Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbocca

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Vietato ai minori

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Bonanni, Laudomia 1 occorrenze

Comunque guida sorveglia e cura: aggiusta con mosse brusche un cappuccio una sciarpa, rimette in sesto la fila, separa e abbocca aula per aula. Guardando sottecchi le ridono, essa pure sorride. Più malleabili dei maschi e più accattivanti, le femminucce perfino s'innamorano della monaca preferita. Anche di questa, che torna subito caporale. Ha una spessa sottana color tabacco e del nero in testa, niente bianco oltre il soggolo, il bianco impegna. Tutta scura la fila e in quel greve opaco è l'uniforme, qualcosa di mortificato. Sono monache povere, povere le "orfanelle". Anche figlie di carcerati. Dislocate fra conservatorio (presidente il vescovo) e istituto (governatore un duca) con retta di 200 e 250 giornaliere per il completo mantenimento. Maria esce sempre dalla fila dondolando le spalle inverosimilmente larghe e facendo i piedi piatti. Non ho ancora capito se li divarichi per imbarazzo, per trattenere le scarpe troppo larghe o se davvero i suoi piedi infantili sono già difettosi. Li solleva e poggia come una donna slombata. Ma delle spalle ho scoperto il segreto. Al paese, per la partenza, le fecero di una vecchia giacca da uomo questo abituccio, serbandone con parsimonia contadina quanta più stoffa possibile e l'imbottitura. Con uguale accorgimento senza garbo le monache vi hanno tagliato sopra giusto e deforme il grembiule nero di scuola. Maria sembra corta voluminosa e squilibrata come un gobbo. Nel banco infatti, quasi avesse del piombo alle spalle, di tanto in tanto trabocca da una parte dall'altra, cade. Da principio tutte ridevano. È davvero squilibrata. Alle quattro ore in aula non resiste. Via via s'accalda, fa un'affocatura ai pomelli, gli occhi diventano lucidissimi. Rifiuta di scrivere, di rispondere, pencolando con aria affranta e non se ne cava più nulla. Ha begli occhi (certe dissolvenze mentali li svuotano senza appannare il lustro) lineamenti regolari, una testina ben plasmata. Così calda di sangue sembra non reggerla, piega, è allora che trabocca con improvviso frastuono nel banco. Temevo che avesse dei capogiri. In ambulatorio hanno detto di no. La sua scheda sanitaria è nuda. Maria G. di Elio fu Teresa, le tonsille sono a posto _ si fa molto caso negli ambulatori scolastici delle tonsille così evidenti a fìor di gola _il resto in bianco. Per il piccolo sfogo alla fronte, neppure nominato, il solito unguentino giallo. Glielo spalmano da mesi e la crosta non se ne va. Me la prendo accanto appena la monaca le ha lasciate, ancora leggera di mattino, fresca dell'aria di fuori. Nel guardarmi converge le pupille e solleva strette alla radice del naso le sopracciglia, assumendo una patetica attenzione. Ha una cicatrice nel collo male minacciata, altre per la cute come i maschietti usi alle sassaiole di strada. È una contadinella, con accento meridionale contratto e la scioltezza dei paesani davanti alle domande semplici, alle cose reali della vita. Mi dice che sua madre è morta all'ospedale di T., dove essa stessa nacque. Gente che dalla campagna va a nascere e a morire in un ospedale di città, è sicuramente gente poverissima. «M'ha lasciato la spilla d'oro.» aggiunge di suo. La spilla e la fede d'oro e quattro tovaglie (intende asciugamani) e due coperte, una celeste di seta e l'altra tessuta di lana con tanti colori. Le lenzuola no, dice, erano tutte strappate, esse dormivano sulla foglia. (Il saccone empito di spoglie del granturco). Suppongo che le materasse siano state vendute, sempre la sposa campagnola porta materasse di lana. Alla domanda se il padre lavorava, risponde che lui non c'era. Ho ritegno a insistere sul padre vivo, le avrà abbandonate. Giovane doveva essere la morta, questa figlia era