Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbigliamento

Numero di risultati: 5 in 1 pagine

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Le buone maniere

202587
Caterina Pigorini-Beri 4 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Esse debbono sapere che la loro condizione le costringe ad essere simpatiche; e per esserlo debbono curare perfino il loro abbigliamento in modo che corrisponda a quel comandamento categorico dei francesi: avere il fisico dell'impiego - le physique de l'emploi. Poste in una condizione che tocca al capo e ai piedi della gerarchia, esse debbono saper essere gl'intermediarii pietosi del perdono e della carità nelle famiglie, come quei cuscini, a così dire, che impediscono gli urti, arrotondano gli angoli, attutiscono i rumori e gli strofinii; e lasciare nelle famiglie il ricordo d'una custodia mite e gentile quasi di fate benefiche, il cui nome richiama negli anni tardi un sorriso di compiacimento e una lagrima sugli occhi di coloro che ne provarono i benefici influssi. È a questo patto che le famiglie si cementano e che gli uomini diventano benevoli l'uno verso l'altro in un comune desiderio di rendersi tollerabili.

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Alla salma si fa subire l'ultimo abbigliamento terreno pietosamente, con uno scrupolo pieno di tenerezza melanconica. Tutti i popoli della terra hanno avuto il culto della morte, e le vestigie che ne scopriamo manifestano le prime idee della civiltà, nella cura con cui furono inumati i nostri progenitori. È la tomba che rivela la immensa e insormontabile differenza che separa l'uomo dagli altri animali. Essa è, per così dire, la sanzione del nostro lignaggio. La salma è custodita dalla pietà dei parenti e degli amici fino all'ora in cui va a riposare per sempre. Alle prime ore della perdita se ne fa la denunzia allo Stato Civile che manda un medico a constatare il decesso e a verificare il male che ha prodotto la morte; poi si prendono accordi colla Chiesa pel trasporto e generalmente con qualche imprenditore di pompe funebri, perchè tutto sia eseguito nel modo e nel tempo stabilito dalla legge. Se si desiderasse far trasportare il corpo in qualche altro comune lontano, bisognerebbe chiedere l'autorizzazione alla potestà politica. Non è nostro intendimento entrare nel capitolo spese, che variano all'infinito secondo le condizioni e le convenienze dei morti e dei vivi. Per ciò che è di prammatica del corteo funebre, o per le corone che gli amici, i parenti, gli ammiratori mandano alla bara, tutto è sottoposto a circostanze speciali e personali. Noi ricordiamo i nostri grandi morti, per cui sono abbisognati dei carri a trasportare i fiori, che anche l'antichità dava alle tombe. Essa aveva loro consacrato i papaveri e le primule, e coronava di rose selvatiche le vergini rapite dalla falce inesorabile. Davanti ad un feretro dovendo cessare ogni ragione di rancore, di personalità o di guerra, le precedenze sono determinate dalle prammatiche e debbono essere scrupolosamente osservate dalla famiglia e da coloro che hanno la direzione del funerale, e che ne assumono la responsabilità di fronte al mondo. Oltre la tomba le ire nemiche non vivono, e i superstiti, gli amici, i funzionanti da direttori e da esecutori delle pompe funebri, debbono avere la coscienza, l'intuito, il sentimento della parte che farebbero rappresentare al morto che si vuol onorare, qualora dimenticassero o trascurassero, quando ci sono inviti generali, di ottemperare ad un dovere sociale che è il più semplice e il più categorico, facendo qualche esclusione che diventerebbe sconveniente e odiosa. Dal canto suo la persona invitata non può per alcuna ragione esimersi dal rendere questo ultimo tributo al suo simile che l'ha preceduto nella gran partenza, qualunque siano stati i motivi di dissidio durante la vita. E non potendo intervenire personalmente, non mancherà di farsi rappresentare con segni visibili, per non essere sospettato di cuore angusto o di mente piccola e gretta. I domestici, o chi li sostituisce, in lutto con un nodo di crespo al braccio attorniano la bara alla porta di casa. Gli invitati sono ricevuti dagli uomini senza parole, poichè la maestà della morte, anche di persona estranea e quasi sconosciuta, impone un silenzio pieno di tristezza e di raccoglimento. In generale l'abito è nero chiuso, e il