Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Piccolo mondo antico

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Fogazzaro, Antonio 1 occorrenze

Egli ha abboccato nel quarantotto il boccone Lombardia, ma poi ha potuto sputarlo e cavarsela. Milano è il nostro sughero. Quando Milano si muove vuol dire che c'è sotto il pesciatello. L'anno scorso il sughero s'è mosso un pochino; il caro pesciatello non aveva fatto che fiutare il boccone. Aspettate, verrà un movimento grande, noi daremo il colpo, ci sarà un poco di strepito e di sbatacchiamento e lo tireremo su, il nostro pesciatello, non ce lo lasceremo scappare più, quel porcellino bianco, rosso e verde!" Il Biancòn ci aveva fatto una gran risata e spesso, mettendosi a pescare, si ruminava, per il proprio innocente piacere, la graziosa similitudine, da cui gli nascevano per solito altri sottili e profondi pensamenti politici. Quella mattina il lago era quieto, propizio per le contemplazioni. Le prime alghe del fondo precipitoso si vedevan diritte, segno che non c'eran correnti. I bocconi, slanciati ben lontano, calarono lentamente a piombo, il filo si distese via via sotto il sughero che gli navigò dietro un poco indicando con spessi anellini i titillamenti dei piccoli cavedini e si mise quindi in pace, segno che i bocconi s'erano adagiati sul fondo e che i cavedini non li toccavan più. Il pescatore posò la bacchetta sul muricciuolo e si mise a pensare all'ingegnere Ribera. Il Biancòn aveva, a sua insaputa, una discreta dose di mansuetudine in un doppio fondo che Iddio gli aveva fatto nel cuore senza avvertirnelo. Il mondo del resto se ne poté accorgere nel 1859 quando il caro pesciatello si mangiò il boccone di Lombardia con l'amo e il filo e la bacchetta e il Commissario e tutto quanto; e il Biancòn, rassegnato, si mise a piantar cavoli nazionali e costituzionali a Precotto. Malgrado questa occulta mansuetudine, posando la bacchetta e pensando che si trattava di pescare quel povero vecchio ingegnere Ribera, egli provò una singolare compiacenza non nel cuore, non nel cervello né in alcuno dei soliti sensi, ma in un suo particolare senso, puramente I. e R. Davvero, egli non aveva coscienza di sé come di un organismo distinto dall'organismo governativo austriaco. Ricevitore di una piccola dogana di frontiera, si considerava una punta d'unghia in capo a un dito dello Stato; come agente di polizia poi, si considerava un occhiolino microscopico sotto l'unghia. La vita sua era quella della monarchia. Se i Russi le facevano il solletico sulla pelle della Galizia, egli ne sentiva il prurito a Oria. La grandezza, la potenza, la gloria dell'Austria gli ispiravano un orgoglio smisurato. Non ammetteva che il Brasile fosse più esteso dell'Impero Austriaco, né che la Cina fosse più popolata, né che l'Arcangelo Michele potesse prendere Peschiera, né che Domeneddio potesse prendere Verona. Il suo vero Iddio era l'Imperatore; rispettava quello del cielo come un alleato di quello di Vienna. Non gli era, dunque, mai entrato il sospetto che l'ingegnere in capo fosse un cattivo suddito. Le parole del Commissario, un vangelo per lui, ne lo persuasero addirittura; e l'idea di trovarsi a portata questo malfido servitore accendeva il suo zelo d'occhio regio e d'unghia imperiale. Si diede dell'asino per non averlo conosciuto prima. Oh ma era ancora in tempo di pescarlo bene: bene bene bene bene! "Lasci fare a me! Lasci fare a me, signor ..." Troncò la frase e afferrò la bacchetta. Il sughero aveva impresso nell'acqua un anello, dolcemente, muovendosi appena; indizio di tinca. Il Biancòn strinse forte la bacchetta tenendo il fiato. Altro tocco al sughero, altro anello più grosso; il sughero va pian piano sull'acqua, si ferma, il cuore del Biancòn batte a furia; il sughero cammina ancora per un piccol tratto, a fior d'acqua e sprofonda; zac! il Biancòn dà un colpo, la bacchetta si torce in arco tanto il filo è tirato da un peso occulto. "Peppina, el gh'è!", grida il Carlascia perdendo la testa, confondendo il sesso della tinca con quello dell'ingegnere in capo: "El guadèll, el guadèll". Il sedentario si volta invidioso: "Ghe l'ha, scior Recitòr?". Il Cüstant si cuoce dentro e non fa motto né volge la sua tuba. Ratì accorre e accorre anche la signora Peppina portando il "guadèll", una pertica lunga con una gran borsa di rete in capo, per imborsarvi la tinca nell'acqua, ché il tirarla su di peso col filo sarebbe un rischio disperato. Il Biancòn piglia il filo, lo raccoglie pian piano a sé. La tinca non si vede ancora ma deve esser grossa; il filo viene in su per un paio di braccia, poi è tirato furiosamente in giù; quindi torna a venire, viene, viene, e in fondo all'acqua, sotto il naso dei tre personaggi, balena un giallore, un'ombra mostruosa. "Oh la bella!", fa la signora Peppina sottovoce. Ratì esclama: "Madòne, madòne!", e il Biancòn non dice parola, tira e tira con cautela. È un bel pescione, corto, grosso, dal ventre giallo e dal dorso scuro che viene in su dal fondo quasi supino e per isghembo, con mala volontà. Le tre facce non gli piacciono perché volta loro di colpo la coda e sbattendola fa un'altra punta furiosa verso il fondo. Finalmente, spossato, segue il filo, arriva sotto il muro con la pancia dorata all'aria. La Peppina, rovescioni sul parapetto, stende giù quanto può la sua pertica per imborsar il malcapitato e non le riesce. "Per el müson!", grida suo marito. "Per la cua!", strilla Ratì. A quello strepito, alla vista di quel pauroso arnese, il pesce si dibatte, si tuffa; la Peppina si arrabatta invano, non trova il "müson", non trova la "cua"; il Biancòn tira, la tinca trascinata a galla si aggomitola e con una potente spaccata rompe il filo, strepita via tra la spuma. "Madòne!", esclama Ratì; la Peppina seguita a frugar l'acqua con la sua pertica; "dova l'è sto pèss? dova l'è sto pèss?", e il Biancòn che era rimasto petrificato col filo in mano, si volta furibondo, tira un calcio a Ratì, afferra sua moglie per le spalle, la scuote come un sacco di noci, la carica d'improperi. "L'è andada, scior Recitòr?", fa il sedentario, mellifluo. Il Cüstant volta un poco la tuba, guarda il luogo della catastrofe, torna alla contemplazione del suo pacifico sughero e brontola in tono di compatimento: "Minga pràtich!". Intanto la tinca ritorna alle native alghe profonde, malconcia ma libera come il suo simile, il Piemonte, dopo Novara; ed è dubbio se al povero ingegnere in capo toccherà la stessa fortuna.

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