Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbietti

Numero di risultati: 7 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Come devo comportarmi?

172334
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Avere il coraggio di aprire una lettera ad altri diretta; per mezzo di vili, abbietti intrighi, trovare il modo di intercettare una corrispondenza, di abusarne, è cosa che dice tutto un carattere, che rivela uomo. Non c'è scusa per costui; non la passione, non il sentimento cieco della vendetta, nè pure il desiderio di scoprire a fine di bene; non c'è scusa: egli è un vile, un miserabile; peggiore del ladro, del calunniatore. Va messo insieme al traditore. Il gentiluomo non abbandona al disordine dello studiolo o della scrivania, le lettere che riceve; ma le chiude gelosarnente o pure le distrugge. Come si parla imprudentemente, cosi qualche volta si scrive imprudentemente. Ci sono delle creature deboli, dagli scatti invincibili del sentimento, che cedono all'emozione del momento e trovano un conforto nel disfogarsi dicendo l'animo loro in una lettera a persona che amano e della quale hanno piena fiducia. Quelle lettere il più delle volte innocenti, se smarrite o lette da curiosi, possono essere causa di guai e do: lori a non finirne. Il gentiluomo ne ha cura come di cosa sacra; o pure le brucia, appunto come si bruciano le cose che non devono cadere in mano degli indifferenti o dei profani. Il gentiluomo non apre che le lettere dirette a' suoi figli quando ancora sono di minore età; dopo, no. Le lettere dirette alla moglie non le apre mai nè le legge se le trova aperte, senza il di lei invito o consenso.

