Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbigliamento

Numero di risultati: 7 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Mitchell, Margaret

221129
Via col vento 6 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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. - Portatelo dentro - replicò ella brevemente, confusa per il suo abbigliamento e furibonda contro Geraldo che la esponeva a farsi canzonare da quell'uomo. Rhett sospinse Geraldo. - Debbo aiutarvi a portarlo di sopra? Per voi è impossibile; è troppo pesante. Ella spalancò la bocca inorridita dall'audacia di questa proposta. Figuriamoci che cosa avrebbero pensato Pitty e Melly se il capitano Butler fosse salito di sopra! - No, per l'amor di Dio! Qui, in salotto, su quel divano. - Debbo levargli le scarpe? - No. Ha già dormito altre volte tenendole. Si sarebbe morsa le labbra per essersi lasciata sfuggire questo, sentendolo ridere piano mentre stendeva le gambe di Geraldo. - Vi prego, ora andate. Butler attraversò il vestibolo buio e raccolse il cappello che aveva lasciato cadere sulla soglia. - Vi vedrò domenica sera a pranzo - disse, e se ne andò chiudendo la porta senza strepito. Rossella si alzò alle cinque e mezzo, prima che la servitú fosse entrata in casa a preparare la colazione e scese silenziosamente al pianterreno. Geraldo era sveglio, seduto sul divano, stringendosi la testa fra le mani come se si volesse spremere il cranio. Alzò gli occhi furtivamente sentendola entrare. A muoverli, gli dolevano: emise un gemito. - Accidempoli! - Hai fatto un bell'affare, papà - cominciò Rossella con voce sommessa ma irritatissima. - Venire a casa a quell'ora e svegliare tutto il vicinato col tuo canto! - Ho cantato? - Eccome! Hai svegliato tutti gli echi cantando il «lamento». - Non me ne ricordo affatto. - I vicini se ne ricorderanno finché vivranno; e cosí zia Pittypat e Melania. - Madre dei Sette Dolori! - si lamentò Geraldo passandosi la lingua ingrossata sulle labbra aride come pergamena. - Tutti i miei ricordi si confondono dopo la partita... - Che partita? - Quel ragazzaccio di Butler sosteneva di essere il miglior giocatore di poker in... - Quanto hai perso? - Macché! Naturalmente ho vinto. Qualche bicchiere mi ha aiutato a giocare. - Guarda nel tuo portafogli. Come se ogni movimento fosse una sofferenza, Geraldo trasse di tasca il portafogli e lo aperse. Era vuoto; ed egli lo guardò con desolato stupore. - Cinquecento dollari - disse. - Mi servivano per comprare della roba del blocco per la mamma; ed ora non ho piú neanche il denaro per pagare il viaggio di ritorno. Nel guardare con indignazione il portamonete vuoto, alla mente di Rossella balenò un'idea che prese forma rapidamente. - Non potrò piú alzar la fronte in questa città. Ci hai disonorati tutti. - Tieni la lingua a posto, gattina. Non vedi che ho la testa che mi scoppia? - Venire a casa ubbriaco con un uomo come il capitano Butler, e cantare con tutta la forza dei tuoi polmoni e perdere tutto il tuo denaro! - Quell'uomo è troppo abile alle carte per essere un gentiluomo. Egli... - Che dirà la mamma quando lo saprà? Geraldo alzò il capo con improvviso spavento. - Non andrai a dirlo alla mamma per farle fare il sangue cattivo, eh?! Rossella non rispose ma strinse le labbra. - Pensa che dolore per lei che è cosí buona! - E pensa, papà, che solo ieri sera hai detto che io ho disonorato la famiglia! Io, con un misero balletto per guadagnare un po' di denaro per i soldati! Oh, vorrei mettermi a piangere! - No, non piangere - pregò Geraldo. - Sarebbe piú di quello che la mia povera testa può sopportare; e ti assicuro che mi sta scoppiando. - E hai detto che io... - Gattina, gattina, non essere offesa di quello che ha detto il tuo povero vecchio babbo, che non ne pensava una parola e non ne capisce nulla! Ma sí, sei una figliuola piena di buone intenzioni; questo è certo. - E volevi riportarmi a casa in punizione! - No, tesoro, non volevo far questo. Era solo per spaventarti e tormentarti un poco. Non dirai niente alla mamma? - No - rispose Rossella con franchezza - se tu mi lasci qui e le dici che sono state tutte chiacchiere di quelle vecchie streghe. Geraldo guardò cupamente sua figlia. - E ieri sera è stato un vero scandalo! - Beh - cominciò adescandola - dimentichiamo tutto questo. Non credi che una brava signora come Miss Pittypat abbia in casa un po' di acquavite? Rossella si volse e attraversò in punta di piedi il vestibolo silenzioso per recarsi in sala da pranzo a prendere la bottiglia di acquavite, che lei e Melly chiamavano segretamente la «bottiglia dello svenimento» perché Pittypat ne prendeva sempre un sorso, quando il suo cuore delicato la faceva svenire - o fingere di svenire. Sul suo volto era scritto il trionfo e non vi era traccia di vergogna per il trattamento poco filiale usato verso Geraldo. Ora, se qualcun altro avesse scritto a Elena delle malignità, Geraldo saprebbe tranquillizzarla. E lei poteva rimanere ad Atlanta. E fare quasi tutto ciò che le piaceva, data la debolezza di Pittypat. Aperse l'armadio dei liquori e rimase un istante con la bottiglia e il bicchiere stretti contro il suo petto. Ebbe una lunga visione di picnic sulle acque gorgoglianti del fiumicello che scorreva lungo la Ripa dell'Albero di Pesco, e di banchetti alla Montagna Pietrosa, ricevimenti e balli, pomeriggi danzanti, gite in carrozzino e cene domenicali. Sarebbe stata dovunque, centro d'attrazione di una folla maschile. E gli uomini si innamoravano cosí facilmente, dopo che si facevano tante piccole cose per loro all'ospedale. Ora non le dispiaceva piú andarvi. Gli uomini si lasciano menare per il naso cosí volentieri quando sono stati ammalati! Cadono ai piedi di una bella ragazza come le pere di Tara cadono solo a scuotere l'albero, quando son mature. Tornò verso suo padre col liquore vivificante, ringraziando Dio che la testa di O'Hara non fosse stata capace di resistere al bere smodato della sera prima; e a un tratto si chiese se Rhett Butler non entrasse per nulla in quella faccenda.

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Ed ella era decisa a riuscire, perché Rhett doveva venire a cena; egli notava e commentava sempre qualsiasi innovazione nel suo abbigliamento. Mentre lottava coi suoi riccioli ribelli, udí un passo precipitato nel vestibolo e riconobbe che era Melania di ritorno dall'ospedale. La udí fare i gradini a due per volta e si fermò pensando che doveva essere accaduto qualche cosa, perché Melania si muoveva sempre con decoro come una vera signora. Andò ad aprire la porta; Melania entrò a precipizio, rossa e affannata, come una bambina colpevole. Aveva le lagrime agli occhi, il cappello sulla nuca, sospeso al collo dai nastri, e i cerchi delle gonne che si agitavano violentemente. Stringeva in mano qualche cosa; e un profumo violento e volgare invase la stanza al suo entrare. - Oh, Rossella! - esclamò chiudendo l'uscio e piombando sul letto. - È tornata la zia? No? Meno male! Sono cosí mortificata, Rossella, che vorrei morire! Sono quasi svenuta, e zio Pietro minaccia di dirlo a zia Pitty! - Dire che cosa? - Che ho parlato con quella... miss... - Melania si sventolò il viso accaldato col fazzoletto. - Quella donna coi capelli rossi, quella tale Bella Watling! - Ma come, Melania! - esclamò Rossella talmente scandalizzata da non saper dire altro. Bella Watling era la donna che ella aveva visto per istrada il primo giorno del suo arrivo; ed era ormai la meretrice piú nota ad Atlanta. Molte prostitute erano affluite nella città, seguendo i soldati; ma Bella rimaneva alquanto al disopra delle altre, sia per i suoi capelli rossi, sia perché portava sempre delle belle vesti, benché molto vistose. La si vedeva raramente in Via dell'Albero di Pesco o altre strade eleganti; ma se per caso vi appariva, le signore si affrettavano ad attraversare la strada per evitare quel contatto. E Melania le aveva parlato! Non era da stupire che zio Pietro fosse indignato. - Morirò se zia Pitty viene a saperlo! Lo direbbe a tutti quanti e io sarei disonorata... - singhiozzò Melania. - E non è stata colpa mia. Non ho potuto... non ho potuto piantarla in mezzo alla strada: non posso essere cosí sgarbata! Mi faceva tanta pena! Credi che faccio male a pensare cosí? Ma Rossella non si preoccupava della morale della faccenda. Come molte donne innocenti e bennate, aveva una curiosità divorante sul conto delle prostitute. - Ma che voleva? Come parla? - Oh, è sgrammaticata; ma poveretta, ho visto che cercava di parlare il meglio possibile. Uscivo dall'ospedale e siccome non ho visto zio Pietro con la carrozza, ho pensato di tornarmene a piedi. E quando sono arrivata davanti alla casa degli Emerson, lei era nascosta dietro alla siepe. Ringraziamo Dio che gli Emerson sono a Macon! e mi ha detto: «Scusate, Mrs. Wilkes, ascoltate una parola.» Non so come sapesse il mio nome. So che dovevo sottrarmi affrettando il passo ma... oh, Rossella, aveva l'aria cosí triste... come se pregasse. Era vestita di nero e non era dipinta; se non fosse stato per i capelli rossi, sembrava assolutamente come si deve. Prima che io potessi risponderle, ha continuato: «So che non dovrei rivolgervi parola, ma ho cercato di parlare con quella vecchia pavonessa di Mrs. Elsing, che mi ha messa alla porta dell'ospedale.» - L'ha proprio chiamata pavonessa? - fece Rossella contenta; e rise. - Oh, non ridere! Non è una cosa divertente. Pare che miss... insomma, quella donna voglia fare qualche cosa per l'ospedale; capisci? Ha offerto di venire a fare l'infermiera e Mrs. Elsing dev'essersi sentita morire