Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbisognano

Numero di risultati: 4 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Nuovo galateo

189394
Melchiorre Gioja 3 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Due macchine di fuoco artifiziale benchè diverse in grandezza, non abbisognano, per accendersi in un istante, di diversa quantità di fuoco; una semplice scintilla basta si all'una che all'altra. Per consimile ragione il più piccolo atto è capace di eccitare le rimembranze più dolorose. Allorchè Dionigi, caduto dal trono di Siracusa, faceva il maestro di scuola a Corinto, un abitante di questa città andò da lui, e fermatosi sulla soglia della sua casa, affettò di scuotere la veste per dimostrare che non portava ascoso alcun pugnale. Ora, siccome era questo l'atto con cui si abbordavano i tiranni, perciò ricordava a Dionigi l'esercitata tirannia, l' abbominazione de'popoli, il trono perduto e la presente abbiezione. Siccome lo stesso atto e lo stesso detto risvegliano memorie gradite in alcuni e dolorose in altri, quindi si scorge la necessità, di conoscere i sentimenti delle persone colle quali si conversa, per non esporsi al pericolo di offenderle o amareggiarle anche non volendo. Chi guardava Caligola in fronte, suscitava in lui subito e mortale sdegno, perchè quell' atto gli rammentava la calvezza ch'egli avrebbe voluto nascondere a tutti. Chi guardava in fronte Scipione l'Africano, di magnanimo piacere colmavalo, perché sulla sua calvezza si vedeva una cicatrice marziale, monumento di valore e di gloria. Finalmente la pulitezza vieta di far rivivere e rinfacciare ad altri que'loro privati vizi che un lungo pentimento ha cancellati. Le stesse leggi civili, a fine di serbare la pace tra i cittadini, condannano questi rimproveri, benchè fondati sul vero; e stabiliscono, sebbene troppo assolutamente, il principio veritas convinci non excusat a convincio; la verità dell' ingiuria non scioglie da colpa.

Pagina 36

Dando prova d'ignorare che nell'uso delle cose comuni, l'inurbanità cresce a misura che la parte da noi presa supera la parte che resta individualmente agli altri, si piantano nel bel mezzo del comune focolare, e ne occupano un terzo, mentre saranno dieci quelli che abbisognano di riscaldarsi; lo stesso si dica di tutte le altre cose a cui più persone hanno diritto, per esempio, delle gazzette, che, a comodo comune, si trovano sui tavolini de'caffè, e che costoro leggono sbadatamente, poscia bevono, e tornano a leggere, quindi parlano cogli astuti, ecc., senza che il comun foglio esca loro di mano. Sul camino d'un gabinetto di lettura a Londra si legge: Le persone che imparano a compitare, sono invitate a non prendere che i fogli di ieri. Ne'caffé della stessa città ove si uniscono tante, persone per leggere le gazzette , non si parla che, sotto voce. Consulltando soltanto il loro piacere, non invitano ma sforzano a sonare, a cantare, a ballare chi realmente non è dotato di queste abilità o non vi si sente disposto, e lo pongono nella necessità o di dire un no assoluto, o di farsi compatire. Se devono sonare o cantar essi, eccoti mille mendicate scuse, interminabili affettate proteste d'ignoranza, ecc. Il più bello talvolta si é che, dopo d'avere cominciato con apparente contrarietà d'animo, non la finiscono più. Talora par che sprezzino tutti e vogliano con certa austerità molesta dar legge a ognuno; ed oltre all'essere contenziosi in ogni minima cosa e fuor di tempo, riprendono ciò ch'essi non fanno; e sempre cercano appicchi di lamento cogli amici. Talora per irriflessione, talora per curiosità si fermano a leggere le altrui carte, custodi de'segreti delle famiglie, e che ciascuno cerca di sottrarre agli altrui sguardi. Molesti vicini spiano i vostri andamenti e prestano orecchio a vostri discorsi; ora v'importunano, aciocchè entriate nella loro conversazione che non v'aggrada; ora frappongono ostacoli sovra passaggi che sono comuni; talvolta vi cagionano timore con improvviso strepito d'armi; e quando la notte è avanzata, col frastuono delle loro grida e risse

