Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Galateo ad uso dei giovietti

183915
Matteo Gatta 5 occorrenze
  • 1877
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Ove poi abbiate a porgere un cucchiaio, un coltello, un compasso, badate a presentarli dalla parte del manico. Quando alcuno vi fa un regalo, non vi frulli pel capo il ghiribizzo di criticarlo, sopratutto dinanzi al donatore, ma esternate la soddisfazione e la gratitudine vostra. Sarebbe parimenti un'inciviltà lodare il regalo che voi fate ad altro ; il pregio di un dono dipende in gran parte dalla delicatezza con cui si fa. E giacchè siamo in tale argomento, non credo allontanarmene troppo, entrando nel campo della carità e ammonendovi che questa vuol essere accompagnata da modi benigni e dolci ; che al vecchio infermiccio, stendente la mano all' elemosina, non avete a gittare il vostro soldo, come un frusto al cane. E a proposito di ciò, richiamate alla memoria i versi del Manzoni che racchiudono il più efficace ammaestramento: Cui fu donato in copia Doni con volto amico, Con quel tacer pudico Che accetto il don ti fa. Giovinetti, astenetevi dallo schiccherare sentenze, pronunciare giudizi, dare consigli; e tanto più che annoiano anche gli uomini maturi quando vogliono in ogni cosa atteggiarsi a dottori e a maestri, e si oppongono e quistionano, per la smania di riprendere e correggere gli altrui difetti. E lasciamo stare che talvolta costoro si affaticano a purgare l' altrui campo mentre il loro è irto di pruni e di ortiche. Parimenti nè d'altrui nè delle altrui cose non si dee dir male. Chè se, colpa la nostra natura, le orecchie in quel punto si prestano volontieri, alla fine ognuno fugge la compagnia de'maldicenti, facendo ragione che quello che dicono d'altri a noi, diranno di noi ad altri. Non costringere alcuno ad arrossire co'tuoi scherni; e le beffe e le burle innocenti che si propongono di ricreare la brigata sien fatte con delicatezza e con garbo. Anche di motteggi e bisticci sii parco, e bada, o giovinetto, che non offendano alcuno e non arieggino le triviali buffonerie del cerretano e del saltimbanco. Se non ne hai di belli e di nuovi, meglio è tacerti. Nè farai risa sciocche e sguaiate, nè dei tuoi medesimi motti voglio che tu rida, chè sarebbe un lodarti da te stesso. Egli tocca di ridere a chi ode e non a chi parla; altrimenti può accadergli di esser lui solo a ridere ; il che è ben umiliante per l'amor proprio di chi credette dire una spiritosa facezia, e ricorda il caso di colui che in teatro, sgangherando la bocca, urla un gran « bravo » al quale nessuno fa eco. Piace molto il favellare disteso e continuato che rappresenta i modi, le usanze, gli atti, i costumi di coloro dei quali si parla, sicchè sembra non di udir raccontare, ma di veder fare le cose narrate. A riuscire in ciò bisogna avere quella storia o novella bene raccolta nella mente e la parola pronta, sicchè tu non abbia a incespicare, a indugiarti, nè ti convenga tratto tratto dire: « Come si chiama colui ? - Aiutatemi a dirlo.... » o simili cose che nuociono e all'interesse e al calore del racconto. Ometti le circostanze inutili, usa parole chiare e appropriate se vuoi essere inteso e non frainteso, e fuggi i vocaboli meno che onesti per loro significato o pel suono. Tieni a mente i nomi delle persone e non scilinguare e balbutire lungo tempo per rinvenire una parola; e mentre sbadigli, non continuare il discorso. In generale, cui manca lingua spedita e buona voce non dev' essere troppo voglioso di cinguettare. Non istà bene alzar la voce a guisa di banditore, ma neanche si dee parlare così piano che chi ascolta non oda. Ragionando in crocchio o in conversazione, astienti dalla pompa dell' arringare: nè con ciò voglio dire che tu ti avvezzi a favellare come il pescivendolo e la lavandaia. Alcuni hanno il brutto vezzo di soffiar le gote e prostendersi sconvenevolmente, mandando fuori un suono inarticolato che ricorda il raglio dell' asino quando si voltola per terra. Altri invece, favellando, dimenano il capo, torcono la bocca, sputano in viso a coloro coi quali ragionano, e muovon le mani come se ti volessero cacciar via le mosche. Abbiamo già toccato altrove della noia che recano i parlatori eterni, quei malcreati che non vorrebbero mai concedere agli altri di avviare un discorso e di continuarlo, e tirano avanti imperterriti come nave col vento in poppa, mentre il più delle volte colla loro fastidiosa loquacità non sanno che abborracciare vecchie e insipide cicalate. Altro gravissimo incomodo di una conversazione è il favellare, o, dirò meglio, il gridare di molti insieme. Si assordano le persone, non