solo all'idea, e l'ha messa alla porta. E ha ripreso: «Eppure voglio fare qualche cosa. Non sono anch'io una Confederata come voi?» E ti assicuro che questo suo desiderio di rendersi utile mi ha commossa. Ho torto? - Per carità, Melania, chi vuoi che pensi se hai torto o ragione? Che altro ha detto? - Ha detto che è stata ad osservare le signore che andavano all'ospedale e... le è sembrato... che io avessi il viso dolce e cosí mi ha fermata. Aveva un po' di denaro e ha voluto darmelo perché io lo offrissi all'ospedale senza dirne la provenienza. Ha anche detto che Mrs. Elsing non permetterebbe di servirsene se sapesse che specie di denaro è. Che specie di denaro! È stato allora che ho creduto di svenire. Ed ero cosí sconvolta e desiderosa di andarmene che le ho detto: «Ma sí, siete molto gentile» o qualche altra sciocchezza del genere; e allora lei ha sorriso dicendo: «Avete dei sentimenti veramente cristiani» e mi ha ficcato in mano questo fazzoletto. Puah, senti che razza di profumo? Tese a Rossella un fazzoletto da uomo sgualcito e fortemente profumato; alcune monete erano racchiuse in un nodo. - Mi stava ringraziando e dicendo che mi porterà del denaro ogni settimana, quando è apparso zio Pietro con la carrozza e mi ha vista! - Melly scoppiò in lagrime e nascose la testa nel guanciale. - E quando ha visto con chi ero ferma... figúrati, Rossella, ha arricciato il naso... e poi ha detto: «Tu salire subito in carrozza!» Naturalmente ho obbedito; e per tutta la strada zio Pietro non ha fatto che rimproverarmi, senza lasciarmi parlare, minacciandomi di dirlo a zia Pitty. Vai da lui, Rossella, e pregalo di tacere. Forse ti darà retta. Zia Pitty morrebbe se venisse a sapere che ho guardato in faccia quella donna. Mi fai questo piacere? - Sí, vado. Ma guardiamo quanto denaro c'è qui dentro. Mi sembra pesante. Sciolsero il nodo e un gruppo di monete d'oro cadde sul letto. - Cinquanta dollari! - esclamò Melania dopo averle contate. - E in oro! Credi, Rossella, che si possa adoperare questa specie... voglio dire, il denaro guadagnato... in questo modo, per i nostri soldati? Non credi che Dio comprenderà il suo desiderio di far del bene e non darà importanza al fatto che questo denaro è insudiciato? Pensa a quanti bisogni ha l'ospedale... Rossella non l'ascoltava. Stava guardando il fazzoletto sgualcito e si sentiva invadere dalla collera e dall'umiliazione. Nell'angolo era ricamato un monogramma: "R. K. B." E nel suo cassetto era un fazzoletto identico a quello; un fazzoletto che Rhett Butler le aveva prestato il giorno prima per avvolgerlo intorno ai gambi dei fiori di campo che avevano raccolti. Pensava di restituirglielo stasera, quando veniva a cena. Dunque Rhett aveva rapporti con quell'abbietta creatura e le dava del denaro. Ecco donde veniva il contributo per l'ospedale. E Rhett aveva la spudoratezza di guardare in faccia le signore perbene dopo essere stato con quella creatura! E lei aveva creduto che fosse innamorato di lei! Questo provava che la cosa era impossibile. Le donne di malaffare e tutto quanto le concerneva erano per lei cose misteriose e ripugnanti. Sapeva che gli uomini proteggevano quelle donne per motivi che una signora non può neanche nominare... o se ne parlava, doveva essere bisbigliando, o indirettamente o con eufemismi. Ella aveva sempre creduto che solo uomini volgari andassero a visitare quelle donne. Non aveva mai pensato che uomini eleganti - sí, uomini come quelli che lei conosceva e coi quali ballava - facessero cose simili. Era un nuovo orizzonte che le si apriva dinanzi; e com'era orrendo! Forse tutti gli uomini facevano cosí! Non bastava che costringessero le mogli a compiere cose indecenti: andavano anche da donne di quel genere e le pagavano per quello! Oh, gli uomini erano abbietti e volgari; e Rhett Butler era il peggiore di tutti. Gli sbatterebbe in faccia quel fazzoletto e poi lo metterebbe alla porta e non gli rivolgerebbe mai piú la parola. Ma no; non poteva. Non poteva fargli sapere che conosceva l'esistenza di donne di malaffare e che gli uomini andavano a trovarle. Una signora non poteva far questo. «Oh,» pensò furibonda «se non fossi una signora, che cosa non direi a quel rettile!» E appallottolando in mano il fazzoletto, scese in cucina a cercare zio Pietro. Nel passare dinanzi al fornello gettò il fazzoletto tra le fiamme e, con ira impotente, lo guardò bruciare.

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Ricordava ancora ogni particolare del suo abbigliamento, il cammeo con la testa di Medusa sulla cravatta, le scarpe lucide, l'ampio cappello di panama che si era tolto immediatamente vedendola. Era smontato, aveva lanciato le redini a un bambinetto negro, ed era rimasto a guardarla coi suoi grandi occhi grigi, pigri e sorridenti; il sole brillava sui suoi capelli biondi in modo da farli sembrare un elmo di lucido metallo. Aveva esclamato: - Come siete cresciuta, Rossella! - E, dopo aver salito leggermente i gradini, le aveva baciato la mano. E la sua voce! No, ella non dimenticherebbe mai il balzo del suo cuore nell'udirla, languida e musicale, come se fosse la prima volta. Lo aveva desiderato in quel primo momento, desiderato semplicemente e irragionevolmente, come desiderava il cibo per nutrirsi, un cavallo per cavalcare e un morbido letto per dormire. Per due anni egli le aveva fatto da cavaliere a tutti i balli, le riunioni di pesca e quelle a base di porchetta arrostita. Non cosí assiduo come i gemelli Tarleton o Cade Calvert, non cosí insistente come i ragazzi Fontaine, ma non passava mai una settimana senza che Ashley si recasse a fare una visita a Tara. In verità non le aveva mai fatto la corte, né i suoi chiari occhi grigi avevano mai brillato di quella luce ardente che Rossella conosceva cosí bene negli altri uomini. Eppure... eppure... ella sapeva che l'amava. Non poteva ingannarsi; l'istinto piú forte della ragione e della conoscenza nata dall'esperienza, le diceva che egli l'amava. Troppo spesso ella aveva sorpreso i suoi occhi non sonnolenti né distratti, ed egli la guardava con una tristezza e un turbamento che la stupivano. Sapeva che la amava. Perché non glielo diceva? Questo non riusciva a comprenderlo. Ma vi erano in lui tante cose che ella non comprendeva. Era sempre cortese, ma distante. Nessuno avrebbe potuto dire che cosa pensasse, e Rossella meno degli altri. In un ambiente in cui tutti dicevano quello che pensavano e appena lo avevano pensato, lo strano riserbo di Ashley era esasperante. Egli era abile quanto gli altri giovanotti nei soliti passatempi della Contea: caccia, gioco, danza e politica. Ed era il miglior cavalcatore di tutti; ma differiva dagli altri in quanto queste piacevoli attività non erano per lui lo scopo e il fine della vita. Ed egli rimaneva solo nella sua passione per i libri e per la musica e nel suo amore per la poesia e nella sua tendenza a comporne. Oh, perché era cosí graziosamente biondo, cosí gentile e distante, cosí follemente noioso coi suoi discorsi sull'Europa e sui libri e la musica e la poesia, e tante cose che non la interessavano per nulla... eppure cosí desiderabile? Tutte le notti, quando andava a letto dopo essere rimasta seduta con lui nella semioscurità del porticato, Rossella si agitava irrequieta per ore ed ore e si confortava unicamente col pensiero che la prossima volta certamente egli le avrebbe chiesto di sposarlo. Ma la prossima volta il risultato era identico; e la febbre che la possedeva diventava sempre piú alta e piú ardente. Lo amava, lo desiderava e non lo comprendeva. Era una creatura dritta e semplice come i venti che soffiavano su Tara e sul giallo fiume che la percorreva; e sino alla fine dei suoi giorni ella non sarebbe riuscita mai a comprendere certe complicazioni. E ora, per la prima volta, si trovava di fronte a una natura complicata. Infatti Ashley era nato da una razza di uomini che passavano le loro ore libere a riflettere, non ad agire, a intessere sogni brillantemente colorati che non avevano in sé un barlume di vero. Egli viveva in un mondo interiore molto piú bello della Georgia, e tornava malvolentieri alla realtà. Guardava le persone senza provare per loro né simpatia né antipatia. Accettava l'universo e il suo posto in esso per ciò che erano e, crollando le spalle, tornava alla sua musica, ai suoi libri, al suo mondo migliore. Come avesse potuto conquistare Rossella il cui spirito era cosí estraneo al suo, era una cosa che la fanciulla ignorava. Il mistero che lo avvolgeva eccitava in lei la curiosità, come una porta senza chiave né serratura. Le cose che ella non poteva capire rendevano il suo amore piú forte, e la maniera strana e contenuta con la quale egli la corteggiava non faceva che rafforzare la determinazione di lei di averlo tutto per sé. Ella non aveva mai dubitato che un giorno o l'altro Ashley si sarebbe dichiarato; era troppo giovine e viziata per aver mai saputo che cosa fosse una sconfitta. Ed ora, come un colpo di fulmine, era giunta quella tremenda notizia! Ashley doveva sposare Melania! Non poteva esser vero! Soltanto la settimana scorsa, mentre cavalcavano verso casa, al crepuscolo, tornando da Fairhill, egli le aveva detto: - Rossella, debbo dirvi una cosa importante ma non so come cominciare. Ella aveva abbassato gli occhi modestamente, mentre il cuore le batteva con violenza, credendo giunto il felice momento. Quindi egli aveva ripreso: - Ora no! Siamo quasi a casa e non c'è il tempo... Oh, Rossella, come sono vigliacco! - e spronando il cavallo l'aveva riaccompagnata a casa salendo di corsa la collina. Seduta sul tronco d'albero, la