Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il Galateo

181316
Brunella Gasperini 7 occorrenze
  • 1912
  • Baldini e Castoldi s.r.l.
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Lo stesso all'uscita: non alzatevi in un momento di suspense e abbiate la cortesia di compiere le operazioni di rivestimento nel corridoio, e non in mezzo alla fila. I seccatori. C'è quello che, convinto forse di trovarsi in una sala di analfabeti, legge forte tutti i titoli, i nomi, le didascalie, le insegne, le targhe, i messaggi scritti che compaiono sullo schermo; c'è quello che sa tutto sul film perché ha letto le recensioni sui giornali, o perché gliel'ha raccontato un amico, e si crede in dovere di fornire anticipi di ogni sequenza, soluzione e colpo di scena; c'è quello che invece non sa niente del film, ma si diletta di fare pronostici ad alta voce; c'è il sessuorepresso che saluta con fischi e commenti irripetibili le scene d'amore e gli attributi anatomici dell'attrice; c'è l'emotiva, quasi sempre è una donna, che geme nei momenti di suspense («Gesù Gesù non posso guardare») e lancia un grido ogni volta che vede comparire il fellone; c'è l'esuberante che partecipa all'azione come se fosse reale e incita l'eroe: «attento!», «presto!», «buttati!»; c'è quello, frequentissimo, che non capisce niente e chiede in continuazione: «Cos'ha detto? Dove va? Ma quello lì è dei nostri o dei loro?». E ci sono quelli che invece di seguire il film chiacchierano per i fatti loro; e le schiere di amici che si passano richiami e commenti da un capo all'altro della fila; e infine quelli che, non apprezzando il film, continuano a sbuffare e a dire: «Che idiozia, che volgarità, che orrore, se va avanti così mi viene male». Scegliete con attenzione il film da andare a vedere; ma se per caso capitate male, i casi sono due: o andate via, o sopportate in silenzio. Il bello è che, se vengono zittiti dai vicini, questi spettatori altisonanti spesso si offendono, rispondono male e fanno sottili ironie sul sistema nervoso degli altri. Non fate come loro. E neanche infastidite la gente in altri modi: non fumate sigari puzzolenti; non sparate cenere e mozziconi tutt'intorno; non piegatevi continuamente a destra e a sinistra, obbligando chi sta dietro a fare lo stesso. Ai seccatori fanno da contrappeso gli insofferenti: quelli che subito protestano, zittiscono, aggrediscono i circostanti per ogni anche minimo e isolato bisbiglio, risatina, spostamento di testa o zaffatina di fumo. Specie quando il cinema è pieno, i superinsofferenti causano spesso maggior scompiglio dei seccatori di cui sopra. I pappagalli. Il seccatore che va subito, energicamente scoraggiato è il seccatore-pappagallo: quello che fa più o meno lente e insinuanti manovre per entrare in contatto, diciamo, con la spettatrice sconosciuta che gli siede al fianco. Questa non farà scene, non chiamerà la maschera, non mollerà sberle: se il cinema è abbastanza vuoto, si alzerà e cambierà posto. Altrimenti respingerà le occulte manovre con decisione, sguardo glaciale e poche, sommesse ma drastiche parole: in genere, di fronte a una pronta e ferma reazione il pappagallo batte in ritirata per non rischiare guai. Più complicata può essere la faccenda quando la signora non è sola, ma accompagnata da un uomo: se lo avverte di quanto sta accadendo sull'altro versante della propria sedia, può venirne fuori una scenata, che invece è saggio cercar di evitare; ma se l'importunata non reagisce, l'importuno può sentirsi autorizzato a continuare. Conosco una signora che, importunata al cinema