Pagina 200

Dei doveri di civiltà ad uso delle fanciulle

188359
Pietro Touhar 1 occorrenze
  • 1880
  • Felice Paggi Libraio-Editore
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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Ogni altro diverso contegno indicherebbe sentimenti abbietti e discordanti da quella gentilezza franca e sincera che va sempre osservata con tutti. Allorchè per avventura avete potuto arrecare un servigio, sarebbe vanità stoltissima il menarne vanto, ed offendereste l'amor proprio di chi lo ha ricevuto, ed il beneficio perderebbe il suo maggior valore facendo addivenire troppo grave il peso della riconoscenza. Avviene talora, in specie fra le signore, che per imprevisti casi debbasi chiedere o fare imprestito di gioie od altri arredi di lasso; e qui non occorrerà dire quanto sarebbe da biasimare che se taluna si sentisse lodare i pregi della roba avuta in prestito, se ne vantasse come di cosa sua propria; od anche spontaneamte, senz'esserne da altri richiesta, volesse far credere che a lei appartiene ciò che non è suo. Spesso nascerà in voi il desiderio di farvi prestare o libri o stampe o quadri; ma in chiedere questa specie di servigi è necessaria la massima discretezza, perchè siate certe che per tutti coloro i quali tengono in pregio sì fatte cose, è sempre un sacrifizio il soddisfare alla vostra curiosità od al vostro bisogno. E se, ad onta della vostra attenzione, qualche guasto avvenisse disgraziatamente alla cosa prestata, voi dovete subito procacciarne un'altra eguale a quella, se fosse possibile, o farla rimettere nello stato in cui era quando vi fu prestata. Se a una persona, che sia venuta a farvi visita o che per qualsivoglia altro motivo si trovi in casa vostra, manchi alcun che di suo uso o bisogno, per esempio, un fazzoletto, un ombrello, uno scialle per coprirsi dal freddo, non indugerete ad offrirle l'occorrente. Qualora essa non voglia, per garbatezza, accettar subito l'offerta, in questo caso è permesso l'insistere; bensì la vostra insistenza non dovrà passare i limiti della convenienza. La cosa ricevuta così in prestito deve essere rimandata più sollecitamente elle sia possibile; ma quando si trattasse di biancheria, bisogna prendere il tempo di farla lavare e stirare, perchè non sarebbe conveniente restituirla qual'è dopo averne fatto uso. Non sarà necessario estenderci di più intorno ai diversi casi nei quali ci può avvenire di far servigio ai nostri simili, imperocchè la sola occasione vale spesso a suggerire le garbatezze che meglio si addicono. La civiltà è una specie di ornamento indispensabile in tutte le azioni della vita; e non solo quando prendiamo, ma anche allorchè diamo ad imprestito, ci dobbidamo assoggettare alle regole che essa prescrive. Il modo di offrire un regalo ne forma spesso il maggior pregio; mentre il regalo può divenire di niun valore od anco spiacevole se non è fatto con garbatezza. I regali possono essere di due specie; quelli, cioè, di riconoscenza e quelli di benevolenza. I primi hanno per oggetto di far testimonianza della gratitudine del nostro cuore; e sono destinati ad essere ricordo affettuoso per chi li fa e per chi li riceve. Se accadesse mai di considerarli quale ricambio di un servigio, o per valore essenziale del donativo, o più che altro pei modi con cui venisse offerto, starebbe a significare un sentimento non degno di un animo elevato. Gli altri fannosi ai congiunti, agli amici, in certe date epoche, per esempio, pel capo d'anno, pel giorno onomastico, od in certe particolari occasioni, come al ritorno da un viaggio, alla partenza per paese lontano, nella raccolta di alcuni frutti dopo una caccia o una pesca che siano riuscite abbondanti. I regali esser devono appropriati all'età, allo stato ed alla posizione delle persone alle quali giudichiamo doverli offrire; ed è facile conoscere la ragione per cui sarebbe quasi sempre cosa sconveniente scegliere per farne donativo un oggetto di pura necessità. La posizione sociale, il grado d'intimità, le differenze d'età; le relazioni di parentela, consentono di allargare o persuadono a ristringere i limiti del donativo. A volere che un donativo abbia tutto il suo pregio, deve giungere inaspettato: poichè perderebbe una parte di merito, se non arrecasse il piacere della sorpresa. Sarebbe assoluta mancanza di delicatezza il voler far rilevare il valore d'un regalo nell'atto di consegnarlo, e peggio il tornare a parlarne allorchè la persona che lo ha ricevuto ne ha già reso grazia e dato prova del suo gradimento. Non importerà dire che sarebbe atto d'inciviltà per parte di chi riceve un regalo il mostrarne riconoscenza relativamente al valore del medesimo. Quando si tratta di aver avuto un donativo ragguardevole, è necessario fare una visita alla donatrice, o scriverle una lettera qualora sia lontana. Non è da scordare la mancia pel servitore che ce lo porta. Del rimanente l'uso insegnerà le tante altre più minute avvertenze che rispetto al fare o ricever regali verrebbero in acconcio, ma che sarebbe impossibile enumerar tutte in questo libro. Dobbiamo: Porre ogni studio di garbatezza nel far piacere agli altri: esporre con schietta e semplice afflizione le cagioni che ci obbligano a negare un favore a chicchessia: farlo con premura quando possiamo; adattare i donativi al proprio stato ed ai propri averi; mostrare riconoscenza nel ricevere un donativo ancorchè minimo. Non dobbiamo: Fare alcuna promessa quando non abbiamo intenzione di mantenerla; menar vanto d'aver reso un servigio; essere indiscrete nel chiedere ad imprestito; offrire un regalo come ricompensa d'un servigio ricevuto; mostrar l'intenzione di fare il regalo innanzi di mandarla ad effetto, perche vi è il pericolo di togliergli il pregio; vantarne il valore; studiarci di rinnovarne la ricordanza.

Pagina 85

Mitchell, Margaret

221129
Via col vento 4 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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Oh, gli uomini erano abbietti e volgari; e Rhett Butler era il peggiore di tutti. Gli sbatterebbe in faccia quel fazzoletto e poi lo metterebbe alla porta e non gli rivolgerebbe mai piú la parola. Ma no; non poteva. Non poteva fargli sapere che conosceva l'esistenza di donne di malaffare e che gli uomini andavano a trovarle. Una signora non poteva far questo. «Oh,» pensò furibonda «se non fossi una signora, che cosa non direi a quel rettile!» E appallottolando in mano il fazzoletto, scese in cucina a cercare zio Pietro. Nel passare dinanzi al fornello gettò il fazzoletto tra le fiamme e, con ira impotente, lo guardò bruciare.