giovinetta ripensava a quelle parole che l'avevano resa cosí felice; ma a un tratto esse presero un altro significato, un significato orribile. Forse aveva voluto darle la notizia del suo fidanzamento! Oh, se papà si fosse sbrigato a tornare a casa! Ella non poteva più sopportare l'attesa. Guardò nuovamente con impazienza la strada e fu nuovamente delusa. Il sole era adesso sotto all'orizzonte e lo splendore purpureo andava digradando in rosa. Il cielo sfumava lentamente dall'azzurro al delicato blu-verde di un uovo di pettirosso, e la calma divina del crepuscolo rurale discendeva a poco a poco sopra di lei. Un'oscura opacità scivolava lentamente sui campi. I solchi scavati nella terra e la strada infossata perdevano il loro magico colore sanguigno e diventavano semplice terra bruna. Al di là della strada nel prato, cavalli, muli e mucche, con la testa al disopra della barriera, aspettavano tranquillamente di essere ricondotti nelle stalle per avere il foraggio. Non amavano le ombre cupe dei cespugli lungo il ruscello che scorreva attraverso il prato, e muovevano le orecchie verso Rossella, come se fossero stati capaci di solidarietà umana. Nella strana mezza luce, i grandi pini della palude, di un verde cosí caldo sotto i raggi del sole, erano neri contro il cielo color ardesia; una fila impenetrabile di giganti neri, che nascondevano ai loro piedi la pigra acqua giallognola. Sulla collina al di là del fiume, i grandi comignoli bianchi della casa di Wilkes svanivano gradatamente nell'oscurità delle grandi querce che li circondavano; soltanto qualche punto luminoso - le lampade accese per illuminare la cena - mostrava che laggiù vi era una casa. L'umido e profumato tepore della primavera l'avvolgeva dolcemente, insieme col fresco odore della terra arata e dei verdi germogli. Tramonto, primavera e germogli non erano un miracolo per Rossella. Ella accettava quelle bellezze naturalmente, come l'aria che respirava e l'acqua che beveva, non avendo mai visto scientemente la bellezza in nulla se non nei volti femminili, nei cavalli, nelle vesti di seta ed altre cose tangibili. Eppure la serena luce crepuscolare sui ben coltivati campi di Tara portò una certa calma al suo spirito turbato. Ella amava quella terra, senza neanche sapere di amarla; l'amava come amava il volto di sua madre sotto la lampada, all'ora della preghiera. Sulla strada sinuosa Geraldo non si vedeva apparire. Certo, se ella fosse rimasta ancora ad attendere, Mammy sarebbe venuta a cercarla, per costringerla a rientrare. Ma appunto mentre aguzzava gli occhi nell'oscurità crescente, udí uno scalpitar di zoccoli giungere dall'estremità del poggio e vide mucche e cavalli disperdersi spaventati. Geraldo O'Hara stava tornando a casa attraverso la campagna a gran velocità. Salí la collinetta al galoppo del suo cavallo dal petto largo e dalle gambe sperticate, apparendo in distanza come un ragazzo su un cavallo troppo grande. I suoi lunghi capelli bianchi svolazzavano indietro; egli eccitava l'animale con lo scudiscio e con le grida. Benché piena della propria angoscia, Rossella lo guardò avvicinarsi con orgoglio affettuoso, perché Geraldo era un ottimo cavaliere. «Chi sa perché ha la smania di saltar le barriere quando ha bevuto un poco» disse fra sé. «Dopo la caduta dell'anno scorso, proprio in quel punto, quando si spezzò il ginocchio... Credevo che gli sarebbe servito di lezione; specialmente, poi, perché ha giurato alla mamma di non saltare piú.» Rossella non aveva rispetto per suo padre; lo considerava suo coetaneo più delle proprie sorelle, perché il saltar le siepi di nascosto di sua moglie gli dava un orgoglio da ragazzo e una gioia simile a quella di lei quando riusciva a farla in barba a Mammy. Si alzò in piedi e lo osservò mentre si avvicinava. Il grosso cavallo giunse alla barriera, si piegò sulle gambe posteriori e saltò senza sforzo, con la leggerezza di un uccello, mentre il suo cavaliere gridava d'entusiasmo, agitando lo scudiscio in aria, coi riccioli bianchi che ondeggiavano dietro il capo, Geraldo non vide sua figlia nell'ombra degli alberi, e proseguí accarezzando con approvazione il collo del cavallo. - Nessuno nella Contea può starti a paro, e neanche nella regione - disse con orgoglio alla sua cavalcatura. Quindi si pose frettolosamente a ravviarsi i capelli e a rassettare la camicia sgualcita e la cravatta che nella violenza della corsa gli era andata a finire sotto l'orecchia. Rossella conosceva questo frettoloso modo di rimettersi in ordine, che aveva per iscopo di apparire dinanzi alla moglie come un signore che ha cavalcato tranquillamente tornando da una visita a un vicino. Sapeva anche che ciò avrebbe dato a lei il pretesto di iniziare la conversazione con lui senza rivelare il suo vero scopo. Rise forte. Come aveva previsto, Geraldo sobbalzò; poi la riconobbe e sul suo volto florido apparve un'espressione timida e diffidente nel tempo stesso. Mise piede a terra con difficoltà, a causa del ginocchio rigido e, passandosi le redini intorno al braccio, mosse verso di lei. - Beh, signorina - le disse prendendole il ganascino. - sei stata qui a spiarmi e poi, come ha fatto tua sorella Susanna la settimana scorsa, andrai a dirlo alla mamma? Vi era dell'indignazione nella sua voce bassa un po' rauca, ma anche una certa blandizia, e Rossella per stuzzicarlo fece scoppiettare la lingua contro i denti, mentre lo aiutava a rimettere a posto la cravatta. L'alito di lui, che le respirava sul viso, sentiva fortemente di whisky Bourbon, con una lieve fragranza di menta. Egli emanava anche odore di tabacco da masticare, di cuoio e di cavalli; un miscuglio di profumi che Rossella associava sempre a suo padre e che le piaceva istintivamente negli altri uomini. - No, babbo, io non sono una pettegola come Súsele - lo assicurò, esaminando con aria giudiziosa se tutto era in ordine nel suo aspetto. Geraldo era piccolo: poco piú di un metro e cinquantacinque; ma cosí quadrato di spalle e grosso di collo, che quando era seduto gli estranei lo credevano alto. Il suo torso atticciato posava su corte gambe robuste, sempre serrate nei piú bei stivaloni di cuoio che si potessero trovare e sempre largamente piantate come quelle di un ragazzino barcollante. La maggior parte delle persone piccole di statura sono ridicole quando si prendono sul serio; ma il gallo bantam è rispettato nel pollaio, e cosí avveniva per Geraldo. Nessuno avrebbe mai avuto la temerità di credere Geraldo un ometto ridicolo. Aveva sessant'anni e i suoi capelli ricciuti erano argentei; ma il volto malizioso non aveva una ruga e gli occhi azzurri erano giovanili, di quella persistente giovinezza di chi non si è mai tormentato il cervello con problemi piú astratti della quantità di carte che bisogna chiedere in una mano di poker. Era un viso schiettamente irlandese, come se ne potevano trovare nel paese che aveva lasciato tanti anni prima: tondo, colorito; naso corto, bocca larga e aggressiva. Sotto il suo aspetto collerico, Geraldo O'Hara aveva il cuore piú tenero del mondo. Non poteva vedere uno schiavo fare il broncio dopo una reprimenda, per quanto meritata, né udire un gattino miagolare o un bambino piangere; ma aveva orrore che questa sua debolezza fosse scoperta. Egli ignorava che tutti coloro che lo conoscevano scoprivano dopo cinque minuti la bontà del suo cuore; la sua vanità ne avrebbe terribilmente sofferto, perché gli piaceva credere che quando egli gridava i suoi ordini, tutti tremavano obbedienti al suono della sua voce. Non si era mai accorto che ad una sola voce si obbediva alla piantagione: alla dolce voce di sua moglie Elena. Era un segreto che non avrebbe mai scoperto, perché tutti, da Elena fino al piú stupido lavoratore dei campi, erano uniti in una tacita e benevola cospirazione per lasciargli credere che la sua parola era legge. Rossella si lasciava impressionare meno di chiunque altro dalle sue grida e dalle sue ire. Era la sua figliuola maggiore; e Geraldo, ora che non sperava piú che venissero altri figli maschi dopo i tre che giacevano nella tomba di famiglia, aveva preso a trattarla come avrebbe trattato una ragazzo, in una maniera che ella trovava divertentissima. Ella somigliava a suo padre piú delle due sorelle minori, perché Carolene, battezzata Carolina Irene, era delicata e sognatrice, e Súsele - nata Susanna Eleonora - si inorgogliva della propria eleganza e del proprio aspetto signorile. Inoltre, Rossella e suo padre erano legati da un reciproco accordo per nascondere le loro marachelle. Se Geraldo la sorprendeva a scavalcare una barriera invece di camminare per mezzo chilometro fino a trovare un'apertura, oppure a sedere fino a ora tarda sui gradini della casa insieme a un giovinotto, la puniva personalmente e con veemenza, ma taceva il fatto a Elena e a Mammy. E quando Rossella lo scopriva a saltare le siepi e le barriere malgrado la solenne promessa fatta a sua moglie, o veniva a sapere attraverso i pettegolezzi della Contea, l'ammontare preciso delle sue perdite a poker, si asteneva dall'accennare al fatto, sia pure nella maniera astuta e ingenua di Súsele. Rossella e suo padre si assicuravano solennemente l'un l'altro che far giungere un fatto simile alle orecchie di Elena non avrebbe avuto altro risultato che di farla soffrire; e nulla al mondo li avrebbe indotti a darle un dispiacere. La fanciulla guardò suo padre nella luce crepuscolare e, senza saper perché, trovò nella sua presenza un certo conforto. Vi era in lui qualche cosa di vitale, di rude, di grossolano che le andava a genio. Essendo la negazione di ogni analisi, non si rese conto