Pagina 43

Si dice però che non siano ugualmente cortesi co'loro simili se questi me abbisognano. In Atene ciascun convitato, in un pranzo d' invito, poteva torre alcuni piatti e spedirli a'suoi amici. Sembra ancora che i commensali, finito l'ordinario pranzo, trasportassero seco quanto rimaneva: specie d'indiscrezione lontana da'nostri costumi. L'uomo selvaggio è il solo, nella specie umana, che non conosca pe'suoi pasti un'ora determinata. Sottomesso, come i bruti, ai soli bisogni della natura egli mangia, come essi, quando la fame glie lo ordina, ed aspetta per mangiare di nuovo un nuovo ordine. Non succede lo stesso nello stato incivilito. Dacché supponete una famiglia riunita, delle vivande preparate, e quindi una spesa, degli uomini che ritornano dal lavoro dopo certe ore, finalmente degli amici che si raccolgono insieme, è necessario un tempo fisso, e sono anco necessari più pasti. L'agricoltore, il muratore, il facchino ecc., ne esigettero quattro, che servirono a dividere in quattro epoche la giornata. Le professioni meno laboriose poterono diminuire i pasti e alterarne le epoche giornaliere secondo la durata degli affari, la ricchezza delle società, ad anco i capricci della moda. L'uso generale del Giappone si è di mangiare tre volte al giorno, cioè alle ore otto del mattino, alle due dopo mezzodì, ed alle otto della sera. Sino al XVI secolo in Francia si pranzò alle ore dieci antimeridiane, e si cenò alle sei pomeridiane. Un vecchio proverbio diceva: » Lever a siz, disner dix, » Souper a six, coucher à dix, » Fair vivre l'homme dix fois dix Levarsi a sci, desinare a dieci, Cenare a sei, coricarsi a dieci, Far viver l'uomo dieci volte dieci. Sul principio del secolo XVIII, Luigi XIV pranzava alle 12 ore. Verso il 1750 si fece una colazione più copiosa, onde poter ritardare il pranzo dopo d'avere seguito il corso degli affari pubblici , divenuti più numerosi e complicati. Il pranzo fu ritardato in modo che in più capitali europee cessò il bisogno di cenare, e si pranza attualmente all' ora in cui cenavasi per l'addietro. Infatti nel XV secolo la maggior parte degl'Italiani, dice Machiavelli, avevano per consuetudine di cenare di giorno. L' uso di bere nello stesso vaso, richiesto dapprima dalla ristrettezza delle finanze, motivo per cui sussiste presso le famiglie povere, divenne poscia un segno d'affezione. In Grecia e a Roma, allorché facevasi un brindisi a qualcuno succhiavasi un sorso dalla tazza, quindi gliela si trasmetteva, acció ne bevesse, egli pure. Era questo un favore segnalato quando dal labbro del sovrano la tazza passava a quello del suddito. Non dimenticò quest'uso l'imperatore Massimo, allorché (nel IV secolo) ammise alla sua mensa S. Martino. Se non che erasi già introdotto il costume di far passare la tazza da un commensale all'altro, e ciascuno v'applicava il labbro in segno di comune affezione ed allegrezza. A Nicaria (isola greca) conservasi tuttora quest'uso: la padrona di casa beve per la prima nel bicchiere, quindi lo manda intorno, come fa Didone in Virgilio. In generale i Greci bevono tutti nella stessa tazza e si fanno molti augurii di salute. Questa usanza, che l'autorità di Didone non basta ad ingentilire, sussiste in Inghilterra nelle case che gli usi più antichi religiosamente conservano: la birra va in giro, non in distinti bicchieri, ma in un solo fiasco, e ciascuno vi appone la bocca. Due negri d'Adra, quando vogliono darsi segni non fallibili di calda amicizia, bevono insieme nello stesso tempo e nella stessa tazza.L'usanza di toccare a vicenda i bicchieri coi bicchieri, e quindi bevere, fa circolare ne' commensali il sentimento dell'affezione e dell'allegrezza comune, senza frammischiarvi immagini schiofose e ributtanti. Del costume di bere alla salute de'commensali scorgesi traccia nella più remota antichità, e differenti origini gli si assegnano. Qualcuno l'attribuisce al desiderio di levare l'intemperanza nel bere; si ebbe vergogna, dicesi, di bere oltre misura, e, a colorire questo vizio s'inventò la falsa pulitezza di bere alla salute del vicino, quindi degli assenti, pratica che dagli Inglesi e dai Francesi chiamasi toaser. Altri additano un'origine religiosa. Gli antichi, dicesi, collocavano presso alla mensa le immagini de' loro. Dei domestici e tutelari, facevano loro delle libazioni, e bevevano salutandoli. In processo di tempo bevettero alla conservazione e prosperità delle persone più care, parenti, amici padroni, ecc. I Franchi, divenuti cristiani, credettero di fare un atto di religione bevendo in onore de'morti, e soprattutto in onore di quelli che erano saliti in fama di santità. Ma quest'uso fu riguardato come un'idolatria, una profanazione; un concilio di Nantes anatematizzò; Carlomagno lo proibì ne' suoi Capitolari. Le persone allegre in Francia conobbero facilmente che era cosa ragionevole d'abbandonare i morti, e siccome credevano pure ragionevole l'uso d'onorare il merito bevendo, quindi i viventi rimasero oggetto delle libazioni, e particolarmente gli amici e le amanti. I moderni Greci, volendo far onore ad una persona, bevono tre o quattro bicchieri in suo nome. I Greci suddetti tra un servizio e l'altro s'abbandonano al canto. L'uso di cantare ne'pranzi sale in Francia ai tempi della cavalleria, e continuò sino a Luigi XV. Se non che i Francesi negli ultimi tempi non cantavano che al dessert: ciascuno intonava una canzone allegra, della quale ripetevasi in coro il ritornello. Dal XVI al XVIII secolo regnò in Francia l'uso d'accumulare molte vivande sul medesimo piatto ed in modo da formare una piramide. L'altezza di questa essendo divenuta la misura dell'abilità di chi la costrusse e delle lodi che gli tributavano i commensali, la faccenda si complicò; si posero sulla stessa base vivande e piattelli, confetture e porcellana, frutti e figure, sicché ne risultavano de'campanili si alti che, giusta l'espressione di madama Sevigné, fu talvolta necessario alzare le porte. Per lo passato, allorchè avevate ricevuto un pranzo da qualche amico in una città della Gran Bretagna, eravate sicuro di ritrovare, partendo, disposti a spalliera nell'anticamera o lungo le scale tutti i servi che vi avevano servito a tavola, cominciando dal maggiordomo sino al guattero, e dovevate porre nelle mani di ciascuno una moneta proporzionata al suo ufficio. Quest'uso che riscoteva un dazio sul commercio dell'amicizia, che poneva ostacoli all'ospitalità, che nella casa d'un amico faceva pagare un pranzo al prezzo quadruplo di quello che si sarebbe pagato in casa d'un locandiere, quest'uso incivilissimo obbligava molte persone a dichiarare che non erano abbastanza ricche per accettare pranzo da tale o tal altro milord. Questo dazio, che era in vigore nello scorso secolo anche in Olanda, si pagava sotto gli occhi del padrone, il quale non s'accorgeva o non voleva accorgersi che era cosa sommamente inurbana il volere alimentare de'servi con contribuzioni forzate imposte all'ospitalità ed all'amicizia. Gli Scozzesi furono i primi ad abolire quest'uso nel 1760, con grande scandalo de'servi, i quali non mancarono d'invocare le venerate pratiche de'maggiori, e declamare contro la corruzione del secolo, e ripetere nel loro gergo » Declina il mondo e peggiorando invecchia ».

