Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbominevoli

Numero di risultati: 6 in 1 pagine

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Sull'Oceano

171683
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Ma quel giorno la sua cameriera, incaricata di spiare, avea sentito tutto: quella serpe in gonnella la diceva affetta d'incipiente delirium tremens, e faceva delle descrizioni abbominevoli del suo camerino, - dove era pur stata varie volte a succhiarle il maraschino di Zara, - una veri cantina di liquorista, con le bottiglie fin sotto il cuscino del letto, dei bicchierini sporchi in tutti gli angoli, e una collezione completa di acque minerali, di polveri e di pasticche, per riparare la mattina agli sconcerti gastrici prodotti dalle bevute del giorno. Ma oramai diceva che non v'era più riparo possibile, perchè il male era troppo avanzato, e citava un giudizio desolante del medico, raccomandando ai signori di non passarle vicino col sigaro acceso. Intesa questa relazione, in un momento appunto che aveva i lumi alla testa, la grossa signora non aveva fatto altro che correre difilata verso il camerino della buona amica, e incontratala a mezzo del corridoio, in presenza di parecchi, gliene aveva dette, a voce spiccata, tre - non più di tre - ma con l'accento e lo sguardo della sua professione, e di quelle che può ispirare soltanto la Chartreuse stagionata, quella vera autentica dei Frati benemeriti, quando e bevuta in dose conveniente. L'altra, con una faccia imperterrita, gliene aveva risposto una sola, trisillabica, ma che valeva quelle, tre messe in mazzo. E allora... le cameriere erano accorse, e le contendenti, convulse, erano rientrate ternpestando ciascuna nel proprio camerino, dove erano svenute, mezz'ora dopo. Ma, dicendo questo, l'agente pensava ad altro, e pareva che stesse osservando una corrispondenza di sguardi fra due persone lontane della tavola. E infatti, dopo qualche minuto, gli intesi modulare a bassa voce il lungo grido di Amleto davanti al teatrino della reggia: - Oooooo profetica anima mia! - E subito mi afferrò per il braccio e mi confidò orecchio la sua maravigliosa scoperta. - Guardi dunque, senza farsi scorgere, - mi disse poi. Ed io guardai, e non tardai ad accertarmi del fatto. Ogni due o tre minuti i begli occhi azzurri e vuoti della signora bionda si fissavano per qualche momento sul comandante, e sul largo faccione rosso e burbero di costui balenava un lampo, un impercettibile sorriso mezzo nascosto dalle sopracciglia aggrottate e dai baffi ispidi, somigliante a un piccolissimo tratto azzurro apparente per lo squarcio d'un cielo nuvoloso, e subito ricoperto; ma gli occhi azzurri rifissandolo, lo squarcio si riapriva e azzurro si rimostrava; e non c'era il menomo dubbio: il gioco gentile si ripeteva regolarmente, c'era una intesa fra il capetto biondo e il testone rosso, la sirena, aveva cantato, l'orso polare aveva dato ascolto, il Galileo s'era arreso. - Ah! ora capisco, - diceva agente, piccato, - perchè la scena è andata in fumo! Ah! Porcaie a bordo no ne vêûggio! pezzo d'un tartufo marino! Questo è troppo! - Ma in fondo era soddisfatto di essersi liberato dall'incubo di quel mistero, e quando salimmo sul cassero, si fregò le mani, dicendo: - E uno! Non resta più che a scoprire il fortunato a cui la signorina dedicherà il suo prossimo colpo di forbici... se le rimane ancora qualche cosa da tagliare. -

