Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

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Galateo per tutte le occasioni

187582
Sabrina Carollo 1 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Se per esempio in alcune regioni del mondo lasciare qualcosa nel piatto significa complimentarsi per l'ospitalità abbondante e confortevole dei padroni di casa, in altri è segno di mancato apprezzamento per la qualità del cibo servito. Allo stesso modo, se monsignor Giovanni della Casa nel Cinquecento si scandalizzava nel suo Galateo «di chi alza il piede in su la tavola? O di chi si sputa farfalloni fra le gambe? Et di chi si sputa in su le dita?», oggi è (forse/si spera) ormai inutile ragguagliare i più su questo tipo di grossolani errori, focalizzandosi piuttosto sulle - chiamiamole ottimisticamente così - limature. In effetti, dal tempo in cui Baldassar Castiglione trovava necessario specificare che non si comportavano da cortegiani - ovvero da perfetti gentiluomini - coloro che «a tavola poi, minestre, sapori, gelatine, tutte si danno nel volto, e poi ridono», ai nostri giorni è forse più utile ricordare come disporre le posate, cosa scrivere su un biglietto da visita oppure come comportarsi a un battesimo. La variabilità delle cosiddette regole societarie dipende inoltre anche dal contesto e dalle libere scelte personali: c'è chi ama cerimonie sfarzose così come chi preferisce la sobrietà e la semplicità, ma entrambe le alternative vanno rispettate e hanno un loro valore. Esiste poi una sorta di sgradevole uso metropolitano secondo cui i modi garbati sono utili solo in occasioni particolari, in cui sfoderare tutto il proprio savoir faire, argenteria e tovaglioli in grembo compresi. Errore. Se aspettate di essere al ristorante per evitare di sdraiarvi sulla tavola, se durante le solitarie navigazioni automobilistiche in notturna non vi esimete - complice il buio - da macchinose estrazioni nasali, se preparate i regali di Natale solo per chi siete assolutamente certi che li ricambierà, correte almeno un paio di rischi. Il primo è di non godervi le occasioni speciali perché troppo tesi e attenti a non commettere sbagli nel modo di comportarvi - risultando oltretutto goffamente innaturali - se non proprio quello di uscirvene con qualche clamorosa gaffe da dimenticanza. Il secondo è che manchiate di rispetto a voi stessi nella vita di tutti i giorni. Usare accortezze come apparecchiare con attenzione e piacevolezza anche se siete da soli, o curare il proprio aspetto, sono gesti di gentilezza nei confronti di una delle persone più importanti della vostra vita. E un atteggiamento generosamente disponibile nei confronti di se stessi e degli altri non farà che migliorare la vostra vita, rendendola meno afflitta da calcoli e meschinerie. Le buone maniere non sono apparenza da indossare come l'abito scuro nelle occasioni in cui è esplicitamente richiesto per scritto. Sono uno stile di vita da adottare quotidianamente, come biancheria intima morbida e di ottima fattura che (quasi) nessuno vede, ma che vi rende più comodi e a vostro agio in ogni momento. In qualunque caso, e a qualunque modo siate avvezzi, più o meno raffinato, è importante ricordare che la vera eleganza sta nel cuore prima ancora che nei gesti. Per cui se non avete mai usato un coltello da pesce e vi trovate in una lussuosa circostanza in cui la lucente palettina fa la sua prima apparizione nella vostra vita, è cortese nei confronti di chi cena con voi, e che magari è normalmente avvezzo a simili distinzioni, utilizzarla correttamente, senza contare che con un minimo di pratica vi renderete conto di quanto è più comoda. Allo stesso tempo però è ancora più importante che mani da sempre abituate a cristallerie di Boemia o tovaglie di lino candido e porcellane di squisita fattura, siano comunque disponibili a maneggiare piatti di carta e bicchieri di plastica, quando gliene vengono offerti. Per fare un esempio cinematografico, chi non ricorda la scena del convito serale nella sala ristorante del Titanic - nell'omonimo successo cinematografico -, con un Di Caprio impomatato ma pur sempre estraneo al cerimoniale da tavola della buona società, che cerca di orientarsi tra uno stuolo di bicchieri e posate scintillanti, costantemente messo alla prova dal geloso e altezzoso fidanzato della sua bella innamorata? A niente valgono i modi raffinati del fidanzato, di fronte al suo grossolano disprezzo verso il giovane rivale, e al suo tentativo di metterlo a disagio sottolineandone la mancata abitudine alle buone maniere. Il vero gentiluomo non è chi afferra la posata giusta ostentando la propria educazione per distinguersi, ma chi è capace di mettere a proprio agio il commensale. Se qualcuno pensa che le buone maniere siano uno strumento per emergere, si mostra immediatamente in tutto il suo dubbio gusto. Dopo questa premessa, inoltriamoci nella pratica. Anzitutto facendo amicizia con gli esercizi fondamentali, quelli su cui si basa tutto l'incontro. Poi imparando gli schemi. Per essere pronti a giocarsi la partita in società, e possibilmente a vincerla.