da un pappagallo mentre era al fianco del marito, non disse niente: con la massima impassibilità e serenità si accese una sigaretta e poi la spense sulla mano del pappagallo come se fosse un portacenere; all'urlo del disgraziato, chiese con stupore e rincrescimento: «Oh, mi scusi, l'ho forse scottato?» È un sistema divertente ma un po' barbaro, che non ci sentiremmo di consigliare. Meglio chiedere al marito, con una scusa, di scambiarsi di posto, oppure di andare un po' più avanti o un po' più indietro. La vera ragione gliela si spiegherà dopo, se mai. Applausi e fischi. Al cinema in genere non si dovrebbe né applaudire né fischiare (se non alle prime, per esprimere un giudizio critico). Gli applausi ironici, che sottolineano le scene particolarmente stupide, sono comprensibili ma inutili: i responsabili non sono lì a sentire. In quanto ai documentari e alla pubblicità, sappiamo quanto gli uni e l'altra possano essere noiosi, ma poiché sono pagati, non possono essere interrotti; quindi fischi, applausi e tramestii di piedi non fanno che aggiungere alla noia della pubblicità o del documentario il fastidio del chiasso. Coppiette. Oggi le coppiette sono più attrezzate di una volta, quindi gli innamorati che vanno al cinema solo per stare vicini al buio sono diminuiti; ma ce ne sono ancora, specie tra i giovanissimi. Non è molto carino, al riaccendersi delle luci, vedere una fanciulla congestionata e scomposta vicino a un cavaliere stranito che cerca di darsi un contegno, ma si può essere indulgenti. Si vorrebbe solo che non eccedessero: in fatto di scene erotiche, bastano quelle dello schermo. Bambini al cinema. Non portate i bambini al cinema di sera: il loro posto è a letto. Non portateceli neanche di pomeriggio, se non per vedere film sicuramente adatti a loro. E per «adatti a loro» non intendiamo solo film che non siano vietati ai minori, ma film che possano interessarli e divertirli, tipo cartoni animati, western non violenti, eccetera. Se però i bambini sono molto piccoli, anche i western alla lunga li annoiano: e poche cose sono irritanti come quei genitori che, interessati al film, lasciano che i pargoletti scorrazzino intorno, si arrampichino sui sedili o sulle gambe degli spettatori, o peggio che li tengono fermi a forza, incuranti delle vocine che chiedono, prima sommesse, poi via via sempre più querule, penetranti, stentoree: «Perché? Chi è? Cos'è? Cosa fa? Dove va? Perché fa così? Papà quello lì è buono? Mamma quello lì è cattivo? È cattivo? È cattivo? È CATTIVO?» mentre i genitori, senza staccare gli occhi dallo schermo, li zittiscono meccanicamente: «Sssst, ssst, se stai buono poi ti prendo il gelato», «zitto! se non stai zitto le prendi», finché si arriva fatalmente all'esplosione di lacrime, singhiozzi e grida. Tutto questo, ovviamente, è da evitare. Portate i bambini con voi dove volete, ma non in posti dove possono annoiarsi, respirare aria viziata e disturbare il prossimo. In quanto ai bambini più grandi: ci sono film vietati e ci sono film permessi ai minori. Purtroppo il criterio con cui si vietano i film è un criterio di tipo, diciamo, unicamente sessuofobo. Ci si preoccupa moltissimo dell'«oltraggio al pudore», ma pochissimo dell'oltraggio all'estetica, al buon gusto, alla sensibilità; si vietano film che potrebbero turbare (o istruire) i bambini nella sfera sessuale, ma non si vietano film che possono traumatizzarli o influenzarli negativamente in vari modi. Quindi, prima di portare i bambini a vedere un film «non vietato», informatevi bene: o dai giornali, o da chi l'ha già visto.