cappello a staio. Se la persona morta è una donna, le donne la seguono vestite a lutto strettissimo. Non saranno mai loro consegnati ceri fuori della chiesa, essendo essi riservati ai soli domestici. Il cero acceso per la strada, tanto più se ci sono grandi distanze, oltre essere una fatica per le signore, può loro produrre dei veri danni materiali. Le persone di casa per un uso ravvivato dai nostri vicini Francesi seguono il feretro; le donne in carrozza, gli uomini a piedi subito dopo la bara. Ma un vero sentimento di dolore dovrebbe interdire questo accompagnamento pubblico, il quale è uno spettacolo dato in pasto al popolo, in cui non ci guadagna punto il protagonista. Se il morto è un funzionario ha sulla coperta mortuaria i distintivi del grado; se è un soldato, le medaglie, il berretto, la spada; se è una giovinetta, il giglio o il fiore d'arancio, significante le nozze immortali. Il Medio Evo metteva il melogranato, di cui la Gran Contessa ha in mano un ramo, nei ritratti conservati dalle oscurità nebulose di quel tempo. Nelle città in cui il cimitero è lontano, data la benedizione della salma nella chiesa parrocchiale, l'ultimo addio è pronunciato alla barriera per cui si accede alla estrema dimora; ma in tutto questo ogni regione, ogni città, ogni villaggio ha la sua forma di funerale. Nelle Marche i contadini buttano un pugno di riso dalla finestra quasi a dire che il pianto è entrato in casa; evoluzione delle fave buttate alle larve Lemurie dagli antichi; si assoldano i piagnoni e si fa il banchetto funerario mettendo la posata pel morto; nelle Calabrie si spengono i fuochi e per un mese i vicini nutriscono la famiglia addolorata con veri banchetti funebri; in talune città al morto si fa precedere una folla che si dà il cambio a portare un'urna di velluto rosso, vuota, a rabeschi d'oro, quasi a dire che solo nel luogo dove si sotterra, l'uomo sarà chiuso nella bara. Tra i protestanti la cerimonia è più breve e meno complicata. Le funzioni religiose si fanno generalmente in famiglia in casa del morto; ma i discorsi, l'accompagnamento, le corone, il seppellimento è presso a poco come fra i cattolici. Fra gli israeliti si va direttamente, in generale, dalla casa del morto al cimitero. È caratteristico che durante la cerimonia, anche entrando nella camera del defunto, essi tengono costantemente il cappello in testa. Ciò fa una penosa impressione ai popoli cristiani che hanno un sì gran rispetto della morte, e che, qualunque siano le loro credenze religiose, alla vista d'un cadavere sentono quasi un bisogno di piegare a terra un ginocchio. Ma occorre di notare che anche nelle loro funzioni religiose della Sinagoga, che si chiama la scuola secondo la legge antica, in cui i salmi e i Proverbi di Salomone e l'Ecclesiaste e il Deuteronomio erano precetti, deprecazioni, confessioni e non preghiere, agli uomini è interdetto di scoprirsi, come è proibito alle donne di mescolarsi cogli uomini ed è invece riservata ad esse una tribuna chiusa in alto. I lutti sono pure varii secondo le condizioni, i luoghi, le consuetudini regionali, da cui non si può decampare almeno per ora; essi sono, per esempio, perpetui, si può dire, nell'Italia Meridionale, specie nelle donne; gli uomini portano la camicia nera di lana, di seta, di cotone, il che li fa parere i beccamorti della commedia; se non tutta nera la camicia hanno però bordati di nero i solini, i colletti le pezzuole; e l'abito è di rigore per un anno, togliendo catene d'oro e anelli, in una maniera straordinariamente formalistica e piena di costanza e di fede. Sulle porte del morto inchiodano padiglioni neri, che il vento, la pioggia ed il sole soltanto hanno il còmpito di scomporre, scolorire e staccare. Nelle città di primo e di secondo ordine, e infine dove è penetrata l'universalità delle convenzioni sociali, il lutto è pressochè uguale dappertutto. Le regole del lutto debbono essere rigorosamente osservate non solo perchè mostrano il rispetto dovuto al viaggiatore partito prima di noi, per una meta anche a noi destinata, ma perchè il contravvenire offenderebbe la coscienza pubblica che ha stabilito la sua prammatica inesorabile nelle moltitudini, colla forza dell'opinione, la quale, senza avere dei codici, ha pur tuttavia delle pene e delle ricompense d'un valore incalcolabile nell' arte del ben vivere. L'opinione è così forte che un figlio