Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Milano in ombra - Abissi Plebi

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Corio, Ludovico 1 occorrenze

Riguardo ad ignoranza e ad abbiettezza la feccia plebea di qualsiasi grande città può dare dei punti ai Papuas, agli Akka ed agli Esquimesi. E la marmaglia pullula e brulica in ogni grande città, eppure gli onesti cittadini non la curano, perchè non la vedono quasi mai, e appena ne ricordano talvolta con disprezzo il nome. Di giorno essa appare di rado; sfogna per lo più di notte, appare quando per insoliti avvenimenti, il - principio d'autorità viene fortemente scosso da una delle classi superiori della popolazione, che insofferente dal giogo che porta, levasi contro la classe avversaria, ne calpesta le istituzioni e ne crea di nuove, se la fortuna le dà il trionfo nella terribile lotta. La marmaglia vive alla luce del sole, quanto dura cotesta lotta e talvolta vi prende parte, sempre però a favore della classe oppressa o ribelle. Ma in tutte le città d'Italia e specialmente in Milano, quando la lotta s'impegnò tra cittadini e stranieri, è dovere il dirlo, la marmaglia si fece massacrare a nome del principio nazionale, ch' essa non poteva comprendere e dal trionfo del quale non poteva sperare alcun vantaggio. Perocchè la smania di far bottino non era ragion sufficiente per ispronare i plebei a esporre la vita loro a gravissimo pericolo; tanto più che a cagion d'esempio, nella Rivoluzione del 1848, mentre più ferveva la lotta, non si ebbero a lamentare ruberie e la plebe fece meravigliare le classi più elevate colla sua severità verso chi aveva formato disegno di violare il diritto di proprietà. Forse la feccia era sostenuta in quegli istanti supremi da un desiderio vago e indistinto di un migliore avvenire, o forse pensava che dalla redenzione nazionale potesse derivare la redenzione individuale, e che rompendola colle vecchie tradizioni ancor essa potesse mettersi per una via conducente a non deplorevole meta. Fors'anche la lusingava la speranza d'un po' di gratitudine da parte de' suoi connazionali, i quali avrebbero posto in oblio le passate colpe per non ricordarsi se non dei servigi dalla povera plebe resi alla patria. Ma comunque ciò sia avvenuto ed avvenga, è certo che la plebe non partecipa alla politica, che durante gl'interregni e la sua esistenza pubblica dura dalla caduta d'un governo alla proclamazione d'un altro. Ed in quel frattempo e nobiltà, e borghesia e popolo comprendono il loro torto nell'aver dimenticata questa massa abbastanza ingente, cui in quel punto temono soverchiamente, perchè non conoscono e perciò ne esagerano la tristizie e la potenza. Dissi che anche il popolo la teme, perchè nulla ha di comune con questa turba; alla quale non potendo applicare il nome storico di plebe, daremmo di preferenza quello di feccia, quantunque gli uomini delle classi superiori con carità fraterna abbiano trovato moltissimi altri nomi per indicarla, quali, per citare i più conosciuti: maraglia, plebaglia, popolazzo, popolaglia, gentaglia, bordaglia, bruzzaglia, canaglia, e via dicendo. Essa però non è un triste privilegio dei tempi nostri, ma un fenomeno di tutti i tempi, ed ebbe sempre le stesse tendenze le stesse passioni, la stessa natura. Tra la Suburra e la Villette e Ménilmontant tra White-Chapel e la via Varese o la via Legnano, o lo stretta Calusca, o il vicolo della Corde, nessuna differenza ci corre. E questa turba fu pure in ogni tempo spregiata, giacchè Sallustio ve la dirà cupida sempre di nuove cose e Machiavelli per natura pronta a rallegrarsi del male Milano ha del pari che tutte l'altre città la sua feccia, la quale, come ripeto, ha nulla di comune coll'ottimo popolo operaio, che massime in questi ultimi tempi, è diventato massaio e previdente ed ama l'istruzione ed il lavoro. Nè si creda che questa genia sia composta di soli Milanesi; questi anzi vi sono in minor numero di quel che non si creda, giacchè a formarla concorrono tutte le città minori e i villaggi di Lombardia, che mandano a noi tutti i loro rifiuti. Cosa questa non nuova, chè la plebe di Roma era pur essa composta di gente venuta dal di fuori della città. E Tacito, nauseato dalla corruzione della Roma de' suoi tempi, ne svela la cagione dicendo che in Roma "omnia turpia atque scelesta confluunt celebranturque" il che può ripetersi a buon diritto per la nostra Milano. In Parigi eziandio, la plebe è formata non solo dei déclassés della grande metropoli, ma per la maggior parte, dei provinciali, il qual fatto era già stato accennato da Jacque Sanguin, prevosto dei mercanti nel 1592 sotto Enrico IV. "La bonne ville de Paris renferme deux populations bien dissemblables et d'esprit et de coeur. Le vrai populaire, né et élevé à Paris, est le plus laborieux du monde, voire le plus intelligent; mais l'autre est le rebut de toute la France. Chaque ville des provinces a son égout, qui amène ses impuretés a Paris".

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