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Non abbiate paura di mostrarvi impreparati o di usare un linguaggio troppo semplice e casereccio: sarete molto più simpatici di quelle piovre dei dibattiti che si incontrano un po' dovunque, ansiosi di essere ascoltati e di ascoltarsi, esibendo un linguaggio che suppongono tecnico o dotto, zeppo di espressioni sindacal-politiche o pseudo intellettuali, («la poiesi», «l'analisi strutturalistica», «nella misura in cui», «a livello di», e così via). Questo non è un linguaggio dotto, è un linguaggio prefabbricato. Rendetevi conto che la maggioranza delle assemblee è fatta di gente come noi e preferisce sentire un linguaggio più familiare e spontaneo. Badate solo a non ripetervi, a non uscire di tema, e soprattutto a essere brevi. Le assemblee hanno un sistema nervoso molto labile: sono congenitamente portate alla distrazione, al chiacchiericcio, al baccanale, al sonno.

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Dite pressappoco: «Abbiate pazienza, sarò retrogrado, ma non mi va, ecco tutto. Siete liberissimi di fumare la vostra erba, ma non qui. Scusatemi». Se i fumatori d'erba sono persone civili, rinunceranno a fumare. Se non lo sono, se ne andranno. Voi non vi offenderete.

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Ricordate solo che per i su citati intenditori di vino, posto che ne abbiate invitati, è un'empietà bere vino rosso e bianco (e magari acqua) nello stesso bicchiere. Ma non è poi strettamente necessario inchinarsi a tutte le esigenze, o fisime, degli intenditori. I tovaglioli possono essere, in pranzi confidenziali, anche di carta. Non sono eleganti, ma sempre preferibili a tovaglioli magari di lino purissimo che non siano perfettamente puliti e stirati. Mai la minima ombra o piega deve far sospettare a un convitato che il suo tovagliolo possa essere stato usato, magari per sbaglio, da altri: ancora oggi, non è un sospetto piacevole. La tovaglia ha un'infinità di variazioni, dalla romantica alla rustica alla futurista. Per noi vanno bene tutte, purché siano, come i tovaglioli, pulite. Possibilmente, col mollettone sotto: senza mollettone tutto è scivoloso, pericolante e rumoroso. Infine: con la crisi del personale domestico e il crescere della fretta collettiva, si sono rapidamente diffuse anche in Italia le tovaglie di plastica, in molte versioni spesso gradevoli alla vista (non al tatto). Non sarò certo io, autrice di un controgalateo, a proibirne l'uso. Vi dico solo una cosa: io odio le tovaglie di plastica. Peggio, se usate, come capita di vedere, con vasellame di pregio. Di gran lunga preferibili, posti direttamente sul legno, i sottopiatti di paglia colorata, altrettanto comodi e tanto meno squallidi e artificiali. Si dirà che anche qui è questione di gusti. Ma la plastica è sempre di cattivo gusto. E, per di più indistruttibile, maledetta lei. Insomma la odio, va bene? In tutte le sue forme. È un simbolo di tante cose che mi fanno soffrire e indignare, dall'inquinamento al consumismo alla falsa e manovrata civiltà di massa. Ho divagato, chiedo scusa, rientro.

