelle rare apparizioni sui palcoscenici dei caffèconcerto . In conclusione, mettere un po' piú di buon senso nel seguire la moda non è male. Qui, come dovunque, « il troppo stroppia ». Pur volendo concedere alle nostre brave donne che uno degli scopi della loro vita - non l'unico, né il principale beninteso! - sia quello di piacere, bisogna si persuadano che il seguire servilmente la moda non è la via piú indicata per raggiungerlo. Le « novità » troppo frequenti, la ricercatezza, le eccentricità non rendono le donne eleganti, ma pretenziose o goffe; le rendono pericolose per le, forse, non pingui tasche degli eventuali futuri mariti - quindi, sa-pien-te-men-te, non ricercate, né elette - le rendono, in fine, antipatiche e insopportabili all'ingenuo già accalappiato...

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Preferire la maglia alla camicia se si traspira abbondantemente. Per tutti, una grossa maglia pesante da indossare a gioco finito. Si va al gioco vestiti da passeggio, per mettersi in tenuta nell'apposita cabina. Quando ciò non sia possibile, le donne ci vanno con un mantello, e cambiano sul posto soltanto le scarpe. Le racchette non si portano nel fodero. Altro gioco di moda è quello che si fa sulla neve, con grossi e lunghi pattini, detti, con termine danese, schi. In verità lo schiare - o sciare - ha avuto una meritata fortuna; ed è veramente salutare che i nostri giovani si sieno sottratti all'atmosfera grassa e sfibrante delle sale da ballo per recarsi in montagna a respirare l'aria pura delle vette, a sollevare e rafforzare il corpo e lo spirito. Aggiungerò, a proposito di questo gioco, che, ogni anno, all'apparire della prima neve sulle alture, in molte famiglie, succedono grandi polemiche. C'è la vecchia generazione, che non comprende come si possano affrontare ore ed ore di treno, disagio delle terze classi affollate ed ingombre, qualche notte insonne, per appena qualche ora di libertà e di corsa sulle candide alture. Effettivamente, non hanno torto, sopra tutto quando si tratti di escursioni di fine settimana; sia perché non v'è proporzione tra le pesanti fatiche del viaggio e la breve permanenza ricreativa in montagna, sia perché si assoggetta l'organismo a possibili traumi pericolosi, facendolo passare d'un tratto dalla vita sedentaria delle città a questo moto violento, con brusco cambiamento di clima, di altitudine, di vita. Però, nel maggior numero di casi, tutto ciò giova, e giova, perché è fatto con gioia, con ardore, con entusiasmo ; e la miglior risposta che i giovani possano dare ai « sorpassati » sono i vivi e bei colori, la leggerezza e lo slancio fiero nella persona quando ritornano. Quanto all'equipaggiamento, prendere il meno possibile, ma bene scelto, sí che si abbia a portata di mano quanto può occorrere per le gare, per l'igiene, per i piccoli infortuni d'ogni genere. Le donne indossano la medesima tenuta degli uomini, aggiungendo qualcosina che sia come il segno di una sana e gioiosa femminilità. Se non si va in gita, ma per fermarsi qualche tempo in montagna, l'equipaggiamento è piú complicato, perché, negli alberghi di montagna, d'inverno come d'estate, la vita elegante ha molte esigenze. Altre importanti manifestazioni sportive sono il gioco del pallone, della pallacanestro, della palla a calcio, della lotta, del croquet, del golf, del polo, ecc., qual piú qual meno di uso o di moda nei vari Paesi; e ci sono, poi, il ciclismo, l'equitazione, la caccia, la scherma...: basta qui averle ricordate, e, sopra tutto, aver raccomandato che né la passione o la foga del gioco, né la brama di vincere possono autorizzare o giustificare la benché minima infrazione alle leggi della cortesia. Che anzi, nessuna occasione piú delicata di questa, per dimostrare - o col vestiario appropriato, o con la squisitezza delle forme, o col modo di trattare gli avversari - la propria perfetta educazione, la propria signorilità.

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La quale, del resto, ha, come tutte le altre epoche della vita, le sue gioie peculiari, che non sono certamente quelle effimere e sciocche che possano derivarci dalle chiome, per quanto abilmente tinte, o dalla epidermide, per quanto vigorosamente stiracchiata e abbondantemente ricoperta di creme. Chi riuscí simpatico e caro nella giovinezza e nella maturità lo riesce anche, ed anche piú, durante la vecchiezza. Del resto, la natura, provvida sempre e sempre madre benevola, s uggerisce quali sono le soddisfazioni che bisogna chiedere all'età; ed essa stessa ne è larga dispensatrice: chi vuol sottrarsi alle sue leggi ne è punito nella maniera piú atroce: col ridicolo! Non si pensa, invece, quanto è piú difficile essere giovani; è tanto difficile, che si comprende l'incanto della giovinezza soltanto allorché essa è per abbandonarci! E gli anni giovanili, se trascorsi senza la consapevolezza profonda dei tesori che essi contengono, sono anni non vissuti; come è salute non goduta quella di coloro che si accorgono della felicità di esser sani soltanto quando sono ammalati. Né le donne belle sono sempre simpatiche e care, perché ostentano la loro bellezza quasi fosse un merito personale; perché, come si suol dire, la fanno pesare. E i ricchi non son sempre benevolmente guardati e giudicati, appunto perché ignorano il precetto fondamentale dell'« arte d'esser ricchi », ossia non agiscono in maniera da farsi perdonare la ricchezza di cui godono.

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Come devo comportarmi. Le buone usanze

184934
Lydia (Diana di Santafiora) 1 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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Si lavorava poco e con calma: l'industriale poteva fare il suo comodo, perchè era ignota la concorrenza; l'impiegato non aveva che poche ore da stare in ufficio per sbrigare le sue mansioni e l'obbligo dell'orario non era così ferreo come oggi; il medico, l'avvocato passavano le loro giornate chiacchierando coi loro pochi clienti, dai quali ricavavano abbondantemente di che vivere con decoro. Oggi, purtroppo, le cose sono cambiate: la giornata non basta più alle nostre occupazioni, e siamo costretti a sottrarre molte ore al riposo e al sonno; il nostro lavoro non ha tregua, ma ci consuma incessantemente il pensiero e il cervello. E la nevrastenia, questa malattia terribile e dolorosa, ha finito col diventare epidemica, mentre un tempo era, si può dire, ignota. Ora, una passeggiata giornaliera, che oltre a rinvigorire il corpo sia anche una tregua al nostro lavoro, è rimedio sovrano contro tanti mali. Un illustre igienista, e medico di gran valore, parlando del riposo necessario all'uomo, soleva dire: - Un'ora al giorno, un giorno alla settimana, un mese all'anno. - Consiglio veramente aureo, che noi proponiamo alla meditazione dei nostri lettori. A questo punto, qualcuno m'interrompe: - Ma come si fa? Le necessità della vita sono terribili, il tempo non basta, le spese crescono ogni giorno.... Come si può pensare al riposo, alle passeggiate? - Che dirti, povero infelice? Se veramente tu hai una famiglia numerosa, dei gravi doveri da compiere, che non ti lasciano un momento di libertà; se tu sei costretto a un lavoro improbo per dar da mangiare ai tuoi bambini, ai tuoi vecchi..., lavora, povero infelice; sarai uno di quegli eroi oscuri, uno di quei martiri ignorati dalla moderna società, che sacrificano la salute e la vita all'adempimento del proprio dovere. E se nessuno riconoscerà i tuoi grandi sacrifici, avrai almeno la coscienza e l'orgoglio d'aver fatto quello che dovevi, più di quello che dovevi. Ma, accanto a questi umili paria della società, c'è un'infinità di gente che lavora accanitamente non per vivere, ma per viver meglio; che sottrae parte delle ore di riposo per accumulare più denaro, per salire più in su, per raggiungere un posto ambito e agognato. Badino costoro a quel che fanno: non di rado, quando i denari sono finalmente accumulati, quando il posto è raggiunto, quando si crede di poter finalmente godere i frutti dell'improba fatica durata..., ecco che la vecchiaia è sopraggiunta, e non la vecchiaia vegeta e arzilla, ma la vecchiaia piena di acciacchi, l'indebolimento di tutto il corpo, la nevrastenia, l'arteriosclerosi, la paralisi. Allora, dando uno sguardo al passato, si vedono tutti gli errori commessi, si toccano con mano tutti i danni di quel lavoro insensato e continuo, che ha logorato i muscoli e il cervello. E si vorrebbe tornare indietro, per vivere una vita più regolare. Chi ha lavorato troppo è soggetto a rimorsi, come chi ha lavorato troppo poco! Abbiate dunque cura, anche se siete giovani e vi sentite forti, della vostra salute, alla quale oggi non pensate, ma che sarà un giorno la vostra preoccupazione. Lavorate; lavorate con impegno, con serietà, con intelligenza; il lavoro è, si sa, la più nobile occupazione dell'uomo, nè io intendo in alcun modo incitarvi all'ozio. Ma sappiate non esagerare, sappiate fermarvi a tempo; sappiate soprattutto intramezzare nel vostro lavoro periodi di riposo assoluto e completo, che vi ristorino a vi ricreino, come all'assetato viandante le oasi in un deserto. Soprattutto, non aspettate per riposarvi di non poterne più; chè allora il riposo dovrà essere infinitamente più lungo e potrà anche non essere più sufficiente. Il consiglio del mio amico igienista è probabilmente il più saggio di tutti: un'ora al giorno, un giorno alla settimana, un mese all'anno. È una pessima abitudine quella di render la domenica un giorno come tutti gli altri. Si pensi che in tutti i paesi, in tutti i tempi, in tutte le religioni, un giorno della settimana è dedicato al riposo. Gli ebrei avevano il sabato, e tutti conoscono a quali gravi punizioni andava incontro chi lavorava in quel giorno: Dio stesso, secondo la Bibbia, si riposò dopo sei giorni di lavoro. Sia dunque la domenica, anche per noi moderni, un giorno di riposo e di svago, nel quale la mente e il corpo si rafforzino per il lavoro che ci attende. E cerchiamo di passarla serenamente e senza preoccupazioni. Alcuni amano fare, la domenica, lunghe passeggiate, e quest'abitudine, veramente eccellente, va prendendo piede ogni giorno più. Si vedono giovinetti, signorine, uomini maturi, partire la mattina col loro sacco in ispalla, e ritornar la sera, sorridenti, ilari, disinvolti. Hanno fatto miglia e miglia in campagna; si son seduti a mezzogiorno in mezzo a un bel prato o nel folto d'un bosco, accanto a una sorgente d'acqua pura, e hanno mangiato allegramente le provviste portate con sè; hanno giocato, hanno cantato, hanno respirato dell'aria buona, si son divertiti: che volete di più? Quanto meglio hanno costoro provveduto alla loro salute, che non quelli che hanno passato ore e ore nella sala buia d'un cinematografo, nella platea d'un teatro o in mezzo al fumo acre d'un caffè! Ci sono gli appassionati allo sport. Essi attendono con ansia la domenica per giocare la loro partita al calcio, al tennis, alla palla, per esercitarsi nel canottaggio, per andare a caccia. Siano benedetti anche loro! Ogni sport all'aria aperta è degno d'essere incoraggiato, senza eccezione. La gioventù che si dà allo sport, alle passeggiate, alla vita libera e allegra sotto il sole, non conosce il vizio, disprezza le sozzure della vita cittadina, rifugge dalle società equivoche, dai loschi raggiri, dai giuochi d'azzardo. Aria, luce, sole, moto: ecco gli elementi necessari alla vita del corpo e dell'anima; ecco i rimedi sovrani contro il sordo logorio della faticosa vita di tutti i giorni.

Pagina 70

Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189053
Pitigrilli (Dino Segre) 2 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
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Se agli uomini molto vecchi fa piacere sentir parlare di quelli che hanno oltrepassato abbondantemente il secolo, alle mature signore che furono belle parlerai di Ninon de Lenclos che alla sua (della signora alla quale stai parlando) età fece di un astronomo, Huyghens, un poeta, e si rifiutò per tre giorni al canonico de Châteauneuf, per dirgli di sì il giorno in cui lei compiva settant'anni. A darle ragione, o a tacere davanti al suo pessimismo e alle sue nuvole nere, ti metti nelle condizioni di quel giovanotto precocemente filosofo, che ebbe il malgarbo di ascoltare, senza interromperla, una signora che si lagnava della propria decadenza. - Eh, signora - le disse - non si può essere ed essere stata. - Sì, giovanotto - rispose la vecchia signora - si può essere stato un villanzone e continuare ad esserlo.

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Se desidera fare carriera, lecchi, insalivandolo abbondantemente, il dorso del foglio protocollo, e mettendosi bene in vista davanti al suo capo ufficio. Ma il giorno che potrà sganciarsi da questa schiavitù, si ribelli spettacolarmente. Non prima, e se non è sicuro di trovare da vivere nelle vie laterali, se non ha raggiunto la certezza di essere un individuo al di sopra della mediocrità. Il poeta Enrico Heine, morto cento anni fa, aveva uno zio, Salomone Heine, ricchissimo banchiere in Amburgo. Sogno di costui sarebbe stato che il giovane Enrico, invece di scrivere frasi e versi, cose inafferrabili e inconcludenti, si fosse dedicato agli affari, ai numeri e alla banca. Ma Enrico preferiva vivere da artista, tanto che Thiers disse di lui: «Quel tedesco è il francese più spiritoso che ho conosciuto in vita mia». Alla morte dello zio banchiere, Enrico Heine fu convocato con altri parenti nello studio del notaio, il quale gli comunicò che il compianto zio gli lasciava appena sedicimila franchi. - Io pago oggi una quindicina di milioni il diritto definitivo di essere poeta - commentò Enrico Heine - e trovo che non è caro. Il fare o il non fare le stupidaggini che fanno tutti gli altri, il dire o il non dire le sciocchezze che dicono tutti, il parlare come tutti o l'esprimersi in modo diverso deriva dalla vostra disposizione a pagare, come il poeta ebreo-tedesco-parigino, una tassa di lusso di quindici milioni-oro su buon gusto e sull'intelligenza. Il galateo è una codificazione di leggi e di consuetudini Per ribellarsi alla legge bisogna essere intellettualmente e moralmente al di sopra della legge. Oppure essere in grado di fare un colpo di stato. Se siete il solito individuo che vuol vivere e morire tranquillo, sposare la figlia del droghiere, andare d'accordo col farmacista framassone e col rettore dei Salesiani, se siete di quei cattolici domenicali che nel momento dell'elevazione si mettono in ginocchio, ma con una mezza natica appoggiata al sedile, in questo caso non teniate nessun conto dei miei consigli di ribellione, e nelle circostanze più insulse della vita regolatevi insulsamente come gli altri. Non sbaglierete mai. La gente dirà che «sapete vivere». E ha ragione. Il non saper vivere è sinonimo di suicidarsi. E io vi auguro cento anni felici. FINE DEL GALATEO

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IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