Pagina 377

L'angelo in famiglia

183194
Albini Crosta Maddalena 2 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Una dama, una damigella potrà prendere parte al ludibrio che si fa di lei, col riprodurre in sua presenza le più abbominevoli enormità di taluna del suo sesso, di taluna, che dovrebbe considerare, e ne è infatti non una parte integrante, ma una mostruosa appendice?... Oltre alle produzioni storiche, altre molte ve ne sono immaginarie e fantastiche, nelle quali tu trovi un'orrenda miscela dei più orrendi delitti, delle più orribili passioni, e quel che è peggio queste e quelli non solo tollerati, ma sublimati, portati all'apogeo. Alcuni anni or sono, io mi trovava a diporto in provincia presso una dama di alta società, ed invitata a recarmi con essa alla commedia, seguendo il consiglio di chi dirigeva la mia coscienza, non mi rifiutai, tanto più che si diceva da tutti essere la rappresentazione di quella sera interessante e buona. Quanto all'interessante convengo pienamente, perchè pur troppo il peccato di Adamo ci ha lasciato una mala inclinazione che ci piega volontieri al pantanoso, al turbolento; ma, quanto al buono?... Senti, e giudica tu stessa. Si alza il sipario, ed allorchè io credo di assistere ad una scena esemplare, e m'interesso alle buone e robuste qualità morali dei personaggi che vi si muovono, m'accorgo che quella casa è una brutta casa, quella gente è una brutta gente, quell'azione una brutta azione. Finalmente esce fuori una contessa di alti sentimenti, di nobile cuore; mi aggrappo, per così dire a lei, nella necessità e nel bisogno di trovare un poco di bene in una società così colpevole e viziata e sventurata; ancor poche scene, e i suoi alti sentimenti, il suo nobile cuore l'avranno condotta a beneficare un povero, a consolare un afflitto... penserai tu. Niente di tutto questo; ancor poche scene, e la nobiltà del suo casato, della sua intelligenza, del suo sentire la conducono a coronare coll'esito sospirato la più orrenda vendetta che essa da molti anni meditava e lavorava colle arti più fiere e più perverse. Un pezzo prima io mi era ritirata nel fondo del palchetto, vergognandomi di trovarmi presente alla rappresentazione di azioni cotanto vergognose, e, lo crederesti? Un signore amante e frequentatore del teatro e della società, dopo d'aver alquanto riso della mia ripugnanza, mi confessò che una dama fa pur la brutta figura nell'assistere a simiglianti spettacoli, ma che l'uomo di mondo ve la desidera, appunto per ridere, per acquistare il diritto di entrare con essa in discorsi alquanto liberi, o per dispregiarla. Non c'è da illudersi, le produzioni dei nostri teatri su per giù sono tutte di questo stampo, e chi ha udite quelle di Sardou potrà dire che io, anzichè esagerarne la corruttela, l'ho appena appena accennata e di volo. Pure vi sono molte persone tanto semplici, o a meglio dire, tanto ignoranti, le quali si ostinano a trovare non cattivo il teatro odierno, e certe altre spingono il loro zelo così da trovarlo anzi morale, moralissimo, e tale che vi s'impari a viver bene. Poveri ciechi! Se siete ciechi non vi attentate a descrivere la luce, il colore, il cielo, la natura! Nella vostra fronte non brillano quei lumi che vi mettono in relazione cogli oggetti esteriori, poveri ciechi! vi compiango, e prego Iddio affinchè v'illumini, vi mostri il vero, il bello, il buono! E che morale c'è nel mostrare il vizio come