Saper vivere. Norme di buona creanza

192917
Matilde Serao 1 occorrenze
  • 2012
  • Mursis
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Tutto era già mutato, prima della guerra, nel corredo di biancheria di una sposa, importantissimo elemento di un buon matrimonio: l'antico abbondante, abbondantissimo, solidissimo, pesantissimo corredo, sessanta camicie da giorno, sessanta da notte, dodici dozzine di paia di calze, eccetera, eccetera, era già trasformato in un molto minor numero di capi, ma molto più fini, molto più leggeri e molto più costosi... Ma dopo la guerra! La trasformazione è anche più profonda: la tela di Olanda, fondo antichissimo, del corredo, o non esiste più o è costosissima: la battista, non si chiama più battista: la mussolina, non si chiama mussolina: e i corredi di biancheria si fanno, oramai, di linon, di nansouk, e di crespo della Cina, tutto à jour, ricamato, ricamatissimo con merletti finissimi, con applicazioni pompadour. Un corredo molto ricco, è fatto da trentasei parures complete, camicia da giorno, camicia da notte e copribusto con pantaloncini: dodici parures di linon, dodici di nansouk, dodici di crespo della Cina: un pò meno ricco, ma sempre molto chic è di trenta parures, limitando a sei quelle di crespo della Cina. Un corredo buono, diciamo così, è di ventiquattro parures, cioè dodici di linon e dodici di nansouk, senza le sei di seta, salvo qualche parures, una o due di seta. E in questi corredi così evanescenti, ogni madre prudente, deve introdurre un pò di biancheria seria, diciamo così, camicie da notte con colletto chiuso e le maniche lunghe, camiciuole accollate, per quando la figliuola sia sofferente o puerpera; e unirci delle calze di lana, allo stesso scopo e dei grandi fazzoletti di tela, per quando si ha il raffreddore! Su tutta la biancheria della sposa si ricama l'iniziale del suo nome di battesimo: è roba sua: lei la deve indossare e il suo nome di battesimo non cambia, in casi funesti di separazione, di vedovanza. Qualche sposa, per convenzione di famiglie, porta anche la biancheria da letto e da tavola; non è suo obbligo, ma, certe volte, si stabilisce così. Allora bisogna far ricamare, sulla biancheria da letto e da tavola, la iniziale del cognome della sposo. Bisogna considerare che egli è il capo della casa; che tutta la roba di casa gli appartiene; che, in caso di separazione o di vedovanza, egli lascia alla sposa o restituisce alla famiglia della sposa, solo il corredo personale di biancheria, mai quello di casa; che in caso di morte dello sposo, egli può disporre della biancheria di casa, come crede! Quindi, iniziale del nome della sposa, sul corredo personale di lei: iniziale del cognome dello sposo, sulla biancheria di casa. Quando il corredo di biancheria della sposa, è molto importante, se ne inserisce il valore di costo e la nota, nella scritta nuziale, dove s'inserisce anche il valore e la nota dei gioielli che porta la sposa e che sono suoi.

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Marina ovvero il galateo della fanciulla