che ciò avveniva perché ella possedeva in alto grado quelle stesse qualità, malgrado sedici anni di sforzi da parte di Elena e di Mammy per distruggerle. - Ora hai l'aspetto molto presentabile - gli disse - e credo che nessuno possa sospettare i tuoi giochi se non sei tu a vantartene. Ma trovo che dopo esserti rotto il ginocchio l'anno scorso saltando la stessa barriera... - Ah, beh, ora ci manca soltanto che mia figlia mi dica quando devo e quando non devo saltare! - e le prese nuovamente il ganascino. - Il collo è mio; dunque... Del resto, signorina, che state facendo voi, fuori a quest'ora senza uno scialle? Vedendo che egli impiegava le solite manovre per sbrogliarsi da una conversazione spiacevole, ella infilò il braccio sotto al suo dicendo: - Ti stavo aspettando. Non sapevo che avresti fatto cosí tardi. Volevo sapere se hai comprato Dilcey. - L'ho comprata, e ad un prezzo rovinoso. Ho comprato lei e la sua piccola mulatta, Prissy. John Wilkes me le avrebbe quasi regalate, ma non voglio che si dica che Geraldo O'Hara approfitta dell'amicizia quando si tratta di affari. Gli ho fatto accettare tre biglietti da mille per tutt'e due. - Dio mio, babbo, tremila! E non avevi nessun bisogno di comprare Prissy! - Da quando in qua le mie figlie si mettono in cattedra a giudicarmi? Prissy è una graziosa piccola mulatta e... - La conosco. È una creatura stupida e timida; - replicò Rossella senza scomporsi. - E la sola ragione per cui l'hai comprata è che Dilcey ti ha pregato di comprarla. La spavalderia di Geraldo scomparve ed egli apparve confuso e turbato come sempre quando veniva sorpreso a compiere una buon'azione. La figlia rise del suo turbamento. - Beh, e se anche lo avessi fatto? A che mi sarebbe servito comprare Dilcey se poi si fosse immalinconita a causa della bambina? Del resto, non permetterò mai piú a un negro di sposarsi fuori di qui. È troppo dispendioso. Suvvia, piccola, andiamo a cena. L'oscurità era diventata piú profonda; dal cielo erano scomparse le ultime sfumature di verde e un freschetto pungente aveva sostituito il tepore primaverile. Ma Rossella s'indugiava, non sapendo come condurre il discorso su Ashley senza destar sospetti in suo padre. Era difficile, perché la fanciulla era priva di furberia; e suo padre le somigliava tanto che riusciva immediatamente a penetrare i suoi deboli sotterfugi, come lei penetrava i suoi. E nel farlo mancava generalmente di tatto. - Come stanno alle Dodici Querce? - Al solito. C'era Cade Calvert e dopo definita la faccenda di Dilcey ci siamo trattenuti tutti quanti nella galleria a bere qualche bicchierino. Cade è appena tornato da Atlanta, dove tutti sono agitati e parlano di guerra... Rossella sospirò. Se Geraldo cominciava a parlare della guerra e della secessione, non l'avrebbe piú smessa per qualche ora. Lo interruppe con un altro argomento. - Ti hanno parlato della riunione di domani? - Aspetta che ci penso. Miss... come diamine si chiama? quella piccina graziosa che era qui anche l'anno scorso... sai, la cugina di Ashley... ah, sí: miss Melania Hamilton! Dunque, lei e suo fratello Carlo sono già arrivati da Atlanta... - Ah, dunque è venuta? - E venuta; ed è molto carina; tranquilla e silenziosa come dovrebbero essere tutte le donne. Su, figliuola, non perdiamo tempo. La mamma ci starà cercando! Rossella si sentí cadere il cuore alla notizia. Aveva sperato e sperato che Melania Hamilton sarebbe stata trattenuta ad Atlanta dove abitava; e il sentire che anche suo padre approvava il suo carattere tranquillo cosí diverso dal suo, la decise a parlare apertamente. - C'era anche Ashley? - chiese. - C'era. - Geraldo lasciò il braccio di sua figlia e si volse a scrutarla. - E se è per questo che sei venuta ad aspettarmi, perché non lo hai detto subito, invece di girare intorno all'argomento? Rossella non trovò una parola da rispondere ed arrossí indispettita. - Avanti, parla. La fanciulla continuò a tacere, desiderando in cuor suo che le fosse permesso scrollare il proprio babbo per chiudergli la bocca. - C'era e ha chiesto molto cortesemente di te, come hanno fatto anche le sue sorelle e hanno detto che speravano che nulla ti avrebbe impedito di essere domani alla festa. Cosa di cui non garantisco - aggiunse malizioso. - Ora, figliuola, che cos'è questa storia fra te e Ashley? - Nessuna storia - rispose Rossella brevemente riattaccandosi al suo braccio. - Rientriamo, babbo. - Ora sei tu che hai voglia di andare - osservò Geraldo. - Ma io rimango qui finché non ti ho capita. Ora che ci penso, da un po' di tempo in qua sei di umore strano. Ti ha fatto la corte? Ti ha chiesto di sposarlo? - No - fu la breve risposta. - E non lo farà - riprese Geraldo. Un impeto di furore la invase; ma Geraldo le accennò con la mano di calmarsi. - Aspetta, bambina! Ho saputo oggi molto confidenzialmente da John Wilkes che suo figlio sposerà miss Melania. Sarà annunciato domani. La mano di Rossella ricadde dal suo braccio. Dunque, era vero! Si sentí stringere il cuore come in una morsa. Sentiva però sopra di sé lo sguardo di suo padre, un po' compassionevole, un po' annoiato di trovarsi di fronte a un problema che era incapace di risolvere. Egli voleva bene alla figliuola, ma l'idea che ella lo costringesse a cercare una soluzione ai suoi problemi infantili gli dava fastidio. Elena era capace di risolverli; Rossella avrebbe dovuto confidare a lei le sue pene. - Hai dunque fatto una figura ridicola... e l'hai fatta fare a noi? - gridò, alzando la voce come sempre nei momenti di eccitazione. - Sei corsa dietro a un uomo che non ti ama, mentre potresti avere i migliori giovanotti della Contea? La collera e l'orgoglio ferito presero il sopravvento sul dolore. - Non gli sono corsa dietro. Soltanto... mi sorprende. - Menti! - Quindi scrutando il visino dolorante, soggiunse, in un impeto di tenerezza: - Mi dispiace, figliuola. Ma dopo tutto, sei ancora una bambina; e vi sono tanti altri giovinotti! - La mamma aveva quindici anni quando ti sposò; ed io ne ho sedici - replicò la fanciulla con voce sorda. - Tua madre era diversa. Non è mai stata leggera come te. Su, bambina, stai allegra; la settimana ventura ti porterò a Charleston a far visita a zia Eulalia; e con tutto il tumulto che c'è lí per Forte Sumter, in pochi giorni ti scorderai di Ashley. «Mi crede una bambina» pensò Rossella a cui dolore e collera toglievano la parola «e immagina che un giocattolo nuovo basterà per farmi dimenticare la mia pena.» - Non fare la sciocca - continuò Geraldo. - Se avessi giudizio, avresti sposato già da un pezzo Stuart o Brent Tarleton. Pensaci, figliuola. Sposa uno dei due gemelli e allora le piantagioni saranno riunite, e Giacomo Tarleton ed io ti fabbricheremo una bella casa, proprio al confine, dove c'è la selvetta di pini... - Smettila di trattarmi come una bambina! - esclamò Rossella. - Non voglio andare a Charleston e non voglio avere una casa e sposare i gemelli. Voglio soltanto... - Si interruppe ma era troppo tardi. La voce di Geraldo era stranamente tranquilla ora ed egli parlava lentamente come se tirasse fuori ogni parola da un deposito di cui si serviva raramente. - Tu vuoi soltanto Ashley e non lo avrai. E se egli ti volesse sposare, darei il mio consenso malvolentieri, e lo darei soltanto a causa della buona amicizia che vi è fra John Wilkes e me. - E poiché ella lo guardava stupita, concluse: - Io desidero che la mia bimba sia felice; e con lui non lo saresti. - Oh, lo sarei! Lo sarei! - No. Solo quando si sposa chi è simile a noi può esservi la felicità. Rossella provò subitamente il perfido desiderio di gridare: «Ma tu e la mamma siete stati felici, eppure non vi somigliate in nulla» ma lo represse temendo di ricevere un ceffone per la sua impertinenza. - Noi e i Wilkes siamo assai diversi - proseguí lentamente Geraldo, cercando le parole. - I Wilkes sono differenti da tutti i nostri vicini, differenti da tutte le famiglie che ho conosciuto. È gente strana; ed è meglio che si sposino tra cugini e si tengano tutta la loro stranezza. - Ma babbo, Ashley non è... - Taci, gattina! Non dico niente contro il ragazzo, perché mi è simpatico. E dicendo strano non intendo dire stravagante. Non è la stranezza dei Calvert che giocherebbero tutto quello che hanno su un cavallo, o dei Tarleton che hanno sempre uno o due ubbriachi in ogni letto, o dei Fontaine che sono delle teste calde, pronti ad ammazzare un uomo per una sciocchezza. Questo genere di stranezze è facile a comprendersi e se non fosse per la grazia di Dio, sono difetti che anche Geraldo O'Hara potrebbe avere! E non voglio neanche dire che Ashley correrebbe dietro ad altre donne se tu fossi sua moglie o che ti batterebbe. Saresti forse piú felice se lo facesse, perché almeno lo capiresti. È strano in un senso tutto diverso, e non vi è modo di comprenderlo. Nelle cose che dice io non trovo né capo né coda. Dimmi la verità, gattina, tu capisci qualche cosa di tutte le sue sciocchezze sui libri, la musica, la poesia, i vecchi quadri e altre stupidaggini di questo genere? - Oh babbo! - esclamò con impazienza Rossella. - Se lo sposassi, lo cambierei! - Credi? - replicò stizzosamente Geraldo lanciandole uno sguardo penetrante. - Allora vuol dire che conosci ben poco gli uomini, non escluso Ashley. Nessuna moglie ha mai cambiato il cervello del marito, ricordatelo! E quanto a cambiare un Wilkes... Per la camicia di Giove! Tutta la famiglia è cosí e lo è sempre stata; e probabilmente lo sarà sempre. Ti dico che lo sono di nascita. Guarda come si agitano per andare a Nuova York e a Boston a sentir delle opere in musica e a vedere dei