Pagina 269

. - Miss Rossella, essere stati gli Slattery, quei rifiuti, straccioni, buoni-a-niente, abbietti Slattery che avere dato malattia a miss Elena. Io avere detto che non fare bene a occuparsi di quella gente, ma miss Elena cosí buona che non poter mai dire di no a chi aver bisogno di lei. - Slattery? - chiese Rossella stupita. - E come mai sono venuti qui? - Essere ammalati di quella malattia - e Mammy accennò col cencio alle due ragazze ignude e bagnate. - La figlia di vecchia miss Slattery, Emma, essersi messa a letto, e giovine miss Slattery essere venuta di corsa a chiamare badrona, come sempre fare quando qualche cosa andar male. E miss Elena essere andata a curare miss Emma. E stare poco bene già da un pezzo; essere indebolita, troppo da fare con commissario che rubare tutto quello che noi coltivare. E sempre mangiare come un uccellino. Io aver detto di lasciare bianchi straccioni soli, ma lei non darmi retta. Beh, quando miss Emma cominciare a star meglio, miss Carolene essersi ammalata. Sí, badrona, tifo arrivare qui e colpire miss Carolene e poi miss Súsele. E miss Elena cominciare a curare anche loro. Con tutta battaglia e yankees che attraversare fiume e noi non sapere cosa poter succedere di noi, io sentirmi impazzire. Ma miss Elena sempre fredda come un cocomero. Essere soltanto preoccupata perché non potere avere medicine per badroncine. E una sera, dopo avere fatto spugnature circa dieci volte, dire a me: «Mammy, se io poter vendere mia anima, venderei per un pezzo di ghiaccio da mettere sulla testa di mie figlie». E non voler lasciare entrare Mist' Geraldo e neanche Rosa e Tina, soltanto io, perché avere già avuto il tifo. E poi essersi ammalata lei e io avere visto subito che esserci niente da fare. Mammy si irrigidí e si asciugò gli occhi col grembiule. - Essere stato molto rapido; e anche quel bravo dottore yankee non aver potuto far niente. Non capire piú niente; io parlare e chiamare, ma lei non riconoscere piú nemmeno sua Mammy. - Mi ha mai... nominata... mi ha mai chiamata? - No, gioia. Credere di essere una ragazza, di nuovo a Savannah. Non avere chiamato nessuno per nome. Dilcey si voltò, posando il bimbo sulle sue ginocchia. - Sí, badrona. Aver chiamato qualcuno. - Tu stare zitta, negra-indiana! - Mammy si era voltata con minacciosa violenza verso Dilcey. - Zitta, Mammy! E chi chiamò? Il babbo? - No. Non tuo babbo. Essere stato quella notte che bruciare cotone... - Hanno bruciato il cotone? Dimmi subito! - Sí, tutto. I soldati avere rotolato le balle nel cortile e aver dato fuoco gridando e cantando. Tre annate di cotone messe in serbo: centocinquantamila dollari in una fiammata! - E le fiamme fare luce come se essere giorno; noi avere paura che bruciare anche la casa, ed essere tanto chiaro in questa camera che vedere come di giorno col sole. E quando luce brillare, miss Elena essersi come svegliata e drizzata sul letto e gridare forte: «Filippo! Filippo!» Io non avere mai sentito questo nome, ma lei averlo chiamato. Mammy fissava Dilcey pietrificata, ma Rossella si lasciò cadere il capo fra le mani. Filippo... chi era e che cos'era stato per la mamma, se lei era morta chiamandolo?