non potrebbe, senza incorrere nel disprezzo delle anime bennate, negar il lutto ai propri genitori. Il lutto è una dimostrazione postuma d'un affetto doveroso; è il simulacro, la forma d'un dolore che si deve supporre nel superstite per il trapassato: ed è così universalmente riconosciuto che per dispensarsene e per abbreviarlo, ai tempi della duchessa di Berry, figlia del Reggente in Francia, quando per verità il lutto era soverchiamente lungo come anche oggidì in Calabria, fu necessario ricorrere ad una legge dello Stato, e malgrado ciò la vecchia nobiltà non la accettò che assai tardi. Non diciamo che ora il mondo va ad un'altra maniera e non bada al sottile: ciò farebbe prova che siamo deficenti di quello spirito di osservazione, che è la grande scoperta del secolo. Non mai come oggi poterono esistere e prosperare invece certe forme esteriori, tanto da rendere possibili delle fabbriche e dei negozi speciali, a mo' d'esempio, di così detti oggetti di lutto, dai gioielli alle scarpette, dalle stoffe, diremo anche noi questa brutta parola, alle confezioni. È dunque indispensabile all'armonia generale della società costituita che tutto sia, come a dire, intonato alle convenzioni doverose che essa ha imposto. Ancora non è spento il ricordo del lutto che una innumerevole quantità di cittadini adottarono per la morte del Gran Re in Italia: fu anzi da quel giorno che si adottò l'uso del crespo al braccio per gli uomini, che fino a quella data infaustamente memorabile era quasi sconosciuto in Italia. Il lutto dagli uomini si fa generalmente nel cappello, coprendone una parte del cocuzzolo con crespo nero. Questo può anche dispensarlo da un abito perfettamente nero, il che del resto è sempre da consigliarsi. Il lutto dura un anno pei genitori; due pel marito o per la moglie; si mette il lutto pel fratello, per la sorella, pei cognati, per gli zii, naturalmente pei nonni, e perfino pei cugini se sono personaggi elevati; lutti di convenzione che soddisfano la vanità dei vivi più che il dovere verso i morti. Non parliamo dei genitori pei figli: tale lutto è all' infuori d'ogni legge, perchè lo scomparire il sangue del nostro sangue è come veder tagliate via parte delle nostre membra. Notiamo di passaggio che il lutto vedovile, che è il più lungo per legge, in realtà, riesce troppo spesso più che non sia conveniente il più breve, per ragioni che non staremo qui a discutere. Alfonso Karr, che era un uomo di spirito e anche un uomo di cuore, diceva che una donna non può essere sposa e vedova con decoro che una volta sola; e la Chiesa sapiente ha tolto la benedizione alle seconde nozze delle donne; ma il vero è che il mondo va in un'altra maniera, perchè la pratica è una cosa e la poesia è un'altra. Solamente, siccome il lutto vedovile ha un'uniforme per le signore eleganti, quelle che non si sentono la vocazione di immolarsi sul rogo del marito, o di tagliarsi i capelli come facevano le antiche e come si fa ancora attualmente fra certe popolazioni, debbono vedere di non adottarlo e di non dare al loro lutto una soverchia pubblicità, perchè ciò le taglia fuori della legge sociale convenuta, mentre pare ne vogliano essere le colonne. Il lutto austero d'una vedova dura dunque due anni. Abito di lana o di crespo, opaco e senza ornamenti; cappello col velo lunghissimo calato sul davanti e che investe tutta la persona: scialle nero a punta; guanti di lana e stivali senza lucido; aboliti tutti gli ornamenti siano pure di tartaruga; chiusa la porta a tutti nei giorni ufficiali; riservata la conversazione ai pochi intimi che hanno l'aria di piangere con esse. Il pianto ci va, dicono i contadini della Marca; è la legge: se dunque anche per caso non ci fosse, bisogna supporlo, e per conto mio sono anzi disposta a crederlo inevitabile, almeno tanto quanto è indispensabile. Non si passerà dall'estremo lutto agli abiti sfarzosi che con una gradazione di neri e lucidi, di grigi e di violetti, fra cui i crisantemi che sono il fiore della vedova. Il fiore della vedova è una parola ben curiosa; ma perchè il fior d'arancio è il fiore della fidanzata e il giglio il fiore della vergine? E perchè la Chiesa nella Quaresima e nell'Avvento prende il violetto che è il colore del duolo? Gli è che negli uomini il simbolismo è una necessità della fantasia, che è il matto di casa, come diceva Malebranche; quella che dà vita e colore alle cose più insignificanti e che ci attacca alla vita esteriore e di comunanza cogli altri. Togliete il simbolismo nell'umanità e toglierete l'idealità che l'ha ispirata: e senza idealità non vi ha più nulla: essa è la luce benefica che piovendo