vecchi quadri! E ordinano libri francesi e tedeschi senza esclusione degli inglesi... E poi stanno ore ed ore seduti a leggere e a sognare Dio sa che cosa, quando potrebbero passare il tempo a cacciare e a giocare a poker come fanno tutti gli uomini normali! - Nessuno nella Contea cavalca meglio di Ashley - ribatté Rossella, furente per quell'accusa di effeminatezza che veniva lanciata su Ashley. - Nessuno, eccetto forse suo padre. E quanto al poker, non ti ha vinto duecento dollari proprio la settimana scorsa a Jonesboor? - I ragazzi Calvert hanno fatto nuovamente dei pettegolezzi - borbottò Geraldo - altrimenti non sapresti la cifra. Ashley può competere col miglior cavaliere e miglior giocatore: cioè con me, bambina! E non nego che se si mette a bere può dar dei punti perfino ai Tarleton. Fa tutte queste cose, ma senza passione. Perciò ti dico che è strano. Rossella rimase silenziosa e si sentí cadere il cuore in terra. Non poteva replicare a queste ultime parole, perché sapeva che Geraldo aveva ragione. Ashley non metteva alcuna passione nelle cose che faceva tanto bene. Si interessava solo con cortesia a tutto ciò che appassionava chiunque altro. Interpretando giustamente il suo silenzio, Geraldo le accarezzò il braccio e riprese trionfante: - Lo vedi, Rossella? Anche tu riconosci che è vero. Che ne faresti di un marito come Ashley? Lunatico come tutti i Wilkes! - Poi, con tono piú lusinghevole: - Parlandoti dei Tarleton, poco fa, non ho inteso influenzarti. Sono dei cari ragazzi, ma se preferisci Cade Calvert, per me è lo stesso. I Calvert sono brava gente, tutti quanti, benché il vecchio abbia sposato un'inglese. E quando io non ci sarò più... Stammi a sentire, tesoro! Lascerò Tara a te e a Cade... - Non vorrei Cade neanche se mi coprissero d'oro! - esclamò Rossella furibonda. - E ti prego di smetterla con questi consigli! Non desidero Tara né altre vecchie piantagioni. Le piantagioni non valgono nulla se... Stava per aggiungere «se non si ha l'uomo che si desidera»; ma Geraldo inasprito dal modo impertinente col quale ella trattava il dono offerto, la cosa che egli amava di più al mondo, dopo Elena, proruppe in una specie di ruggito. - E hai il coraggio, Rossella O'Hara, di dirmi in faccia che Tara... che questa terra... non val nulla? La fanciulla annuí caparbia. Il suo cuore era troppo esulcerato perché ella potesse preoccuparsi di destare o no la collera di suo padre. - La terra è la sola cosa al mondo che valga qualche cosa - urlò Geraldo, e le sue braccia corte e grosse facevano grandi gesti di indignazione - perché è la sola cosa al mondo che rimanga e, non dimenticarlo!, la sola cosa per cui vale la pena di lavorare, di lottare... di morire. - Oh babbo! - ribatté Rossella disgustata - parli come un irlandese! - Mi sono forse mai vergognato di esserlo? No; anzi ne sono orgoglioso. E non dimenticare che tu sei per metà irlandese! E per tutti coloro che hanno nelle vene anche una sola goccia di sangue irlandese, la terra su cui vivono è come una madre. È di te che mi vergogno in questo momento. Ti offro la piú bella terra del mondo - ad eccezione di Country Meath nel mio vecchio paese - e tu che cosa fai? Arricci il naso! Geraldo aveva cominciato ad abbandonarsi a una collera piacevolmente clamorosa, quando qualche cosa nel volto addolorato di Rossella lo fermò. - In fondo, sei giovine. L'amore per la terra ti verrà col tempo. Non potrà essere diversamente, perché sei irlandese. Ora sei una bambina, preoccupata soltanto dei tuoi adoratori. Quando sarai piú vecchia, vedrai... Ora rifletti, cerca di pensare a Cade o ai gemelli o a uno dei ragazzi di Evan Munroe, e vedrai come ti metterò bene a posto! - Oh, babbo! Geraldo era ormai stufo della conversazione e infastidito del problema che veniva a gravare sulle sue spalle. Inoltre si sentiva offeso che Rossella avesse ancora l'aria desolata dopo che le erano stati offerti i migliori giovanotti della Contea e per di piú, Tara. A Geraldo piaceva che i suoi doni fossero accolti con battimani e abbracci. - Ora non facciamo il broncio, madamigella. Non importa sapere chi sposerai, purché sia uno che la pensa come te e sia un bravo e orgoglioso meridionale. Per una donna, l'amore viene dopo il matrimonio. - Oh babbo, queste sono idee del tuo paese! - E sono idee ottime! Guarda un po', questi americani che hanno la smania di fare dei matrimoni d'amore, come i servitori, come gli yankees! I matrimoni migliori avvengono quando i genitori scelgono per la ragazza. Come potrebbe una stupida ragazzina come te distinguere un gentiluomo da un mascalzone? Guarda i Wilkes. Che cosa li ha conservati forti e orgogliosi attraverso tante generazioni? Il fatto di essersi sempre sposati tra di loro; tutti hanno sempre sposato i cugini o le cugine desiderate dalla famiglia. Rossella diede un piccolo grido, sentendo rinnovarsi la sua pena alle parole del padre che confermavano la tremenda inevitabile verità. Geraldo guardò il suo capo chino e si sentí a disagio. - Piangi? - chiese; e cercò di sollevarle il mento mentre sul suo volto si dipingeva una grande pietà. - No! - gridò la fanciulla con ira, volgendo altrove la testa. - Dici una bugia, ma ne sono fiero. Sono contento che tu sia orgogliosa; e voglio che questo orgoglio tu lo dimostri domani. Non mi piace che tutta la Contea spettegoli e rida di te, perché hai dato il cuore a un uomo che non ha mai avuto per te un pensiero che non fosse di semplice amicizia. «Lo ha avuto il pensiero» disse fra sé Rossella dolorosamente. «Oh, ne ha avuti tanti! Lo so. Ne sono certa. Se avessi avuto ancora un po' di tempo, so che lo avrei condotto a dirmi... Oh, se non fosse che i Wilkes debbono sempre sposarsi fra cugini!» Geraldo le prese il braccio e lo passò sotto al suo. - Ora andiamo a cena; e tutto questo rimane fra noi. È inutile preoccupare tua madre. Soffiati il naso, bambina. Rossella si soffiò il naso nel fazzoletto lacerato; quindi si avviarono a braccetto per il viale, col cavallo che li seguiva lentamente. In prossimità della casa la giovinetta stava per ricominciare a parlare, ma vide sua madre nella semioscurità del porticato. Aveva la cuffia, lo scialle e dietro a lei era Mammy col volto annuvolato, tenendo fra le mani la borsa di cuoio nero in cui Elena O'Hara portava sempre le bende e i medicinali che adoperava per curare gli schiavi. Le labbra di Mammy erano grosse e pendule; e quando essa era indignata, quello inferiore poteva raggiungere il doppio della sua lunghezza normale. In questo momento era lunghissimo, e Rossella comprese che Mammy stava rimuginando qualche cosa che non approvava. - Mister O'Hara - gridò Elena quando li vide avvicinarsi lungo il viale. Elena apparteneva a una generazione che rimaneva cerimoniosa anche dopo diciassette anni di matrimonio e la nascita di sei figli. - Mr. O'Hara, c'è bisogno di me dagli Slattery. Emma ha avuto un bambino, ma è moribondo e bisogna battezzarlo. Vado con Mammy a vedere che cosa posso fare. La sua voce aveva un tono interrogativo, come se ella attendesse l'approvazione di suo marito; una semplice formalità ma che a Geraldo faceva piacere. - Santo Dio! - proruppe Geraldo - perché quegli straccioni della palude vengono a chiamarti proprio a ora di cena e mentre io desidero raccontarti quello che si dice della guerra ad Atlanta! Vai, signora O'Hara. Non dormiresti tranquilla stanotte sapendo che fuori c'è qualcuno che ha delle angustie e tu non sei ad aiutarlo. - Non riposare mai tranquilla, perché dovere tante volte alzarsi per curare negri e bianchi poveri che non possono curarsi da soli - borbottò Mammy con voce monotona mentre scendeva i gradini e andava verso la carrozza che aspettava nel viale laterale. - Prendi il mio posto a tavola, cara - disse Elena accarezzando dolcemente il volto di Rossella con la mano coperta dal mezzo guanto. Benché sentisse alla gola il nodo delle lagrime, la fanciulla rabbrividí al tocco magico della mano materna, e al debole profumo di verbena che emanava la sua veste di seta. Per lei vi era in Elena O'Hara qualche cosa che toglieva il respiro; un miracolo che viveva in casa con lei e le ispirava rispetto, la affascinava, la blandiva. Geraldo accompagnò sua moglie fino alla carrozza e diede ordine al cocchiere di fare attenzione. Tobia, che aveva cura da vent'anni dei cavalli di Geraldo, sporse le labbra con muta indignazione nel sentirsi dire come doveva guidare. Mentre si allontanava, con Mammy seduta accanto a lui, entrambi erano la perfetta personificazione del broncio africano pieno di biasimo. - Se io non facessi tanto per quegli straccioni bianchi degli Slattery ed essi dovessero pagare qualcuno per tante cose - si adirò Geraldo - sarebbero costretti a vendermi quei miserabili pochi jugeri di fondo di palude e la Contea sarebbe sbarazzata di loro. - Poi, rallegrandosi in anticipazione di una delle sue solite burle: - Vieni, figliuola; andiamo a dire a Pork che invece di comprare Dilcey ho venduto lui a John Wilkes. Gettò le redini del suo cavallo a un negretto che era lí accanto e si avviò su per i gradini. Aveva quasi dimenticato il crepacuore di Rossella, e pensava solo a burlarsi del suo domestico. Rossella salí lentamente gli scalini dietro a lui, coi piedi pesanti. Pensava che, dopo tutto, un'unione fra lei e Ashley non sarebbe stata piú strana di quella di suo padre con Elena Robillard O'Hara. Come sempre, si chiese come mai sua padre, cosí rumoroso e cosí poco sensibile, avesse potuto sposare una donna come sua madre; poiché mai vi erano state due persone piú lontane come nascita, come educazione, come abitudini mentali.