Pagina 425

Gli ex-schiavi erano diventati i padroni della creazione e, con l'aiuto degli yankees, i piú abbietti e i piú ignoranti erano al di sopra di tutti. Invece i migliori, quelli che avrebbero fatto a meno della libertà, soffrivano quanto i loro padroni. Migliaia di negri domestici - la casta piú alta fra gli schiavi - erano rimasti coi loro padroni bianchi, e si dedicavano a lavori manuali che in altri tempi avrebbero considerati indegni di loro. Anche molti fedeli agricoltori avevano rifiutato di servirsi della nuova libertà; ma le orde di «proletari negri liberti» erano reclutate in massima parte nella classe degli agricoltori. Nel periodo dello schiavismo questi negri di casta inferiore erano disprezzati dai negri domestici. Come aveva fatto Elena, altre padrone di piantagioni nel Sud avevano messo i negretti a imparare qualche cosa per selezionare i migliori di loro e affidar loro piú tardi posizioni di maggiore responsabilità. Lasciavano cosí nei campi quelli che erano meno volenterosi o piú incapaci di apprendere; i meno energici, i meno onesti, i piú viziosi e brutali. Ed ora questa classe, la piú bassa nell'ordine sociale negro, rendeva la vita insopportabile negli Stati del Sud. Aiutati dagli avventurieri senza scrupoli che dirigevano il «Freedmen's Bureau», e spinti da un odio quasi religioso nel suo fanatismo, gli ex-lavoratori della terra si erano trovati improvvisamente elevati a posti importanti. Quivi si comportavano come logicamente ci si poteva aspettare da creature di intelligenza limitata: con selvaggia violenza, come scimmie o bambini posti fra tesori che erano al di là della loro comprensione, per il perverso piacere di distruggere o semplicemente per ignoranza. Ad onore dei negri, bisogna riconoscere che pochi agivano per cattiveria; e quei pochi erano «negri malvagi» anche durante il tempo della schiavitú. Ma tutti avevano una mentalità infantile, che veniva facilmente guidata: ed erano sempre stati abituati a ricevere ordini. Prima erano i loro padroni bianchi che li impartivano; ora erano padroni di nuovo genere; l'Ufficio e i «carpetbaggers»; e gli ordini erano questi: «Tu sei tal e quale un uomo bianco, perciò agisci come lui. Appena avrai il diritto di voto, avrai anche le proprietà dei bianchi. Quindi è come se fossero già tue. Se puoi arrivarci fin da ora, prenditele!» Abbagliati da queste parole, la libertà divenne per loro un interminabile banchetto, una festa di tutt'i giorni della settimana, un carnevale di vagabondaggio, di furto, di insolenza. I negri della campagna sciamarono nelle città, lasciando le regioni rurali senza lavoratori per effettuare i raccolti. Atlanta fu rigurgitante di negri che continuavano a giungere a stormi, infingardi e pericolosi, come risultato delle nuove dottrine che venivano loro insegnate. Accalcati entro squallide capanne, il tifo, la tubercolosi, il vaiolo non tardarono a scoppiare fra loro. Abituati alla sollecitudine delle loro padrone quando erano schiavi, non sapevano che cosa fare per curarsi. Avendo sempre fatto assegnamento sui loro padroni per provvedere ai vecchi e ai bambini, ora non avevano alcun senso di responsabilità verso chi non era in grado di pensare a se stesso. E l'Ufficio si interessava troppo di faccende politiche per pigliarsi quelle brighe che in altri tempi si prendevano i padroni delle piantagioni. Bambini negri abbandonati correvano per le strade come animali spaventati, finché qualche bianco di buon cuore non li raccoglieva nella sua cucina per allevarli. Vecchi contadini negri, lasciati senza difesa dai loro figliuoli, sbalorditi e terrorizzati, sedevano sugli orli dei marciapiedi e gridavano alle signore che passavano: - Mistis, per carità, Madama, scrivere a mio vecchio badrone in Contea Fayette che io essere qui. Lui venire a riprendere suo vecchio negro. Per carità, io non volere questa libertà! L'Ufficio per l'Emancipazione, sopraffatto dall'enorme quantità di gente negra che si rivolgeva a lui, comprese troppo tardi - e solo in parte - l'errore commesso e cercò di rimandare gli ex- schiavi a quelli che erano stati i loro padroni. Dissero ai negri che se volevano tornare, sarebbero stati dei liberi lavoratori, protetti da contratti scritti che avrebbero specificato i salari. I vecchi tornarono volentieri alle piantagioni, andando a gravare maggiormente sui piantatori impoveriti, ma i giovani rimasero ad Atlanta. Non avevano nessuna voglia di andare a lavorare: a che scopo affaticarsi quando si ha la pancia piena? Per la prima volta in vita loro, i negri potevano avere tutto il whisky che desideravano. Alcuni non lo avevano mai assaggiato, se non quando, a Natale, ognuno di loro ne riceveva un bicchierino insieme alla strenna. Ora dunque, agli incitamenti dell'Ufficio e dei «carpetbaggers», si aggiungeva l'esaltazione prodotta dal whisky; gli oltraggi erano quindi inevitabili. Né vita né proprietà erano sicure; e i bianchi, non protetti da alcuna legge, erano atterriti. Per istrada venivano insultati da negri ubriachi. La notte, erano incendi di case e di granai; cavalli, polli e bestiame venivano rubati di pieno giorno; delitti di ogni genere erano perpetrati e i colpevoli erano ben di rado condotti dinanzi al giudice. Ma queste ignominie erano nulla a paragone del continuo pericolo delle donne bianche, molte delle quali - private dalla guerra di protezione maschile - vivevano sole in quartieri lontani, su strade solitarie. Era per l'appunto la conoscenza degli innumerevoli oltraggi subiti da queste donne e il terrore per la salvezza delle loro mogli e delle loro figlie che teneva gli uomini del Sud in uno stato di furore gelido e tremante e che metteva ogni notte in movimento il Ku Klux Klan. Ed era contro l'organizzazione notturna che i giornali del Nord strepitavano maggiormente, non comprendendo la tragica necessità che l'aveva fatta sorgere. Il Nord avrebbe voluto che ogni membro del Ku Klux fosse preso e impiccato, perché costoro osavano punire con le loro mani i delitti quando ogni procedimento legale era stato sovvertito dagl'invasori. Si assisteva allo stupefacente spettacolo di metà di una nazione che cercava di imporre all'altra metà, con la punta delle baionette, il governo di negri, parecchi dei quali non erano usciti dalla giungla africana che da una generazione. A costoro si voleva accordare il diritto di voto che veniva negato a chi aveva combattuto per la Confederazione o aveva coperto cariche pubbliche. Alcuni, credendo alle parole e all'esempio del generale Lee, avrebbero anche fatto il famoso giuramento, pur di ridiventare cittadini dimenticando il passato; ma ciò non era loro permesso. Altri, a cui veniva permesso, rifiutavano di giurare fedeltà a un governo che li assoggettava deliberatamente alla crudeltà e all'umiliazione. Rossella udiva ripetere fino all'esasperazione queste parole: - Avrei prestato quel maledetto giuramento dopo la sconfitta, se avessero agito onestamente. Posso anche essere riformato dall'Unione, ma non posso essere ricostruito da lei! In quel periodo Rossella spasimava dal terrore. La continua minaccia dei negri senza legge e dei soldati yankees la opprimeva; il pericolo della confisca era presente al suo spirito anche durante il sonno, ed ella si aspettava le maggiori atrocità. Depressa dall'impotenza di tutto il Sud, ricordava sempre le parole che Toni Fontaine aveva pronunciato con tanta passione: - Perdio, Rossella, è cosa che non si può tollerare! E che non sarà tollerata!