fosse una virtù, nel poetizzarlo, nel divinizzarlo? E che morale c'è nel metterci a contatto con individui corrotti, corruttori, o quanto meno traviati? Ma io faccio per la seconda volta come quei predicatori i quali s'infuriano contro i grandi peccatori che sono fuori di chiesa e quindi fuori della possibilità di sentirne la parola: parlo a te di colpe, di scene, di turpitudini, che non conosci od aborri. Dunque deggio tirare una riga su questo capitolo, od almeno su quel tanto che inveisce contro le enormità peggiori a te ignote, e più che mai estranee? Ho da tirare una riga?... No, non lo posso, non lo debbo, poichè se per te il teatro non è una colpa, perchè non lo frequenti, è però una gran tentazione, mentre i sedicenti amici, gli adulatori, gli uomini di mondo ti vanno ricantando su tutti i toni essere al teatro dove s'impara a vivere, a sentire, a, godere, e che coloro i quali vivono ritirati od anche solo lontani da esso, o sono o diventano originali, eccentrici, ridicoli. Tu lo sai quanto poco conto tu debba fare di quello che si dice, tanto più che bene spesso si dice una cosa e se ne pensa un'altra da coloro i quali hanno l'ignobile ufficio d'ingannare o di tentare le anime buone. Poi, che ti gioverebbe l'apprezzamento del mondo e degli uomini quando tu avessi perduto il candore dell'anima tua? Il libro cattivo è il falso amico che t'induce al male col racconto; lo spettacolo cattivo è il falso amico che t'induce al male col rappresentartelo vivo vivo all'immaginazione esaltata, inebriata. Per carità, fuggi come il libro, così il teatro, allorchè non hai la morale certezza che vi si diano spettacoli onesti, nei quall il tuo pudore e la tua virtù non abbiano a patire detrimento alcuno. Allorchè vedi le tue amiche adornarsi per correre al teatro, o le vedi tornare beate e giulive dal goduto divertimento, e ti corre l'acquolina alla bocca, ed una certa quale invidiuzza ti serpeggia nel cuore, pensa che non si chiudono oggi le partite; forse domani stesso nelle circostanze mutate, e nella convivenza di persone migliori, un dubbio, un sospetto crudele le agiterà, le invelenirà. Che cosa è? Hanno visto jeri al teatro essere falso quello che pareva buono, buono quello che pareva falso, e si sono confuse la testa, non sanno più discernere il vero, domare la fantasia, frenare il cuore. Povere giovinette, eravate sì buone, sì semplici, sì contente, ed in un lampo siete diventate sì meste, sì infelici! Pure, se tu parli ad esse, ritornale a Dio, al ritiro, alla casa, tu tornerai la calma al loro cuore, il discernimento alla loro intelligenza, la virtù all'anima loro. Oh! fanciulla, nella purezza è la pace, la gioja ogni bene. Quando poi tu fossi sicura che lo spettacolo è buono, od almeno che non vi ha nulla affatto di male, ed i tuoi genitori desiderassero condurviti, io non mi opporrei più, dopo di averti raccomandato per la centesima volta di osservare la più scrupolosa modestia nel tuo vestire, nel tuo contegno ed in tutta la tua persona; di tenere ben le briglie al tuo cuore, affinchè non ti prenda la mano, e divenga padrone; di aver sempre in mira il buon Dio e la sua santa legge, e di non fare nè permettere mai atti o discorsi che la ledano menomamente. Ma la casa, la casa, chi ti può dire le gioje intime, ineffabili, ch'essa ti offre nel suo seno, se ti concentri in essa, se in essa tu cerchi dopo che a Dio le soddisfazioni del cuore e dello spirito?...