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Zia Pitty le aveva fatto un bel mantello verde che le nascondeva tutta la persona e un cappello verde che armonizzava coi suoi occhi; ed ella indossava sempre quel grazioso abbigliamento quando si recava in giro per affari. Un debole accenno di rossetto sulle guance e un lieve profumo di acqua di Colonia ne faceva una personcina seducente finché non le accadeva di scendere dal carrozzino, mostrando cosí il suo corpo. Ma ciò avveniva di rado, perché ella sorrideva agli uomini che si precipitavano per parlare con lei accanto al suo veicolo, e rimanevano magari col capo nudo sotto la pioggia a discorrere di affari. Non era la sola che aveva visto la possibilità di guadagnare nel commercio del legname; ma non temeva i concorrenti. Orgogliosamente cosciente della propria scaltrezza, sapeva di non esser da meno di nessuno di loro. Era figlia di Geraldo O'Hara; e l'istinto commerciale che aveva ereditato era stato ancora acuito dalla necessità. Dapprima gli altri commercianti avevano riso di lei; riso dell'idea di una donna che si occupava di affari. Ma ora non ridevano piú. Bestemmiavano in silenzio quando la vedevano passare. L'essere donna spesso agiva in suo favore, perché - quando ne era il caso - ella sapeva sembrar debole e fare appello alla bontà del suo interlocutore. Dava l'impressione di essere una signora timida e coraggiosa, trascinata dalle circostanze in una posizione sgradevole; una povera donnina che probabilmente sarebbe morta di fame se i clienti non avessero comperato il suo legname. Ma quando le arie signorili non erano efficaci, ella sapeva diventare una fredda commerciante, capace di vendere a prezzo minore dei suoi concorrenti pur di procurarsi un nuovo cliente. E non aveva alcun scrupolo nel denigrare la merce dei suoi rivali. Come se le dispiacesse dover dire delle verità dolorose, sospirava mormorando ai possibili compratori che il legname di quegli altri era molto caro e di cattiva qualità; pieno di buchi lasciati dai nodi e probabilmente di poca durata. La prima volta che aveva mentito in quel modo si era sentita sconcertata e colpevole; sconcertata per la facilità con cui la menzogna le era venuta alle labbra, colpevole perché come un lampo era stata attraversata dal pensiero: «Che cosa direbbe la mamma?» Certo Elena sarebbe stupita e incredula e parlerebbe di onore, di onestà, di verità, di doveri verso il prossimo. Per un attimo Rossella chinò il capo, figurandosi il volto di sua madre. Ma il quadro scomparve subito, cancellato da un impulso avide e privo di scrupoli, sorto nei giorni miserabili di Tara e rinsaldato dalle attuali difficoltà di vita. Superò dunque questa specie di piccolo rimorso come ne aveva superato altri, con un lieve sospiro di rimpianto per non essere come Elena la avrebbe voluta; e ripetendo, con una scrollata di spalle, la sua solita frase: - Penserò a tutto piú tardi. Ma non pensò mai piú ad Elena in rapporto al proprio commercio, né ebbe mai piú occasione di rimpiangere i mezzi adoperati per togliere gli affari ai concorrenti. Sapeva che anche se mentiva sul loro conto, non le sarebbe accaduto nulla. La cavalleria dei meridionali la proteggeva. Una signora meridionale poteva mentire, ma nessun gentiluomo degli stessi paesi l'avrebbe mai accusata di menzogna. Gli altri commercianti in legname non potevano fare altro che rodersi internamente e sfogarsi nel seno delle loro famiglie, dicendo che avrebbero voluto che la signora Kennedy fosse un uomo per cinque minuti. Un proletario bianco che gestiva una segheria sulla strada di Decatur cercò di combattere Rossella con le sue stesse armi, accusandola apertamente di essere bugiarda e imbrogliona. Ma questo lo danneggiò piú che giovargli, perché tutti rimasero inorriditi che uno «straccione bianco» osasse dire simili cose contro una signora di buona famiglia, anche se questa si comportava in modo cosí poco femminile. Rossella sopportò tali maldicenze con silenziosa dignità; ma dopo un po' di tempo cominciò ad offrire la propria merce alla clientela di lui a prezzi notevolmente inferiori; e forní legname di prima scelta a fine di dimostrare la propria probità. Sicché il concorrente fu in breve ridotto al fallimento e - con grande scandalo di Franco - Rossella riscattò trionfalmente il piccolo stabilimento di Decatur a prezzo irrisorio. Sorse allora il problema di trovare una persona di fiducia per la gestione. Non voleva un altro come il signor Johnson, di cui sapeva che, malgrado la sua sorveglianza, continuava a vendere il suo legname per conto proprio. Ma pensava che non doveva essere difficile trovare un uomo adatto, dato che le strade erano piene di disoccupati alcuni dei quali erano anche persone che un tempo erano state ricche. Non passava giorno che Franco non desse del denaro a qualche ex-soldato affamato e che Pitty e la cuoca non rifornissero di cibo qualche mendicante vagabondo. Ma Rossella per ragioni di cui ella stessa non si rendeva conto, non desiderava nessuno di costoro. «Non voglio uomini che dopo un anno non hanno trovato nulla da fare» pensava. «Se non si sono ancora adattati alla pace, non si adatteranno a me. E poi hanno tutti un'aria cosí depressa. Io voglio una persona energica come Tommy Welburn oppure Kells Whiting o uno dei ragazzi Simmons, oppure... qualcheduno come loro. Nessuno di loro ha quell'aspetto "non m'importa di nulla" che i soldati avevano dopo la sconfitta. Sembrano invece persone a cui importi di tutti.» Ma con sua sorpresa i ragazzi Simmons, che avevano impiantato una fornace, e Kells Whiting, il quale vendeva un preparato fatto da sua madre che garantiva di lisciare i capelli piú crespi in sei applicazioni, la ringraziarono cortesemente e rifiutarono. Lo stesso fu con un'altra decina di uomini che interrogò. Disperata, aumentò lo stipendio che offriva, ma senza miglior risultato. Uno dei nipoti della signora Merriwether le fece notare con impertinenza che, pur non avendo una particolare soddisfazione a fare il carrettiere, tuttavia preferiva farlo col proprio carretto, anziché lavorare agli ordini di Rossella. Un giorno Rossella si avvicinò col suo calessino al carretto delle focacce di Renato Picard e chiamò l'ex-zuavo che aveva accolto nel suo veicolo lo sciancato Tommy Welburn per riaccompagnarlo a casa. - Sentite un po', Renato: perché non venite a lavorare con me? Dirigere uno stabilimento mi sembra piú onorevole che andare attorno a vendere focacce. Vi dovreste vergognare. - Infatti muoio di vergogna, - rise Renato. - Ma che volete che m'importi del rispetto umano? Sono stato rispettabile finché la guerra mi ha privato di tutto lasciandomi libero come un negro. Mai piú avrò della dignità. Libero come un uccello! Mi piace il mio carretto di focacce, mi piace la mia mula. Mi piacciono questi cari yankees che comprano con tanto garbo le focacce di mia suocera. No, cara Rossella, io aspiro ad essere il Re delle Focacce! Questo è il mio destino. Come Napoleone, seguo la mia stella! - E fece schioccare la frusta drammaticamente. - Ma voi non siete nato per vendere focacce, come Tommy non era nato per discutere con una squadra di rozzi muratori. Il mio genere di lavoro è piú... - Evidentemente voi eravate nata proprio per dirigere un'industria di legname - disse Tommy sorridendo. - Sicuro; mi pare di vedere la piccola Rossella sulle ginocchia di sua madre a imparare la lezione: «Non vendere mai del buon legname finché riesci a farti pagar bene quello cattivo». Renato rise, picchiando amichevolmente con una mano sul dorso di Tommy; i suoi occhietti di scimmia brillavano gaiamente. - Non fate l'impertinente - rispose freddamente Rossella, che trovò poco spiritosa l'osservazione di Tommy. - Si capisce che non ero nata per dirigere una segheria! - Non ho affatto l'intenzione di essere impertinente. Ma quel che è certo, è che voi la dirigete la segheria, e molto bene. Del resto nessuno di noi fa quello che avrebbe creduto di dover fare nella vita; però mi pare che ce la caviamo lo stesso. Ma perché non chiamate qualche intraprendente «Carpetbagger» a lavorare per voi? Ce ne sono tanti! - Neanche per sogno. I Carpetbaggers rubano tutto quello che non è ferro rovente o che non è saldamente inchiodato. Se fossero capaci di qualche cosa di buono, sarebbero rimasti dov'erano, invece di venir qui a mangiarci vivi. Io voglio una brava persona, di buona famiglia, abile, onesta ed energica... - Non chiedete molto. Ma non lo troverete con lo stipendio che offrite. Tutti gli uomini che corrispondono ai vostri «desiderata» sono già occupati; magari aderiscono alla loro occupazione come un cavicchio rotondo ad un buco quadrato, ma qualche cosa da fare l'hanno trovato. Qualche cosa per conto loro; e preferiscono questo al dover lavorare per una donna. - Mi pare che gli uomini non abbiano molto buon senso, quando hanno bisogno di lavorare per vivere! - Può darsi, ma hanno una certa dose di orgoglio. - Orgoglio? Ma l'orgoglio non porta in tavola né panini né bistecche. I due uomini risero, un po' involontariamente, e a Rossella sembrò che essi fossero solidali in una disapprovazione tutta maschile. Evidentemente ciò che Tommy aveva detto era la verità: tutti gli uomini che ella aveva avvicinato o che voleva avvicinare, lavoravano duramente, combattendo una nuova battaglia, piú aspra della precedente. - Rossella, - riprese Tommy un po' impacciato - mi dispiace di chiedervi un favore, dopo essere stato impertinente; ma ve lo chiedo lo stesso. Può darsi anche che la cosa possa farvi comodo. Mio cognato, Ugo Elsing, non fa molti affari andando in giro a piazzare legna da ardere. Io faccio quello che posso, ma... debbo pensare a Fanny e poi ho anche mia madre e due sorelle vedove a Sparta. Ugo è un bravo ragazzo e voi avete bisogno di un brav'uomo; è anche di buona famiglia ed è onesto. - Ma... mi pare che Ugo non abbia molta scaltrezza; altrimenti, anche nel suo piccolo commercio, avrebbe successo! Tommy si strinse nelle spalle. - Voi giudicate le cose con una certa severità, Rossella. Comunque, pensateci sopra. Vi potrebbe capitare di peggio. Credo che la sua onestà e il suo buon volere possano compensare la sua mancanza di scaltrezza. Rossella non rispose per non essere scortese. Ma secondo lei vi erano poche qualità - se pure ve n'erano - che potessero supplire la mancanza di scaltrezza. Dopo avere inutilmente interrogato parecchie persone e avere respinto le importune richieste di alcuni «Carpetbaggers», finalmente si decise ad accettare il suggerimento di Tommy. Ugo Elsing era stato durante la guerra un ardito e abile ufficiale; ma due gravi ferite e quattro anni di continue battaglie sembravano avergli tolto ogni abilità, lasciandolo di fronte alle difficoltà della pace sgomento e sbalordito come un bambino. «È uno stupido» pensò Rossella «e non capisce nulla di affari; scommetto che non è neanche capace di sommare le dita di una mano con quelle dell'altra. E temo che non imparerà mai! Ma almeno è onesto e non mi deruberà.» Rossella non faceva molto spreco, personalmente, di onestà; ma appunto perché la valutava poco in se stessa, la apprezzava negli altri. «Peccato che Gianni Gallegher sia legato con Tommy Wellburn» pensò ancora. «Quello è proprio l'uomo di cui avrei bisogno. Duro come il ferro e agile come un serpente; ma se io lo pagassi bene sarebbe anche onesto. Ci comprendiamo benissimo a vicenda e potremmo fare ottimi affari insieme. Forse quando la costruzione dell'albergo sarà finita potrò averlo; fino allora dovrò contentarmi di Ugo e di Johnson. Se metto Ugo nel nuovo stabilimento e lascio Johnson nel vecchio, potrò rimanere in città ad occuparmi delle vendite mentre loro si occupano della parte industriale della faccenda. Se almeno Johnson non rubasse! Potrei mettere un deposito di legname sulla metà del terreno che mi lasciò Carlo. Se Franco mi lasciasse fabbricare una bettola sull'altra metà! Oh, ma la costruirò lo stesso, non appena avrò abbastanza denaro di mio; non m'importa come la prenderà! Se non fosse cosí scrupoloso! Dio mio, se non dovessi avere un bimbo proprio in questi momenti! Fra poco sarò cosí grossa che non potrò piú uscire. Dio, se non aspettassi questo bimbo! E se questi maledetti yankees mi lasciassero tranquilla! Se...» Se...! Se...! Se...! Vi erano tanti «se» nella sua vita; nessuna sicurezza, sempre la minaccia di perder tutto, e aver nuovamente freddo e fame. Senza dubbio, Franco guadagnava un po' di piú adesso; ma era sempre in lotta coi raffreddori e spesso costretto a rimanere parecchi giorni a letto. Che disastro sarebbe se diventasse invalido! No; non poteva fare troppo assegnamento sopra di lui. Non poteva contare che su se stessa. E quello che guadagnava le sembrava tanto poco! Che farebbe se gli yankees venissero a confiscarle tutto? Se...! Se...! Se...! Metà dei suoi guadagni la spediva mensilmente a Will, a Tara; una parte andava a Rhett per scalare il debito e il resto lo metteva da parte. Nessun avaro aveva mai contato il suo oro piú spesso di lei, nessun avaro aveva maggior timore di perderlo. Non metteva il denaro alla banca per paura che questa potesse fallire o che gli yankees glielo confiscassero. Portava con sé il piú che poteva, nascosto nel busto; e celava pacchetti di banconote sotto qualche mattone sconnesso, nel sacchetto degli stracci, fra le pagine della Bibbia. E la sua preoccupazione cresceva col passare delle settimane, perché ogni dollaro che metteva da parte era un dollaro di piú che sarebbe perduto se venisse il disastro. Franco, Pitty e la servitú sopportavano le sue esplosioni con bontà irritante, attribuendo il suo umore disuguale allo stato di gravidanza. Franco sapeva che bisogna tollerare molte cose dalle donne incinte; quindi rinfoderava il proprio orgoglio e non protestava piú contro il fatto che sua moglie dirigeva i due stabilimenti e andava in città a qualunque ora, come nessuna signora avrebbe fatto. La condotta di lei lo imbarazzava; ma egli era sicuro che dopo la nascita del bimbo essa sarebbe stata nuovamente la creatura dolce e femminile che egli aveva corteggiato. Ma nonostante la docilità di suo marito, Rossella continuava ad essere di cattiv'umore e spesso a Franco sembrava che ella agisse come una ossessa. Nessuno sembrava comprendere che cosa veramente la faceva agire come una pazza. Era la smania di riuscire a mettere tutto in ordine prima di doversi rinchiudere, di avere abbastanza denaro da parte per il caso che l'uragano la travolgesse nuovamente: il denaro era l'ossessione del suo cervello in quel periodo. Quando pensava al bambino, era con una specie di collera per la sua intempestività. «La morte, le risse, i dolori del parto! Non vi è mai un momento adatto per nessuna di queste cose!»