Pagina 647

. - Sarà buio prima che giungiate a casa; e da queste parti vi è una nuova colonia di negri che abita in un accampamento; mi hanno detto che sono dei negri molto abbietti, e non vedo perché dovreste dar motivo all'impulsivo Ku Klux di mettersi le camicie da notte e uscire stasera. - Scendete! - E una nausea improvvisa l'assalse. Egli fermò subito il cavallo, le passò due fazzoletti puliti e le sorresse la testa con una certa abilità facendola affacciare sulla fiancata del calessino. Il sole pomeridiano coi suoi raggi obliqui attraverso il fogliame novello, le diede per qualche istante l'impressione di uno stomachevole vortice d'oro e di verde. Dopo l'accesso, ella si nascose il volto fra le mani e pianse di mortificazione. Non solo aveva rigettato dinanzi a un uomo - la cosa piú orribile che potesse accadere a una donna! - ma l'incidente affermava in modo inequivocabile il fatto umiliante della sua gravidanza. E questo le era accaduto proprio con lui, proprio con Rhett che non rispettava le donne! Ah, non potrebbe mai piú guardarlo in viso! - Non siate sciocca - le disse egli con calma. - Se piangete di vergogna siete una sciocca. Avanti, non fate la bambina. Certo non potevate supporre che, a meno di essere cieco, io ignorassi che eravate incinta. - Oh! - esclamò con voce soffocata e le sue dita si strinsero convulsamente sul viso di porpora. La parola la faceva inorridire. Franco, ogni volta che doveva parlare della sua gravidanza, le diceva con imbarazzo "le tue condizioni". Geraldo, quando si trattava di queste cose, soleva sempre accennare delicatamente che la tal signora "aspettava un bimbo"; e le signore generalmente dicevano che una donna era "in istato interessante". - Siete una bambina se immaginate che io non me ne sia accorto, malgrado questa vostra veste cosí pesante. Sicuro che sapevo. Altrimenti, perché credete che sarei stato... Si interruppe improvvisamente; e un silenzio fu tra loro. Egli raccolse le redini e percosse il cavallo. Continuò poi a parlare tranquillamente; e mentre ella ascoltava con piacere la sua cantilena, l'eccesso di colore svaní a poco a poco dalle sue guance ardenti. - Non credevo che la prendeste in questo modo, Rossella. Vi immaginavo piú ragionevole, e sono deluso. Possibile che nel vostro seno alberghi ancora la verecondia? Forse non è da gentiluomo aver parlato chiaramente. Ma non sono affatto un gentiluomo, e le donne incinte non mi imbarazzano per nulla. Le tratto come creature normali, senza sentirmi punto obbligato a guardare il cielo o la terra pur di non posare gli occhi sulla loro cintura; e fissarla poi furtivamente con certe occhiate che mi sembrano il colmo dell'indecenza. È una condizione normalissima. Gli europei, piú ragionevoli, fanno dei complimenti alle madri che sono in attesa. Senza arrivare a questo punto, lo trovo però piú giusto della nostra finta ignoranza. E le donne dovrebbero esserne orgogliose invece di nascondersi come se commettessero un delitto. - Orgogliose! - e la voce di Rossella era strozzata. - Che orrore! - Non siete fiera di avere un bambino? - Dio mio, no! Non mi piacciono i bambini! - Volete dire... il bambino di Franco? - No... di chiunque! Per un attimo si sentí nuovamente a disagio, accorgendosi di quest'altro errore di espressione; ma Rhett continuò con voce calma, come se non lo avesse notato: - In questo siamo diversi. Io amo i bambini. - Li amate? - E fu cosí stupita di questa dichiarazione che dimenticò il proprio imbarazzo. - Che bugiardo! - Amo i bambini e i ragazzi finché non cominciano a crescere e ad acquistare il modo di pensare degli adulti e la loro abilità di mentire e di essere furfanti e mascalzoni. Del resto questa non è una novità per voi. Sapete che voglio molto bene a Wade