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Se il cibo vi disturba, abbiate la cortesia di non farlo notare. E non ammannite ai commensali dettagliate descrizioni delle vostre diete e delle vostre difficoltà digestive. Ognuno ne ha più che abbastanza delle proprie. È tipico del nostro tempo il commensale che mangia come se fosse inseguito e volesse terminare il pasto prima di essere catturato; non parla e non ascolta, ingurgita pietanze e bevande a velocità record, e nelle pause dà segni di nervosismo, si agita sulla sedia, tamburella, guarda l'orologio. Non è necessariamente una persona scortese, è soltanto uno dei tanti infelici divorati dall'ansia e dall'ossessione di «perder tempo»: perder tempo per che cosa? Per altre cose che farà con uguale impazienza, ansia, insofferenza. Poveretto. Per i commensali, comunque, è più fastidioso il tipo opposto, quello che mangia a uno all'ora, che a ogni boccone appoggia le posate sul piatto e rumina per mezz'ora, oppure si dimentica di mangiare per parlare, parlare, parlare, incurante del cibo che si raffredda, del servizio che ne risente, dei commensali che in silenzio ferocemente lo maledicono. Masticate con una certa discrezione. A bocca rigorosamente chiusa. Evitando di muovere in modo appariscente tutti i muscoli facciali, o di far apparire in una o nell'altra guancia improvvise protuberanze. Non è grave, è soltanto comico. Fate bocconi piccoli. Se mentre masticate vi arriva uno sternuto, schiacciatelo nel tovagliolo, per non aspergere i vicini coi risultati della vostra masticazione. E se è un altro a sternutire (questo non solo a tavola) non ditegli «Salute!» o «Evviva!» come fosse una festa nazionale. Non lo é. Che non si parla a bocca piena lo sanno anche i bambini. Eppure c'è un sacco di gente adulta che emette parole impastate di risotto o di budino, che ride grandiosamente mostrando tutto quel che ha in bocca: non è una gran bella vista. Per la stessa ragione, non interrogate chi sta masticando, costringendolo a una precipitosa deglutizione, o a una forzata esibizione di cibi masticati, oppure a quei buffi mugolii che si fanno, indicando la bocca, per spiegare la propria temporanea afonia. Se dovete usare lo stuzzicadenti (ci auguriamo di no), fatelo rapidamente, e senza ripararvi pudicamente le fauci con il tovagliolo: il che attira maggiormente l'attenzione. Le signore, specialmente, dovrebbero rimandare le operazioni di scavo e rimozione a quando saranno sole con se stesse nella stanza da bagno. In quanto ai signori, compiuto celermente il lavoretto, non restino a gingillarsi con lo stuzzicadenti negligentemente infilato in bocca, né se lo infilino nel taschino a mo' di stilografica. I cra-cra delle mandibole, i glu-glu della laringe, gli schiocchi, i risucchi, i sibili, i gorgoglii e tutti gli altri rumori idraulici-odontoiatrici connessi, non sono graditi a tavola: e anche questo lo sanno tutti. Eppure c'è un sacco di gente che succhia, sibila e gorgoglia. E un sacco di gente, me compresa, che soffre fisicamente di questi concertini. Non è questione di essere schizzinosi (io non lo sono affatto). È solo questione... vogliamo dire di sensibilità acustica? Per me non è nemmeno quello. Se mai, si tratta di eccesso di immaginazione. Bisognerebbe evitare ai commensali certi collegamenti audiovisivi: e sono eupeptici. Non augurate «Buon appetito!» ai commensali. Non è chic: e questo non mi turba molto. Ma il fatto è che non serve a niente, se non a costringere a dire «grazie altrettanto». Questa del «buon appetito» è un'usanza solo apparentemente gentile, in realtà inutile e meccanica. E le cose inutili e meccaniche, non solo a tavola, sono da evitare. Sono in parecchi quelli che cedono alla tentazione di togliersi le scarpe sotto la tavola. Non sarò io a bollare questa tendenza, considerata turpe vizio dal galateo. Io mi limiterò a consigliare una certa cautela: anche posto che nessuno si accorga del misfatto, può succedere che per un movimento imprevisto la scarpa rotoli in là, costringendovi a tastare col piede tutt'intorno e a compiere strane contorsioni per ricuperarla. Se poi è uno dei vostri