Pagina 98

Nuovo galateo. Tomo II

194180
Melchiorre Gioia 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

- Si devono ammirare quelli che dopo d'essersi occupati di studio o d'affari nel gabinetto, possono ritornare agli affari o allo studio nelle conversazioni; ma non si possono spregiar quelli che dopo avere eseguito il loro dovere, abbisognano di riposo. Siccome i pranzi non sono eccellenti se non quando possono soddisfare tutti i gusti, così non sono eccellenti le conversazioni se una varietà di soggetti corrispondenti ai bisogni di ciascuno non presentano. Generalmente parlando, i discorsi seri non possono piacere alla maggior parte degli astanti, giacché la maggior parte vanno a ricercare nelle conversazioni riposo alla riflessione e pascolo alla fantasia. Non si può quindi approvare la condotta di Locke, il quale, mentre tre milordi, Hllifax, Anglesey, Shaftesbury, giocavano tra di loro, egli occupavasi a scrivere le parole che uscivano loro di bocca. Per quale motivo ridete voi, gli disse Anglesey? Perché non perdo nulla di quanto voi dite, rispose il filosofo, e gli mostrò la nota delle parole poco assennate che ciascun giocatore aveva detto. Questa censura era fuori di proposito, giacché da persone che giocano, e giocano per divertirsi, non si deve aspettare che argomentino in barbara o in baralipton. Quando prendiamo una medicina, dobbiamo noi osservare se é bianca o nera, leggiera o pesante, bella o brutta, graziosa o no alla vista di qualche astante? Ella ci ridona la salute, e basta. » All'incontro, dice Gozzi, certi Catoni vorrebbero » che non si uscisse mai dal malinconico e dal » grave, come se gli uomini fossero d'acciaio e non » di carne. Questi tali ci vorrebbero affogati nella » noia. E quando l'animo é infastidito, non é buono » né per sé né per altrui. Il meglio è un bocconcello » colla salsa di tempo in tempo, e poscia un grosso » boccone delle vivandi usuali. La misura ne' passatempi » é rimedio della vita; ed io tanto veggo magri sparuti » e disossati quelli che non pensano ad altro » che, al sollazzo, quanto quelli che tirano continuamente » quella benedetta carretta delle faccende ».

Pagina 32

Cerca

Modifica ricerca