Hamilton, benché non sia il ragazzo che dovrebbe essere. Era vero, ricordò Rossella. Gli piaceva giocare con Wade e spesso gli portava dei regali. - E giacché siamo venuti a parlare di questo terribile argomento, e voi ammettete che fra non molto avrete un bambino, vi dirò qualche cosa che desidero dirvi da un pezzo: anzi, due cose. Prima di tutto, che è pericoloso per voi andare sola in carrozza. Lo sapete, perché vi è stato detto abbastanza spesso. Se personalmente può non importarvi di essere rapita o violentata, dovete considerare le conseguenze. A causa della vostra ostinazione potete trovarvi in una situazione per la quale i vostri coraggiosi concittadini potranno essere costretti a vendicarvi facendo la pelle ad alcuni negri; e questo scatenerà gli yankees contro di loro e probabilmente ne condurrà qualcuno al capestro. Vi è mai venuto in mente che forse una delle ragioni per cui le signore non vi amano è che la vostra condotta può condurre alla forca i loro mariti e figli? Inoltre, se il Ku Klux fa la pelle ad altri negri, gli yankees diventeranno talmente spietati che la condotta di Sherman sembrerà angelica a confronto. So quello che dico, perché sono in grande intimità con gli yankees. Mi trattano come uno di loro, - mi vergogno di dirlo - parlano senza riguardo. Vogliono distruggere il Ku Klux anche se dovessero incendiare di nuovo tutta la città e impiccare tutti i maschi al di sopra dei dieci anni. Sarebbe un danno anche per voi, Rossella. Perdereste del denaro. E non si può dire a che punto può fermarsi l'incendio di una prateria, una volta iniziato. Confisca di proprietà, aumenti di tasse, multe a persone sospette... Li ho uditi proporre di tutto. Il Ku Klux... - Ne conoscete nessuno del Ku Klux? Sapete se Tommy Wellburn o Ugo... Egli si strinse nelle spalle con impazienza. - Come volete che li conosca? Io sono un rinnegato e un affarista. Ma so di alcuni che sono sospettati; basta un falso movimento da parte loro per poterli considerare come impiccati. Mentre so che non avreste alcun rimpianto se mandaste al capestro i vostri amici, sono certo che vi dispiacerebbe perdere i vostri stabilimenti. Vedo dall'espressione caparbia del vostro viso che non mi credete e che le mie parole cadono nel vuoto. Perciò vi dico soltanto: tenete a portata di mano la pistola; e quando io sono in città farò il possibile per potervi sempre accompagnare. - Rhett, ma è proprio per proteggermi che... - Sí, mia cara. È il mio sentimento cavalleresco che m'induce a proteggervi. - La fiammella beffarda ricominciò a danzare nei suoi occhi neri. Ogni barlume di serietà scomparve dal suo volto. - E perché? Per il profondo amore che ho per voi, signora Kennedy. Sí; silenziosamente ho avuto fame e sete di voi, e vi ho adorata da lontano; ma siccome sono un uomo onesto come il signor Ashley Wilkes, ve l'ho celato. Voi siete, ahimè, moglie di Franco, e l'onore mi vieta di rivelarvi il mio sentimento. Ma come anche l'onore del signor Wilkes qualche volta si screpola, cosí anche il mio oggi si è incrinato ed io rivelo la mia segreta passione che... - Per carità, smettetela! - interruppe Rossella, annoiata come sempre quand'egli le faceva dei discorsi di questo genere, e desiderosa di mutare argomento, ma evitando quello di Ashley. - Che cos'era l'altra cosa che volevate dirmi? - Come? Cambiate discorso mentre io vi sto offrendo un cuore amante ma esulcerato? Beh, l'altra cosa è questa. - La luce beffarda si spense di nuovo e il suo volto si oscurò. - Voglio che facciate qualche cosa per questo cavallo. È caparbio e ha una bocca dura come il ferro. Credo che guidarlo vi stanchi parecchio, no? Sono sicuro che se prende la mano, vi sarà impossibile fermarlo. E se vi trascina in un fosso, questo può significare la morte