vicini che si toglie la scarpa e voi ve ne accorgete, non fate come me (ammetto la mia colpa), cioè non divertitevi a spingergli via malignamente la scarpa e assistere con espressione innocente alle sue contorsioni e al suo crescente panico. Su, ridategli la sua scarpa: son scherzi da fare? Non litigate a tavola. Né in casa né fuori. Lo so, oggi l'ora dei pasti è per molti l'unico momento in cui ci si possa trovare insieme e parlare, ed è fatale che proprio per questo il desco familiare sia spesso il luogo dove si mettono in tavola, insieme coi cibi in scatola, i discorsi più antipatici, i rinfacci più pedestri, i lamenti, le accuse, le grane. Cerchiamo di evitarlo; nei limiti del possibile. Va bene che tutti i nodi vengono al pettine, ma non si potrebbe farceli venire in un altro momento? I piatti. Secondo il galateo, non si dovrebbero mai toccare con le mani. Quante storie: quando è utile, toccarli è più che lecito. Se per esempio c'è un sugo particolarmente buono in un piatto crudelmente piatto, nessuno si scandalizzerà se lo inclinerete per raccogliere quel che altrimenti andrebbe perduto. Potete alzare il piatto dalla parte vicina al bordo della tavola, in modo che il brodo o il sugo scivolino distintamente verso l'esterno e non ingordamente verso di voi, ma anche qui non staremmo troppo a sottilizzare; l'importante è che questo gesto, bocciato dal supergalateo e ammesso dal buon senso, venga compiuto senza ridicola furtività, ma apertamente. Magari con qualche parola di compiacimento: in fondo, alla padrona di casa fa piacere che onoriate i suoi brodi o i suoi sughi. Le posate. Tenetele come sapete, scioltamente, senza preoccupazioni e senza affettazione. Il galateo classico prescriveva che il liquido si sorbisse dal lato e non dalla punta del cucchiaio: ma è una regola che, essendo oltretutto illogica, non ci sentiamo di avallare. Il coltello si usa solo quando è necessario e serve solo per tagliare, non per portare il cibo alla bocca. Perché? Perché sì: la forchetta, se no, che ci sta a fare? Il bicchiere. Si tiene semplicemente e saldamente nella mano destra (senza alzare graziosamente il mignolo). Quando qualcuno, cameriere o convitato, versa da bere, non si spinge il bicchiere verso di lui, né lo si solleva; lo si lascia al suo posto: diminuiscono così le probabilità di debordamenti e sbagli di mira. Quando si vuol rifiutare il vino o l'acqua che qualcuno ci offre, lo si fa con un sorriso e un «no, grazie». Non si copre il bicchiere con la mano; nessuno intende ubriacarci proditoriamente. Almeno si crede. Le tazze. Tutti i liquidi che vengono serviti in tazza vanno sorbiti direttamente dalla tazza stessa: il cucchiaio o cucchiaino serve solo per mescolare il liquido, eventualmente per assaggiarlo. Poi va posto sul piattino, mentre la tazza, tenuta per il manico, si solleva direttamente alla bocca. Mi sembra abbastanza logico: se la tazza ha un manico (o due) ci sarà pure una ragione. Comunque, se vi va di bere il brodo col cucchiaio, affar vostro: dopo tutto, che fastidio date? Il vecchio galateo proibisce di inzuppare pane, grissini o altro nelle tazze (o nei piatti fondi). Ma oggi non c'è niente di male se uno dice: «Qualcuno si scandalizza se inzuppo i grissini nel brodo?» Domanda puramente retorica. Il pane. Non si fa a pezzettini, sbriciolandolo tipo mangime per gallina. Non si fanno palline unticce con la mollica. Secondo il galateo classico, è vietato anche usare il pane per «fare scarpetta», cioè per raccogliere il sugo. Storie. Se il sugo è buono, non si vede perché non dovreste raccoglierlo infilando il pane con la forchetta, ed eventualmente dicendo: «È talmente buono!» Sarete compresi e giocondamente imitati. Il vino. Va messo in tavola nelle bottiglie originali. Solo per qualche rosso pastoso, mi dice un raffinato intenditore amico mio, si può preferire la caraffa: ve la do come l'ho sentita. Non bevete il vino come fanno gli assaggiatori, annusandolo, sciacquandovi la bocca, socchiudendo gli occhi per mostrare concentrazione. Siete degli intenditori, va bene, l'abbiamo capito tutti. Ma se dovete esprimere il vostro apprezzamento, fatelo con