s' intende nulla, o si afferrano malamente le idee. Quando non c' è verso di ottenere che i battoloni e gli interruttori lascino agio ai più discreti di aprir bocca, meglio è tacersi fino a che i loro polmoni non abbian più fiato. È bene astenersi anche dall'allegrezza troppo rumorosa: e se ne guardino le donne, più ancora che gli uomini; giacchè se riesce amabile il loro dolce sorriso, lo sghignazzare sguaiato sganghera sconciamente la bocca e deforma anche il volto più bello e più aggraziato. Gli estremi sono sempre viziosi; è sentenza che non fallisce: e quindi spiacciono in società quei sornioni che non dicono mai una parola; perchè, oltre al commettere la mancanza di frodare del loro contributo la conversazione, la quale è come un desinare, una merenda, dove ciascuno paga il suo scotto, danno materia al sospetto ch' essi, con occhi di lince e non certo benevole intenzioni, stieno spiando ogni parola, ogni atto, la più lieve scappatella per farne soggetto d' ingiuste o troppo severe critiche. E le più volte il sospetto è fondato. Infatti un celebre matematico francese che aveva codesta cattiva abitudine di ascoltare e guardare, senza aprire mai bocca, interrogato del perchè rimanesse così muto, rispose: « Sto osservando la vanità degli uomini per ferirla all' occasione. » - Tante grazie! Se non avete altro movente per condurvi in società, potete restare a casa vostra. » Anche l' irritabilità e la ruvidezza sono due brutte magagne che guastano facilmente la festività dei sociali convegni. L' uomo irritabile s' inalbera per un nonnulla; vede un'offesa nella più piccola negligenza, forse in un titolo involontariamente dimenticato; quindi cipiglio, contegno freddo, ira mal celata, e l' allegria della conversazione sparisce. Il ruvido poi non fa buon viso a nessuno, e volontieri dice di no ad ogni cosa; non sa grado nè di onore nè di cortesie che gli si facciano; ricusa ogni proferta; non si piace nè dei motti nè delle piacevolezze.... Quanti difetti! quante pecche! quante occasioni di sdrucciolare in atti d' inciviltà e di mala creanza! Figliuoli e figliuole mie, badate di camminare, come si dice, con piede di piombo: tesoreggiate de' miei suggerimenti, richiamate spesso alla memoria gli esempi coi quali ho creduto bene di avvalorarli, se desiderate essere posti nel novero delle persone costumate e gentili. Ed ora mi piace soggiungere qualche parola sul contegno della padrona di casa; e però questa conclusione è dedicata alla parte femminile del mio buon uditorio. La padrona di casa è l' anima, il brio, la guida della conversazione, la quale, senza una donna di garbo, non mi sembra nemmeno possibile. Se ella ha le doti necessarie per adempiere al proprio ufficio, la vedete piena di affabilità e di grazia rispondere ai saluti, alle domande di tutti e, direi quasi, moltiplicarsi. Non vi sfugge uno sguardo che essa nol vegga; non formate un desiderio che non l' indovini ; non proferite parola che non ascolti; non v'ha persona ch' ella dimentichi. Se scorge rannicchiato in un angolo un giovine che per timidezza sta muto, essa gli volge con sorriso di confidenza una domanda, e così gli fa rompere il ghiaccio e lo incoraggia a prendere parte ai ragionamenti degli altri. Se avvedesi che il discorso di alcuno comincia ad annoiar la brigata, gli scambia destramente il soggetto. Il vostro avversario vi stringe e v' incalza con tali argomenti che siete lì lì per soccombere ? ed ella, per risparmiarvi l' umiliazione della sconfitta, corre in vostro aiuto con una celia che muta faccia alle cose. Vi sfuggì di bocca una parola che alcuno potrebbe pigliare in sinistro senso? ed eccola farsi innanzi a spiegare dirittamente la vostra intenzione. Cadeste per inavvertenza in uno sbaglio che può riuscirvi di danno? la sua presenza di spirito vi cava ben tosto d' imbarazzo. Voi non ardite aprire una lettera urgente che vi è ricapitata in conversazione ? Ella ne chiede per voi agli astanti il permesso. Volete uscire, e non osate ? Ella vi rimprovera la soverchia delicatezza che vorrebbe indurvi a trascurare i vostri affari per riguardo a lei e agli amici. Insomma, senza pretendere di dominare sulla conversazione, sa dirigerla in modo che vi regnano sempre il buon accordo, la cortesia, la gaiezza, l'amenità. Ella si guarda bene dal mostrare predilezioni o preferenze: ma se voi avete fatta una bella azione che la vostra modestia non vi consente di rivelare, la gentile signora, che la conosce con isquisita delicatezza, in piena conversazione rende il meritato omaggio di lode al vostro cuor generoso....! Ed eccovi abbozzato con rapidi tocchi il tipo di una brava ed amabile padrona di casa.