Pagina 720

Se mai un giorno pel tuo stesso bene, permettesse il Signore che tu diventassi poveretta, credilo, il lavoro destinato a procacciarti il pane, e l'essere ed il parere poveretta non ti torrà dall'essere insieme signora, se nobile e generoso conserverai il sentire, e non ti lascerai dominare dall'invidia o da altri abbominevoli vizj. Nella vita balenano i lampi, scrosciano i tuoni, e tu li devi attendere imperturbata nella tua, supplicando il Signore di tener sospesa la grandine; chè se la grandine cade ed imperversa, e tutto rovina, non vi ha ancora altri che Dio il quale ti possa salvare e liberare dai suoi tremendi flagelli. L'arco baleno si distende luminoso nel tuo orizzonte, le onde si acquietano, viene la bonaccia e l'anima accidiosa, come il marinaio, si bea di una vita senza contrasti, senza fatiche e quindi senza meriti? Il marinaio s'accorge che nella bonaccia perirà miseramente: l'anima invece si giace inerte, nè cerca, nè accetta un Vapore che la salvi da morte sicura: essa l'avrebbe una forza motrice, la carità; questa posta in azione la torrebbe dal letargo in cui l'egoismo l'ha posta... Amatevi, amatevi l'un l'altro, ripeteva continuamente l'Apostolo diletto. Sì, amiamoci, poniamo in azione la carità, e diventeremo santamente industriose a beneficare i nostri fratelli e noi con essi, poichè la beneficenza giova non tanto a chi la riceve, quanto e assai più a chi la fa. L'immaginazione giovanile è un narcotico dell'anima, che facendola sognare continuamente, la sfibra, la sposta e le fa attribuire a sè medesima i pregi datile in certo modo a prestito da Dio. Dunque non sognare, nè accettare le adulazioni che ti vengono prodigate, poichè devi sempre ricordare che l'incenso, ossia l'adorazione, è riservato a Dio solo. Se ti è data la scelta fra una vita ritirata ed una vita brillante, rinuncia a questa, attienti a quella e ti toglierai all'orgasmo indivisibile delle veglie danzanti, delle conversazioni, dei teatri e fino dei banchetti, i quali anzichè agape o mensa fraterna con a capo Dio, sono simposj profani con a capo gl'idoli. Ricordati il detto del nostro Parini, quando seduto nell' aula municipale vedendo fugata l'immagine del Crocifisso, si levò in piedi dicendo: Dove non puó stare il cittadino Cristo, non puó stare neanche il cittadino Parini; ed uscì. Mangia di ciò che ti viene posto davanti come dice il Vangelo, che vorrà dire mangia di quanto ti vien offerto lecitamente, di ciò che ti offre la famiglia, quando non siano cibi vietati, e per ubbidire all'uomo tu non debba disobbedire a Dio nella sua Chiesa. Il Confessore potrà giudicare se tu sii dispensata, ove tu ne abbisogni; ma di tua testa, o pel comando di superiori civili, non puoi esserne prosciolta. Supera la gran tentazione degli spettacoli cospiratori contro la modestia e l'onestà, ed ai divertimenti ed agli spassi preferisci un po' d' aria pura o lo svago utile che viene dai viaggi o dallo studio di essi. Ama e tieni care le domestiche pareti nelle quali la sincerità, l'affetto, la pietà, ti daranno quelle gioie intime che sono altrove un enimma. La sanità del corpo è un gran dono; ma quella dell'anima è un dono infinitamente maggiore, e questo pensiero come balsamo cada ad allenire i dolori delle tue infermità, le quali ti parranno leggiere e dolci se saprai prenderle dalle mani stesse di Dio. Non ho temuto di farti le intime mie confidente, di palesarti le pene, le trepidanze ed i desiderj del mio cuore, e segnando a dito le pratiche, le preghiere fatte senza spirito, senz'anima, non ho temuto paragonarle ai fiori artificiali i quali pajono e non sono. Se tu hai bisogno d'espansione, come lo zampillo di chiara fontana, riversa le tue acque sulle zolle fiorite che la circondano, voglio dire sui cari parenti, sulle persone intime e di antica e provata probità, nè, rimproverata, rispondi con mal garbo, nè voler esser tu mai l'ultima a parlare. Gli è d'uopo estinguere in noi la soverchia suscettibilità, fonte perenne della maggior parte dei guai, e farci piccini riconoscendo la nostra miseria, affinchè essendo gli ultimi in questo mondo possiamo diventare i primi nell'altro, secondo la cara promessa del nostro divin Salvatore. La perdita dei Beni, della sanità, della riputazione, ci colpisce amaramente, la nostra mente si smarrisce, il cuor nostro cade quasi spezzato e dilaniato aspramente?... Oh! Cuore adorabile del nostro Gesù, dateci Voi grazia di pronunciare fiat, ad imitazione vostra, quel fiat che ci faccia accettare le croci, ce ne renda dolce, leggiero, soavissimo il peso! Che se l'animo mio sdegnoso in attesa di grandi occasioni per mostrare e per esercitare il bene, disprezzasse quelle virtù minute che si presentano ogni giorno, ogni ora, anzi ogni istante, fatemi capire la mia somma stoltezza, fatemi capire che in tal modo io perdo meriti immensi! E tu, mia dolce amica, non ti lasciar sfuggir mai la benchè minima occasione di porre una nuova gemma nella splendente corona che ti s'apparecchia nel cielo, moderando il tuo carattere, sacrificando le tue inclinazioni, sopportando senza lagnartene una mancanza di riguardo, uno sgarbo, un disappunto. Quando poi le lacrime ti cadono amare dal ciglio e l'angoscia ti opprime, cerca nell'esercizio della cristiana carità la tua gioja, la tua pace, il tuo conforto, e dagli occhi tuoi sgorgheranno abbondanti le lacrime di consolazione. Oh! prova e vedrai, come alleviando i mali e le miserie altrui saranno addolcite le tue miserie, i tuoi mali! Prova e vedrai quanta virtù e quanta letizia è nel sacrificio e nell'eroismo di dimenticar sè per gli altri!