la voce, non con la mimica. A proposito: i sullodati intenditori di vino, o sedicenti tali, commentino pure ogni vino che viene loro offerto, ma non si lancino in troppo lunghe e dotte disquisizioni cultural-enologiche, che sono una grossa seccatura per, chi, pur non disdegnando affatto il buon vino, non lo considera un importante ramo della cultura né un interesse, fondamentale della propria vita. E poi ci sono anche gli astemi: congeniti o coatti. Che ne facciamo, li sopprimiamo? Io direi di risparmiarli (sono io stessa, come forse si intuisce, un'astemia coatta). L'acqua. Anche se i bevitori di vino ostentatamente la disprezzano, anche se i camerieri dei ristoranti sono sempre riluttanti a procurarla, e dal tempo che ci impiegano sembra che vadano ad attingerla a sorgenti impervie, l'acqua sulla vostra tavola non manchi mai: abbondante, fresca, presentata in terse caraffe, e rinnovata subito quando finisce. Solo l'acqua minerale, per conservare sapore e gasatura, e anche perché uno sappia che acqua sta bevendo, va lasciata nelle bottiglie originali, che sono però piuttosto squallide a vedersi: fanno trattoria. Su una tavola con pretese d'eleganza si preferisce perciò servire acqua naturale, nelle sullodate caraffe.

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E allora, si spera che non abbiate vicini così. Finestre e balconi. Potete affacciarvi alla finestra o sostare sui balconi per godervi il sole (non nudi), per innaffiare i fiori (senza sgocciolare di sotto), per battere i tappeti (solo nelle ore lecite); non per sbirciare nelle finestre dei vicini, per chiamare a squarciagola chi passa di sotto, per intrecciare altisonanti conversazioni con altre signore o cameriere del casamento. Scale. Non fermatevi a chiacchierare sui pianerottoli o per le scale. Ma salutate sempre tutti quelli che incontrate; rivolgete un cenno o un buongiorno anche a quelli che non conoscete. Ascensore. Se l'ascensore non arriva alla chiamata, non arrabbiatevi subito, pestando pugni e calci nella porta e urlando «Ascensore! Ascensore!», come gridereste al fuoco in caso di incendio. Non fate gare con l'inquilino di sotto o di sopra per arrivare primi a schiacciare il bottone e soffiargli la baracca. Se, entrando in ascensore, vedete qualcuno che arriva, aspettatelo civilmente. Non sbattete fragorosamente la porta: specialmente di notte. Non tenetela abusivamente aperta per comodo vostro o dei vostri familiari: nascerebbero rappresaglie scomode per tutti. Portinai. Ricordatevi di dar loro la mancia a Natale, Pasqua, Ferragosto: è fatale. Salutateli sempre per primi, fermatevi pure un momento a scambiare qualche parola; ma non parlate dei fatti vostri e assolutamente mai di quelli dei vicini. Bambini. Non lasciateli urlare, scorrazzare e saltare in casa per troppe ore filate, con scarso gaudio del vicino di sotto. Insegnate loro a non scendere le scale a rompicollo facendo rimbombare la casa, a non cantare, a non gridare, a non giocare per le scale. A non seminare cartacce e cicche americane usate. A salutare le persone che incontrano. A non usare l'ascensore per divertimento; a non decorarlo di scritte e disegnini. Cani. In quasi tutte le case cittadine il regolamento vieta di tenere cani, e in quasi tutte le case cittadine ci sono inquilini che hanno il cane. Se voi siete tra questi, fate in modo che il cane assolutamente non disturbi. Se un cane è maleducato, la colpa non è sua, è dei suoi padroni. Non entrate col cane in ascensore, se ci sono altre persone. Insegnategli a non abbaiare sconsideratamente, a non far festa saltando addosso alla gente, a non rompere le calze della vicina, a non addentare le caviglie ai postini, a non fare pazzi caroselli per le scale, e così via. Per insegnargli tutto questo non occorre picchiarlo (picchiare un cane è sempre stupido e ingiusto): basta sgridarlo con voce severa e dito alzato ogni volta, ma proprio ogni volta che fa una cosa sbagliata (sbagliata per voi, ovviamente, non per lui). La sgridata diventerà più efficace se lo minaccerete agitando un giornale: tutti i cani, in questo più saggi di noi, hanno paura della carta stampata.