per il vostro bambino e per voi. Dovreste mettergli un morso molto piú pesante e permettermi di cambiarlo con un cavallo piú docile e con la bocca piú sensibile. Ella guardò il suo viso distratto e si sentí disarmata di fronte alla bontà e alla premura di lui. Provò un impeto di gratitudine e si chiese perché egli non era sempre cosí gentile. - Infatti, è un cavallo difficile da guidare - acconsentí debolmente. - A volte le braccia mi dolgono per tutta la notte. Fate quel che vi sembra meglio, Rhett. - Questo è molto gentile e femminile, signora Kennedy. Non è il vostro solito modo di parlare. Bisogna proprio sapervi trattare per rendervi flessibile come un virgulto. Ella s'impennò immediatamente. - Scendete subito, altrimenti vi picchio con la frusta. Non so perché cerco di essere gentile con voi. Siete malvagio. Privo di morale. Non siete altro che... Insomma andatevene. Egli discese, sciolse il suo cavallo legato dietro al calessino, e rimase fermo in mezzo alla strada nella semi oscurità del crepuscolo, con un sorriso irritante; a sua volta ella non fu capace di nascondere il proprio sorriso mentre si allontanava. Sí, era volgare, malizioso, malfido e non si poteva mai prevedere in che momento la spada smussata con la quale giocherellava si sarebbe tramutata in lama tagliente. Ma era divertente ed eccitante come... sicuro, come un bicchiere d'acquavite! In quegli ultimi mesi Rossella aveva imparato l'uso dell'acquavite. Quando tornava a casa nel tardo pomeriggio, bagnata di pioggia, intirizzita e indolenzita dalle lunghe ore passate nel carrozzino, la sola cosa che le dava forza era il pensiero della bottiglia chiusa nel primo cassetto del suo canterano, nascosta agli sguardi scrutatori di Mammy. Il dottor Meade non aveva pensato ad avvertirla che una donna nelle sue condizioni non doveva bere, perché non gli era mai venuto in mente che una signora per bene bevesse altro che qualche bicchierino di moscato. Eccetto, naturalmente, un bicchiere di champagne in occasione di un matrimonio, o di vino caldo quando era costretta a letto dal raffreddore. Senza dubbio vi erano delle disgraziate che bevevano, nello stesso modo come ve n'erano altre che erano pazze o divorziate; e questa era una sventura per le loro famiglie. Ma ad onta della sua disapprovazione per la condotta di Rossella, il dottore non aveva mai sospettato che ella bevesse. La giovane donna aveva scoperto che un bicchierino di acquavite prima di cena le faceva molto bene; poi faceva un gargarismo con l'acqua di Colonia o masticava qualche chicco di caffè per mascherare l'odore. E quando non riusciva a dormire e si rigirava nel letto tormentata dalla paura della povertà, dalla minaccia degli yankees, dalla nostalgia per Tara e dal desiderio di Ashley, sarebbe impazzita se non avesse avuto l'acquavite che spandeva nelle sue vene un calore benefico. Allora le sue preoccupazioni si attenuavano; dopo tre bicchierini ella poteva sempre dire a se stessa: «Penserò a queste cose domani, quando potrò sopportarle meglio». Ma alcune notti neppure l'acquavite calmava la pena del suo cuore, la pena che era piú forte perfino della paura di perdere gli stabilimenti: la nostalgia per Tara. Ella amava Atlanta, ma... Oh, la dolce pace e la tranquillità di Tara, i campi rossicci e i pini bruni che li circondavano! Tornare a Tara per quanto la vita potesse esser dura! Ed essere accanto ad Ashley, vederlo, udirlo parlare, essere sorretta dalla conoscenza del suo amore! «Andrò a casa in giugno. Qui non posso piú far nulla dopo quell'epoca. Vi andrò per un paio di mesi.» Pensava a questo con sollievo. E vi andò in giugno, ma non come desiderava; vi andò perché nei primi giorni del mese giunse un breve messaggio di Will che annunciava la morte di Geraldo.