Pagina 850

Galateo ad uso dei giovietti

183974
Matteo Gatta 1 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
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Le male abitudini gittano salde radici nell' animo, e questi cotali che truffano per ischerzo possono coll'andare del tempo diventar bari di mestiere, che è quanto dire uomini tra i più abbominevoli della società. Grazie al civile progresso, i giuochi d'azzardo, le bische, non sono più così diffusi come sullo scorcio del passato secolo e al cominciare di questo. Avete mai udito parlarne, o giovanetti? Erano giuochi nei quali un uomo perdeva in una notte l'intero suo patrimonio, lasciando nella miseria la moglie e i figli. La passione del giuoco, se piglia predominio, è cieca, sfrenata, non conosce confini, riduce l' uomo alla condizione del pazzo furioso e del bruto. E quanti malanni porta con sè! Perdita della tranquillità dell'animo, stantechè il giuocatore, abbia propizia od avversa la fortuna, è sempre in uno stato di eccitamento morboso, in preda all'ira, al rimorso, ad una sete di oro che lo consuma. Perdita di quei beni che dovrebbero servire all'onesta agiatezza della famiglia, alla educazione dei figli. Perdita della reputazione e, quasi dissi, della ragione; perchè il giuoco trascina al delirio delle ubbie superstiziose, degli errori più grossolani del volgo, fa credere a misteriose influenze sulla vincita o sulla perdita, e soffoca ogni elevato sentimento di delicatezza e di dovere. E sventura che vi abbiano anche oggigiorno luoghi aperti a siffatti giuochi, sopratutto in alcuni stabilimenti di bagni in Germania. Baden-Baden ha in tale proposito una infausta celebrità. Di giorno, di notte, brillano i mucchi d'oro sui verdi tappeti: e intorno si affollano immobili, taciturni o imprecanti gli avidi giuocatori. Non abilità, non passatempo, ma fremito febbrile; e arbitra la fortuna, cioè il caso. Talvolta quel silenzio, in cui non s'ode che il tintinnio del denaro, è rotto da un forte scoppio: gli è un colpo di pistola. Che avvenne ? Un demente o, se più v'aggrada, un infelice, del tutto rovinato, per disperazione si bruciò le cervella. Era nel fiore della virilità; forse marito e padre! Ma da questo lugubre spettacolo passiamo a più lieto soggetto, ai giuochi di società, i quali offrono il doppio vantaggio di rompere la noia dello stare troppo a lungo seduti e di tenere in esercizio il corpo. Sono quindi graditissimi ai giovani, e con ciò non voglio dire che anche persone mature non possano e non debbano prendervi parte. Ho veduto padri e madri e nonni e nonne dilettarsi e ridere di cuore nelle lunghe serate d'inverno e d'autunno con questi giuochi innocenti. Ve n'ha poi alcuni che offrono l'opportunità di mostrare acume d' ingegno, buona memoria, prontezza di spirito, e in conseguenza vi è un tantino solleticato anche l'amor proprio. Una gran parte del diletto sta nella penitenza: e qui bisogna usare delicati riguardi, non imponendone mai di quelle che offendono la civiltà o la decenza o il pudore femminile. In generale, le penitenze vogliono essere accomodate al sesso, all'età, al grado ed anche all'indole delle persone. Una penitenza che, imposta ad un giovinetto, fa sbellicar dalle risa la brigata, può riescire insulsa e sconveniente in una donna. Anche in codesti giuochi va osservata la solita regola di ogni pulito convegno, di non scappar mai a dire goffaggini, trivialità e, possibilmente, nè sciocchezze, nè freddure. Un mezzo sicuro di non cadere nella noia prodotta dalla sazietà è il variarli.

Pagina 117

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188447
Pietro Touhar 1 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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Quanto è da fuggire la taccia di adulatrice, altrettanto è da temere quella di biasimatrice; che se ci sembrano detestabili i piaggiatori, abbominevoli sono gl'incontentabili. Dobbiamo: Accogliere con modestia la lode; usare delicatezza negli elogi, e temperarli con leggiera critica; astenerci dal proferire un giudizio quando tutto ci sembra da biasimare; temere la reputazione di adulatrice. Non dobbiamo: Accogliere gli elogi smoderati; lodare gli assenti a detrimento di coloro ai quali parliamo; lodare vilmente per interesse; corteggiare con esagerate lodi; criticare con asprezza.