193881
Costantino Rodella 1 occorrenze
  • 2012
  • G. B. Paravia e Comp.
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
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Oltreciò presso di lei le serve si risentivano dell’agiatezza l'agiatezza della casa; avevano un cibo semplice, ma abbondante; nelle feste di famiglia anche la loro tavola gioiva di qualche boccone più ghiotto, di qualche vino più generoso; onde la gioia de'padroni si spandeva anche sulla servitù. Avevano una cameretta aerata e sana, un letto pulito e conveniente. Si è per questo, che non cercavano di andar via, ma servivano volentieri; prevenivano i padroni in quel che sapessero tornar loro gradito; insomma erano affezionatissime alla casa. V'ha padroni che si procurano tutte le morbidezze, le raffinatezze della vita, e costringono i servi alle più dure necessità; li fanno dormire in anditi o bugigattoli senz'aria e senza luce, sur un letto che ha del canile; loro misurano uno scarso e cattivo nutrimento, negano un po' di vino; a volte debbono i poveretti assistere ai lauti pranzi, e nulla di quella grazia di Dio viene a rallegrare il loro palato. Come volete che si affezionino a voi, alla vostra casa, quando li trattate sempre come estranei? All'occasione la signora Bianca non mancava di un consiglio, di un servizio, di una protezione, aveva riguardi alla loro salute; e nel pagar loro il salario consigliava di non sciuparlo in futilità, in vano lusso; ma collocarlo nella Cassa di risparmio, per formarsi un capitaletto nella vecchiaia; e così le avvezzava all'economia, allo sparagno. Del resto non si perdeva mai in conversazioni inutili con loro, non affidava nessun segreto di famiglia, per leggiero che fosse; non prestava orecchio alle loro ciarle, ai loro si dice. Vegliava anco sulle loro pratiche di pietà, e qualche volta li istruiva essa stessa sui fondamenti della religione; non le voleva spigolistre o mangiamoccoli, ma sinceramente devote; perchè s'era persuasa che senza timor di Dio non c'è vera bontà e fedeltà ne' servi. Esercitava una sorveglianza continua anche nelle piccole cose, si faceva render conto di tutto fino al centesimo. Non consegnava mai troppo danaro in una volta alla cuoca, e dì per dì, com'era di ritorno dalla piazza riconosceva la spesa. Pigliava il suo libro di cucina e da Marina faceva notare gli oggetti comprarti, mentre essa li riscontrava uno per uno; la distinta stessa de' piatti veniva da lei ordinata ogni giorno. A volte Marina s'intratteneva ad aiutare la cuoca, perchè la madre le diceva, che una buona massaia deve intendersi anche un po' di cucina; e per vero dire, la figliuola aveva imparato tanto da non trovarsi impacciata in un'occorrenza ad ammannire un desinaretto di parecchi serviti. Ma si badi che essa aveva riguardo di non rendersi mai importuna o d'ingombro, come qualche ragazza fa, che corre in cucina non per dar aiuto, ma per impacciare e confondere la servitù, e qualche volta, un po' ghiottoncella, per assaggiare qualche manicaretto. La signora Bianca aveva anche l'abito di fare di quando in quando le sue ispezioni se gli arnesi di cucina erano a posto e lucenti, se la biancheria era in ordine, stirata e ripiegata, se le vesti ben governate. Una volta per anno poi, se non v'era bisogno più spesso, faceva l'inventario generale di quel che era in casa, e, non fa mestieri il dirlo, Marina le faceva da segretario. Aveva un libro su cui era notato capo per capo tutta la biancheria, il numero delle lenzuola, delle coperte, delle coltri e coltroni, delle camicie, ecc.; le tovaglie e tovagliuole per tavola; l'argenteria, il vasellame, tutto insomma. Man mano che si faceva un acquisto, subito lì a segnarlo nel catalogo, e badava se ciascuna serie di oggetti era completa e a posto, se qualcheduno aveva mestieri di riparazione. I1 che voleva anche dir molto per tener le serve sull'avviso, e levava via fino la tentazione dell'infedeltà. Nè si creda che questo richiedesse troppo di tempo; men di mezz'ora al dì per il riscontro giornaliero, e un paio di giorni all'anno per l'inventario. Marina sapeva pur essa rendersi accetta e rispettata dalle serve; ma essa non comandava arrogantemente, non si scapricciava a farle immattire in cose inutili, non le derideva, non le avviliva mai; le aiutava in quel che poteva, ma punto confidenze. Vi sono ragazze che trattano con le serve, come con una compagna, giuocano, scherzano, motteggiano insieme e poi per una piccola cosa che non sia a filo, si sbracciano in improperii, in nomi villani, in imprecazioni, e non la finiscono più di gridare. Fa stizza poi veder ragazzine tant'alte, che sembrano vipere colle serve; comandano a bacchetta, rimproverano con asprezza, con alterigia e in faccia alle genti, per far mostra di potenza e superiorità, dànno ordini severi, minacciano brutalmente, alzano la voce, vituperano senza bontà! È un terribile anacronismo una ragazzetta di otto anni minacciare e rampognare severamente una povera vecchia fante! Ve n'ha di quelle che per uggia, che hanno contra la serva, fanno delle accuse non vere ai genitori per il maligno talento di farla strapazzare; Marina diceva che fanciulle tali non hanno carità cristiana, nè ombra di creanza (1).

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