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Intanto abbiate per fermo essere grave inciviltà l'accendere pipa o sigaro in una vettura, in un vagone, in una sala comune, senza prima domandarne il permesso almeno alle signore. All' udito, invece, riesce molesto e fastidioso il dirugginare i denti, lo zufolare, lo stropicciare pietre aspre, il fregar ferro, il graffiar vetri, cose queste ultime che destano il ribrezzo d' una lima stridente. Nessuno ha l' obbligo d'essere un canarino: ma chi sgraziatamente ha voce discorde e stonata e non ombra di abilità musicale senta compassione degli altri e non si faccia «Lacerator di ben costrutti orecchi.» Valga l'osservazione anche per quelli che nei caffè, nei convegni gridano a squarciagola con gran disturbo di chi ragiona tranquillamente e di chi è intento alla lettura dei giornali. Vi sono taluni che, tossendo o sternutando o purgandosi il naso, fanno uno strepito che assorda ; e altri che, non usando in ciò alcuna diligenza, spruzzano il viso ai circostanti. Non è mestieri che io raccomandi ai miei ascoltatori e alle mie ascoltatrici di guardarsi da questi atti in urbani. Al senso del gusto o al palato si può recar molestia, tanto per allegar qualche esempio, col goffo e grossolano scherzo di mettere alcun che di sgradevole, poniamo, in una bevanda, per poi sghignazzare sguaiatamente a spese di colui che resta colla bocca attossicata; e, in altro modo col voler costringere una persona, sia pur amico, ad assaggiare vino ammuffato, inacetito e peggio, o vivanda immangiabile per ostico sapore o nauseante condimento. Moltissimi sono gli atti inurbani che offendono il tatto. Lasciando stare gli usi plebei dei facchini e dei monelli da piazza di fare materia di scherzo e di giuoco le ceffate, i pugni, i calci, l'afferrarsi pei capegli, il pigliarsi a sassate, con gran consolazione dei presenti e dei passanti, vi hanno anche nelle classi più educate certuni che per riuscire seccanti e incivili valgono tant'oro. Ti picchiano sulle spalle per ricordarti una cosa; ti prendono pei bottoni dell'abito onde tu non abbia a sfuggire dalle loro ugne; passeggiando s' appoggiano di peso al tuo braccio e gli danno strappate da lasciartelo indolenzito; in compagnia credono porgere bel saggio di spirito con un buffetto sul naso a questo, col dare il gambetto a quello, coll'accostare alla mano del vicino la estremità del sigaro acceso..... Non dirò nulla di que' scioperati (e non basta qualificarli con tale epiteto) che d' improvviso levano di sotto via lo scranno a chi sta per sedere, con manifesto pericolo di vederlo stramazzare supino al suolo. Codeste non sono burle, sono attentati alla salute e alla vita delle persone, e i loro autori vorrebbero essere esclusi da ogni onesta brigata. Nelle occasioni di grande concorso poi, quando, in mezzo alla folla costretta all' immobilità, tra migliaia di persone stivate non cadrebbe un granellino di miglio, fa propriamente dispetto la villania di coloro che, armeggiando di mani, di gomiti, di petto, di gambe, vogliono a forza cacciarsi innanzi agli altri per veder meglio e smentire l'antico proverbio. « Chi tardi arriva male alloggia,» credendo rimediare agli urti violenti, alle ammaccature delle vostre spalle, de' vostri piedi, di tutto il corpo, con una scusa biasciata in italiano od in francese. E trovasi anche tale che, sbadigliando, urla o ragghia come un asino; e tale che con la bocca aperta vuol pur dire e seguitare il suo ragionamento, e manda fuori quella voce o piuttosto quel rumore che fa il muto quando si sforza di favellare: le quali sconcie maniere si voglion fuggire come sgradevoli alla vista e all' udito. E dato pure che lo sbadiglio non venga accompagnato nè dal raglio asinesco nè dal mugolo di cui sopra, il giovinetto costumato farà molto bene ad astenersene per varii motivi. Anzitutto perchè non sembri gli venga a noia la brigata e gli rincrescano i discorsi e i modi delle persone che la compongono; poi perchè, quando uno sbadiglia, quasi tutti gli altri, come vi sarà occorso di notare più volte, sentono il bisogno di fare lo stesso e quindi il primo è come la causa indiretta di questo sonnacchioso e generale contagio dello sbadiglio. Il suggerimento vale pei maschi, come