Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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L'ALTARE DEL PASSATO

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Gozzano, Guido 1 occorrenze

Fu persin necessario un abboccamento tra mio zio e il vecchio di sopra, per la questione d'un camino in comune. - Sembra un uomo dabbene, nessuno lo direbbe il padre di quell'anticristo. E mio zio tossiva, tossiva e tossivo anch'io; e l'aria in questa sala si faceva sempre più irrespirabile. Ed una notte l'incredibile catastrofe avvenne. Fu nel buio e nel silenzio un fragore, un rombo che scosse la casa dalle fondamenta. Tutti ci trovammo in piedi, in camicia, nell'oscurità: io, lo zio, la cuoca, urlando impazziti. - Il terremoto! Le mine! Una bomba! I ladri! Quando furono accesi i lumi e ci precipitammo verso la sala, l'aria era annebbiata di fumo e di calce. La prima cosa che mi vidi venire incontro fu il cane dei nostri vicini di sopra, che guaiva lamentosamente. E nella sala, alla luce delle nostre candele, apparve una rovina spaventosa. L'ultima trave era spezzata, un buon terzo del soffitto sfondato; nella sala, tra un cumulo di macerie, si distingueva un letto, due sedie, materassi e lenzuola disperse e un uomo che si agitava non più in eroica camicia rossa, ma in prosaica camicia da notte - invocando soccorso. - Ortensia, ritirati! Mi rifugiai nel corridoio, ascoltando. - Ma come mai lei s'è introdotto nella mia casa? - Introdotto? Ci sono precipitato, non vede? - Ma che cosa macchinava lassù? Chi ha fatto quel buco? - Lo domando a lei! Non io certamente! Sono salvo per miracolo! Ma una gamba non mi regge e vedo le stelle ... - Vediamo, vediamo, - e la voce di mio zio si rabboniva, - si accomodi intanto e si copra. Io mi vesto e vengo subito. S'udivano dall'alto, dall'orlo della buca, le grida di spavento, le invocazioni della famiglia di sopra che domandava notizie dello scomparso e la cagione dell'accaduto. Era accaduta una cosa strana e semplicissima. Una scintilla del camino aveva carbonizzato la trave del soffitto, minandola come può fare un tarlo, per settimane e settimane, pur lasciandone intatta la superficie. E nell'ora fatale aveva ceduto. - Mio figlio! Mio figlio! Cesarino? Sei vivo? - Vivo, mamma! Non ti disperare. Subito tutta la famiglia di sopra fu nella nostra casa. Un dottore, chiamato d'urgenza, giudicò la gamba non grave, ma temibilissima una congestione per lo shock del capitombolo, necessaria l'immobilità assoluta ed il silenzio. Fu improvvisato un letto in questa sala stessa, là, in fondo. E il ferito restò qui tre settimane. - E lei lo vegliò amorosamente, come nei romanzi d'una volta. - Proprio, ma non sola. C'erano la madre e la sorella che si davano il turno; e mentre noi si vegliava, il padre di lui e mio zio giocavano a carte, bevendo, ciarlando, presi da quella reazione di simpatia improvvisa che segue sovente le avversioni silenziose ed ingiustificate. L'ammalato migliorava. Ma verso sera sopraggiungeva la febbre ed il delirio. Una sera, per adattargli la vescica del ghiaccio sulla nuca, fui costretta a sollevare la folta chioma nera sulla bella fronte pallida. Egli mi baciò la mano che ritirai subito; aprì gli occhi, arrossì come un fanciullo. - Perdoni, signorina, l'avevo presa per mia sorella. Un altro giorno, dopo un lungo silenzio, soli questa volta, io fissavo nel sonno quel bellissimo volto, quando m'accorsi che il giovane mi guardava tra le lunghe palpebre appena socchiuse: - Signorina, io sono umiliato. - Umiliato di che? - Non le so dire. Della figura grottesca che ho fatto, che faccio con lei. Penso che nella mia vita avrei potuto conoscerla in dieci occasioni gloriose ed apparirle un eroe. E invece le sono precipitato in casa come un sacco di legumi. Avrei voluto averla infermiera a Milazzo, quando sbaragliammo le truppe di Bosco. Fu una lotta a corpo a corpo contro i Borboni. Non guardavano più a noi. Tutte le sciabole erano dirette a Lui, era Lui che volevano uccidere. E il Dittatore sarebbe stato finito se Missori, se Statella, se noi più fidi non gli avessimo fatto scudo. E fu nel fargli scudo che mi presi questa graffiatura. E Cesarino scoperse il petto sopra una larga cicatrice obliqua. - Fui dieci giorni in un fienile tra la vita e la morte: e avevo a vegliarmi una vecchia quasi scema ... Penso oggi, con rimpianto, che quella vecchia avrebbe potuto esser lei. - Sono giunta troppo tardi, - sospirai, ad arte, - sono giunta troppo tardi, signor Cesarino. - Troppo tardi per la gloria, ma non per l'altra cosa. - Qual cosa? - La cosa che penso, - mormorò fiocamente il malato. E non parlò più. E chiuse gli occhi. Ma quando gli posai il ghiaccio sulla fronte ardente, mi baciò la mano ancora una volta. E non mi disse più di avermi prosa per sua sorella. *** E così, sei mesi dopo, sposavo l'uomo che fu per quasi quarant'anni il compagno della mia vita. - Ed è stata felice? - La domanda è indiscreta; ma le mie confidenze gliene dànno il diritto. Non felice, - la felicità non è di questo mondo, - serena. Certo non si prolunga per mezzo secolo la poesia dei vent'anni. Se penso a quei giorni mi par d'averli letti in un bel romanzo. - Signora, temo che lei non abbia amato suo marito, mai. - Signore, l'ho adorato! - Mi spiego. Ha amato in suo marito l'eroe dei suoi diciott'anni: Giuseppe Garibaldi. Penso che molti cuori diciottenni abbiano avuto in Italia, in quei giorni, la stessa illusione e abbiano sposato un garibaldino non potendo sposar Garibaldi ... - Per copia conforme, - e la vecchia signora sorrise, col suo bel sorriso giovanile - per copia conforme: può darsi anche questo ...

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