Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Un viaggio a Roma senza vedere il Papa

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Faldella, Giovanni 1 occorrenze

A me San Pietro ispirò poca devozione; e al mio segretario comunale ne ispirò di meno; imperocché, in un momento di distrazione, egli trasse fuori dal taschino del pastrano l'astuccio dei sigari, e, senza un mio pizzicotto, ne avrebbe abboccato uno senz'altro. Altre chiese sono più profane di San Pietro, per esempio, San Paolo fuori delle mura. È una vera sala da ballo, con due ale fatte apposta per il mormorio di una queue e con un pavimento lucido degno di riflettere gli inchini delle quadriglie e i circoli di un valts. Il cupolone di San Pietro visto da vicino non fa effetto. A guardarlo in piazza sembra accasciato dietro il frontone della Chiesa. Ma dilungatevi; la cupola cresce. Dilungatevi ancora; la cupola si innalza vieppiù, vi insegue... Fantasma classico. Vista dalla campagna, la cupola è una immensa mitria da vescovo antidiluviano, posta sul capo di questo mastodonte che è San Pietro. Sembra una minchioneria da nulla tirare una bella linea sull'orizzonte. Vi credete da tanto voi altri; e quasi vorreste subito farne la prova con il vostro indice. Eppure una linea, una curva sono il segreto del genio e della bellezza di Michelangelo, di Cleopatra e di Orsolina, la nipote del mio prevosto. A proposito di nipoti, dicono che se il nipote Tevere allagasse Roma dalla sommità di monte Pincio al cucuzzolo di monte Mario, come faceva un volta il Tevere padre Ozio, resterebbe scoperto il lanternino della cupola di San Pietro. Prima di visitare un alloggio si dovrebbe vedere il .padrone di casa. Invece io ho visto le cappelle, le loggie, i musei e le gallerie del Vaticano, senza vedere il Prigioniero del Vaticano. E le ragioni per cui ho fatto questo sono semplicissime. Anzitutto mi spiace disturbare la gente senza necessità; e poi i miei amministrati non sono tali, a cui possa portare un pugnello di paglia facendo loro credere essere un campione di quella su cui dorme il Prigioniero. Da ultimo, se io avessi veduto il Papa, quale diritto avrei avuto ad intitolare le mie note; Un viaggio a Roma senza vedere il Papa. Quest'argomento finale mi sembrò proprio perentorio, come mi sembra che dicano gli avvocati; ossia uno di quegli argomenti che ammazzano il bue senza lasciarlo più rifiatare. Una volta io detestava i musei e le gallerie, perché mi facevano venire una spranghetta nella testa, al pari delle fiere, degli organini e delle alzate di gomito. Ebbene il Vaticano mi ha convertito ai musei e alle gallerie. I suoi quadri sono pochi e buoni più che i versi del Torti; e perché sono pochi non vi frastornano, e perché sono buoni vi tengono un pezzo davanti a loro, e vi mandano via con un'estasi riposata. Nel solo cortile del Belvedere si trovano dentro le celle di un castelletto sei meraviglie della scultura mondiale, che valgono le sette barbe dei sette savi della Grecia; il Laocoonte, l'Antinoo, l'Apollo, statue antiche, e poi il Perseo e due gladiatori del Canova. Il popolo delle altre statue antiche, disseminate per i corridoi e le sale, esalta anch'esso: quelle statue fanno vedere chi fossero veramente quegli antenati più che non lo facciano vedere le storie e le commedie togate. A mirare quel marmo giallo come cera per il vecchiume, quelle troscie di nero, che rigano i fianchi delle statue gialle, come per una malattia cronica, a guardare quelle teste snasate, quei mozziconi di braccia e di gambe, si ricostruisce un mondo morto... La fantasia soffia della vita, del rosso, del sangue su quel giallo, su quel nero, completa quei nasi, quelle braccia, li agita, li fermenta; fa venire innanzi delle donne, degli uomini, che avevano passioni, diritti e doveri diversi dai nostri. Oh che ghigno falso hanno quei Cesari? Che colli grossi, grassi e torosi! Come stanno da padroni e da machioni, avviluppati nella loro toga rossa di porfido, o nel loro paludamento rigato di marmo cipollino! Che mostaccioni da fontana hanno quegli eroi, quei semidei! Quali teste pecorine! Come erano gagliardi e salaci quegli Dei intieri! Paiono torelli. Che mazze, da voltare asini, portava Ercole! E i muscoli e i gamboni dipinti di Michelangelo? Quali pieghe! Le sue pieghe hanno l'andazzo di un'orifiamma, che corra sventolando in un regno soprannaturale, nell'Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso. Come è venusto, aitante, intriso di antichità e di nudità il Canova! A voler dare le prime impressioni c'è da ammattire - c'è da rabescare spranghe storte di bambino che balocchi con la penna, senza essere ancora andato a scuola. Che musica e che amorini di dipinture e di nomi: Raffaello, Giulio Romano, il Domenichino, il Guercino, lo Spagnoletto, e Donatello, e Pierin del Vaga! Io ripeterei tutto il giorno il nome di Pierin del Vaga; ma non lo tormenterò con nessun dramma, come ha fatto - mi fu detto un certo signor Proto di Maddaloni. Dopo il Vaticano, non potei frenarmi; ed irruppi a visitare i musei e le gallerie del Campidoglio, e le gallerie Borghese, Barberini, Pamphily-Doria, ecc. ecc.Devo confessarvi che io, negli anni scorsi, dopo lunga dimora nel villaggio fra i bilanci municipali e i colloquii sui travi d'estate e nella farmacia d'inverno, io, sissignori, ho dubitato parecchie volte del Bello e dell'Arte; e certe volte, guardando un rosone di tappezzeria, una litografia di un almanacco da muro, o un figurino della moda, ho esclamato dal profondo di me stesso: Chi sa non risieda qui su questo pezzo di carta, su questo almanacco, su questo Tesoro delle famiglie, il Bello tanto quanto nelle gallerie famose e nei musei! Chi sa che Raffaello, Michelangelo, Leonardo da Vinci, Murillo, non siano finzioni dell'economia umana, come l'arcivescovo della diocesi, il quale ha una testa più debole del mio cappellano; eppure egli è arcivescovo, mentre il cappellano è cappellano! Ebbene se a qualche mio collega di villaggio spunti nella mente questo dubbio fra le fatiche dei bilanci o all'accademia del trave o della farmacia, per levarselo venga a Roma, portandosi sotto il braccio il volume vecchio di un giornale di mode. E confronti i figurini della moda con il San Sebastiano, di Guido Reni, e con la Sibilla, del Domenichino. Oh si avvedrà della differenza! I figurini, che pure parevano belli e irreprensibili nel giorno in cui comparvero, dopo due anni diventano ridicoli; fanno degli angoli e delle smorfie buffe, di cui non si sospettavano neppure capaci; appariscono musi, pasticci, minchionerie inanimate di gesso e di sapone. Invece il San Sebastiano e la S ibilla sono tuttavia, dopo il trascorso di centinaia d'anni, e saranno sempre fino alla consumazione dei colori e della tela, culmini di bellezza mascolina e femminina. Oh nell'arte non si può essere scettici! Bisogna credere al bello di ogni tempo e di ogni luogo, al bello assoluto e oggettivo, come diceva il mio professore di metafisica, il quale, poveretto lui! aveva la testa della forma di una tabacchiera e di una bruttezza assolutamente assoluta e oggettiva.

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