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Evidentemente stavano giocando agli Indiani quando era giunto il momento di andare alla stazione; e Diletta doveva aver rifiutato di rimediare al disordine del suo abbigliamento, sia pure per andare incontro a sua madre. Rossella esclamò: - Che straccioncella! - baciandola; e porse la guancia al bacio di Rhett. Se non vi fosse stata tanta gente alla stazione, ne avrebbe fatto a meno. Malgrado la sua confusione nel trovare Diletta acconciata in quel modo, non poté fare a meno di notare che tutti sorridevano nel vedere il padre e la figlia cosí conciati; e non era un sorriso di derisione ma di bontà e di simpatia. Tutti sapevano che la piccina dominava completamente suo padre e approvavano ridendo. Il grande amore di Rhett per la sua piccina lo aveva fatto risalire di parecchi gradini nella pubblica opinione. Nel ritorno a casa, Rossella vuotò il sacco delle novità della Contea. Il tempo caldo e asciutto faceva crescere il cotone a vista d'occhio; ma Will diceva che i prezzi sarebbero stati bassi, appunto per la grande abbondanza. Súsele aspettava un altro bambino (lo disse sottovoce perché i bimbi non capissero) e Ella aveva mostrato di avere uno spirito bellicoso mordendo la bimba piú grande di Súsele. Cosa che del resto - osservò Rossella - la bimba meritava, perché somigliava tutta a sua madre. Ma la madre si era arrabbiata, e fra le due sorelle era stata una lite che ricordava quelle degli antichi tempi. Wade aveva ucciso una biscia d'acqua: da solo! Randa e Camilla Tarleton facevano le insegnanti a scuola; uno scherzo, se si pensava che nessuno dei Tarleton aveva mai saputo leggere correntemente! Bettina Tarleton aveva sposato un grasso mutilato di Lovejoy; insieme con Hetty e con Jim Tarleton coltivavano con discreto successo una piantagione di cotone a Fairhill. La signora Tarleton aveva un allevamento di giumente e puledri ed era felice come se avesse avuto un milione di dollari. Nella vecchia casa dei Calvert abitavano dei negri che ne erano anche proprietari! L'avevano comprata all'asta pubblica. Il luogo era devastato; roba da piangere! Non si sapeva dov'erano andati a finire Catina e quel fannullone di suo marito. Alex stava per sposare Sally, la vedova di suo fratello! Figurarsi, dopo aver vissuto per tanti anni nella stessa casa! Tutti dicevano che era un matrimonio di convenienza perché la gente mormorava da quando vivevano soli, dopo la morte della nonna Fontaine e della nuora. E Dimity Munroe ne aveva quasi avuto il cuore spezzato. Ma le stava bene. Se fosse stata furba, si sarebbe trovato un altro marito da un pezzo, invece di aspettare che Alex avesse messo assieme abbastanza denaro da poterla sposare. Rossella chiacchierava allegramente; ma vi erano molte cose che non raccontava; cose che preferiva dimenticare. Aveva percorso la Contea in carrozza con Will, cercando di non ricordare quando quelle migliaia di jugeri erano verdi di cotone. Ora le piantagioni erano a poco a poco riconquistate dalla foresta e folti cespugli di ginestra, arbusti di querce basse e abeti nani erano cresciuti attorno alle rovine silenziose e sugli antichi campi di cotone. Solo qualche jugero era coltivato, dove prima centinaia e centinaia venivano frugati dall'aratro. Sembrava di camminare attraverso un paese morto. - Questa regione ha bisogno di cinquant'anni per riaversi... se mai si riavrà - aveva detto Will. - Tara è la miglior fattoria della contea, grazie a voi, Rossella, e a me; ma è una fattoria, non una piantagione. E dopo Tara viene la fattoria dei Fontaine e poi quella dei Tarleton. Non fanno molti quattrini, ma vivono. Ma il resto delle fattorie e delle persone... No, Rossella non ricordava volentieri l'aspetto della contea abbandonata. Sembrava ancor piú triste di quanto non fosse in realtà, a paragone del movimento di Atlanta. - E qui, c'è niente di nuovo? - chiese quando furono finalmente a casa, seduti sotto al porticato. Per tutta la strada aveva continuato a discorrere, per paura del silenzio. Non aveva scambiato una parola da sola con Rhett dal giorno della sua caduta, e non era troppo ansiosa di restare a quattr'occhi con lui. Ignorava quali fossero i suoi sentimenti verso di lei. Era stato di una grande bontà durante la sua convalescenza; ma era la bontà di un estraneo indifferente. Aveva prevenuto i suoi desideri, impedito ai bambini di infastidirla, sorvegliato il negozio e l'azienda. Ma non aveva mai detto «Perdonami». Forse non era neanche addolorato. Forse continuava a credere che il bambino che non era nato non era suo figlio. Come poteva, Rossella, sapere ciò che si nascondeva dietro a quel viso bruno e simpatico? Però, in quel periodo aveva mostrato una certa disposizione alla cortesia, per la prima volta da quando erano sposati; e il desiderio di lasciare che la vita proseguisse come se fra loro non vi fosse mai stato nulla di spiacevole. «Come se...» pensa tristemente Rossella «fra loro non vi fosse mai stato nulla addirittura.» Ebbene, se era questo che desiderava, lei si comporterebbe nello stesso modo. - Tutto va bene - ripeté. - Hai avuto i nuovi embrici per la bottega? Hai cambiato le mule? Per carità, Rhett, togliti quelle penne dal cappello. Sembri uno scervellato, e sei capace di andare in città senza ricordarti di levarle! - No - fece Diletta prendendo il cappello di suo padre. - Tutto va bene qui - rispose Rhett. - Diletta ed io ci siamo divertiti; credo che non sia mai stata pettinata dopo la tua partenza. Non rosicchiare le penne, tesoro; sono cattive. Sí, gli embrici sono a posto; per le mule ho fatto un buon affare. Veramente non c'è niente di nuovo: tutto procede regolarmente. Poi, dopo un attimo riprese: - L'egregio Ashley è stato qui ieri sera. Voleva sapere se tu saresti disposta a cedergli il tuo stabilimento e la parte che hai nel suo. Rossella che si stava cullando in una sedia a dondolo e sventolando con un ventaglio di penne di tacchino, si fermò bruscamente. - Cedere? E dove diamine ha preso il denaro? Sai che non hanno mai un centesimo. Melania spende subito tutto quello che suo marito porta in casa. Rhett si strinse nelle spalle. - Ho sempre pensato ch'ella fosse una personcina molto economa. Ma non sono informato sui particolari delle finanze dei Wilkes come sembri esserlo tu. Era una frase nel vecchio stile di Rhett e Rossella ne fu seccata. - Vai, cara - ella disse a Diletta. - La mamma ha bisogno di discorrere col babbo. - No - rispose risolutamente Diletta arrampicandosi sulle ginocchia paterne. Rossella aggrottò le sopracciglia e Diletta la guardò a sua volta con un cipiglio tanto rassomigliante a quello di Geraldo O'Hara che sua madre quasi rise. - Lasciala stare - intervenne Rhett. - Quanto al denaro, pare che gli sia stato mandato da un tale a cui egli prestò assistenza a Rock Island, quando costui aveva il vaiolo. Il fatto che la riconoscenza esista ancora rinnova la mia fede nella natura umana. - Chi è? Una persona che conosciamo? - La lettera non era firmata e veniva da Washington. Ashley ha stentato a capire chi poteva averla mandata. Ma è naturale che un individuo come Ashley vada compiendo tante buone azioni nel mondo che gli è impossibile ricordarle tutte. Se non fosse stata enormemente stupita per la fortuna inattesa di Ashley, Rossella avrebbe raccolto il guanto, quantunque durante il suo soggiorno a Tara si fosse proposta di non lasciarsi mai piú trascinare a litigare con Rhett a proposito di Ashley. I suoi rapporti coi due uomini erano troppo incerti: ed ella non aveva intenzione di eccitarsi in proposito finché non fosse sicura del fatto suo. - E vuol comprare? - Sí. Ma gli ho detto che certamente tu non pensi di vendere. - Ti prego di lasciare che mi occupi io dei miei affari. - Mah, so che non hai nessuna voglia di rinunziare all'azienda. Gli ho detto che tu non sopporteresti di non ficcare il naso negli affari altrui... - Hai osato dirgli questo? - Perché no? Non è la verità? Credo che in cuor suo fosse d'accordo con me; ma è troppo gentiluomo per convenirne. - Non è vero! Gli venderò l'azienda! - esclamò Rossella. Fino a quel momento non aveva pensato affatto ad abbandonare la sua industria. Per molte ragioni desiderava conservarla; e il suo valore finanziario era il motivo meno importante. Negli ultimi anni aveva avuto piú volte occasione di venderla ad ottime condizioni, ma aveva sempre rifiutato. Gli stabilimenti erano la prova evidente di ciò che aveva fatto con le sole sue forze, ed ella ne era orgogliosa. Inoltre rappresentavano il solo contatto possibile con Ashley. Se li avesse venduti, avrebbe avuto assai raramente occasione di vederlo, e probabilmente non lo avrebbe mai visto solo. E voleva vederlo; voleva sapere quali erano adesso i suoi sentimenti verso di lei, se il suo amore era morto, seppellito dalla vergogna, in quella terribile sera del ricevimento. Rimanendo in rapporti di affari, avrebbe avuto l'opportunità di parlargli, senza che nessuno potesse fare osservazioni. E col tempo, ella avrebbe certo riconquistato il terreno che forse aveva perduto nel suo cuore. Ma se vendeva gli stabilimenti... No; non aveva voglia di venderli; ma stimolata dall'idea che Rhett l'aveva fatta apparire ad Ashley in cosí cattiva luce, aveva immediatamente mutato pensiero. Ashley avrebbe l'azienda, e a prezzo cosí favorevole che sarebbe costretto a riconoscere la sua generosità. - Voglio vendere!... - esclamò adirata. - Che ne pensi, adesso? Negli occhi di Rhett passò una lievissima luce di trionfo mentre egli si curvava ad allacciare una scarpina di Diletta. - Credo che te ne pentirai - rispose. Ella era già pentita delle sue parole impulsive. Se le avesse dette dinanzi a chiunque altri che Rhett, le avrebbe ritrattate senza vergogna. Perché precipitare in quel modo? Guardò suo marito con la fronte aggrondata e vide che la stava osservando col suo antico sguardo ansioso di gatto dinanzi alla tana di un topo. Quando le vide aggrottare le ciglia, rise improvvisamente, con un balenío dei suoi denti bianchi. Rossella intuí vagamente che egli l'aveva costretta in quella posizione. - C'entri per qualche cosa in questo? - gli chiese furibonda. - Io? - Inarcò le sopracciglia con sorpresa beffarda. - Dovresti conoscermi meglio. Non compio mai delle buone azioni io... se posso farne a meno.