191017
Schira Roberta 1 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Nei ristoranti ho visto di tutto: chi si è bevuto il contenuto della ciotola contenente acqua e limone, chi si è lavato abbondantemente il viso, chi ha guardato l'oggetto con aria interrogativa, chi ci ha spento una sigaretta (quando si poteva fumare). In realtà, questo contenitore che, di norma, è deposto in alto a sinistra dal cameriere dopo un piatto di pesce o che prevede l'uso delle mani, è destinato al lavaggio delle dita che poi andranno asciugate con il tovagliolo. In molti ristoranti si servono salviettine dall'orribile profumo di limone (sintetico), meglio acqua nella quale siano state dissolte alcune gocce di olio essenziale o petali di rosa. Meglio ancora: non usate affatto le mani oppure alzatevi e lavatele in bagno, anche perché il galateo non ne prevede l'uso. Bagno. È il buon rifugio per tutte le situazioni di emergenza: qualsiasi fatto anomalo accada a tavola, nell'incertezza recatevi in bagno. Prima di alzarsi da tavola, ci si accomiata con uno «Scusate». Bambini. Abituare i bambini a stare fermi e seduti al ristorante è una buona cosa, ma sino a che non si è riusciti nell'intento è pura crudeltà e una forma di egoismo obbligarli a seguirci al ristorante. La stessa cosa vale per le cene formali: diciamo che sino ai dodici anni i bambini o ragazzini cenano prima o in un tavolo a parte. Non solo è una sofferenza per loro stare seduti troppo a lungo, ma è anche una limitazione per gli invitati e per chi ospita adattare le portate e i discorsi in funzione della loro presenza. Banane. La banana non è consigliabile in una cena formale. Si tiene ferma con la mano sinistra, e dopo averla sbucciata si appoggia sul piatto, si taglia e si porta alla bocca con la forchetta. Vietato dal galateo sia per gli uomini sia per le donne succhiarla come un ghiacciolo con sguardi maliziosi, cosa invece permessa in privato. Bar. Evitiamo di dare del tu a camerieri e baristi solo perché li abbiamo visti un paio di volte. Non ingombriamo il banco con nostri pacchetti e borse o peggio con i gomiti. Evitiamo di fare «zuppetta» nella tazza del cappuccino. Non monopolizziamo i quotidiani messi a disposizione dai locali pubblici. Nell'ora di punta evitiamo di indugiare davanti al bancone mentre altre persone aspettano il loro turno. All'ora dell'aperitivo non dimentichiamo un minimo di etichetta: prendiamo le olive con l'apposito stecchino per portarle alla bocca e sputiamo il nocciolo con discrezione, nel palmo della mano, per poi buttarlo nel cestino porta-rifiuti (i noccioli rosicchiati nel piattino accanto alle olive offrono uno spettacolo poco piacevole). Le noccioline si prendono con un cucchiaino e si depositano nel palmo. Barzellette. Raccontare barzellette è una vera arte, quindi non cimentatevi se non siete davvero un fuoriclasse, eviterete di vedere i vostri commensali sforzarsi di sorridere alla battuta finale o ancora peggio dire «Non l'ho capita». Per quanto riguarda i contenuti, controllate alla voce «Conversazione». Bere. Bere con moderazione non è solo un fatto di salute, ma anche una forma di rispetto nei confronti degli altri. L'alcol, notoriamente, disinibisce e slatentizza (che non è una parolaccia, ma significa semplicemente che l'alcol fa uscire allo scoperto tutti quei piccoli disturbi della personalità che altrimenti se ne starebbero tranquilli e ben nascosti). Quindi lasciamo tutto com'è, non è piacevole scoprire che potenzialmente siamo dei serial killer, e non lamentatevi se la mattina dopo vi ritrovate in un letto che non è il vostro. Bicchieri. Versando da bere non si deve riempire il bicchiere fino all'orlo, mai, sia per l'acqua che per il vino, il tè, il caffè o i liquori, ma solo un terzo. Quando ci versano da bere il bicchiere non va tenuto in mano, ma poggiato sempre sul tavolo. Sempre. Prima di bere, ci si pulisce le labbra con il tovagliolo, così come dopo aver bevuto Biglietto da visita. Una volta le signore non lo potevano dare a un uomo, adesso c'è la massima elasticità. Evitate per favore di scrive Marchesa o Cavaliere e altri titoli, meglio semplicemente nome e cognome. Non risparmiate sui biglietti da visita: sono il vostro primo lasciapassare per il bel mondo. Un buon biglietto si riconosce dallo spessore del cartoncino. Bottiglia. In una cena formale le bottiglie andrebbero sistemate su un ripiano a parte, e non sulla tavola. La regola è che non compaiano etichette di nessun tipo (sui grissini, purtroppo, ci cascano tutti, soprattutto i ristoratori, che li portano a tavola confezionati), tranne quella del vino, quindi la padrona di casa provvederà a versare in una caraffa anche l'acqua minerale e a predisporre un tavolino di appoggio per le bevande. Si può fare un'eccezione per certe splendide bottiglie di acqua minerale di design. Briciole. È bene toglierle dalla tavola prima di servire il dessert con le apposite spazzoline d'argento o di metallo o, ancora meglio, con un tovagliolo pulito ripiegato si pulirà la tavola facendole cadere in un vassoio. No a tutti gli orribili attrezzi elettrici. Brindare. Non si dice cin cin né si fanno tintinnare i bicchieri se non durante una festa di famiglia senza formalità. Si brinda semplicemente alzando verso l'alto i bicchieri con un sorriso. Brodo. Senza risucchio, please. Nelle tazze a due manici si sorbisce silenziosamente e il cucchiaio, che servirà solo a mescolare all'inizio, si adagia sul piattino sottostante. Buffet. Orribile avventarsi sul buffet sgomitando. Se organizzate un buffet in casa fare attenzione che tutto sia disposto su un tavolo abbastanza lungo affinché si possa avvicinare più gente possibile. Piatti, posate, tovaglioli, bicchieri e bevande vanno sistemati in un altro tavolo. Prevedete anche molti piani d'appoggio, gli ospiti ve ne saranno grati. Buio. Una cena al buio in due è vivamente consigliata dallo Sgalateo. Attenzione! In certi ristoranti per coppie le luci soffuse, anche se hanno la virtù di mitigare le rughe, sono le responsabili dello smascheramento dell'età: chi non riesce a leggere il menu ha bisogno degli occhiali da presbite. Buon appetito. Non si dice. È un'abitudine molto dura a morire, ma benché sia una forma augurale sembra sottolineare che si è a tavola solo per mangiare e non per più nobili fini conviviali. Se qualcuno dei commensali lo pronuncia, si sorride e si risponde grazie. Burro. Se si porta a tavola si sistema alla sinistra accanto al piattino del pane. In genere, non si serve la sera, ma in alcuni ristoranti si usa proporlo aromatizzato. Non si imburra tutta la fetta, ma solo una piccola parte per volta; se vi capitasse di fare colazione in un albergo stellatissimo fateci caso: questa regola la conoscono in pochi. Il coltellino da burro è a lama piatta e corta. Cachi. Sconsigliabile servirli durante una cena formale, in tutte le altre situazioni sistemateli in una ciotola raccogliendo la polpa con un cucchiaino. Caffè. Il caffè precede sempre l'acquavite e viene dopo i liquori. Il caffè, ancora nella caffettiera, viene portato e servito preferibilmente in salotto. La padrona di casa lo versa nelle tazzine, quindi l'ospite si servirà dello zucchero. Lo zucchero si mescola muovendo il cucchiaino dall'alto in basso, e viceversa. Si beve tenendo la tazza con il pollice e l'indice, mentre l'altra mano sorregge il piattino. Da evitare: lo zucchero nella tazza prima della bevanda; succhiare il cucchiaino più o meno rumorosamente; alzare il dito mignolo e lasciare il cucchiaino nella tazza invece che sul piattino. Cameriere. L'approccio con il personale di servizio dirà molto di voi agli altri. Da evitare ogni tono sgarbato o di sufficienza, il tu dato senza chiedere il permesso, il tono confidenziale. Il cameriere da parte sua evita di prendersi qualsiasi libertà nei confronti del cliente, sorride e non interviene assolutamente nella conversazione. Cameriera. Vale tutto come sopra. Si eviti di fare richieste impossibili e soprattutto di gigioneggiare facendo apprezzamenti sulle cameriere sia in presenza di signore sia, e soprattutto, tra uomini. Evitate toni di superiorità con qualsiasi cameriera dando per scontato che sia ignorante come una capra, anche perché spesso dietro le timide ragazze che portano i vassoi ci sono laureande in ingegneria nucleare che parlano benissimo almeno un paio di lingue, mentre qualcuno dei commensali ha ancora difficoltà con il congiuntivo. Candele. Attenzione alle candele a tavola. È vero, scaldano l'ambiente in tutti i sensi e regalano quella calda luce offuscata che mitiga le magagne su cibo, occhiaie e stoviglie asciugate male. Importante, però, è non abusarne e soprattutto in casa vanno sistemate in sicurezza, lontano da pericoli e soprattutto dai capelli dei commensali. Capello. Come già detto la prima regola del galateo è quella di non mettere a disagio nessuno. Se capita di trovare un capello, un insetto o qualsiasi altra cosa nel piatto lo si toglie il più discretamente possibile, facendo in modo che gli altri commensali non lo notino. Dovrebbe essere la padrona di casa ad accorgersi che c'è qualcosa che non va, in quel caso provvederà rapidamente a sostituire il piatto. Al ristorante si può indicare discretamente l'intruso in mezzo al cibo. Importante: gli altri convitati faranno finta di nulla e non indagheranno sull'accaduto. Carciofo. Un ospite attento non servirà i carciofi senza essersi prima assicurato che siano privi delle foglie più coriacee, in questo modo sarà semplice gustarli solo con la forchetta, come prevede il bon ton. Carta. Buona occasione per distinguere la carta dal menu. La carta è quella che chiediamo al cameriere quando ci sediamo in un ristorante e comprende tutti i piatti serviti dalla cucina, mentre il menu (per favore, senza accento), che trova spazio all'interno della carta, è l'insieme delle portate servite in sequenza logica e studiate appositamente dallo chef. Quindi, una cosa è la carta e un'altra è il menu. Caviale. Si serve in una coppa di cristallo adagiata su ghiaccio tritato. L'importante è non usare posate di metallo, meglio di osso, tartaruga o ancora meglio madreperla: le fragili uova di storione non devono rompersi assolutamente. Gli eccentrici miliardari usano cucchiaini d'oro, ma se vi siete svenati per l'oro nero e non vi restano soldi per quello a 24 carati, va benissimo anche un cucchiaino di plastica. Durante le cene private a due, copiamo gli esperti di caviale che lo mangiano appoggiandone una piccola quantità nell'incavo dove si incrociano pollice e indice. Il gesto è molto sensuale. Centrotavola. Mai troppo alto, troppo voluminoso e troppo profumato. Perfetta una piccola composizione di fiori freschi dentro l'apposita spugna da fiorista. Champagne (e bollicine). Oggi c'è libertà nello scegliere dove servirlo, personalmente amo ampi bicchieri da rosso invecchiato. La flûte, il bicchiere dal lungo stelo dalla forma allungata, è un po' superata, mentre è ancora gradevole la coppa da champagne, oggi introvabile. Occhio alla temperatura di servizio, va servito dai 5 agli 8 gradi. Lo Sgalateo prevede, per definizione, una tale dose di creatività che sorbire champagne da un scarpa rosso fuoco con tacco 12 potrebbe sembrare banale. A fine pasto, meglio un vino dolce, ma sono la prima a trasgredire. In tutti i casi, la bottiglia non si stappa rumorosamente, ma si accompagna il tappo delicatamente fuori dal collo della bottiglia. Se volete servirlo prevedete un secchiello da tenere colmo di acqua e ghiaccio. Mai mescolare il prezioso liquido per eliminare le bollicine: sarebbe un sacrilegio. Ciliegie. Meraviglioso frutto per giocare per amore e con i bambini. Il galateo, invece, sconsiglia di servirle in occasioni formali. In tutti gli altri casi si mangia il frutto, si mette il nocciolo nella mano chiusa a pugno, poi si adagia sul piatto. Cioccolatini. Abbiamo visto che regalare cioccolato in gran parte del mondo è un buon modo per fare omaggio alla padrona di casa. Oggi ne esistono decine di varietà e prezzi. I puristi del galateo sconsigliano di regalarli per una cena poiché devono essere per forza aperti in presenza degli ospiti e questo potrebbe disturbare la sequenza dei piatti prevista da chi ha ideato il menu. Se ve li offrono in una scatola non toccateli tutti e scegliete velocemente. Cioccolato sfuso a fine pasto? Sì, se lo avrete già spezzato in comode scaglie monoporzione. Cocktail. Per qualche strana ragione una donna che sa preparare un cocktail Martini comme il faut sale immediatamente nelle quotazioni degli invitati maschi. Conosco pochissime donne che ne sappiano preparare almeno un tipo con disinvoltura, a meno che non sia per professione, quindi esercitiamoci, signore: tutte abbiamo un amico barman condiscendente che ci farà da maestro. Se facciamo un invito per un cocktail ricordiamoci di disporre tutto l'occorrente su un tavolo in modo da non correre continuamente in cucina. Sistemate la casa anche in modo da prevedere alcuni piani d'appoggio: è triste non poter dare la mano a un fascinoso sconosciuto perché abbiamo tra le mani un piatto di vitello tonnato e un prosecco. Comunque fate sempre in modo di avere la destra libera e soprattutto di non farvi beccare con un mostruoso boccone in bocca: c'è sempre un maniaco di Facebook dietro una colonna e voi potreste essere immortalati sullo sfondo. Non voglio entrare nel dettaglio su cosa preparare a un cocktail, non è la sede. Posso solo dire che ciò che rende davvero squallido un cocktail party e infelici gli ospiti più esigenti non è tanto la qualità o quantità di cibo, ma ciò che si beve. In decine di presentazioni, buffet, vernissage, matrimoni, celebrazioni e pranzi in piedi ricordo con piacere soprattutto quelli in cui il vino superava almeno i cinque euro a bottiglia. Chi organizza, anche nelle sedi più prestigiose, commette un errore madornale, se pensa alla cucina e cerca di risparmiare sulla cantina. Se invece siete voi a essere invitati a un cocktail party, evitate di fare come la mia amica americana Dorothy, esperta di finanza e assidua frequentatrice di eventi mondani. Non fermatevi, soprattutto a digiuno, per un drink lungo la strada. Potreste arrivare al cocktail party barcollando e da brilli è facile lasciarsi sfuggire qualche segreto aziendale. Pare che a New York la cosa sia piuttosto diffusa tra i timidi. Non date l'impressione di trovarvi lì solo per riempirvi la pancia, ma siate gentili e sorridenti e approfittatene per aumentare la vostra popolarità. Colazione. Solo in Italia si fa un po' di confusione sul nome dei pasti, dove «colazione» è intesa come veloce pasto del mattino. Poi per influenza anglofona si è cominciato a far slittare il pranzo alla sera, anche perché durante il giorno chi lavora spesso consuma pasti leggeri. Tutto questo genera una gran confusione, quindi sempre meglio quando si invita specificare l'ora e quando si riceve un invito informarsi. Oppure, perché in un rigurgito di nazionalismo non ritornare alla nostra cara ripartizione italiana: colazione, pranzo e cena? Coltello. Prima di addentrarsi nei dettagli d'uso ricordate che il coltello si usa solo se è necessario. È considerato una posata che serve solo per tagliare consistenze coriacee come la carne. Non si usa con uova e frittate, con le insalate e le verdure morbide, e, ovviamente non con il pesce se non quello apposito. Non si porta mai alla bocca, né tanto meno si lecca. Lo Sgalateo lo bypassa sostituendolo con le mani. Anche in caso di costolette d'agnello consigliamo di afferrare la carne con le dita e strapparla a morsi. Pochi impugnano il coltello nel modo corretto: l'indice non dovrebbe mai oltrepassare il manico e quindi non dovrebbe toccare la lama, il dorso della mano è rivolto verso l'alto. Coniglio. Raro e costoso quello di fattoria, non servitelo in cene e pranzi con un minimo di formalità. Il coniglio non è gradito neppure da molti stranieri non vegetariani, che lo considerano un animale domestico. Consommé. Non so perché ho inserito questa voce, in realtà sono decenni che qualcuno non mi serve un consommé. Ma il nome è così chic che non poteva mancare nell'elenco. Diciamo che la regola vale per la maggior parte delle pietanze brodose. Si serve nelle tazze con manici adagiate su un piattino. Si sorbisce silenziosamente e alla fine si lascia il cucchiaio sul piattino. Conto. Sembra superfluo, ma può trasformarsi nel momento più imbarazzante della serata, e proprio per questo è utile e educato evitare ogni fraintendimento. Urge essere subito chiari: chi invita paga il conto, uomo o donna che sia. Nelle cerimonie o cene d'affari, quando non è chiaro chi paga, evitate accuratamente le scene madri che spesso hanno il solo obiettivo di attirare l'attenzione. La persona galante, generosa e brillante si alza qualche secondo prima degli altri commensali, si allontana e va a pagare, poi torna a sedersi senza una parola. Non si fanno commenti sul prezzo e tanto meno discussioni con il proprietario. La cosa migliore è informarsi sui prezzi prima di invitare e, se non è possibile, ricordatevi che il modo migliore per punire un ristoratore disonesto è non tornare più. Oppure segnalatelo a un'amica che di professione fa la critica gastronomica, ci penserà lei. Conversazione. Non si parla di soldi, di sesso e di salute. Per tutto il resto vedi il capitolo dedicato. Lo Sgalateo invece prevede conversazione libera senza tabù. Cozze e vongole, ostriche, frutti di mare. Da evitare nelle cene formali, per quelle con gli amici è meglio corredare il piatto con una ciotola lavadita. Nel caso si tengono strettamente con due dita nella mano sinistra e si estrae il mollusco con la forchettina apposita. Critiche. Le critiche a un piatto non si fanno mai in pubblico a chi ha cucinato in una casa privata, né al ristorante se siamo ospiti. La regola è che si sorride anche per non rispondere negativamente a una domanda diretta. Invece si fanno sempre in tutti gli altri casi. Dal momento che se scrivo male un articolo me lo fanno rifare, perché devo pagare un piatto (spesso profumatamente) se non è all'altezza? Le lamentele si fanno educatamente, garbatamente, ma in maniera ferma. Crostacei. Meglio servirli sempre sgusciati per evitare imbarazzi. In caso contrario, dotatevi delle pinze apposite. Le chele non si portano mai alla bocca, né si succhia il contenuto. Per lo Sgalateo è tutta un'altra storia. Cucchiaio. In Italia, si posiziona con la parte concavo posta in su (in Francia si fa il contrario), a destra accanto al coltello. Non si usa più portare troppe posate in tavola e se servite un gelato o un dolce morbido portate la posata necessaria di volta in volta. Per il gelato quella più adatta ha la forma di una palettina. Il cucchiaio si impugna tra pollice e indice e si porta alla bocca o di lato, evitando i risucchi, oppure introducendolo alla francese, di punta. Non soffiate sulle pietanze nel cucchiaio e non usatelo per gli spaghetti. Denaro. Non se ne parla a tavola, come non si dice mai il prezzo degli oggetti, a meno che non siamo in confidenza con i commensali, ma anche in questo caso non è gentile. Potete vantarvi con le amiche di un bel diamante ricevuto in dono dal fidanzato, senza ovviamente dire il costo. Schiatteranno ancora più d'invidia. Desinare. I toscani lo chiamano desinare, dall'antico francese disner derivato dal latino popolare disiunare, cioè rompere il digiuno; nel francese d'oggi è diner, in inglese dinner. Dessert. Con questo termine si indica l'ultima parte del pasto. Il nome deriva dal francese desservir, che significa «sparecchiare» e raggruppa tre categorie: formaggio, dolce, frutta e quindi non sta a indicare, come si crede comunemente, solo una portata dolce. Ricordatevi che l'invitato non porta il dessert, salvo che non l'abbia preannunciato al momento dell'invito oppure se chiesto espressamente dalla padrona di casa. Prima del dessert si sparecchia la tavola e si tolgono pane, piatti sporchi e bicchieri, eventuali briciole dalla tovaglia e si porta vasellame pulito. Décolleté. Bandito agli incontri professionali e con la futura suocera, alle cene all'oratorio e gite familiari. Consentito in tutti i casi in cui si deve essere dressed to kill, espressione inglese che rende bene l'idea. Dieta. Un consiglio su tutti: se siete a dieta stretta non invitate né accettate inviti, statevene a casa tranquilli. Non c'è cosa peggiore che dividere una cena con compagni immusoniti dalle costrizioni alimentari. Mai pronunciare la fatidica parola a un incontro amoroso: avrebbe un effetto raggelante. Fagiolini. Essendo un ortaggio non si tagliano con il coltello, ma si mangiano solo con la forchetta. Fazzoletto. A tavola si cerca di non soffiarsi il naso, se è necessario lo si fa con discrezione, quando si sente che si sta per starnutire ci si gira di lato, possibilmente lontano da ogni commensale, e si preme il fazzoletto sul naso a protezione. Ancora meglio sarebbe allontanarsi dal tavolo dopo aver chiesto il permesso. Non usate mai il tovagliolo. Fichi freschi. Si mangiano tenendoli con la forchetta nella mano sinistra, si tagliano in quattro spicchi, poi si pelano aiutandosi con il coltello e la polpa si porta alla bocca con la forchetta. I fichi secchi si mangiano con le mani. Figuraccia. L'abbiamo già detto molte volte, le figuracce dei commensali a tavola non vanno sottolineate, anzi sarà premura della padrona di casa stemperare gli imbarazzi. E se siete voi a fare la figuraccia, usate l'arma imbattibile di uno «scusate» accompagnato da un sorriso. Se la figuraccia è rivolta ai padroni di casa un bel mazzo di fiori il giorno dopo sarà di grande aiuto. Fine pasto. Alla fine del pasto si lasciano le posate sul piatto accostate con i manici sul bordo tra le ore 16.20 e le 18.30. Non c'è cosa peggiore che un piatto abbandonato con le posate in disordine seminascoste dai rimasugli di cibo. Conoscere questa semplice regola vi permetterà di «fare la radiografia» ai vostri commensali e, in più, sarete in grado di valutare anche il personale di servizio. Infatti, solo un cameriere che conosce il suo lavoro sa che le posate sistemate in un determinato modo stanno a significare: ho finito, può portare via. Fiori. Ben accetti fiori e foglie come centrotavola, purché non siano troppo alti da oscurare l'altra parte del tavolo. Altrimenti si rischia di non vedere chi ci sta seduto di fronte, se non al termine della cena. È consigliabile che non siano troppo profumati per non interferire con l'aroma delle vivande. Sempre più è accettato e consigliabile utilizzare singoli fiori recisi o a mazzetti come segnaposto o come portatovagliolo. Come dono è meglio farli recapitare qualche ora prima o il giorno dopo; se portati all'ora di cena, infatti, possono creare disturbo alla padrona di casa che dovrebbe perdere tempo a cercare un vaso adatto mentre si occupa di ricevere gli ospiti. Forchetta. Si appoggia a sinistra del piatto e non si impugna come fosse una zappa. Formaggio. Ricordatevi che il formaggio precede il dolce. La regola prevede che sia servito solo a mezzogiorno, ma oggi sempre più spesso viene presentato pure la sera. Se si è avuta l'opportunità di acquistare alcune varietà di formaggio italiano o estero, magari inusuale o introvabile, si può imbandire una cena «a tema»; con composte, confetture o frutta abbinati. Il taglio deve essere fatto in modo che ogni commensale abbia una fetta con una parte di crosta (quando è presente), una parte del centro e del cuore; solo in questo modo non si altera l'aroma e si percepisce il gusto complessivo di ogni formaggio. La quantità servita deve tener conto del fatto che il formaggio, a differenza di altre portate, si dovrebbe offrire una sola volta. I formaggi duri richiedono il coltello e la forchetta; quelli molli la sola forchetta o il solo coltello se spalmati su bocconi di pane. Consiglio per gli intenditori: per gustarli al meglio toglieteli dal frigorifero almeno un'ora prima di consumarli. Purtroppo anche tanti ristoranti se lo dimenticano. Di norma, si inizia dal più dolce e fresco per concludere con il più saporito e stagionato. La mozzarella si consuma quasi tiepida e teme il frigorifero. Fragole. Se ve le propongono in una coppetta si mangiano con un cucchiaino, se su un vassoio intere si prelevano con il picciolo, si mangiano in due bocconi e si deposita il picciolo verde su un piattino. Per le signore e taluni giovanotti: vietato civettare con i commensali mangiando fragole ammiccando, consigliabile invece in un tête-à-tête tra mura sicure, dove potrete sbizzarrirvi. Frattaglie. La maggior parte degli esseri umani non sa neppure cosa siano e al semplice suono della parola scatta la smorfia di disgusto: non si fa. Vi basti pensare che il foie gras, in quanto fegato, è una frattaglia ed è considerato tra i più nobili piatti al mondo. Lo stesso vale per le animelle tanto care a Escoffier, il famoso cuoco francese, la finanziera preparata con le rigaglie di pollo e il rognoncino. Insomma, vale per le frattaglie come per altri ingredienti inusuali: non giudicate senza provare. Sappiate che c'è una stretta correlazione tra apertura mentale e disponibilità ad assaggiare cibi inusuali o appartenenti ad altre civiltà. Quindi se durante una cena privata vi vengono servite, assaggiatele senza prevenzioni. Frittata. Non si mangia mai con il coltello, così come le uova cucinate nelle loro infinite varianti. Frutta. Mangiare la frutta con le posate è assai complicato; se volete bene ai vostri ospiti servitela già pelata e tagliata a fettine. Nota di costume: la classica macedonia è terribilmente datata e quasi sempre si riduce a una poltiglia informe dove i sapori della frutta si mischiano irrimediabilmente. È molto più fresco e moderno servire della frutta già pelata e tagliata a tocchetti o fettine, e spennellata con un mix di zucchero, limone e anice stellato lasciato in infusione, così non diventerà nera. Frutta secca. Noci, mandorle e nocciole si consumano rompendole con lo schiaccianoci e si portano alla bocca. È assolutamente vietato spaccarle con i denti in pubblico, mentre in privato le signore trovano molto virile che vengano aperte da una sfilza di denti bianchissimi. Fumo. Non si fuma sino a dopo il secondo e mai se la padrona di casa non concede apertamente il permesso. I recenti provvedimenti vietano giustamente di fumare a tavola nei locali pubblici, ma la cosa ha risvolti positivi: vuoi mettere quante persone interessanti si possono conoscere nelle sale fumatori o sul marciapiede fuori dal ristorante? Garden party. Se ne organizzate uno, fate attenzione alle temperature tropicali per salse e cibi deteriorabili. Procuratevi del ghiaccio e tenete a disposizione lo spray antizanzare. Gelato. Per gelato e creme, sorbetti e semifreddi si utilizza il cucchiaio. Il «vero» cucchiaino da gelato è una sorta di palettina, ma andranno benissimo anche quelli normali. Gesticolare. Non fatelo davanti al naso degli ospiti, rischiate di essere importuni e di far cadere il vasellame sulla tavola. Giacca. Non si toglie mai nelle cene formali e tra amici si chiede prima il permesso ai padroni di casa; vietato anche togliersi la giacca e appenderla allo schienale della sedia, lo stesso per la cravatta. O si porta per tutta la sera o non si porta. Gironzolare. Quante volte si vedono al ristorante giovanotti e signore fermarsi ai tavoli degli amici abbandonando il proprio: non si fa, si saluta con un cenno della mano discretamente e senza sbracciarsi né urlare da un punto all'altro della sala. Gomiti. Mai sul tavolo e, se è possibile, teneteli stretti al dorso, anche se è difficile allargarsi nei minuscoli tavolini delle tavole urbane. Gossip. Meglio evitarlo a cena, a meno che non siate tra amiche o amici di vecchia data: la gaffe è sempre in agguato. Granchio. Vera crudeltà servirlo agli ospiti con il carapace e non già aperto con la polpa a portata di mano, che si preleva con l'apposita forchetta a tre denti. Grissini. È sempre più diffusa l'abitudine di offrirli ai propri ospiti; in questo caso, vanno tolti dalla confezione