l'unica. E mamma cercava, è la spontanea conclusione. Capisco che non dice elemosina perché le manca il linguaggio, non per vergogna. Il bambino della povertà non si vergogna, non se ne rende conto. (Quando entra nelle classi l'addetta al patronato scolastico e, ad alta voce: chi è povero alzi la mano, l'alzano tutti tranquilli e premurosi, anche quelli che saranno esclusi dall'assistenza perché non abbastanza poveri.) Maria torna alla spilla. "La tiene nonna e anche l'altra roba." Ha l'aria di sentirsi prodigiosamente ricca. Mi fa brillare quel poco oro a dodici carati come un sole. Senza sollecitazioni incomincia un lungo discorso, a brani di memorie confuse, non più sensibili, sulla madre. Che ogni anno doveva andare a T. dai medici dell'ospedale, la visitavano e facevano le iniezioni, ogni anno devi ritornare, e una volta non ci andò, così stette male, se lo sentiva e diceva lo so che debbo morire e infatti ci tornò e morì. Domando di che è morta. È stata la Zefìle, risponde con sicurezza. Sono certa che vi ha messo la maiuscola, un nome femminile, come se fosse stata uccisa da una donna. Non capisco. Stento a formulare altre domande. "E tuo padre?" Gliel'avessi chiesto prima senza tanti scrupoli, non avrebbe avuto difficoltà a dirmelo. Si trova al manicomio di T. Lei sa tutta la storia e può parlarne con docile tranquillità, perfino con un'ombra di vanagloria (come sempre quando si parla di sé). Date non ne ricorda _ le so io _ ma sa che tornò dalla guerra si sposò e impazzì. Prima faceva il lavoro di campagna, andava a giornata, bracciante agricolo. Quando la figlia nacque era ricco, ricco di pecore mandrie campi, fermava la gente e diceva: è tutto mio. Non volle più lavorare. Questo per Maria significa essere pazzi. Mi guarda compiaciuta e fiduciosa, aspettando. Dico: Ti ci hanno portata? Gliela portarono, una volta sola, a lutto. Com'è non sa dire ma cerca. L'ha visto giovane e bianco bianco _ chissà che pallida sparutezza in confronto alle facce cotte della parentela contadina _ un giovane magro vestito da militare, che voleva abbracciarla. Ma essa non conoscendolo s'era tirata indietro. Aveva paura e sua nonna a spingerla. Poi l'ha riconosciuto perché diceva: ho una grande disgrazia, ho perduto la moglie. Capiva tutto. S'accosta ancora, col visino lungo e il naso tirato alle pinne da quel vezzo di alzare e stringere le sopracciglia. Uno strabismo d'attenzione. O è a causa della crosta che da mesi rimane lì sotto la spalmatina d'unguento. "A mamma la malattia gliel'ha ridata lui." Mi guarda intensamente. Riflette un po', di nuovo pronuncia quel nome femminile accompagnando ogni sillaba con una contrazione sopraccigliare: Zefìle. A un tratto afferro la parola storpiata. Sifilide. Deve aver sentito dalla nonna, dai paesani, in ospedale, avranno parlato davanti a lei senza badare. Mi chiedo se l'abbia raccontato alle monache. (Il medico dell'ambulatorio non ha fatto domande.) Una donna. Una macabra donna col nome senza maiuscola, che davvero uccise sua madre. Mi rendo conto che ancora per la bambina sono parole, non tanto senza senso quanto senza peso. Già il padre è una labile immagine di soldatino giovane (diosaperché sempre vestito così) nella cornice di un parlatorio che a mano a mano si confonde con quello del convento, e la madre sembra svanire in un passato senza rilievo. L'anima è leggera. Il corpo no. Poso le mani sull'imbottitura delle spalle, vi cerco sotto la smilza carne. La carne è pesante, porta il carico di quel sangue. Ora la bimba è pallidina e graziosa. Le tonsille sono a posto, la sua scheda sanitaria è bianca. Bisognerà riempirla con l'anamnesi familiare. L'accompagnerò da un medico dell'ambulatorio meno frettoloso. Per questa crosticina ostinata occorre l'ospedale. Ridice: Mi ha lasciato la spilla d'oro. Anche lei innocentemente crede di essere ricca.

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