Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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La Stampa

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AA. VV. 1 occorrenze

GIÀ nella seconda metà del '700 la scienza economica teorizzò la convenienza, ai fini dello sviluppo e del progresso, di distribuire il reddito nel modo più omogeneo possibile anziché lasciarlo concentrato in una ristretta fascia di popolazione abbiente. La convenienza derivava dal fatto che una distribuzione diffusa si poteva tradurre in una domanda di massa, per soddisfare la quale sarebbero sorte fabbriche, sarebbero stati impiantati macchinari, sarebbe stata sollecitata la ricerca di una maggiore produttività sia del lavoro che degli impianti. Viceversa, una domanda concentrata in fasce abbienti si sarebbe rivolta soprattutto verso i beni di lusso, ragione per cui avrebbe potuto alimentare, al più, qualche specialistica attività artigianale. Si diceva che, se ogni famiglia può permettersi un paio di lenzuola in più, può nascere un cotonificio, mentre, se quello stesso reddito rimane concentrato, si manifesterà la domanda di qualche pezza di lussuoso broccato per soddisfare la quale potrà fiorire qualche bottega artigiana. Nel primo caso, l'industrializzazione avrebbe determinato le condizioni per una ulteriore espansione della produzione del reddito e la produttività del lavoro umano sarebbe stata moltiplicata dall'installazione di nuovi macchinari; nel secondo, il processo si sarebbe fermato assai prima, non molto al di là dell'artigiano che sarebbe stato pagato per il suo lavoro. La comprensione di questa differenza, fondamentale per ogni politica di sviluppo, favorì la formazione di quel tanto di reddito diffuso senza il quale la rivoluzione industriale del secolo successivo non avrebbe potuto neppure innescarsi, così come ancor oggi non si è innescata in molte parti del mondo. Ripercorrere la storia economica di due secoli fa torna utile per comprendere almeno alcuni aspetti di quella di oggi in Europa ed in particolare in Italia. Per comprendere, soprattutto, gli aspetti di una stagnazione che, contrariamente alle certezze di molti, si accompagna pervicacemente alle azioni di contenimento dei disavanzi pubblici. Il caso dell'Italia è emblematico per il fatto che nel nostro Paese vi è una componente di reddito più consistente che altrove, gli interessi sul debito pubblico, la quale ha agito regressivamente intanto perché è la principale (ora l'unica) causa di squilibrio dei conti pubblici, ed inoltre perché nello stesso tempo beneficia di una sostanziale franchigia fiscale, e quindi non è stata neppure sfiorata dalle manovre di risanamento. È la componente che determina l'esigenza di queste manovre, ma non ne paga neppure una lira. Se a questo si aggiunge che, malgrado l'entità di questa rendita, l'imposizione indiretta è stata resa politicamente intoccabile e quella diretta è parimenti intoccabile a motivo delle ripercussioni sui prezzi, si comprende come l'aggiustamento abbia finito per compiersi soprattutto attraverso il contenimento della spesa sociale e l'aumento di imposte dall'Ici alle tasse scolastiche e universitarie, dalla benzina alla nettezza urbana - che, in termini relativi, hanno pesato soprattutto sulle fasce di reddito più basse. In termini relativi significa che queste fasce di reddito hanno dovuto comprimere le loro spese, mentre le fasce di reddito più alte non hanno potuto accrescere più di tanto quelle già consistenti che già potevano concedersi. Si spiega così come alcuni consumi opulenti - produzioni limitate o d'importazione - abbiano tenuto, mentre le grandi fabbriche dal mobilio all'abbigliamento, dagli elettrodomestici alle scarpe - girino a basso ritmo e l'economia nel suo complesso rimanga depressa; si spiega come la crisi della domanda intenta spinga verso l'alto il cambio, rendendo più difficile che le esportazioni possano sostituirla; si spiega così l'abbondante liquidità che stava nascosta, pigra e svogliata, ma pronta a tentare una speculazione sui titoli azionari senza con questo penalizzare gli impieghi di titoli di Stato; si spiega così un ritmo di investimenti ancora discreto, ma prevalentemente alimentato da una strategia di difesa dei margini operativi su mercati che si vanno restringendo. L'aspetto più negativo della situazione attuale dell'economia italiana è che anche i suoi dati positivi - la bilancia commerciale, la forza della lira, i mercati finanziari, forse lo stesso raffreddamento dei prezzi e l'arretramento dei tassi d'interesse - sono effetto della stagnazione e come tali non possono essere volti, da soli, a sostenere un processo di crescita più deciso. Oltre due secoli fa lo si era capito. Al contrario oggi, pur con una esperienza infinitamente più ampia e con una evidenza dei fatti esplicita quant'altre mai, si continuano ad invocare misure e politiche di contenimento del reddito distribuito, e, quindi, di restringimento della dimensione dei mercati. Per una ripresa si fa conto su un aumento delle esportazioni. Ma se, in un'area integrata come l'Europa, tutti fanno affidamento sulle esportazioni, chi mai potrà importare nella misura necessaria per sostenere lo sviluppo di tutti?

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