e sistemati in un cestino con il pane o da soli sulla tavola. Al ristorante è proibito avventarsi sulle confezioni di grissini senza tener conto degli altri commensali. In tutti i casi non si mangiano a bocconi, ma si spezzano e si portano alla bocca. Imboccare/si. Non si dovrebbero imboccare bambini o anziani in pubblico o al ristorante, ma ricordiamo che dipende sempre dal tipo di locale. Di norma, è meglio non portare alle cene formali i bambini sotto i dodici anni. Non si imbocca mai la fidanzata o l'amico a una cena o un pranzo dove si rispetta l'etiquette. Meglio evitare questa pratica, invece consigliatissima dallo Sgalateo. Se vedete un amico sposato imboccare un'altra donna al ristorante, state alla larga. Insalata. Si serve dopo aver passato due volte il piatto di portata principale per eventuali bis. Si adagia in un piatto o in una ciotola a sinistra del piatto. Come tutte le verdure si mangia con la sola forchetta, però è consentito usare il coltello per tagliare le foglie. Meglio comunque servire l'insalata in modo che possa essere portata alla bocca senza essere tagliata. Invito. Si risponde sempre a qualsiasi tipo di invito e si ricambia entro due mesi. Negli inviti indicate chiaramente il luogo, l'ora e il tipo di abbigliamento richiesto. Si conferma entro tre giorni al massimo e si disdice facendosi perdonare con un piccolo dono floreale. Per gli uomini andrà bene anche una pianta. Invitati. Anche per gli invitati le regole sono molte, limitiamoci riassumere dicendo che si acquista il titolo di invitati ideali quando: non si mettono a disagio gli altri ospiti, quando si contribuisce al divertimento e al piacere di tutti e quando si dimostra gratitudine ai padroni di casa per l'invito. Anche se si viene invitati al ristorante valgono le stesse regole, in più si cerca di non ordinare i cibi più costosi, ma neppure solo i più economici. Se il menu è già stato fissato e vi sono piatti che proprio non potete mangiare per ragioni di salute, chiedete di sostituirli con qualche cosa di semplice, come riso, una bistecca o un pezzetto di formaggio. Un invitato perfetto al ristorante si comporta come se fosse in casa del proprio anfitrione e quindi evita critiche alla cucina o al locale e cerca anzi un motivo per esprimere il proprio gradimento della serata. Chi invita non paga il conto a tavola, ma si alza regolando ogni cosa in privato. Se avvenisse al tavolo, si cerca di ignorarlo, limitandosi a fine serata a ringraziare con qualche commento tipo: «Siamo stati davvero bene» oppure un «Grazie di tutto». Deve essere l'anfitrione e mai l'ospite a concludere la serata; darebbe l'impressione di non gradire la compagnia. Attenzione, quindi, padroni di casa: sta a voi chiudere le danze con garbo. Jeans. In molti paesi del mondo andare a cena o in una casa privata indossando i jeans è sgradito, anche se certe marche costano centinaia di euro. Kiwi. Si taglia a metà e si consuma con un cucchiaino. Legumi. Si tratti di fagioli, piselli, fave o lenticchie i legumi si mangiano con la forchetta. Non si servono fagioli alle cene formali. Liquori. Si servono a tavola o ancora meglio in salotto dopo il caffè. Lisca. Se una vi si conficca in gola non stramazzate al suolo con le mani alla gola, ma alzatevi e andate in bagno dopo aver mangiato un boccone di pane. Ecco perché per evitare imbarazzo è opportuno servire pesce perfettamente pulito. Lumache. L'unica condizione per servirle con il guscio è fornire ai commensali le apposite pinze, in tutti gli altri casi si propongono sgusciate e in umido nelle diverse varianti. Nel primo caso, pinza nella mano sinistra e forchettina nella destra per estrarre la polpa. Make-up. Sì, è vero, non ci si rifà il trucco a tavola e confermo, ma davanti al rossetto non resisto. Mi piace vedere una bella donna tirar fuori dalla borsetta lo specchietto gioiello di famiglia e stendersi un rossetto rosso sulle labbra. C'è chi lo sa fare e chi no: mai durante un pranzo di lavoro. Mancia. In Italia la mancia non è obbligatoria come negli Stati Uniti o nel mondo anglosassone, ma gradita. Si lascia sempre a chi porta i bagagli e a chi vi parcheggia la macchina, al personale di servizio della casa che ci ospita e a tutti coloro che hanno svolto un servizio che non era nelle loro competenze. La cifra deve essere compresa almeno tra il 5 e il 10 per cento del conto totale. Al ristorante non si dà in mano al cameriere, ma è preferibile lasciarla sul piattino con il quale è stato consegnato il conto; se non è possibile si farà scivolare nella mano del destinatario senza farsi notare. Mandarino. Si sbuccia con il coltello tenendolo fermo con la mano sinistra e poi si mangia uno spicchio per volta. I maschi, di norma, non mangiano frutta perché sono maledettamente pigri, ma provate a sbucciargli un mandarino o una fetta di mela, vedrete che apprezzeranno molto il gesto materno! Ricordate però la Teoria del Precedente. Lo Sgalateo consiglia la «sbucciatura della frutta» come merce di scambio: tu fai una cosa per me e io in cambio ne faccio una per te. Mandorle. Vale la stessa regola dell'altra frutta secca. Una raccomandazione: chiudete la sinistra sulla mano destra a protezione, prima di premere le due parti dello schiaccianoci. Si sono visti pezzi di gusci schizzare nei décolleté e colpire il lampadario. Dai latin lover sono considerate cibo afrodisiaco. Mani. Si tengono sulla tavola in Italia e in grembo, nelle pause, se seguite la scuola britannica. Nel mondo occidentale non si mangia nulla con le mani tranne il pane, i pasticcini, l'uva, il cioccolato e il sushi. Sciocco ricordarlo? Prima di andare a tavola bisogna lavare mani e unghie. Lo Sgalateo prevede e consiglia di usare mani e dita quando e come si vuole. Marmellata. Solo quella di agrumi si può chiamare così, è chic sapere la differenza; tutte le altre sono confetture. Non servitevi dal barattolo, è cafone. Mettetene una piccola quantità sul piatto e poi spalmatela sul pane con un cucchiaino o con un coltello da frutta. Mele e pere. Si tagliano in quattro parti sul piatto con il coltello e la forchetta. Le parti si infilzano con la forchetta e con il coltello si eliminano prima la buccia e poi il torsolo, poi si tagliano in pezzi più piccoli e si portano alla bocca con la forchetta. Melone. Dovrebbe essere servito a fette e già sbucciato, se piccolo e maturo può essere servito tagliato a metà, in questo caso si consuma con un cucchiaino. Menu. È cortese, quando si invita a casa, scrivere su un cartoncino la data, i piatti e i vini serviti, sarà utile agli invitati per regolare il proprio senso di sazietà. Quando siete al ristorante chiedete la carta e non il menu. Non soffermatevi su ogni portata un'ora prima di decidere cosa ordinare: è irritante, per il cameriere e per gli altri ospiti. Minestra. Senza rumoracci e senza soffiarci sopra, si sorbisce con il cucchiaio. Non si serve se non per la cena e mai due volte, così recita il cerimoniale. Nel servirla è facile sporcare la tovaglia, quindi è opportuno o tenere a portata di mano un piattino dove appoggiare il mestolo nel tragitto zuppiera-fondina, oppure, ancora meglio, fare le porzioni in cucina e portare a tavola ciascun piatto con grande attenzione. Evitate di offrire una minestra a una cena organizzata per fare conquiste: a meno che non sia una sofisticatissima vellutata di crostacei, ogni altra preparazione in brodo rischia l'effetto «minestrina da ospedale», il che non è affatto sexy. Mollica. Chi non mangia la mollica o la crosta, la ripone in un angolo del proprio piatto; guai a lasciarla sulla tovaglia. Vietato fare pupazzetti con la mollica o, peggio, proiettili da tirare al commensale più odioso. Lo Sgalateo vi lascia liberi di creare con la mollica piccoli cuori da regalare al vostro partner durante la cena. Musica. In casa, una musica di sottofondo è piacevole mentre si aspettano gli ospiti, ma durante la cena dovrete abbassare il volume. Nella scelta, sbizzarritevi: oggi ci sono cd di accompagnamento per ogni esigenza, chiedete in un negozio specializzato. Personalmente adoro, dal tramonto in poi, il vecchio Frank. Per un cocktail in piedi o un garden party, la musica è sempre fondamentale. Una domanda: vi siete mai chiesti dove vanno a prendere quei terribili cd nelle hall di certi alberghi paludati? Naso. Ovviamente ogni operazione di pulizia è vivamente sconsigliata. Nel linguaggio del corpo ogni volta che si toccano le zone periferiche intorno al naso il nostro commensale potrebbe mentire. Attenzione, potrebbe. È il retaggio di un comportamento infantile che porta a mentire coprendosi la bocca con le mani; visto che l'amministratore delegato di una multinazionale non può coprire con entrambe le mani la bocca spalancando gli occhi, ecco che l'inconscio si accomoda sfregando il naso o con movimenti simili. Noccioli. I noccioli della frutta o le parti di scarto, inavvertitamente messe in bocca, non si lasciano cadere direttamente nel piatto. Se sono stati portati alla bocca con una posata si fanno scivolare su di essa e poi sul piatto, ma forse è più facile deporli nella mano chiusa a pugno e riportarli sul piatto. Noia. Sarebbe bello divertirsi follemente a ogni occasione conviviale: ma non è così. Se vi annoiate a morte perché il vostro vicino di destra parla solo di insetti in via di estinzione e l'altro è un distinto ottantenne ma con problemi di udito, tenete duro. Non si guarda l'orologio, né le vie di fuga come la porta d'uscita, né si parla con un tizio nell'altro tavolo escludendo i commensali vicini a voi. Odore. Gli odori di cucina se si invita a casa vanno eliminati azionando le ventole o ancora meglio aprendo le finestre prima che arrivino gli ospiti. Al ristorante sarebbe obbligatorio non narcotizzare i clienti con odori molesti, d'altra parte una stanza completamente asettica non fa buona impressione. Signore, non profumatevi troppo. Olive. Si portano alla bocca con gli stuzzicadenti (unico utilizzo ammesso degli odiosi aggeggi), ma se vengono servite come aperitivo sono consentite anche le mani. Il nocciolo si pone nella mano e poi si lascia in un apposito piattino. In realtà spero sempre di trovare cibo più originale come aperitivo, sia in casa che nei bar, o almeno se volete offrirmi delle olive devono essere buonissime. Ossi. Si lasciano nel piatto e non si toccano con le mani. Evitate, nel tentativo di staccare un pezzo di carne rimasto attaccato all'osso, di farlo schizzare in testa a qualche malcapitato. Lo Sgalateo prevede il contatto con gli ossi da scarnificare e succhiare a piacere come per rivivere un rituale primitivo. Ostriche. Se le offrite voi dovete essere sicuri della qualità superiore, fatele aprire e non gettate via, per carità, la loro acqua di vegetazione. Esistono delle speciali forchettine a tre denti per molluschi che potete usare per estrarre la polpa, in caso contrario potete usare la mano destra evitando il più possibile ogni risucchio. I puristi le degustano assolutamente nature. Nello Sgalateo, ca va sans dire, se ne fa grande uso, sarà per l'alto valore simbolico del mollusco considerato afrodisiaco. Padroni di casa. Dovrebbero essere sorridenti e freschi, anche se in realtà sono stravolti dalla stanchezza. Mai iniziare a mangiare prima della padrona di casa, ma attendere un suo cenno per cominciare. Pane. Una delle poche cose che si possono toccare con le mani, ma non si spezza con i denti. Si fa a pezzi con le mani e poi si porta alla bocca a piccoli bocconi. Evitate di tagliarlo a tavola a meno che non si tratti di un rarissimo pane toscano che desiderate far vedere in tutto il suo splendore, in tutti gli altri casi si taglia in cucina e si porta a tavola in un cestino oppure in un vassoio d'argento. Il piattino del pane, gradito nelle cene formali, si mette in alto a sinistra di ogni commensale. Pasticcini. Si prendono dal vassoio con le mani, insieme alla carta pieghettata che li avvolge. Vietato indugiare nella scelta e soprattutto toccarli tutti prima di sceglierne uno. Pâté. Si mangia con la forchetta e, se accompagnato dai crostini, non viene spalmato ma mangiato separatamente. Pausa. Quando si smette di mangiare per fare una pausa, si mettono le posate con le punte del coltello e della forchetta che si incrociano, con i rebbi della forchetta all'ingiù e la lama del coltello verso il centro del piatto. Come già detto, in questo modo il cameriere o chi per esso dovrebbe, dico «dovrebbe», capire che non deve portar via il piatto. Per piacere e grazie. Ricordiamoci di pronunciarli sempre, ogni volta che chiediamo di passarci qualcosa, quando veniamo serviti a casa o al ristorante, quando chiediamo qualcosa al cameriere. Pesce. Prima il pesce e poi la carne, questa è la regola. Qualsiasi portata di pesce si serve con le posate apposite, se non avete le posate adatte usate solo la forchetta. Pesche. Mangiare frutta intera (purtroppo) con le posate non si fa quasi più, perché difficilmente i ristoranti metropolitani la propongono. È considerata ancora una portata in certe pensioni familiari sull'Adriatico o sulle coste ioniche. Se a una cena formale decidete di mangiare una pesca che vi viene servita intera consideratela una faccenda seria. Si puntano (non infilzano!) i rebbi della forchetta sul frutto e si incide la polpa col coltello per tagliare uno spicchio alla volta, quindi si ferma con la forchetta lo spicchio e lo si sbuccia con il coltello. Si tiene lo spicchio sbucciato sulla punta della forchetta, si taglia un boccone (massimo 2 centimetri) e lo si porta alla bocca senza cambiar di mano alla forchetta, che quindi rimane nella sinistra. Piatti. Quando il cameriere si avvicina per portarci i piatti, e soprattutto per toglierli, non va aiutato. Allo stesso modo, non si impilano i piatti sporchi: perché volete intralciare il lavoro del personale di servizio? Rilassatevi, se pagate il conto avete il diritto di farvi servire. Si può aiutare il personale perché distante, solo se ce lo chiede, anche se non dovrebbe mai farlo. Picnic. Che bello vedere un po' di galateo anche sull'erba, basta poco: piatti di cartone, fazzolettini e tante torte salate. Unica eccezione, mai i bicchieri di carta, mettete dentro un bel cesto di vimini tante flûte di vetro, di certo qualche partecipante al picnic sarà felice di aiutarvi. Il bon ton si rilassa sotto il cielo e diventa più elastico, ma ritorna rigidissimo al momento del dopo picnic. Vietato lasciare mozziconi, plastica e rifiuti abbandonati sull'erba, e vi assicuro che questo è ben peggio che dire «Buon appetito». Piedi. In teoria dovrebbero stare sotto la sedia del proprietario, e questo vuol dire non allungarli incivilmente sotto il tavolo intralciando le estremità altrui e tanto meno lateralmente provocando involontari effetti «piedino». Lo Sgalateo permette di sbirciare sotto il tavolo per, studiare la posizione dei piedi: incrociati, ci sono ancora un po' di riserve. Con le punte all'interno? È rimasto un pizzico di infanzia. Accavallate? C'è ancora qualche resistenza nel vostro commensale. Piedino. Sono due le regole fondamentali da rispettare per il seduttore (uso il maschile, ma vi sono signore grandi esperte nel campo) che usa il piedino come arma di seduzione. 1. Si fa solo se si è certi di non ricevere un rifiuto. 2. Si fa solo se si è certi di non essere scoperti dal resto dei commensali. Pinzimonio. Uno dei pochissimi casi nei quali è permesso usare le dita per mangiare. Le verdure vengono servite già tagliate e ogni commensale ha una scodellina dove intingere carote e sedani. Piselli. È esilarante vedere, come è capitato a me, schizzare i piselli dal piatto come proiettili. Se accade significa che il cuoco era pessimo: dovrebbero essere morbidi. Di norma, basterebbe raccoglierli con la forchetta. Pollo. Anche se un commensale vi ricorda il detto popolare secondo cui pure la regina Margherita mangiava il pollo con le dita, lasciate perdere e continuate a usare forchetta e coltello. Il pollo è difficile da tagliare in tavola anche con il trinciapollo, fatelo in cucina dopo averlo mostrato, se volete, ai commensali. Polpette. Per qualche inspiegabile motivo servire polpette a una cena formale è considerato scorretto, probabilmente perché si può sospettare che siano preparate con gli avanzi. Quindi evitatele, anche se sono un piatto straordinario, in primis quelle di bollito. Sono vivamente consigliate dallo Sgalateo, che incoraggia il consumo di polpettine, cibo da mangiare con le mani e soprattutto da imboccare. Pompelmo. Si serve tagliato a metà e si consuma prelevando la polpa con un cucchiaino. Posacenere. Non si mette in tavola, mai, se non a fine pasto e dopo aver chiesto il permesso di fumare agli altri commensali. Al ristorante non si può più fare, ma non lamentatevi. È così bello ritrovarsi fuori sul marciapiede: si fanno molte conoscenze interessanti. Vietato però abbandonare il proprio ospite o accompagnatrice per interminabili pause. Posate. Oggi si tende a snellire il più possibile il numero delle posate. L'ideale è il tris: una forchetta, un coltello e un cucchiaio, se serve; man mano che si susseguono le portate si cambiano le posate. Posti. L'uomo siede alla destra della donna, le riserva il posto lungo la parete o che comunque le permetta di vedere la sala. Ogni uomo siede a fianco di una signora che non sia sua moglie (o compagna). Nel caso di due coppie, ogni signora siederà alla destra dell'uomo che non è suo marito. Se invece l'uomo e la donna siedono da soli, ai due lati consecutivi di un tavolo quadrato, lui siederà alla sua destra per poter utilizzare il braccio destro e quindi versarle da bere con più agio. I signori siedono un attimo dopo le signore. Lo so, non lo fa quasi più nessuno tranne che in certi adorabili ambienti. Durante il pasto se una signora si allontana dal tavolo, per qualunque motivo, gli uomini si alzano contemporaneamente a lei, si risiedono appena si allontana e si rialzano appena riappare. A una cena in casa privata, ricordate, l'ospite d'onore uomo si siede alla destra della padrona di casa, mentre l'ospite d'onore donna si siede alla destra del padrone di casa. Prenotazioni. Se avete prenotato in un ristorante e poi per qualsiasi motivo cambiate idea, soprattutto se il locale possiede coperti limitati, telefonate sempre per disdire. All'estero nei ristoranti stellati si lascia il numero di carta di credito perché in caso di mancato avviso viene addebitata una mora. Presentazioni. Prima di imparare qualsiasi altra regola, la buona educazione ci impone di presentarci ogni volta che ci troviamo a dividere una tavola. In teoria dovrebbero pensarci i padroni di casa, ma se chi ospita è assente lo faremo noi dicendo il nostro nome con un sorriso accompagnato da un buongiorno o da un buonasera. Prezzemolo. Che dilemma, dire o non dire della fogliolina di prezzemolo tra i denti del nostro commensale. Sì, meglio dirlo. Basta sussurrarlo discretamente in un orecchio. Ribes e frutti di bosco. Si servono in coppette con il cucchiaio da frutta. Reclami. Nel caso di un cibo malcucinato, di un vino che sa di tappo o di una posata o un piatto non pulitissimi, ci si limita, senza recriminazioni, a chiedere che vengano sostituiti spiegando il problema con gentilezza. Con educazione e garbo è giusto sottolineare gli errori da parte della cucina o del servizio, nei locali pubblici. È peraltro di cattivo gusto mostrarsi incontentabili, critici, polemici, commentare la scelta dei piatti al cameriere o parlare dei propri disturbi intestinali agli altri ospiti. Ricci di mare. Solo se volete male ai vostri ospiti li servirete a una cena formale. Meglio lasciare questo ingrediente sensuale per uno spaghetto a due, magari cucinato insieme e consumato su una terrazza al tramonto. Riso e risotto. Si mangia con la forchetta, non si soffia sul risotto e non si allarga nel piatto come si vede fare. Ritardo. Mai arrivare in ritardo a un appuntamento galante, anche se alla signora è permesso un indugio di dieci minuti. Se arriviamo in ritardo in una casa privata o al ristorante è d'obbligo telefonare per avvisare. Sale e pepe. Non si chiede al ristorante di classe se non strettamente necessario, è come sottolineare che il piatto non era perfetto. In casa, durante i pasti quotidiani si mette in tavola, ma è meglio non farne uso. Salame. In una cena formale non si serve. Con gli amici e in famiglia ben venga qualche fetta di salame. Si può prendere con le mani e mangiarlo accompagnato dal pane; si eviti il classico panino, a meno che non ci si trovi a un bel picnic. Salmone. Si consuma con le posate da pesce, se accompagnato da crostini non va messo sul pane ma consumato a parte. Salse. Le salse non si raccolgono se non con il salsacoltello, una posata a forma di cucchiaio, ma con un lato tagliente creata apposta per tagliare e tirar su ciò che rimane nel fondo del piatto. Scampi. Serviteli già sgusciati quando è possibile. Consigliati per le cene private a due. Scarpetta. Mi dispiace, ma il galateo non ammette scarpette di sorta e soprattutto non tollera surrogati, e cioè tutte quelle pratiche che i commensali ingegnosi si inventano per raccogliere un buon sugo dal fondo del piatto. Non esistono deroghe. Via libera alla scarpetta, invece, nelle riunioni familiari e per lo Sgalateo. Segnaposti. È un bel gesto predisporre i segnaposti quando si hanno tanti ospiti e soprattutto se vogliamo mantenere la regia a tavola. Potete sbizzarrirvi con oggetti di ogni genere, che servano da supporto al cartoncino sul quale sarà scritto il nome. Soffiare. È molto maleducato soffiare sul cucchiaio o sul piatto per raffreddare il cibo. Sottopiatti. Sono utili e doverosi nelle cene formali, belli quelli in argento, ma sono ammessi tutti i materiali. Spaghetti. Si mangiano arrotolandoli alla forchetta, che non va puntata sul piatto, ma tenuta leggermente inclinata, quasi orizzontale. Si raccolgono pochi fili di pasta per volta, in modo da portare alle labbra un boccone piccolo. Evitate accuratamente risucchi di ogni tipo e rimasugli di sugo sul mento. Orribile l'utilizzo del cucchiaio o, peggio ancora, del coltello per tagliarli! Spumante. Quello secco non si serve mai a fine pasto insieme ai dolci. Se volete mostrarvi esperto di vino, dite «metodo classico», oggi lo spumante si chiama così. «Bollicine» pare sia superato, ma rende l'idea. Quando si stappa tenete la mano destra sopra l'imboccatura della bottiglia per evitare che il tappo colpisca qualcuno nella stanza e soprattutto cercate di essere silenziosi. Starnuto. L'ideale sarebbe reprimerlo, soffocarlo, ucciderlo, specialmente durante cerimonie e pranzi formali. Quando vi accorgete che lo starnuto sta arrivando, conviene alzarsi e procurarsi un fazzoletto pulito. Se proprio dovete restare seduti, voltate il viso all'esterno del tavolo e starnutite dentro il fazzoletto, badando di fare meno rumore possibile. In Giappone è considerato ripugnante starnutire a tavola. Stuzzicadenti. Come tutte le operazioni riguardanti il proprio corpo, stuzzicarsi i denti a tavola non è ammesso. In realtà i ristoratori dovrebbero mettere il contenitore degli stuzzicadenti in bagno. Se il fastidio è insopportabile, alzatevi dal tavolo. Sushi. Se non sapete usare le bacchette, non pasticciate inutilmente. Usate le mani, che è consentito, oppure chiedete una forchetta. Ogni pezzo di sushi va intinto nella soia dalla parte del pesce, mai dal riso. Le bacchette si appoggiano all'apposito utensile che assomiglia a un poggiaposate, e quando avete finito si mettono allineate sulla ciotola che contiene la salsa di soia. Al sushi bar, se sedete al bancone, non date soldi al maestro sushi presi dall'entusiasmo: non può toccarli. Tavola. Sulla tavola non si appoggia nessun oggetto, niente chiavi, occhiali, portafogli o telefoni. Tè. Si beve sorseggiando dalla tazza senza sollevare il mignolo, per carità. Non vi si inzuppano dolci o tartine, ma si alternano piccoli bocconi e sorsi di bevanda. La padrona di casa che invita per il tè predispone zucchero, latte e fettine di limone, qualche biscotto ed esorta gli ospiti a servirsi da soli dopo aver versato il tè nelle tazze. Toilette. Non c'è bisogno di annunciarlo rumorosamente, se si vuole andare in bagno ci si alza con un semplice «Scusate». Alle signore consiglio di non abbandonare per ore il proprio cavaliere ad aspettare al tavolo. Torta. Si mangia con l'apposita forchetta a tre punte. Tovaglia. La tovaglia, di qualsiasi colore sia, dovrà essere stirata alla perfezione e questo va fatto una volta che viene stesa sulla tavola, sopra un «mollettone», così si chiama il telo morbido di protezione alla superficie del tavolo. Scegliete tessuti naturali in colori contrastanti con i piatti la cui base, sarò tradizionalista, deve essere rigorosamente bianca. Tovagliolo. Solitamente piegato e posato sopra il piatto o il sottopiatto va a destra, ma si può semplicemente piegare a triangolo e adagiare sul piatto. Evitate piegature fantasiose e laboriose. All'inizio del pasto va steso sulle ginocchia, sempre dopo la padrona di casa o, al ristorante, dopo la persona che ha invitato. Non va mai legato al collo. Si usa prima di bere, sempre, e dopo aver appoggiato il bicchiere. Alla fine del pasto si lascia alla sinistra del piatto. In alcuni ristoranti di alto livello, prima del servizio del dolce, il tovagliolo viene cambiato con uno più piccolo. È un atto di grande cortesia. Signore, cercate di non lasciare vistose impronte di rossetto, signori non usatelo per detergervi il sudore dalla fronte. Ubriachezza. Può succedere che un ospite esageri con l'alcol: che fare? Un bravo anfitrione cerca di arginare come può la serata, ma di certo non lo abbandona fuori dalla porta a fine cena. Si preoccupa di accompagnarlo a casa e di assicurarsi che stia bene. Uomo. Uomini, ricordate! Basterà un gesto come aprirle la portiera o alzarsi nel momento in cui lei lascia il tavolo per farsi ricordare a lungo. Insomma, vi verrà perdonato anche qualche sbaglio, se saprete usare qualche galanteria al momento giusto. L'uomo entra per primo in un locale, comunica con i camerieri, versa da bere, si dimostra più interessato alla compagnia che al cibo, conversa e dovrebbe pagare il conto. Uova. Non si usa mai il coltello, in qualsiasi modo siano cucinate. Lo si può usare solo per tagliare il prosciutto o la pancetta che le accompagna. Uva. Va tenuta con la mano sinistra, mentre con la destra si staccano gli acini che andranno alla bocca. Verdure. Non si tagliano mai con il coltello. Vino. Non si versa mai sino al collo del bicchiere. Si stappa sempre davanti agli ospiti, e così pretendete al ristorante. Si fa scegliere alla signora e se questa si rifiuta si prende l'iniziativa chiedendo almeno «bianco o rosso». Chi invita, sia a casa sia al ristorante, propone i vini e chiede se gli invitati sono d'accordo. Il vino non si mescola con l'acqua e non deve essere raffreddato con il ghiaccio. Si lascia in un secchiello di qualsiasi materiale, possibilmente su un tavolino a parte. Zotico. È l'epiteto che si merita chi a tavola pecca di prepotenza e maleducazione. Per neutralizzare lo zotico recidivo è necessaria più fermezza che ironia, la seconda non la coglierebbe. Un seccato richiamo ha più probabilità di venire accolto. Zuppa, zuppiera. Non si soffia sulla minestra o la zuppa. In Inghilterra, il cucchiaio non viene introdotto in bocca di punta, ma appoggiato lateralmente alle labbra. In Italia il cucchiaio viene introdotto in bocca di punta. Ma ciò non vuol dire, beninteso, che lo si debba inghiottire fino al manico. È tollerato che, arrivati agli ultimi cucchiai di minestra, si sollevi appena il piatto inclinandolo verso il centro della tavola. Zuzzurellone. Avete presente quei soggetti che pur essendo adulti si comportano come ragazzini e si divertono a fare i giocherelloni? È il buontempone, il burlone che a tavola gioca con il cibo, estenua i commensali con storielle imbarazzanti, indovinelli, racconti di vita privata e via discorrendo. Basterà ignorarlo senza ridere delle sue battute pesanti per neutralizzarlo.