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Perfino il Rousseau diceva che non è preferibile la donna più bella ma la più ben vestita; e Parigi non è così ricca, non è così affascinante, non è così desiderabile, se non in quanto le sue donne sanno essere sì eleganti nelle movenze, sì scelte nelle maniere, sì ritenute nella parola, sì artistiche nel taglio dell'abito, nella disinvoltura d'un cappellino grazioso, e nell'assoluta padronanza del proprio abbigliamento. Le nostre antiche gentildonne italiane fondevano l'arte col vestito, coll'ornamento e coi gioielli. Isabella Gonzaga e Vittoria Colonna, eccelse donne, Alessandra Mazzinghi degli Strozzi e Isabella Guicciardini non sprezzavano gli abbigliamenti, benchè non ne facessero oggetto di troppo grandi cure. È noto che Isabella Gonzaga mandava ambasciatori per avere ragguagli sul corredo di Lucrezia Borgia, e che la dogaressa veneziana rendeva famosi nel mondo i merletti di Burano. Il corredo d'una gentildonna italiana, che portava i velluti e i broccati veneziani, le stoffe orientali, gli Agnus Dei miniati da frate Angelico, le perle dei mari lontani, i coralli delle nostre pesche tirrene, le filigrane genovesi, i ricami dei monasteri nei fazzoletti di una battista che si chiamava pelle d'ovo, e le oreficerie di Benvenuto o di Ascanio, rendevano testimonianza della ricchezza dei nostri commerci e del predominio delle arti belle che resero così splendido il rinascimento. E le industria fiorentine coll'arte della seta e della lana, le veneziane coi broccati e broccatelli, quelle di Camerino coi taffetani e i veli più belli del mondo, quelle di Milano colle stoffe meravigliose; e i profumi dell'estrema Calabria, bergamotto, fior d'arancio e rosmarino, facevano delle nostre gentildonne un modello di perfezione gentile, che passando nell'uomo lo ornavano pei torneamenti, in cui si addestravano nelle armi Fieramosca e Marco Visconti, Ottorino, Castruccio Castracani e Niccolò Piccinino, Lorenzo il Magnifico e Prospero Colonna, Giulio Cesare Varano ed Emanuel Filiberto. Le donne più famose da Vittoria Colonna a Costanza Varano, da Caterina Cibo a Margherita de' Medici, furono altresì le più eleganti. L'abbassarsi dell'istinto dell'eleganza innata nelle donne fu altresì la rivelazione del decadimento del pensiero umano, e della brutalità de' costumi. Il vestire alla guillottina fu l'ultimo eccesso della decadenza rivoluzionaria e suscitò, nel più grande poeta civile del secolo, l'ode a Silvia, grande ammaestramento di civiltà. Ma questa orgia sfrenata di sangue, questa rivolta all'eleganza e alla gentilezza della forma esteriore, fu come la rispondenza dell'altro eccesso in cui ancora il poeta del Giorno colpiva l'esagerazione del lusso e della mollezza, solennemente sferzando la falsa eleganza, i nèi, il belletto di un'epoca di decadimento e di vergogne. E questa lenta trasformazione dell'eleganza in lusso sfrenato e insultante, che ebbe un primo famoso documento in Lucrezia Borgia e un'ultima tragedia in Maria Antonietta, due donne così diversamente famose e terribili e degne di pietà, rivela l'abuso di una facoltà che ha cessato di essere un accessorio indispensabile per diventare uno scopo diretto e positivo. Questo piccolo volo a traverso la storia dell'eleganza nel vestire e nell'adornarsi, non è che un documento umano per preservare dalle vanità le persone di buon senso, e per non far loro tenere in dispregio quelle forme di squisitezza che rendono le donne amabili e utili nel vivere quotidiano. Anche in questo ci vuole quella misura per cui non si esca dalla sapiente e indispensabile teoria dei limiti, che Gino Capponi accenna ne' suoi Pensieri sull'educazione e che gli fece mettere a capo dell'educandato della Santissima Annunziata un'amabile donna straniera, la quale scriveva come madama di Sévigné, vestiva come Madama di Grignan, conversava come Madama di Genlis e sapeva presentarsi come Madama Recamier. Il modo di contenersi in società d'una giovinetta non sarà petulante nè, per servirmi d'una parola messa in voga dagl'Inglesi, scontroso, o d'una taciturnità che rasenti la zotichezza. Per