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Non abbiate sempre l'aria schifata o sufficiente: anche se siete dei gran signori decaduti o dei geni incompresi, costretti dalla sorte a lavorare in un ufficio tanto al di sotto del vostro livello, siete pregati di non darlo a vedere. Confidenza. Non usate il turpiloquio corrente, ma se i colleghi o le colleghe a volte lo usano, rassegnatevi: è la moda. Non esibite tendenze da erotomani, ma neanche da sanluigi o santemariegoretti: nell'uno come nell'altro caso, sono atteggiamenti da sessuorepressi. Non fulminate il collega che racconta storielle pesanti, ma non incoraggiatelo. Non respingete né troncate bruscamente le confidenze di un collega, ma non sollecitatele mai. Non fate i misteriosi, ma neanche buttate in pasto all'ufficio la vostra vita privata, completa di particolari. Amicizie e flirt. Anche se il manuale del perfetto-capo-del-personale dice che non va bene, l'amicizia tra colleghi va invece benissimo: basta che non si formino clan, alleanze che nuocciano agli altri, favoritismi e trame mafiose. Su tutto dovrebbe prevalere lo spirito di gruppo: ma sia fucilato sul posto colui che pronuncia, se non per scherzo, la frase: «Dobbiamo essere come una grande famiglia». In quanto ai rapporti sentimentali, non sono affatto proibiti e non è affatto necessario nasconderli: ma, per molte ragioni, è meglio coltivarli a fondo fuori dall'ufficio. Il tu e il lei. Problema elastico e comunque di scarsissima rilevanza: ma c'è ancora chi ci fa caso o se ne fa un problema. In genere tra colleghi giovani dello stesso sesso, e oggi anche di sesso diverso, ci si da del tu. Molto dipende comunque dal tipo di ambiente e di persone. Chi è nuovo dell'ufficio aspetti di acclimatarsi e si regoli sulle abitudini degli altri. Coi subalterni, è sempre meglio usare il lei: a meno che non si sia disposti al tu reciproco, che non è sempre opportuno; un giovane impiegato può sentirsi imbarazzato a dover dare del tu a un anziano funzionario, e l'anziano funzionario non creda di sembrare più giovane o più democratico facendosi dare del tu dalle ultime leve. Siate tolleranti. Se uno o più vostri colleghi fumano e voi no, non brontolate ogni volta che accendono una sigaretta, non tossite ostentatamente, non correte a spalancare la finestra. Potete però chiedere che fumino un po' meno. Se siete voi i fumatori, moderatevi senza farvelo dire, non appestate l'aria, non imponete il vostro vizio a chi non ce l'ha. Poi c'è la temperatura: nascono negli uffici faide oscure tra i fautori del caldo e del freddo, si ingaggiano sorde guerriglie per una finestra aperta o chiusa, un calorifero acceso o spento. Siate collettivisti e aperti al compromesso. Sopportate amabilmente i vizi e i difetti altrui, se volete che gli altri tollerino i vostri. Voi non ne avete? No?! Allora avete il difetto più grosso che si possa avere in un ufficio e dovunque: quello di credere di non averne.

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Eva Regina

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Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 1 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
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E non abbiate paura di rattristarlo narrandogli che al mondo non tutti i bimbi sono fortunati come lui, additandogli miserie che potrà lenire, bisogni che potrà soccorrere, ingiustizie che potrà riparare. Così facendo gli elargirete il seme del più puro e del più durevole dei beni, il solo che allieta veramente l'anima e la può consolare: quello dell' idealità degli intenti e della nobiltà delle azioni.

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