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La giovinetta educata alla morale ed istruita nei lavori femminili, nella economia domestica e nelle cose più convenienti al suo stato

192718
Tonar, Gozzi, Taterna, Carrer, Lambruschini, ecc. ecc. 1 occorrenze
  • 1888
  • Libreria G. B. Petrini
  • Torino
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Voi potete mangiare fintantoché siete sazie, cioè finchè avete appetito: mangiate solamente adagio, ma non tanto da recar nausea a chi vi vede; il cibo acquista il primo grado di digestione in bocca, purchè lo mastichiate bene e sia abbondantemente inzuppato di saliva; se l'appetito vi manca non mangiate nè bevete, imperciochè il vostro corpo allora non ne ha bisogno; non è ciò che mangiate che vi dà la vita, ma ciò che digerite. Talora avete un appettito morboso che potete distinguere facilmente dalla difficoltà che troverete a digerire; in questo caso dovete essere moderatissime e consultare il medico. Procurate di serbare un certo ordine nei vari pasti che fate nella giornata, e di noi mangiare tutti i momenti come fanno i polli, razzolando ogni ora, perciocchè questo vi gioverà molto per conservarvi in salute. Non mangiate subito dopo che avete sofferto un dispiacere, o l'animo vostro è agitato per qualche altra causa, ne dopo un esercizio corporale un po' violento, ma aspettate prima che ritorni la calma. Dopo il pasto astenetevi per un po' di tempo da ogni esercizio intellettuale o corporale troppo attivo: dopo il pranzo o la cena è buon costume lo stare in piedi o passeggiare lentamente e lietamente conversando: del resto il miglior moto é quello che si fa prima di pranzo e tre ore dopo. Chi non mastica bene il cibo difficilmente digerisce; le lente digestioni non solamente sconcertano lo stomaco, ma producono ancora certe esalazioni che imbiancano la lingua ed infettano i denti di certa materia detta tartaro o gromma, il quale li investe e nuoce allo smalto di essi; esso si forma pure nelle lunghe diete e quando per alcuna causa non si mastica che da un lato. Ma il tartaro non è la sola causa del guasto dei denti, sonovi altre ancora, come il rompere noccioli e simili, lo stuzzicarli con spilli acuti di ferro è peggio di ottone, si che talora le gengive sanguinano; e così gli acidi, come l'agro del limone, l'agresto, le frutta immature, tutto ciò insomma che vi allega i denti. Essi ne tolgono il liscio, ne lasciano aspra la superficie e la corrodono. Aggiungete ancora il masticare spesso confetti, e specialmente quelli che sono mescolati con materia tenace, e lo zucchero a lapilli, l'abuso dei liquori fermentati e dei cibi troppo salati, il bere freddo o ghiacciato, che mozza i denti dopo aver mangiato vivande calde; l'andare al freddo e prender aria fredda quando la testa cola di sudore. Per conservare adunque i denti bisogna che vi guardiate dalle dette cause, che togliate assiduamente col dentelliere i residui degli alimenti rimasti frammezzo di essi, perché non si putrefacciano; che ve li laviate sovente adoperando anche la setolina che conoscete, particolarmente al mattino e dopo il mangiare, non con quei certi specifici da cerretani, che sono o inutili o nocivi, ma con acqua pura; potete anche stropicciarveli colla polvere di carbone, purché essa sia finissima sì, che non possa rigarli. Se con tutte queste precauzioni v'avviene che si formino tuttavia concrezioni, bisognerà che ricorriate a quei dell'arte, perché esse non sieno causa di certo gemitio che li distacca dalle gengive e che gli scalza cagionando fetore di fiato ed altri malanni. Lo stomaco, perché adempia perfettamente al suo ufficio, non bisogna dargli di più di quello che, giusta le leggi di natura può contenere; sforzandolo smoderatamente s'indebolisce, non può consumare a dovere il di più che ricevette, quindo ne nascono crudezze e cattivi umori elle vie degl'intestini, per cui bisogna prendere purgativi, i quali indeboliscono di loro natura. Il ghiottone dopo il pasto sente un peso nello stomaco, una voglia vomitare, di sbadigliare, di dormire, e la testa grave ed ottusa : che tristo stato è questo! Oh, le mie ragazze, siate adunque temperanti, perchè non lo abbiate a provare.