la fusione delle classi, per la facilità di trovarsi al contatto di ogni ordine delle sue coetanee, la giovinetta non mostrerà a quelle di condizione meno elevata della sua quello sprezzo superbo, che fa giungere le lagrime agli occhi dei timidi e degl'impressionabili: non si abbandonerà a troppo grande confidenza colle uguali, non sarà ardita colle maggiori per posizione o per ricchezze, nè adulatrice o lusinghiera. Non farà esclamazioni esagerate, non parlerà in prima persona - casa mia, i miei cavalli, la mia cameriera - e simili; non si crederà autorizzata a prometter nulla, non farà doni e non ne riceverà se non col permesso dei superiori, molto più se il donatore è di sesso diverso e non ha un'età che giustifica il dono, il quale non può essere che un libro, dei fiori o dei dolci. Un dono di valore non è permesso che al padrino, od un parente, ad un vecchio amico della famiglia. Il giudizio sugli uomini e sulle cose deve essere subordinato a molte riflessioni rispettose e remissive, che rivelano quel che si chiama il tatto, il quale non è che la principale espressione del carattere. La giovinetta non dà ad alcun uomo il suo ritratto, non lo incornicia nel salotto, non lo mostra a chi potrebbe avere la mancanza di tatto di chiederglielo, non lo profonde neppure fra le amiche. Il concedere il proprio ritratto a molti può dimostrare due cose: o la vanità di credersi bella, o il trattare troppe persone con intimità, il che distrugge il valore di una amicizia troppo facilmente accordata a molti. Anche colle sue amiche più care non esagera l'espressione del suo affetto, non le bacia e abbraccia troppo spesso, specialmente in società, dove ciò sveglia una idea di sdolcinatura poco conveniente e di attestati iperbolici d'un affetto, che è tanto più sicuro e fedele quanto è meno rumoroso e esteriore: invece la sua amicizia non prodigata alla prima venuta e colla dignità d'un carattere che lampeggia nella prima gioventù per illuminare nell'età matura l'intelletto e il cuore, sarà costante, ferma, serena: essa apporta, come si esprime felicemente la Baronessa di Staaffe, nel commercio della vita usuale colle sue amiche un capitale di onestà sincera e franca, che nell'impedirle l'adulazione le darà modo di non scorgere neppure i difetti e qualche volta gli errori delle altre, senza gelosia per loro meriti, per la loro bellezza e per la loro ricchezza, compiacendosi anzi di poterli far ammirare insieme con lei dagli altri. In una conversazione se le tocca per vicino un interlocutore un po' noioso non sbadiglia, cosa che si può sempre evitare pur di comprimere il primo impulso; è caso qui, come in tutte le cose della vita, di un buon principiis obsta, come diceva il Conte Zio al Padre Provinciale nell'affare del Padre Cristoforo. Sentendosi a ripetere, da un vecchio specialmente, un aneddoto, un fatterello, una spiritosità, un racconto, avrà la pazienza di ascoltarlo colla stessa serietà e la stessa attenzione come se non lo avesse mai sentito dire. Evita con ogni studio di raccontare fatti e di accennare ad avvenimenti che potrebbero offendere o affliggere inavvertentemente le persone intervenute, e non perde mai la buona occasione di tacere, come dice una dama amabile; cosa di cui nessuno ebbe mai a pentirsi. Se sa sonare o cantare non si fa soverchiamente pregare prima di corrispondere all'invito, e sopratutto non mostra di essersi preparata all'invito stesso, cavando fuori il quaderno della musica, il che è ridicolo. Se ognuno fa l'esame di coscienza trova in sè di aver riso di siffatte evidenti vanità. Se uno non è sicuro di sè stesso e di quello che sa, può sempre evitare una inutile agitazione, non esponendosi volontariamente ad un cimento che può produrre una freddezza invincibile nell'ambiente. Il ridicolo doloroso che copre un oratore, un artista, un dilettante ad un insuccesso, dovrebbe allontanare ogni persona ragionevole dal presentarsi in pubblico: una giovinetta specialmente potrebbe danneggiare per sempre la sua riputazione, benchè sia una mancanza tutta convenzionale e non di sostanza. Bisogna ricordarsi che come i senatori considerati isolatamente erano, secondo il motto latino, buonissimi uomini ma il Senato tutto insieme mala bestia (Senatores boni viri Senatus mala bestia), così ciascuno da sè e in sè è disposto all'indulgenza, messi tutti insieme sono giudici crudeli e qualche