Pagina 108

Cosima

243843
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
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Un terrore mai prima conosciuto invase Cosima, come se davvero la casa fosse piena di uomini neri e abbominevoli nascosti e pronti ad ogni crudeltà, e le pareti brulicassero di rettili velenosi. La madre credette che Santus fosse invaso dallo spirito maligno, e pensò di mandare a chiamare uno dei preti di casa per esorcizzarlo. Ma Andrea sogghignava; riuscí a far ritornare a letto il fratello, e lo vegliò tutta la notte. Notte di angoscia indimenticabile, durante la quale Cosima conobbe un'altra pagina del libro terribile della vita. Invece del prete venne il dottore, il quale consigliò che Santus e Andrea, il quale si offrí di sorvegliare il fratello, andassero ad abitare in una casupola che la famiglia possedeva in un orto non molto distante dalla casa. Furono riattate e ammobiliate alla meglio, le povere stanzette terrene, che di buono avevano solo alcune finestrine dalle quali si vedevano i monti lontani: e Santus vi si lasciò condurre docilmente: era buono e mite, in fondo, e il primo ad essere mortalmente triste del suo vizio, che il dottore aveva dichiarato essere null'altro che una malattia della quale il paziente non può, anche con tutta la sua volontà, mai guarire, era lui. Un dolore profondo gli si leggeva negli occhi chiari; di tanto in tanto pareva sollevarsi, smetteva, e tentava di lavorare: ma poi ricadeva, come un virgulto stroncato, non ancora morto nelle radici ma irrimediabilmente inutile a se stesso e dannoso agli altri. Nella casa delle fanciulle ci fu una relativa tranquillità: ma l'ombra del dolore la velava; e la madre si fece ancora piú silenziosa, pallida, e qualche volta inquieta, di quell'inquietudine di uno che ha smarrito qualche cosa di prezioso. Cominciò anche a diventare un po' strana: a volte usciva di casa furtiva con qualche oggetto o qualche pacco nascosto sotto lo scialle: andava nella casetta dei figli, a portar loro da mangiare e da vestirsi. Non che ad essi nulla mancasse, anzi, quando l'altro era tranquillo, Andrea tornava a mangiare con la famiglia, ed entrambi frequentavano giornalmente la casa: ma la madre aveva paura che essi mancassero del necessario: pensava a loro come a bambini smarriti nel bosco, e andava a cercarli, e si smarriva anche lei nelle ombre di una selva pericolosa: quella della disperazione. Attiguo alla casetta dei fratelli, c'era, anch'esso di proprietà della famiglia, un frantoio per olive: era un lungo stanzone irregolare, scuro eppure lucido, come scavato in una montagna di schisto: nero, come unto anch'esso, era il forte cavallo paziente che faceva girare la ruota dentro la vasca rotonda dove venivano pestate le olive: la pasta violacea di queste, versata entro sporte rotonde, la spremeva il torchio di ferro; ma il torchio, collocato in una specie di nicchia scavata nella parete, erano gli uomini che lo manovravano, con una stanga: il mugnaio e un suo aiutante. L'olio cadeva nero e grasso entro un grande paiuolo, e le sanse, finita di spremere la pasta, venivano buttate da una larga finestra giú nell'orto, formando un monticello odoroso che a suo tempo veniva acquistato dallo stesso negoziante che in estate comprava le mandorle della famiglia: ed era una discreta rendita, assieme con quella dell'olio, che i proprietari delle olive lasciavano in compenso per la manipolazione. Ma bisognava stare molto attenti, perché il mugnaio, un piccolo uomo religioso con due occhi di vero santo, che serviva da anni e anni la famiglia, e le era sinceramente affezionato, rubava a man salva, tanto ai clienti quanto ai padroni. Il luogo era sempre pieno di gente, anche perché in un angolo, tra la finestra e il torchio, ardeva sempre un grande fuoco con su un paiuolo d'acqua bollente, dove venivano immerse e lavate le sporte: e intorno a questo fuoco si riuniva un gruppo d'individui che, verso sera specialmente, formavano un quadro degno di Rembrandt. Erano tutti disoccupati e poveri, ma di una strana povertà dovuta piú a loro stessi che alla sorte: e venivano lí a riscaldarsi, a confortarsi l'uno col contatto dell'altro. Capo fila era un uomo rossiccio, che era stato ricco e aveva dilapidato la sua sostanza con le donne e il vino: poi un vecchione con la barba di patriarca, anche lui decaduto, che faceva il giardiniere a tempo perso e viveva con la caccia dei gatti, dei quali si nutriva; e altri reietti, che non sdegnavano di unirsi con i bravi contadini e i piccoli proprietari che portavano a macinare le loro olive, e lo stesso padrone del frantoio, Andrea, che capitava ogni tanto per sorvegliare il mugnaio. Santus, poi, non mancava mai, e quando appariva lui tutti si scostavano per fargli posto; camminava anche lui nella fatale scia dei miserabili compagnoni raccolti intorno al fuoco, ma tutti ancora lo rispettavano, perché ancora la sua famiglia lo sostentava ed egli aveva un rifugio e la protezione del fratello; anzi, sapendolo generoso, cercavano la sua amicizia per potergli spillare un po' di quattrini; ma egli, nonostante la torbida incoscienza in cui spesso affondava, capiva il suo stato, conosceva il cuore del prossimo, e amava solo la compagnia dei rinnegati del frantoio perché appunto si sentiva già loro compagno di fatalità. Non si creda che queste riunioni fossero melanconiche. Tutt'altro. Quando il fuoco aveva seccato addosso i poveri vestiti, spesso bagnati dalla pioggia, di questa specie di vagabondi, e, per benignità della

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