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Signorilità

198577
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 1 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
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Una cura speciale della padrona di casa deve essere rivolta alle spazzole, che vanno lavate spesso con un granello di soda nell'acqua calda, facendo in modo che solo le setole vi vengono immerse, e che vanno poi abbondantemente risciacquate. A capo del letto deve, naturalmente, pendere un'imagine sacra. L'arte italiana possiede Madonne magnifiche e Cristi e Santi di tutti i tempi e di tutti i Sommi, ciò che rende facile la scelta. Per camera di sposi, la più adatta è una Vergine col bambino; ben a ragione è molto diffusa quella di Nicolò Barabino, «quasi oliva speciosa in campis», suggestiva e deliziosa. Anche il quadretto-ricordo della prima Comunione è un ricordo caro ai cuori femminili, che lo tengono volentieri accanto al loro letto per tutta la vita. E per questo esso dovrebbe esulare dalle solite volgari litografie, avere un carattere d'arte, ed essere bene incorniciato. In quanto alle acquasantiere, esse sono un po' passate di moda e si vedono soltanto nelle camere in stile; ora vanno anche in cuojo. E il cuojo è trattato in modo che appare dorato, bronzato, colorato in mille toni pastosi, pieno di luce e di duttilità. L'acquasantiera che l'Artigiano italiano regalò a Romano Mussolini, ideata e eseguita da Antonietta Cesa, ha, in alto, la forma di un capitello con due nicchie: nel capitello spicca una croce d'oro sfumato, adorna di rose sotto cui un pettirosso canta... grazioso richiamo alla leggenda dell'uccello gentile che, posando sul cuore di Gesù in Croce, ebbe macchiato il petto del Sangue divino. Le due nicchie contengono un cero benedetto e un ramo d'olivo. In basso, il cuoio è foggiato a piccolo recipiente per ricevere l'acqua lustrale, e dei fiori balzano a circondarlo con i loro steli rosati. In quanto ai tappeti, è inutile ripetere quanto fu scritto a proposito di quelli da salotto. Raccomando alle amabili lettrici di farne qualcuno da sè, lavorando sul canovaccio con grossissima lana, oppure lavorandoli con enormi ferri, e scegliendo belle tinte e bei disegni.