volta inesorabili. Nessuna belva è più fiera d'una folla anche riunita a scopo di beneficenza o di pietà. L'anima collettiva non è più semplice nè libera, e diventa severa, dispotica, egoistica; e perchè è una belva a molte teste, e il collettivismo non è che una folla limitata ed è necessariamente, pel suo stesso carattere, contraria alle belle maniere e alla delicatezza dei sentimenti, la giovinetta non perderà neppure questa bella occasione di starsene in disparte, pensando a quel motto profondo di una signora di grande esperienza e valore e che dominò un uomo potente e famoso: - La donna che fa parlare di sè è perduta - L'uomo che non fa parlare di se è perduto. Naturalmente questo motto profondo deve essere interpretato con misura e con riserva: ogni cosa sotto il sole ha il suo tempo. E il tempo nostro è molto diverso nei costumi di quello che era nel secolo XVIII, come ognuno sa. È certo che le fanciulle debbono nelle conversazioni numerose avere un riserbo accurato, specialmente con persone appartenenti all'altro sesso. Non è interdetto ad esse di cercare di piacere a coloro che le circondano: anzi è soltanto per questo che l'educatore cerca di ornarne il carattere di quelle qualità esteriori, le quali sono la moneta spicciola di quel gran tesoro nascosto che è la virtù sincera, forte e operosa: a questo esse riusciranno con tanta maggiore facilità quanto più cercheranno di rendersi amabili mostrando di apprezzare il valore altrui, di non insuperbirsi del proprio, di esser grate a coloro che si adoprano al loro vantaggio e sapranno fare qualche sagrifizio personale con buona grazia, come se per esse fosse un piacere non un disagio, e rispettare le opinioni, i pareri, i giudizii e sia pure, i pregiudizii degli altri. Evitando le arie languenti e le pose dette romantiche, silenziosa di un silenzio comunicativo e intelligente, non distratto e isolatore, una fanciulla bene educata sfuggirà ugualmente le mosse vivaci e virili che sono stonature nelle armonie sociali, e ornando la sua mente di geniali studi senza ostentazione di dottrina o di emancipazione grottesca e antisociale, uniformerà la sua condotta a quella della moglie d'un illustre inglese, che fu tanto fortunato da poterne scrivere così: «È avvenente; ma di una bellezza che non risulta nè dai lineamenti nè dalla carnagione nè dalle forme; sono ben altre le qualità con cui incatena gli animi e li volge a suo favore: la dolcissima sua indole, la benignità, l'innocenza, la sensibilità che trasparisce dalla sua fisionomia sono i pregi che ne compongono la bellezza. Il suo volto non ferma punto l'attenzione al primo istante, ma in ultimo uno rimane sorpreso di essersi accorto così tardi che è bella. «I suoi occhi sono dolcissimi: però sanno anche imporre riverenza quando vogliono: essa si fa obbedire come un uomo buono fuori del suo ufficio, non per l'autorità ma per la virtù. «Questa donna non è fatta per essere oggetto di ammirazione a tutti, ma per formare la felicità di uno solo. «Essa ha tutta la fermezza che può accordarsi colla delicatezza, e quanta soavità si può avere senza che ecceda in debolezza. «La sua voce è una dolce musica sommessa, non fatta per dominare nelle pubbliche assemblee, ma per deliziare coloro che sanno distinguere una società da una folla: ed ha un bel vantaggio, che bisogna esserle vicini per udirla. «Descrivendo il suo fisico se ne descrive anche il morale: uno è la copia dell'altro; la sua intelligenza non si rivela in una copiosa varietà di oggetti, ma nella buona scelta che essa sa farne. E non ne dà saggio col dire o fare cose singolari, ma piuttosto coll'evitare cio che non deve nè fare, nè dire. «Nessuno alla sua giovane età può conoscere il mondo meglio di lei, e nessuno mai fu meno corrotto da questa conoscenza. «La sua urbanità deriva piuttosto da naturale disposizione di rendersi accetta, che da alcuna regola, e perciò tanto piace a coloro che sanno apprezzare le belle maniere, come a quelli che non sanno. «Ha mente solida e ferma che non parrebbe derivare dalla sensibilità del carattere femminile, come la compattezza del marmo non deriva dalla pulitura e dal lustro che gli è dato. «Ha quei pregi che si richiedono a farci stimare le virtù veramente cospicue del suo sesso; e tutte le seducenti grazie che ci fanno amare finanche i difetti che scopriamo negli esseri deboli e leggiadri come lei».