per le femmine: ma con voi, buone fanciulle, mi corre anche qui, come in molti punti, l'obbligo di rincarar sulla dose per la ragione che certe cose spiacenti e meritevoli di censura nell'uomo, lo sono in grado superlativo nella donna. Non è egli vero che il vostro sesso è qualificato coll'epiteto di gentile? Ebbene, dee mostrarsene degno. Mi mancherebbe forse prima il tempo che la materia se io volessi enumerarvi ad uno ad uno gli atti che offendono i sensi; ma, dopo il saggio che vi ho posto sotto gli occhi, dopo i varii e speciali esempi che ho recato, sono persuaso che avrete una norma bastante per discernere quanto la civiltà permette da quanto riprova e condanna su questo proposito. Quindi io non vi toccherò nè di rutti nè di altre peggiori indecenze che, solo a intenderle accennare, destano un senso di schifo e di ribrezzo; mi arresterò invece su certe abitudini più comuni, su certe azioni che peccano d' inciviltà e qualche volta anche di egoismo, e che vediamo commesse con troppa frequenza più per sbadataggine che per maligna intenzione. Noi le porremo sotto una sola rubrica denominandole

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E a questo proposito abbiate la massima, o giovinetti, di restarvene silenziosi quando il ragionamento prende una piega, sia pur leggera e quasi insensibile, di maldiceaza a carico di un assente; è così non vi accadrà mai di macchiarvi le labbra con qualche parola che poi non vorreste aver detto. Qui mi accade in acconcio un'osservazione. I vostri genitori, i vostri educatori vi avranno ripetutamente inculcato di guardarvi dalla menzogna, d'essere sempre schietti e veritieri. Ma questo sacro dovere di amare la verità è più negativo che positivo: prescrive di non dir mai cosa falsa, e di non dir tutto quello che è vero; anzi vi hanno verità che la religione, la morale, l'educazione in determinate circostanze impongono di tacere. Non date retta adunque a certi battoloni che si vantano, come di una gran virtù, di avere il cuore sulla lingua, di spiattellare senza nessun riguardo tutto quello che tengono per vero. Rispondete loro che bisogna invece avere la lingua sul cuore; che il giovane sopratutto dee stare ugualmente lontano dalla bassa piacenteria come della verità gratuitamente offensiva ; e chiudete la bocca a codesti ciarloni con quel noto e sapiente proverbio arabo: « La parola è d'argento, ma il silenzio è d'oro.» Torniamo al nostro soggetto. Taluno, viaggiando in vettura comune, si lascia cadere addormentato, e forse russante e bavoso, sulle spalle del vicino, recandogli non piccolo incomodo. Altri, giunto alla locanda, occupa la stanza migliore senza curarsi nè punto nè poco dei compagni, uomini e donne; e, non contento di ciò, li obbliga ad anticipare o ritardare il pranzo, la cena, la partenza, secondo la sua volontà. E questo è proprio il caso in cui al difetto di pulitezza va unita una buona dose d'egoismo. Quell'uomo non ha a cuore che sè stesso; gli altri per lui sono zero. Inurbano e peggio è pure colui che spinge il suo cocchio a precipizio in luogo frequentato, destando un senso di apprensione e di paura, e con pericolo di urtare i passanti, di rovesciare a terra e schiacciare qualche fanciullo o vecchio o ratratto indugiatosi in mezzo alla via. Nè lo è meno il cavaliere che, a dar saggio d'ippica destrezza, piacesi di far caracollare e corvettare e impennare il suo palafreno, minacciando quasi d'invadere lo spazio riserbato ai pedoni e mettendo questi nella necessità d' incollarsi al muro come tanti bassirilievi. Che qualche cervellino sbocciato fra l' aristocrazia del blasone o della banca creda onorare il volgo pedestre sfiorandone le spalle col freno spumante o ventandogli sulla faccia la mobile coda del generoso animale ? Inurbano, sebbene, in grado minore, lo spensierato che, agitando in un pubblico passeggio mazza o canna, e facendo il mulinello come fosse alla scuola del bastone, costringe tutti a scostarsi da lui per non assaggiare i colpi dell'incivile e importuno schermitore. Inurbani gli sfaccendati chiaccheroni che fanno crocchio nel bel mezzo del marciapiede, obbligando la gente a scendere sull' acciottolato polveroso o per recente pioggia tutto fanghiglia e pozzanghere. Questi legge