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Come presentarmi in società

199972
Erminia Vescovi 2 occorrenze
  • 1954
  • Brescia
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Il fanciullo deve avvezzarsi pulito e ravviato nella persona, e alla mattina e fra il giorno lavarsi abbondantemente. Anche alla sera, prima di coricarsi, si lavi il volto e le mani. Appena s'accorge di uno strappo o d'una macchia al suo vestito, sia pronto al rimedio. Una fanciullina deve saper fare da sè; il maschietto ricorra all'amorevolezza della piccola sorella, e non dimentichi mai di ringraziarla. Il primo saluto alla mattina e l'ultimo alla sera devono essere pei genitori. Una ragazzina di mia molto intima conoscenza era andata a letto, una sera, senza dar la buona notte. Si era appena stesa fra le lenzuola, quando si presentò a lei la domestica, avvertendola che i suoi genitori la chiamavano in salotto. Si rivestì subito, con un po' di sorpresa e di batticuore, si presentò ai genitori e chiese cosa desiderassero. Niente altro, le fu risposto, se non sentirci dare la buona notte! - La lezione fu indimenticabile. Essa ci ricorda quella del famoso scrittore inglese, Swift, il quale fece richiamare la sua giovane domestica, partita in tutta fretta per assistere alle nozze di sua sorella, perché venisse... a chiuder la porta che sbadatamente aveva lasciata aperta. Sicuro, anche questa della porta è una questione importante. C'è chi la lascia sempre aperta, e tocca poi al vento chiuderla rumorosamente, oppure alla persona che sedeva tranquilla alzarsi con suo incomodo: c'è chi la sbatacchia con mal garbo e fa tremare tutta la casa. Il ragazzo che entra od esce, per quanto in fretta, deve avvezzarsi a chiuder adagio e solidamente. Sulla soglia poi, se egli è colla sorellina (non occorre dire con persone superiori!) deve fermarsi e lasciarla passare. E mai deve trascurare le formule: con permesso, scusi, ecc. (evitando il francese pardon) tutte le volte che è costretto a recare altrui qualche lieve disturbo. E non si permetta ai maschi di far giuochi troppo rumorosi in casa, di alzar la voce soverchiamente, di cantare e strillare, di ridere sgangheratamente. Si frenino anche certe sgarbate dimostrazioni d'affetto: quel buttarsi scompostamente al collo di una persona, e sia pure la mamma, per tenerla sotto una pioggia di baci, quell'arruffarle i capelli, quel tirarla per le mani, quell'abbandonarsele addosso. L'affetto deve manifestarsi in modi più ragionevoli e gentili, senza perder nulla della sua intensità. Le femmine, colle loro tendenze più tranquille, e colle loro mosse naturalmente più composte, riescono, in generale, assai più facili a educare. Ma vi sono però delle fanciullette che hanno una vivacità straordinaria, veri maschietti, veri demonietti, si soglion dire. Ebbene, la brava mamma non incoraggerà e non tollererà queste tendenze. Per quanto i tempi moderni inclinino all'abolizione di ogni differenza tra i due sessi, ricordiamo che la gentilezza e la modestia rimangono sempre il pregio più caratteristico della donna. La fanciulletta maschilizzante nella voce, nei modi, nei salti deve dunque essere frenata a tempo, e siccome ciò accade specialmente quando, essendo unica femmina di casa, si diverte abitualmente coi fratelli e coi loro piccoli amici, la mamma cerchi di procurarle qualche compagna adatta, o la tenga molto presso di sè, occupandola piacevolmente. I giuochi tra compagni, giù nel cortile, o nella piazza vicina a casa, o nei giardini pubblici, vanno talvolta a finire in qualche lite. Allora volano le parole insolenti, si mena anche qualche pugno e alla fine i piccoli nemici si staccano malvolentieri dal campo di battaglia, per ritirarsi a casa a raccontar le cose come la passione loro suggerisce, e far nascere spesso disgusti, malumori e inimicizie tra le famiglie. Bisogna impedir questo, ad ogni modo. I fanciulli devono essere cortesi ed arrendevoli nel gioco: devono saper compatirsi a vicenda e non turbare la gioia comune per qualche puntiglio o qualche dispettuccio. I genitori hanno poi l'obbligo di formare nell'anima loro il senso della più scrupolosa lealtà nelle gare di forza o di abilità, il che costituirà un prezioso fondamento a ben altre applicazioni nella vita; gioverà inoltre a impedire molte questioni e dispute. Ma se queste accadessero i genitori impongano riconciliazione pronta, e scuse a chi si deve. Ho sempre nell'orecchio il tono grazioso con cui un fanciullo romano, a Villa Borghese, diceva a un suo piccolo amico: - Bene, ora perdonami, e giochiamo. - Eran da soli; l'imposizione non era dunque partita da nessun superiore, ma la parola onesta e gentile fioriva evidentemente sul labbro di quel ragazzetto per opera di una educazione domestica sollecitamente curata. Non si deve mai permettere a un ragazzo di usar soprannomi o parole offensive verso nessuno. Ma quante volte i genitori son colpevoli essi medesimi a questo riguardo! Quante volte parlano dell'assente con superbia o con sprezzo! Quante volte riferiscono, vantandosene, qualche tratto d'insolenza che a loro sembra giustizia! E non si permetta nemmeno che il fanciullo si avvezzi a trinciar sentenze su uomini e cose, e faccia osservazioni non competenti alla sua età. E, per carità, si freni la mania dei saputelli e, peggio ancora, delle saputelle, a voler mettere in mostra, a tutti i patti, il loro piccolo corredo di scienza! Verso i vecchi di casa i nipotini devono usare ogni riguardo. E' vero che l'affezione dei nonni e degli zii, affezione talora cieca e idolatra, basta talvolta a mettere tra loro la massima cordialità di relazioni. Ma talvolta i poveri vecchi sono un po' di cattivo umore, talvolta sono indisposti: allora bisogna impedire che la vivacità infantile li disturbi, allora bisogna che i fanciulli, e specialmente le fanciulle, sian più che mai affettuosi e servizievoli. Guai ai genitori che osassero dar l'esempio di qualche parola poco riguardosa, di qualche segno di dispetto! Coi domestici, i fanciulli stanno spesso e volentieri, e la cosa non è senza pericolo. Dai servitori potrebbero imparare parole sconce, dalle cameriere vanità e pettegolezzi. E' vero che oggi il personale di servizio va riducendosi tanto, che questi pericoli anch'essi gradatamente scompaiono. Tuttavia, in campagna e nelle famiglie agiate e numerose, il caso può darsi ancora. I savi genitori non lascino che i loro figli si trattengano in compagnia dei domestici più di quanto è necessario, anche se fossero persone (se ne trovano ancora, benchè troppo poche), di tutta loro fiducia. Nell'antichità classica la vecchia nutrice, il servo fidato era l'amico del giovane f atto adulto, era il confidente obbligatorio delle sue passioni nelle tragedie. Ora i servi si soglion dire nostri nemici pagati. Ma in presenza dei figli i bravi parenti non fanno mai sfoghi di cattivo gusto contro la servitù. E devono anche avvezzarli a trattar con bel garbo la persona di servizio, a usar anche con essa le formule usuali della cortesia: per piacere, grazie, scusa, ecc. Troppo spesso i ragazzi inclinano alla prepotenza e allo sgarbo, e le prime vittime ne sogliono essere i domestici. Se poi questi hanno l'ardire di difendere i loro diritti naturali, di risentirsi un po' ecco il prepotentello tramutarsi in delatore, e correr dalla mamma, e lamentarsi che gli è stato mancato di rispetto. E la mamma, si sa, inclina in generale a dar ragione al suo rampollo, e non risparmia la sgridata. Così non fa peraltro una donna, saggia e cristiana, la quale deve intendere come si faccia un pessimo regalo al fanciullo con quella momentanea soddisfazione data al suo orgoglio e alla sua vendetta. Ricordiamo, al contrario, la marchesa d'Azeglio che costrinse il suo piccolo Massimo a chiedere scusa ginocchioni al vecchio servo cui aveva menato, forse senza gran cattiveria, una bacchettata! Anche verso le povere bestie di casa il fanciullo deve essere amorevole e premuroso. E' buona abitudine dar loro in custodia qualche uccelletto, affidar alle bimbe il nutrimento delle galline, far che prestino qualche cura al vecchio cane o all'asinello o al puledro. E non si permettano mai le barbarie contro gli insetti, le frustate inutili ai cavalli, e si avvezzino a considerare il cane e il gatto, quali veramente sono, cioè amici discreti e sicuri, e servizievoli, ma della cui pazienza non bisogna poi abusare. Durante l'infanzia e alla fine di essa i fanciulli fanno due grandi passi nella vita religiosa: la Cresima e la prima Comunione. L'una e l'altra sono due solennità che la famiglia celebra con tutta la pompa che le è possibile; ma genitori dal retto sentire cercheranno che questa pompa esterna non sia mai a danno del raccoglimento interno. Ai due grandi sacramenti deve precedere una conveniente preparazione, e per la Comunione, specialmente, sarebbe desiderabile un ritiro. Che l'idea dei regali, delle vesti eleganti, degli svaghi e dei complimenti non profani la sacra purezza del senso religioso! E in quel giorno, dopo una intima e soave festività, tra parenti e amici, si tengano ben lontani i fanciulli da ogni distrazione mondana. In certi luoghi, purtroppo, non si fa così, e dalla mattina alla sera i cresimati e i neo-comunicati si vedono girar la città, vestiti ancora cogli abiti e cogli ornamenti della sacra cerimonia; e si conducono al passeggio pubblico, e in visite, e al caffè... e anche al cinematografo e al teatro. Che impressione può loro restare di questa giornata, e specialmente se è quella della Comunione, che suol essere detta «la più bella della vita»? Perchè sia tale, bisogna formare tutto intorno al fanciullo, un'atmosfera di pietà, di raccoglimento, di dolcezza e di affetti domestici, e custodirvelo scrupolosamente.