Pagina 672

Documenti umani

244575
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
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In un' ora di raccoglimento interiore, a centinaia e a migliaia le aspirazioni, gl'impulsi, i propositi nobili od abbietti; le persuasioni, i giudizii, i concetti fondati o falsi; le imagini fantasmagoriche, i ricordi e le previsioni col loro corteggio di pentimenti, di rammarichi, di delusioni, di speranze, di compiacenze, sorgono nella mente, brillano più o meno a lungo e si spengono nelle tenebre dell'incosciente. Quanti di siffatti momenti psicologici, la cui serie costituisce il mio io, sono da me manifestati - ammesso che la manifestazione sia adeguata? Una parte infinitesimale. Di me non si conosce se non quello che io faccio - ed un'azione apparentemente generosa può essere determinata da ignobili moventi - e quello che io dico. Ora, le mie parole non rispondono mai al mio pensiero - perchè sono parole: vuol dire qualcosa di determinato, di concreto, di fisso, di immutabile; ed il pensiero possiede le qualità perfettamente opposte; esso non è, ma diviene, si fa, in una gestazione perenne.... Le parole non rappresentano se non un fuggevole istante di questa rapidissima successione - ed è come se uno, per dare l'imagine del movimento, rappresentasse il mobile fermo in diversi punti della sua traiettoria.

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