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222292
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
  • Paraletteratura - Romanzi
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Mia madre teneva nelle braccia una delle sue bambine, io afferrava l'altra, che in mezzo alla strada consegnava ad una persona di servizio, affine di rassettare in fretta il mio scomposto abbigliamento. Lunghissimi erano i miei capelli: le treccie, svolte nella corsa, mi pendevan disordinatamente sugli omeri. Mi sentii leggermente tirare per la chioma. Mi volsi: era Domenico, il quale a voce sommessa mi susurrò all'orecchio: "Benedetti i terremoti, che mi danno il contento di rivederti, e darti un altro addio!" "Ritornerai presto?" "Sì, cara: mi tratterrò in Napoli un mese solo." Il tuono fermo di questa promessa era in contrasto col suolo, che tuttavia oscillava sotto l'impulso del tremendo fenomeno. Le genti fuggivano a tutta possa dalle case loro. Il fragore che facevano i camini precipitando a terra da' tetti, gli urli, le preci, gli ululati de' cani, il cantar de' galli assordavano l'aria; perfino gli uccelli, spauriti dalla catastrofe, avevano abbandonati i nidi, e volavano e rivolavano sul nostro capo, mandando striduli lamenti. Era insomma una scena di spavento universale, di scompiglio, di desolazione, da non essere giammai cancellata dalla memoria. Domenico si accostò a mio padre, e lo salutò; egli l'accolse garbatamente, ed entrò seco lui in discorso per quasi un'ora, durante la quale le scosse di tremoto incessantemente si succedevano. Avendo però fermo di partire prima del levar del sole, e veggendo che l'alba già incominciava ad infiammare l'oriente, mi chiese la mano, la strinse teneramente, poscia su quella di mio padre impresse un bacio rispettoso. Nel passare dinanzi a mia madre, la salutò del pari. Costei lo chiamò. "È egli vero, signor Domenico, che siete in procinto di partire?" "Fra mezz'ora m'imbarcherò. Parto per ubbidire agli ordini paterni; ma, Dio volendo, farò ritorno non più tardi di un mese. Allora, sia col suo, sia senza il suo consenso, per mezzo dell'avo mio vi chiederò nuovamente la mano di vostra figlia; nè suppongo che me la vogliate negare, avendo veduto che nulla finora potè scemare l'ardente e reciproco amore che ci portiamo." "Va bene," rispose mia madre: "al vostro ritorno ne parleremo." Gli porse la mano, ed ei se la portò alla bocca, dicendole: "Cara madre, siate pietosa!" Ella sorrise, ed egli esultante se ne partì. - Dolorose ricordanze! Le lagrime mi bagnavano le gote, e la piena degli affetti mi toglieva l'uso della parola. Confidai alla carità degli sguardi il patetico messaggio, che ricusava la lingua di articolare; entrambi ci sogguardammo sino a tanto che ci fu dato vederci, e quando egli fu scomparso, ancora col favor dell'udito io raccolsi lo spirante rumore de' suoi passi. Conviene credere, che ogni persona abbia nella sua vita una qualche data nefasta, un qualche critico avvenimento e di sinistra ricordanza, che dà principio ad una serie non interrotta di susseguenti disastri. L'ora nefasta della vita mia era dall'oroscopo segnata nel mezzo di quella spaventosa notte, in cui lo squilibrio degli elementi minacciò di distruggere Reggio ed altre città delle Calabrie. Altre tristezze io non aveva provato fino allora, se non quelle inevitabili che l'amor vergine cagiona; e sa ciascuno i soavissimi compensi, di che sono rattemprate quelle mestizie. D'allora in poi ogni gioia si tace, il cielo s'imbruna d'ogni intorno, il riso non è più vivo per me: di qua comincia la mia dolorosa storia.Inde lachrymae! Per la paura de' terremoti, non potemmo tornare in casa, che la mattina del sesto giorno; non già perchè cessato del tutto fosse il pericolo, ma perchè mio padre, ormai settuagenario, e pregiudicato inoltre nella salute dal lungo disagio, accusava un malessere generale. Io amava, adorava questo padre con tenerezza non comune: l'amava più della madre, e non senza ragione. V'ha de' genitori, i quali non contenti di usare un'ingiusta predilezione a favore d'uno o di più figli, hanno pure l'imprudenza amara di farne in famiglia incauta mostra. Mia madre (aggravo con dolore la sua memoria) non andava esente di tale debolezza, giacchè, per non so quale istinto, prona alle domestiche preferenze, non si prendeva almeno la cura caritatevole di velarle agli occhi de' meno amati. Ora nel numero delle sue predilette non era io, nè scorreva giorno alcuno ch'io non me ne convincessi per novelle ed evidenti prove. Mio padre, in compenso, suppliva alla scarsezza dell'affetto materno, raddoppiandomi il suo. La sera del 21 settembre io sedeva al pianoforte, intenta a ricreare il genitore, e stava cantando un'aria della Norma, a lui diletta, quando lo udii sospirare. Credetti che qualche spiacevole pensiero l'avesse turbato di passaggio, e proseguii il canto. Un secondo sospiro, seguíto da una sommessa prece, mi giunse all'orecchio. Mi alzai tosto, ed avvicinatami a lui chiesi di ciò che tanto l'affliggesse. "Non sono afflitto," disse, "ma mi sento male, e mi rincresce di non potervi condurre al teatro stasera." "Che mai dite? di questo vi duole? Ecco levati i nastri dalla mia chioma!" E in così dire, deposi la pettinatura sopra la sedia. Chiamai Giuseppina, chiamai la madre. Il vecchio disse alla moglie sentirsi gravemente ammalato dal mezzodì in poi, e che credeva le sue sofferenze sintomi di vicina morte. Lo menammo nella sua stanza col cuore spezzato da tali detti, e si mandò a chiamare il medico. L'indomani un consiglio di professori dichiarava, che il malato era affetto da una infiammazione de' visceri. Al quarto dì perdevano i medici ogni speranza di poterlo risanare, ed al settimo ci annunziarono come, vani essendo riesciti i loro sforzi, dovevamo somministrargli gli ultimi conforti della religione. Non comprenderanno appieno la violenza de' miei singulti, la mia disperazione, se non quelle fra le orfane, che rimasero orbate d'un genitore, al cui affetto avevano esclusivamente affidata la somma de' beni presenti e futuri! L'estrema unzione d'un tale padre spande per le funeree fiaccole sull'avvenire dell'orfano riverberi tanto foschi, che verun sole avrà più la virtù di dissiparli. Terminata la lugubre funzione, volemmo essere ricondotte nella sua stanza. Lo ritrovammo poggiato sul fianco dritto, colle spalle alla porta per cui s'entrava. Il mio volto era contraffatto dal pianto: gli astanti mi fecero segno di non avvicinarmi a lui. Sedetti allora accanto alla porta, a stento frenando le lagrime. Cupo silenzio regnava, non da altro interrotto che dall'anelito affannoso di mio padre. Le sue palpebre socchiuse si riaprirono ad un tratto, e gridò: "Enrichetta!" M'avvicinai al letto, ma il letargo l'ammutolì. Dopo un tratto cercò di rialzarsi e chiamò nuovamente, e più forte: "Enrichetta!" "Son qui:" gli dissi..... "son qui. Che desiderate, padre dolcissimo?" Mi fissò con un occhio impietrito, ma tenerissimo, di cui eterna mi resterà la rimembranza; poi domandò: "Perchè mi lasci?" "Sono vicina a te," risposi con voce soffocata dal singhiozzo. Ed egli: "Sai che ho ricevuto i sacramenti?" "Lo so." "Mi sento in pace coll'anima," ripigliò. "Solo una cosa mi fa morire scontento, ed è il tuo avvenire..... Che ne sarà di te, povera figlia?" Profetiche parole, che nelle mie ulteriori vicende ebbi presenti sempre, e ad ogni passo! L'indomani egli era prossimo all'agonia. In un intervallo di lucidità chiamò mia madre a sè, e le disse in accenti male articolati: "Teresa, conduci altrove queste povere figlie! La loro vista mi opprime il cuore. Esse perdono il padre prima d'aver avuto uno sposo che possa proteggerle e soccorrerle. In questi estremi momenti debbo pensare alla divina misericordia, e lasciare ad essa la cura del resto." Mia madre ci fece cenno di approssimarci: c'inginocchiammo tutte. Egli stese le mani tremanti, e ci benedisse. Ci sogguardò una per una, poi richiuse gli occhi. Sulla sera il confessore entrò mesto nella nostra stanza, e il suo silenzio ci disse che non avevamo più padre!

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