Essa dev'essere abbondantemente illuminata, adorna secondo il gusto della padrona di casa. Nessun mobile, se non divani e sedie lungo B. muro: una tela stesa a terra a guisa di tappeto. In un angolo, dissimulata tra i fiori e gli arbusti, l'orchestrina. Si capisce che in una vera festa da ballo si chiamano suonatori di professione, e non si pensa neppure d'inchiodar al piano qualcuno della famiglia, o magari di pregare qualche invitato. Al giorno d'oggi però, quando il ballo non debba avere un carattere speciale d'ufficialità o etichetta, l'orchestrina è spesso sostituita da un radiogrammofono con buoni dischi, sempre s'intende se è ballo in casa privata. La seconda sala è ad uso delle mamme che non ballano, e in generale delle persone mature che stanno a discorrere fra di loro: qui vengono anche i danzatori a riposarsi. Abbandoneranno poltrone, sedie, divani e ogni comodità. Per gli uomini però sarà meglio, potendo, preparar una saletta apposita, perchè vi stiano a fumare e trattenersi a loro agio; tanto meglio, se c'è, il bigliardo. Finalmente c'è la saletta del buffet, che deve rimaner chiusa sin verso mezzanotte. Essa avrà una lunga tavola centrale su cui stanno disposti cibi freddi e bevande, e, se vi è spazio sufficiente, piccole tavole ove siederanno gli invitati. Il trattamento deve essere finissimo: pollo in galantina, sformati, crostini assortiti, pesce in mayonnaise, arrosto di vitello ecc.; paste, dolci in quantità, biscotti e confetture, aranci e mandarini. Per bevande, vini bianchi, asciutti e dolci, e lo champagne che può benissimo essere sostituito dal nostro spumante d'Asti. Generalmente gl'invitati si servono da loro, o per meglio dire i cavalieri servono le loro dame, dopo averle fatte sedere. Ci devono però essere almeno due domestici al servizio generale. E s'intende che, anche prima o dopo la cena, devono circolare altri rinfreschi: limonate, aranciate, gelati, ecc. I padroni di casa debbono essere pronti qualche tempo prima dell'ora fissata, per ricevere i loro ospiti. Indosseranno l'abito prescritto: se gli invitati devono portare la marsina sarebbe una grave sconvenienza che il padrone di casa avesse la giacchetta o l'abito chiuso, per le signore sarebbe poi una mortificazione assai grande giungere, per esempio, con un vestito di mezza gala, e trovar la padrona scollata e tutta scintillante di gioielli. Il padrone di casa, sua moglie, gli altri della famiglia devono dedicarsi esclusivamente ai loro ospiti. Se sono in età ancor giovane, aprono il ballo rispettivamente coll'ospite di maggior riguardo: se così non è, tale ufficio spetta ai loro figli o nipoti. Avranno cura che nessuna signorina resti a sedere troppo a lungo, invitando e facendo invitare quelle che non avessero molti cavalieri desiderosi di loro: faranno buona compagnia alle mamme sedute, gireranno per le sale, osservando che tutto vada bene e incoraggiando con piacevole serenità il divertimento comune. Avranno poi d'occhio la sala del buffet perché ognuno si serva e sia servito agiatamente, e avranno anche pensato - cosa indispensabile - a un gabinetto di toilette dove una cameriera stia pronta a rimediar qualche guasto accaduto durante il fervor delle danze. La festa suol finire generalmente verso le quattro o cinque del mattino, dopo il cotillon nel quale saranno distribuiti doni graziosi ed eleganti: talvolta anche di qualche valore. Invitando a un trattenimento serale con musica, è bene dar anche il programma dei pezzi che saranno eseguiti. Non si faranno cantare e suonare solo dei dilettanti, ma ci vorrà anche qualche artista. Si badi però che il programma musicale non sia troppo denso... perché molti amano più conversare che ascoltare, e nemmeno troppo grave, perché la musica classica non è da tutti. Anche per questo, sarà cura degli invitanti preparare una o più sale ampie e ben illuminate, ornate con eleganza severa, e disporre perché circolino abbondanti rinfreschi. L'abbigliamento può essere di gran gala (e allora i padroni avvertiranno) oppure di mezza gala, non mai da visita o da passeggio, ed essi ne daranno l'esempio. I tè sono riunioni che tengono la mezza via tra gli inviti di lusso e quelli intimi, e terminano a volte con quattro salti. Si svolgono fra le cinque e le otto del pomeriggio. La prima cosa per offrire bene un tè... è farlo buono, il che non è sempre facile. Un buon tè dev'essere biondo, chiaro, caldissimo. La padrona di casa serve il tè ella stessa, facendosi aiutare dalle signorine o anche da qualche giovanotto intimo di casa. Sulla tavola coperta di una finissima tovaglietta stanno la teiera, il bricco del latte, il limone o la caraffa del liquore; tartine, dolci e biscotti svariati e abbondanti. Soltanto se il numero degli invitati fosse molto grande, si serve a gruppi, su piccoli tavolini, altrimenti ciascuno rimane al suo posto. Ad ogni persona si chieda, servendola, se gradisce limone, panna o liquore coll'aromatica bevanda, si ripete poi il giro, offrendo una seconda tazza e magari anche una terza. Ma siccome non tutti hanno pel tè una grande simpatia, sarà bene aver anche pronto un bricco di ottimo caffè, nonché vermouth e aperitivi per chi arriva sul tardi. Oltre ai biscotti, ai crostini (non mai paste con crema o panna) si suol mettere sulla tavola, seguendo l'uso inglese, un dolce di larghe proporzioni: torta, marzapane, plum cake o simili, che si taglia per ultimo. Si faranno poi circolare bibite svariate, caramelle e cioccolatini in eleganti coppe. La padrona di casa che offre un tè riceve con un abito elegantissimo, non però scollato; le visitatrici in abito da visita con qualche ricercatezza. Non si toglieranno il cappello. In questo dopoguerra sono venuti di gran moda, sulla scia dell'uso americano, i cocktails, che permettono di invitare anche gli uomini, i quali, essendo occupati durante la giornata, difficilmente possono intervenire a un tè. Si tratta di riunioni che iniziandosi verso le sette di sera, dovrebbero di regola durare due tre ore, ma volendo si possono anche protrarre (comunque, non oltre la mezzanotte) assumendo un po' il tono di cena in piedi, e che possono essere anche danzanti. Ai cocktails non si offre tè, ma aperitivi, vermouth, bibite varie e soprattutto quelle misture di liquori che danno il nome alla riunione: il tutto accompagnato da tartine, pasticcini salati e dolci come per il tè, ad esclusione delle torte. Se la riunione assume il tono di cena si offrirà anche una tazza di brodo, o un risotto, e qualche piatto freddo. Le signore indosseranno per questi inviti un abito più elegante che non per i tè, da mezza sera, che può essere un po' scollato ma non lungo; gli uomini un abito normale grigio scuro o blu. I pranzi di gran lusso, quelli a cui si va in marsina e abito scollato, sono, più che altro, noiose parate di convenienza. Chi è al caso di offrirne ha generalmente a sua disposizione anche un maggiordomo e un capo cuoco coadiuvato da numerosi vassalli (come dice Dante) e non ha bisogno dei consigli di questo libro. La sala ove si darà il pranzo dovrà essere ampia in proporzione degli invitati, riscaldata moderatamente nell'inverno, aereata nell'estate. L'illuminazione deve essere abbondante. Generalmente pendono dal soffitto le eleganti lumiere o circondano i doppieri le pareti, ma qualcuno usa anche mettere bei candelabri con candele di cera. Questione di gusti. La tavola ampia, in modo che ognuno disponga almeno di sessanta centimetri di spazio, sarà coperta da una tovaglia ricadente ai lati: la tela damascata di Fiandra, benchè ancora usata dalle famiglie che ne hanno guarniti gli armadi, non è più moderna, e viene sostituita piuttosto da altre tele di lino, purchè finissime, variamente lavorate. Sotto la tovaglia ci deve però essere una grossa coperta, bianca o di colore adatto alla trasparenza se la tovaglia è traforata, per attutire i rumori e preservare il tavolo dalle eventuali macchie. La decorazione di fiori si può fare in vario modo: grandi coppe larghe e basse, per non impedire la vista, ricolme di fiori variopinti, o vasetti di fino cristallo o di metallo collocati presso ogni convitato, o ghirlandine leggere che corrono lungo la tovaglia. Si badi però di evitare ogni ingombro soverchio. Per questo sono state abolite anche le grandi alzate di frutta e dolci che una volta solevano guarnire le mense. Il tovagliolo va messo alla sinistra del piatto, piegato in quattro, semplicemente: a destra coltello e cucchiaio, a sinistra la forchetta. La piccola posata per frutta e dolce si colloca orizzontalmente davanti al piatto. Tre calici di varia dimensione servono per l'acqua, pel vino da pasto e pel vino bianco. Le coppe dello spumante si possono portare al momento. Sulla credenza e sopra una piccola tavola, ambedue coperte di fini tovagliette, staranno pile di piatti, posate di ricambio, tovaglioli di riserva, bicchieri, boccie di acqua e di vino già pronto, oltre alle bottiglie che vanno sturate al momento. L'argenteria abbondante e massiccia, la fine porcellana, i cristalli delicati sono la gloria e l'eleganza della mensa, oltre la biancheria. E' troppo giusto che gli invitanti sfoggino quanto hanno di meglio in queste occasioni, e non lo fanno certamente per vanità, ma pel desiderio di onorare gli ospiti. I posti sono talvolta indicati da cartelli, e così pure si suol collocare vicino ad ogni piatto la lista dei cibi, in elegante cartoncino fregiato da decorazioni artistiche. Ma questa usanza sa troppo di albergo... o di banchetto diplomatico. Il padrone e la padrona di casa siedono l'uno di fronte all'altro ai due capi della tavola, avendo ciascuno ai lati le persone di maggior importanza. Se vi è un sacerdote, spetta a lui il posto d'onore che è quello a destra della padrona di casa. Il servizio comincia il suo primo giro dalla signora che sta a destra del padrone, il secondo dalla signora che sta a sinistra, il terzo dal signore che sta a destra della padrona, il quarto da quello che le sta a sinistra. Ad ogni portata, si deve far girare due volte il vassoio. Le persone che fanno il servizio devono essere addestrate a farlo con precisione e disinvoltura; la padrona le tenga d'occhio, ma se qualche principiante commettesse una svista, non metta in evidenza la cosa, e si riservi a far dopo le sue avvertenze. Nulla è più spiacevole di sentir a tavola, una signora dar lezione alla cameriera, e peggio ancora se la rimproverasse o mortificasse. La scelta delle portate dev'essere varia e gustosa per avere il gradimento generale. Ora non si usano più, grazie al cielo, i banchetti pantagruelici a cui resistevano, e non si capisce come! gli stomachi dei nostri avi. Ma non bisogna esagerare nell'altro senso. Chi si reca alla mensa altrui ha diritto che sia soddisfatto ampiamente il suo appetito, e il numero e la varietà dei cibi deve in certo modo compensare la libertà ch'egli avrebbe a casa sua, di scegliere e mangiare comodamente, nonchè il sacrifizio delle sue abitudini e dei suoi gusti personali. Bisogna dunque usare una certa larghezza. Francesco Petrarca si compiaceva per conto suo dei pesciolini che gli riusciva di pigliare nelle «chiare, fresche e dolci acque» della sua Sorga, e del pane scuro che si faceva dare dall'ortolano, ma quando riceveva ospiti li trattava splendidamente. Un pranzo di gala è composto di tre o quattro portate oltre la minestra e il dolce. Dopo la minestra si avrà un primo piatto leggero, generalmente pesce con salsa; anche un fritto variato può andar bene. Indi un piatto di carne con contorno, uno sformato o pasticcio, l'arrosto di pollo o vitello con insalata, e finalmente il dolce e le frutta. In pranzi più semplici si sopprimerà il primo piatto di carne e magari anche il piatto di mezzo. Una colazione sarà sempre molto più semplice di un pranzo, poiché si suppone che gli invitati debbano andarsene presto avendo altri impegni per il pomeriggio: in generale avrà al massimo una portata di carne ed una di verdura, oltre, si capisce, dolce e frutta. Alla minestra asciutta si potrà sostituire un antipasto variato (prosciutto, burro, acciughe, sottaceti, insalata alla russa, ecc.), accompagnato magari da una tazza di brodo. Si tenga comunque presente, nell'organizzare un pranzo, che in nessun caso la durata di esso dovrebbe superare l'ora. La minestra non si porta in tavola, ma si serve da un lato, o si fa trovar pronta nelle scodelle. La prima portata deve sempre essere presentata da sinistra, mentre il piatto usato si porta via da destra: le posate si cambiano ogni volta. A tavola non si scalca: i polli devono comparire già fatti a pezzi e la carne tagliata a fette. L'insalata si presenta già condita. Per evitare la sbucciatura delle frutta è molto elegante l'uso della cosidetta macedonia, molto impropriamente chiamata, all'inglese, insalata di frutta. Zucchero e vino bianco finissimo si versa nelle coppe ove prima saranno disposte sbucciate e tagliate a spicchi o a fette le frutta più delicate. Se si serve il gelato, vi deve sempre essere unito un piatto di pasticcini leggeri. Il caffè dev'essere aromatico, caldissimo, abbondante: si serve in eleganti tazzine che sono di stile speciale, oppure analoghe al servizio già usato per la mensa. I vini si servono gradualmente secondo i cibi, dai più leggeri ai più forti. Ogni regione di questa nostra fertilissima Italia ha i suoi, sicché si potrà pasteggiare con Chianti e il Barbera, servir il Capri dopo il pesce, il Barolo dopo l'arrosto, il vin Santo e lo Spumante d'Asti in fine di tavola. Ma nessuna eleganza di preparativi, nessuna squisitezza di cibi o bevande potrà valere quanto la cordiale cortesia degli invitanti. Essi devono tener presente che tutto, in quelle ore, deve contribuire alla gioia e alla serenità dei loro ospiti. L'accoglienza dovra dunque essere improntata al desiderio di compiacerli e rallegrarli in tutto. Essi li attenderanno in una sala attigua, vestiti con eleganza, e pronti un quarto d'ora almeno prima dell'invito; faranno festa ad ogni arrivante e lo presenteranno agli altri, trattenendo la compagnia in piacevole conversazione, sino a che non viene dato l'annunzio che il pranzo è servito. Allora il padrone di casa offre il braccio alla dama più ragguardevole: vengono poi gli altri, a coppie, e ultima la signora di casa col suo cavaliere. Durante il pranzo gli anfitrioni devono vigilare che tutti siano ben serviti. Toccherà a loro mantener nutrita la conversazione, proponendo piacevoli argomenti, ed eliminando avvedutamente ogni soggetto meno che conveniente. Se c'è un festeggiato, il padrone di casa farà, alla fine del pranzo, un breve brindisi in suo onore; se il brindisi è fatto da altri, si alzerà a rispondere in nome di tutti. Avvertiamo che ora, nei brindisi, non si usa più toccare i bicchieri: basta alzarli moderatamente. E dopo tanta... prosa, non dispiaccia la poetica descrizione d'un banchetto, dovuta a quell'impareggiabile artefice di versi che fu Ugo Foscolo:

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Otto giorni in una soffitta

204545
Giraud, H. 1 occorrenze
  • 1988
  • Salani
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Eppure li servo abbondantemente. Ebbene, si rifanno daccapo. Non parlo poi del dolce e delle frutta, che fanno come la neve al sole! - Dovreste dare a ognuno la sua parte, - consiglia Leonia. - Potrebbe far loro male, mangiar troppo. - Oh, no! - ribatte Maria. - Preferisco vederli riprendere le pietanze che bere medicine. E poi m' imbrogliano. Ieri, del salame, ne avevo tagliato come sempre; ebbene, me ne mancavano quattro

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Il ponte della felicità

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Neppi Fanello 1 occorrenze
  • 1950
  • Salani Editore
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BIBLIOTECA delle GIOVINETTE Lavori attraentissimi e originali dovuti ai migliori scrittori per la gioventù, perfetta presentazione editoriale degli eleganti volumi abbondantemente illustrati e solidamente legati. Ecco perchè le giovinette hanno accolto con entusiasmo questa iniziativa, liete di avere finalmente una collezione tutta per loro.