Pagina 96

Passa l'amore. Novelle

241670
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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Di faccia, spettinata, in un abbigliamento molto mattinale, con uno scialletto grigio su le spalle, la vedova Garacci e dietro a lei, col viso tra le mani, piangente, la signorina. Quando mi affacciai a l'uscio, dietro le spalle dei due carabinieri, il funzionario di pubblica sicurezza, terminava di scrivere, e presentava il foglio al professore perché ne prendesse visione e lo firmasse. Il professore firmò senza leggere. E allora il funzionario, si alzò da sedere, piegò in quattro il foglio e se lo mise in tasca, dicendo: - Sono contento che tutto sia accomodato senza chiasso e senza scandalo. Quando si ha da fare con persone per bene! Si accostò alla signorina, la prese per una mano, fe' cenno alla madre di precederli, e, dietro a loro, andarono via tutti. - Che cosa le è accaduto, professore! Oh, Dio! Mi guardò, scrollò il capo, con un triste sorriso su le labbra. - Niente, caro mio! Non c'è altro di mutato nel mondo all'infuori di questo: la vedova Garacci si è costituita.... mia suocera! - Suocera? - Che volete? Le ho sedotto la figlia.... minorenne; ho abusato dell'ospitalità.... ho perpetrato non so che altro, da fare accorrere la questura, i carabinieri, tanta gente quanta non ne ho mai vista in camera mia.... Quando si ha da fare con persone per bene - ha detto così il delegato o questore che sia - lo avete udito. E appunto, perchè sono disgraziatamente persona per bene, ho dovuto affermare che la signorina era stata indotta a venire in camera mia in ore indebite, dove è stata sorpresa dalla madre; dove siamo stati sorpresi, caro mio, dalla questura fatta accorrere in gran fretta. Sono stato capace di tutto questo; mi son lasciato cogliere in flagrante.... Voi non l'avreste mai supposto, mai sospettato, caro mio!... E così, e così, eccomi futuro genero della vedova Garacci!... Imparento bene a quel che paro, con un alto funzionario di non so che ramo amministrativo, con un colonnello di linea, che, a quel che pare, hanno avuto la stessa mia debolezza, anni fa, uno appresso all'altro con due altre figlie della vedova.... - Ma lei è caduto in un tranello! Bisogna protestare.... Lei.... - Che! Che! Non voglio impicci, non voglio noie. Ormai! Nella filosofia, nel sistema, entra anche la fatalità, diciamo meglio l'accidente, il caso.... Non possiamo eliminarlo. E questa volta il caso è una signorina non brutta, nè gobba, nè sciocca, per fortuna. Disgraziata! Poteva sceglier meglio e lasciarmi in pace. Ma ha, preso a volermi bene perchè, ella afferma, sono tanto buono, tanto buono! Una signorina neppure ventenne che vuol bene a un vecchio! Si dà anche questo, specialmente oggi. Oh! Mi par di fare un gran tradimento alla filosofia; ma essa è indulgente perchè comprende tutto. - Sicchè lei soffrirà in pace questa specie di ricatto! - Ormai! Ormai! Non aggiunse altro; e accese la pipa.

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