Mitchell, Margaret

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Via col vento 2 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Piú oltre, dietro ai granai, era sempre un'altra buca ove cuocevano le vivande per i servi della casa, i cocchieri e le cameriere degli ospiti, i quali avevano il loro festino a base di focacce all'indiana, di patate dolci e di trippa e altre interiora del maiale, pietanza cara al cuore dei negri; in estate, poi, vi erano tanti meloni da soddisfare abbondantemente tutti quanti. Quando l'odore dell'arrosto di maiale giunse alle sue nari, Rossella arricciò il naso con approvazione, sperando di avere un po' di appetito al momento di mangiarlo. In questo momento si sentiva cosí rimpinzata e cosí stretta nel busto che aveva continuamente paura di qualche rigurgito d'aria. E sarebbe stato fatale perché solo gli uomini e le signore molto vecchie potevano far questo senza timore della riprovazione sociale. Si fermarono al sommo della collina, e la casa bianca spiegò dinanzi a lei la sua perfetta simmetria; le grandi colonne, le ampie verande, il tetto basso; bella come una bella donna cosí sicura del suo fascino che può essere graziosa e generosa con tutti. Rossella amava le Dodici Querce anche piú di Tara, perché avevano una bellezza maestosa e una dolce dignità che la casa di Geraldo non possedeva. L'ampio viale d'accesso era gremito di cavalli sellati e di carrozze e di ospiti che scendevano e salutavano ad alta voce gli amici. Negri sorridenti, eccitati come sempre ai ricevimenti, conducevano gli animali sotto le tettoie per toglier loro selle e finimenti. Frotte di bambini, bianchi e negri, correvano e gridavano attorno al prato di un verde fresco giocando ai quadrati, o a saltamontone, e gioivano al pensiero di poter fare una scorpacciata. L'ampio vestibolo che andava dal davanti della casa alla parte posteriore era affollato di invitati, e quando la carrozza di O'Hara si fermò dinanzi alla gradinata, Rossella vide fanciulle in crinolina, variopinte come farfalle, andare su e giú per le scale, allacciate per la vita, fermandosi ad affacciarsi al di sopra della sottile ringhiera, ridendo e chiamando i giovinotti che si trovavano nel vestibolo sottostante. Attraverso i balconi aperti ella scorse le signore sedute nel salotto, vestite di seta scura, che si sventolavano parlando dei bambini, delle malattie, e di chi si era sposato, e del come e del perché. Tom, il maggiordomo di Wilkes, si affrettava attraverso i salotti con un vassoio d'argento fra le mani, inchinandosi e sorridendo nell'offrire grandi bicchieri ai giovinotti in calzoni grigi e camicia pieghettata. La veranda soleggiata sul davanti era piena di ospiti. Sí; pensò Rossella: vi era tutta la contea. I quattro ragazzi Tarleton col padre, appoggiati alle alte colonne, i gemelli Stuart e Brent uno accanto all'altro, inseparabili come sempre, Boyd e Tom insieme al padre, Giacomo Tarleton. Il signor Calvert era accanto alla moglie Yankee, la quale anche dopo quindici anni di soggiorno in Georgia non sembrava mai completamente a suo agio. Tutti erano molto gentili e cortesi con lei perché la compativano, ma nessuno poteva dimenticare che ella aveva compensato il suo errore di nascita, facendo la governante dei figli di Mr. Calvert. I due ragazzi Calvert, Rodolfo e Cade, erano con la loro sorella Catina dai capelli biondo chiaro, e stuzzicavano il bruno Joe Fontaine e la graziosa sua fidanzata Sally Munroe. Alessandro e Tom Fontaine sussurravano qualche cosa a Dimity Munroe, facendola ridere di cuore. Vi erano famiglie che venivano da Lowjoy, a dieci miglia di distanza; da Fayetteville e da Jonesboro; qualcuna perfino da Atlanta e da Macon. La casa era rigurgitante di folla e un incessante brusío di parole, di risa schiette e di risa sommesse, di gridolini femminili, di esclamazioni, si alzava e si abbassava di tono. Sui gradini del porticato era ritto John Wilkes coi suoi capelli d'argento; da lui emanava una tranquilla simpatia e un fascino ospitale immancabile e pieno di calore, come il sole dell'estate georgiana. Accanto a lui Gioia Wilkes (cosí chiamata perché si rivolgeva indistintamente con questa affettuosa espressione a tutti gli agricoltori di suo padre) si muoveva irrequieta e salutava con una sciocca risatina gli invitati che arrivavano. L'evidente desiderio di Gioia di apparire attraente a tutti gli uomini, desiderio che la rendeva nervosa, contrastava vivamente con l'atteggiamento di suo padre; e Rossella pensò che dopo tutto vi era forse qualche cosa di vero in quello che diceva la signora Tarleton. Certamente i Wilkes (uomini) avevano un'aria di famiglia. Le pesanti ciglia color d'oro scuro che ombreggiavano gli occhi grigi di John Wilkes e di Ashley erano invece rade e incolori nei volti di Gioia e di sua sorella Lydia. Gioia aveva lo strano sguardo senza ciglia di un coniglio. Lydia non poteva venir definita altrimenti che con l'aggettivo «trascurabile.» Lydia era invisibile, ma Rossella sapeva che probabilmente era in cucina a dare le ultime istruzioni alla servitú. «Povera Lydia!» pensò Rossella. «Ha sempre avuto tanto da fare a dirigere la casa da quando è morta sua madre, che non ha mai avuto la possibilità di attrarre un corteggiatore, eccetto Stuart Tarleton; e certo non è colpa mia se egli mi trova piú carina di lei.» John Wilkes scese gli scalini per offrire il braccio a Rossella. Nello scendere dalla carrozza ella vide Súsele sorridere con affettazione e da quel sorriso comprese che ella doveva aver riconosciuto tra la folla Franco Kennedy. «Se io non riuscissi ad avere uno spasimante migliore di quella vecchia zitella in calzoni!...» pensò con disprezzo, nel fermarsi a ringraziare John Wilkes. Franco Kennedy si stava affrettando per aiutare Súsele; e questa si dava tali arie, che fece venir la voglia a Rossella di mollarle un ceffone. Franco Kennedy poteva essere il piú grande proprietario della Contea e al tempo stesso un bravissimo uomo; ma queste cose non avevano importanza di fronte al fatto che aveva quarant'anni, che era smilzo e nervoso e aveva una barbetta sale e pepe e delle buffe movenze da zitellona. Peraltro, ricordando il suo progetto, Rossella dominò il suo sdegno e gli rivolse un sorriso cosí luminoso per salutarlo, che egli si fermò di scatto, piacevolmente stupito col braccio teso verso Súsele, facendo tanto d'occhi a Rossella. Lo sguardo di questa frugò la folla in cerca di Ashley, benché ella discorresse graziosamente con John Wilkes; ma il giovinotto non era nel porticato. Si udirono voci di saluto, e i gemelli Tarleton le andarono incontro. Le fanciulle Munroe si prodigarono in esclamazioni sulla bellezza del suo vestito ed in breve ella fu il centro di un gruppo di persone che vociavano sempre piú forte, dato che ognuno cercava di farsi udire al disopra degli altri. Ma dov'era Ashley? E Melania e Carletto? Cercò di non farsi accorgere che si guardava intorno e scrutò i gruppi attraverso il vestibolo. Mentre chiacchierava, rideva e lanciava rapidi sguardi nell'interno della casa e nel cortile, i suoi occhi caddero su uno straniero, solo nel vestibolo, che la fissava con una fredda impertinenza che destò in lei un sentimento misto di piacere femminile per aver suscitato l'interesse di un uomo e di imbarazzo per la sensazione che il suo abito fosse eccessivamente scollato. Le sembrò tutt'altro che giovine: almeno trentacinque anni; alto e ben costruito. Rossella si disse che non aveva mai visto un uomo con le spalle cosí larghe e con muscoli cosí vigorosi, quasi troppo vigorosi per un signore. Quando lo sguardo di lei incontrò il suo, egli sorrise mostrando una dentatura candida da animale da preda sotto i baffi neri tagliati corti. Era bruno di pelle, abbronzato come un pirata, e i suoi occhi erano arditi e neri appunto come quelli di un pirata che abborda una galera per depredarla, o una fanciulla per rapirla. Il suo volto era freddo e indifferente e la bocca aveva un'espressione cinica mentre egli sorrideva. E Rossella trattenne il fiato. Sentiva che quello sguardo era insultante e si irritava di non sentirsi insultata. Non sapeva chi fosse colui, ma innegabilmente quel viso bruno rivelava la persona di buona razza. Ciò si vedeva anche nel naso sottile, aquilino, nelle labbra rosse e carnose, nell'alta fronte e negli occhi ben tagliati. Ella distolse lo sguardo senza rispondere al sorriso: e l'uomo si voltò mentre qualcuno chiamava: - Rhett, Rhett Butler, venite qui! Voglio presentarvi alla ragazza piú insensibile di tutta la Georgia. Rhett Butler? Il nome non le era nuovo; le sembrava di averlo udito in occasione di qualche avventura piacevolmente scandalosa; ma la sua mente era rivolta ad Ashley e quindi allontanò subito quel pensiero. - Devo andar su a ravviarmi i capelli - disse a Stuart e a Brent che cercavano di trarla lontano dalla folla. - Voialtri aspettatemi e non ve ne andate con qualche altra ragazza, altrimenti mi arrabbio. Vedeva che Stuart sarebbe stato poco maneggevole oggi, qualora ella avesse civettato con qualche altro. Aveva bevuto ed aveva quell'espressione bellicosa che - lo sapeva per averlo visto altre volte - conduceva facilmente a qualche disputa. Si fermò nel vestibolo per scambiare qualche parola con l'uno o con l'altro e per salutare Lydia che emergeva dal retro della casa coi capelli in disordine e la fronte coperta di goccioline di sudore. Povera Lydia! Non solo aveva i capelli sbiaditi, le ciglia invisibili e un mento proteso che rivelava disposizioni alla caparbietà; ma aveva già vent'anni e per di piú era una zitellona. Chi sa se era molto irritata perché lei le aveva portato via Stuart? Molti dicevano che ne era ancora innamorata; ma non si poteva mai sapere che cosa pensasse un membro della famiglia Wilkes. Se ne era irritata, non lo aveva mai dimostrato e aveva sempre trattato Rossella con la stessa lieve cortesia, cordiale e distante, che sempre le aveva manifestata. Rossella le rivolse qualche parola gentile e si avviò alla scala. In quel momento udí pronunciare timidamente il suo nome; si volse e vide Carlo Hamilton. Era un grazioso ragazzo, con una massa di riccioli bruni sulla fronte bianca e occhi neri, dolci e affettuosi come quelli di un cane da pastore. Era vestito elegantemente: calzoni color mostarda e giubba nera; attorno al collo della camicia a pieghe, si avvolgeva una larga cravatta nera di ultima moda. Un lieve rossore gli invase il volto quando Rossella si volse, perché era timido con le donne. Come la maggior parte degli uomini timidi, egli ammirava moltissimo la vivacità e la disinvoltura delle fanciulle come Rossella. Fino ad ora, ella non gli aveva mai accordato altro che un saluto formale; perciò il vedersi accolto con un sorriso radioso e con le mani tese giocondamente gli tolse quasi il respiro. - Carlo Hamilton, simpatico vecchio amico! Scommetto che siete venuto da Atlanta apposta per spezzarmi il cuore! Quasi balbettando per l'eccitazione, Carlo prese fra le sue le manine tepide e fissò i begli occhi verdi e ridenti. In questo modo le ragazze solevano parlare con gli altri giovanotti; non mai con lui. Non sapeva perché, ma lo trattavano sempre come un fratello piú giovine ed erano gentili, senza mai prendersi la pena di stuzzicarlo. Egli avrebbe voluto che si comportassero con lui come con altri assai meno belli e meno provvisti di beni di fortuna. Ma le rare volte in cui questo avveniva, egli non sapeva mai che cosa dire e soffriva un tormentoso imbarazzo a causa della sua timidezza. E restava poi sveglio tutta la notte a pensare alle galanterie che avrebbe potuto dire: ma raramente gliene capitava l'occasione, perché le fanciulle dopo un paio di tentativi lo trascuravano. Perfino con Gioia con la quale esisteva una tacita intesa di matrimonio per il giorno in cui egli entrasse in possesso della sua proprietà, era silenzioso e diffidente. A volte lo assaliva il pensiero poco gentile che le civetterie di Gioia e i suoi atteggiamenti dispotici nei suoi riguardi non erano da attribuirsi a particolare simpatia, ma al fatto che le piacevano tanto i giovinotti che essa avrebbe avuto lo stesso contegno con chiunque gliene avesse dato l'opportunità. La prospettiva di sposarla non lo eccitava, perché la fanciulla non destava in lui nessuna delle emozioni violente che i suoi amati libri gli assicuravano fossero l'appannaggio del perfetto innamorato. Egli aveva sempre anelato d'essere amato da una creatura bella e ardita, piena di fuoco e di malizia. Ed ecco Rossella O'Hara che lo stuzzicava accusandolo di spezzarle il cuore! Cercò di pensare qualche cosa da dire ma non trovò nulla, e tacitamente la benedisse perché aveva cominciato a chiacchierare fitto fitto, liberandolo cosí da ogni necessità di conversazione. Era troppo bello per esser vero. - Aspettatemi qui finché torno, perché voglio mangiare la porchetta con voi. E non andate a fare il civettone con le altre ragazze, perché sono terribilmente gelosa. - Queste incredibili parole furono pronunciate dalle labbra rosse che avevano una fossetta a ogni angolo; e le folte ciglia nere si abbassarono pudicamente sugli occhi verdi. - Obbedirò - riuscí finalmente a dire in un soffio Carlo, non supponendo neppur lontanamente che dentro di sé ella lo paragonava a un vitello in attesa del macellatore. Lo percosse lievemente sul braccio col ventaglio chiuso e si volse di nuovo per salire; i suoi occhi caddero ancora una volta sull'uomo che aveva udito chiamare Rhett Butler e che era fermo a qualche passo da Carlo. Evidentemente egli aveva udito tutta la conversazione perché le sorrise maliziosamente come un gatto; nuovamente i suoi occhi la fissarono con uno sguardo completamente privo della deferenza a cui ella era abituata. - Per la camicia di Giove! - disse fra sé indignata, usando l'imprecazione favorita di Geraldo. - Sembra che... sí, pare che sappia come sono quando sono svestita... - E crollando la testa, salí le scale. Nella camera da letto dov'erano deposti gli scialli, trovò Catina Calvert che si guardava nello specchio mordendosi le labbra per farle apparire piú rosse. Aveva alla cintura delle rose fresche che armonizzavano con le sue guance, e i suoi occhi color fiordaliso brillavano di eccitazione. - Catina - disse Rossella cercando di tirare il corpetto un poco piú in alto - chi è quell'antipatico, giú, che si chiama Butler? - Come, non lo sai? - rispose Catina eccitata, lanciando un'occhiata alla stanza vicina dove Dilcey e la bambinaia delle ragazze Wilkes stavano spettegolando. - Non so quanto farà piacere a Mr. Wilkes averlo in casa; ma era in visita da Kennedy, a Jonesboro - credo per comperare del cotone - e Mr. Kennedy naturalmente ha dovuto condurlo con sé. Non poteva certamente andarsene e piantarlo in casa! - Ma che cos'ha? - Tesoro mio, è un uomo che nessuno riceve! - Davvero? - Davvero! Rossella digerí questo in silenzio, perché non si era mai trovata sotto lo stesso tetto con una persona che non è ricevuta. Era una cosa eccitantissima. - Che cos'ha fatto? - Ha una reputazione terribile. Si chiama Rhett Butler, è di Charleston e i suoi parenti sono bravissima gente; una delle migliori famiglie. Ma non hanno rapporti con lui. Carolina Rhett mi parlò di lui l'estate scorsa. Non sono parenti, ma lei, come tutti quanti, sa tutto di lui. È stato espulso da West Point. Figúrati! E per cose troppo gravi perché Carolina potesse saperle. E poi c'è stata la storia di quella ragazza che non ha voluto sposare. - Racconta! - Ma non sai proprio niente, tesoro? A me la raccontò Carolina, e sua madre morirebbe se sapesse che la figliuola ne sa qualche cosa. Dunque, questo signor Butler condusse una ragazza a fare una passeggiata in carrozzino. Non so chi sia la ragazza ma ho dei sospetti. Non doveva essere una gran cosa, altrimenti non sarebbe uscita con lui nel tardo pomeriggio senza accompagnatrice. Rimasero fuori quasi tutta la notte e finalmente tornarono a casa dicendo che il cavallo aveva preso la mano e il carrozzino si era fracassato e loro si erano smarriti nei boschi. E indovina che cosa... - Non posso indovinare. Dimmelo! - esclamò Rossella con entusiasmo, sperando il peggio. - L'indomani rifiutò di sposarla! - Oh! - fece Rossella, delusa. - Disse che non aveva... hm... non le aveva fatto nulla e non vedeva perché avrebbe dovuto sposarla. Suo fratello lo sfidò a duello, e lui disse che preferiva farsi ammazzare piuttosto che sposare una stupida scioccherella. Si batterono alla pistola e Mr. Butler uccise il fratello della signorina. Dovette andar via da Charleston e ora nessuno lo riceve - terminò Catina trionfante, e appena in tempo perché Dilcey entrava in quel momento nella stanza per sorvegliare le tolette affidate a lei. - E la ragazza ebbe poi un bambino? - bisbigliò Rossella nell'orecchio di Catina. Questa scosse violentemente il capo. - Ma fu rovinata lo stesso - sussurrò di rimando. «Dio mio, vorrei che Ashley mi compromettesse» pensò Rossella a un tratto. «È troppo gentiluomo per non sposarmi.» Ma nel suo intimo, aveva un senso di spontaneo rispetto per quell'uomo che aveva rifiutato di sposare una scioccherella.

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Da parecchi mesi egli beveva abbondantemente, e - benché non fosse proprio ubriaco - accadde una sera che l'odore del whisky si sentisse fortemente nel suo alito. Prese in braccio la bimba e le disse: - Un bacino al babbo, tesoro? - No - disse. - Brutto. - Che cosa? - Brutto odore. Zio Ashley non ha un odore cosí. - Accidenti! - mormorò mettendola a terra. - Non mi aspettavo di trovare un avvocato della temperanza proprio in casa mia! Ma da allora si limitò a bere un bicchiere di vino dopo cena. Diletta, a cui veniva sempre permesso di bere le ultime gocce del bicchiere, non trovò spiacevole l'odore del vino. Come risultato, la gonfiezza che aveva cominciato a impastare la linea delle guance di Rhett scomparve e le occhiaie scure che cerchiavano i suoi occhi neri diventarono meno profonde. Siccome Diletta amava andare sul cavallo, egli rimase a lungo all'aperto e il sole cominciò ad abbronzare il suo volto bruno. Acquistò cosí un colorito piú sano; ridiventò allegro e le sue risate ricordarono a tutti lo spavaldo contrabbandiere che aveva eccitato l'interessamento di Atlanta nei primi tempi della guerra. Coloro che non avevano mai avuto simpatia per lui presero a sorridere quando lo vedevano con la bimbetta arrampicata sulla sella. Le donne che avevano sempre ritenuto che nessuna potesse considerarsi salva accanto a lui, si fermavano a discorrergli insieme per istrada, per ammirare Diletta. Anche le vecchie dame piú severe convennero che un uomo capace di discutere dell'alimentazione e dei problemi dell'infanzia come faceva Rhett, non poteva essere tanto malvagio.

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Parassiti. Commedia in tre atti

231904
Antona-Traversi, Camillo 1 occorrenze
  • 1900
  • Remo Sandron editore
  • Milano, Napoli, Palermo
  • teatro - commedia
  • UNICT
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E, ottenutala, coglie una buona occasione, quella di fuggire con una ricca americana, che era venuta in Italia a studiare il canto; e che, dopo un fiasco piramidale fatto all'Argentina, smette l'idea di continuar la carriera iniziata sotto auspicii così poco promettenti; carriera per il cui miraggio il Gaudenzi l'ha così abbondantemente sfruttata nella borsa. Questi i parassiti di Camillo Antona-Traversi. E i primi due riuscirono a divertire il pubblico mentre stettero in iscena; ma essi non furono sempre in iscena. Perciò l'esito della commedia fu vario nei 4 atti. Il successo inuguale è derivato dalle inuguaglianze, che sono nella commedia. Il perno onde si regge e si muove tutta la commedia è il Gaudenzi. Ne segue che essa non procede, o procede stentatamente, s'egli dalla scena s'allontana, o se l'insieme lo copre un tantino, come al secondo atto, in cui, pur stando in iscena, egli è sopraffatto da quel mondo di piccoli parassiti. In esso, però, sono scene che rivelano un autore come sceneggiatore sicuro, colorito, osservatore arguto e anche fino, come ad esempio la scena tra madre e figlia all'ultimo atto, veramente mirabile. Io prevedo però che, nonostante il successo incompletamente lieto di ieri, la commedia avrà parecchie repliche. Bilanciate la parte che diverte e quella che non interessa della commedia, quella ha una grande preponderanza su questa. La quale non appare, poi, così difettosa e appiccicaticcia com'essa è veramente, in grazia della grande abilità che Camillo Antona-Traversi ha spiegato scrivendo Parassiti. Non è stato un successo artistico completamente, ma sarà molto probabilmente un successo finanziario. Il buono, nella commedia, lo merita. Non si dànno di frequente rappresentazioni che, pun destando discussioni e riserve, interessino così vivamente il pubblico anche dal lato artistico. Degli esecutori si deve dir bene; specialmente un gran bene del Calabresi, che, ieri sera, nell'ammirazione del nostro pubblico, fece un passo così gigantesco da mutarla in feticismo. La sua interpretazione del Gaudenzi apparve il prodotto dello studio e della forza di un grande e fine talento comico. Aus. .La Sera. an. VIII, n. 303 ; Milano , sabato 4 - domenica 5 novembre 1899.

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