ad alta voce un affisso disturbando gli altri soffermatisi nel medesimo scopo: quello, camminando con fare da balordo, pone villanamente il piede sul lungo strascico d'una signora e forse le strappa un lembo della veste. Più ne allego di questi esempi diversi d'inurbanità, e e più me ne ricorrono alla mente e mi fanno ressa e quasi a mia insaputa mi cadono giù dalla penna Non v' è mai occorso, o giovinetti, di vedere uno di quei terribili seccatori che tengono inchiodato sulla via un galantuomo il quale ha bisogno di studiare il passo per giungere in tempo ad un convegno, a una adunanza, a un invito ? Anche di questa specie d'importuni non è penuria. V' ha poi la categoria di coloro che in una ricreazione fatta a spese comuni, in una festa da ballo di società, vogliono padroneggiare, dar ordini, disposizioni, ingiungendo al capo d'orchestra di suonare vals, polke, quadriglie, galope, ai camerieri di servire dolci e rinfreschi, sempre a loro capriccio, senza mai domandare in proposito il parere degli altri. E che dire di quegli incivili che si piantano davanti ad un cammino e, volgendosi le spalle e allargando le gambe, ne occupano un buon terzo ? E di quei goffi che in elegante giardino, compiacenza e delizia del padrone, calpestano margini erbosi, le aiuole, colgono i fiori più vaghi e più olezzanti, e non hanno tampoco il gentile pensiero di offrirli alle signore? E di chi tra le varie proposte messe innanzi per una scampagnata, per un sollazzo, vuole ad ogni costo far prevalere la sua ? Ma v' è chi pecca gravemente d' inciviltà in molte altre maniere. Tali sono quei vicini di casa che spiano ogni vostro passo, ogni andamento della vostra famiglia. Suona un campanello ? Ed ecco una figura, probabilmente femminile, che apre in fretta l'uscio del suo appartamento per sapere chi viene da voi. S' ode una voce sconosciuta? E tosto due occhi, quando non sono di più, si mettono a guardare dagli spiragli di una gelosia socchiusa, da una tendina sollevata; e due orecchie stanno tese con grande curiosità per raccogliere le parole. Nè manca lo sfacciato, e più spesso la sfacciata, che si pone ad origliare all' uscio del vicino, lanciando di volo un'occhiata pel buco della chiave. V' ha di peggio: in certe case di molti pigionali, ove abbonda l'elemento femminile, al minimo rumore d'un diverbio che venga dalla scala, è un' apparizione di donne su tutti i pianerottoli dal primo all'ultimo, e uno stare in ascolto, un domandare, un ammicare degli occhi, un linguaggio di gesti significativi Ragazze mie, in qualsivoglia classe vi abbia fatto nascere la provvidenza, guardatevi bene da simili curiosità, da ogni sorta di cicalecci e di pettegolezzi; insomma, non vogliate ficcare mai nè occhi, nè orecchi, nè lingua nei fatti altrui. Altri invece peccano per sudiciume e per difetto d' ogni riguardo. Non solo non si danno briga di tener netta la scala, ma permettono che la fantesca ammucchi le scopature in un angolo del pianerottolo in aspettativa dello spazzaturaio ; che dai colmi secchielli spande acqua sugli scalini e sul pavimento, anche d'inverno, con incomodo insieme e pericolo di chi sale e di chi discende; che i male educati figliuoli si prendano il gusto di scombiccherare le pareti con figuracce, con scritte insulse o ingiuriose, e, non paghi dei necessari trastulli e delle oneste ricreazioni della loro età, facciano un baccano da casa del diavolo, quand' anche vi abbia un ammalato pel quale sia fatta in proposito raccomandazione e preghiera.. Non dico nulla di coloro che importunano e spaventano il vicinato, anche di notte, con grida incondite, con bagordi, con villani litigi; nè di quegli altri che, senza nemmeno avvertirvene, nelle prime ore del mattino turbano i vostri sonni coi lavori del falegname, del ferrajo, del conciatetti, del muratore. Passiamo a diversa categoria. Chi siede in un pubblico ufficio, sia erariale o commerciale, ha obbligo di prestarsi colla maggior sollecitudine a vantaggio de'suoi concittadini di qualsivoglia condizione. Mancano adunque insieme ai più elementari principii di urbanità e di carità quegli impiegati che tengono per ore ed ore, il povero operaio, l' inesperto popolano in aspettazione d'una risposta ; che mostrano fastidio delle loro domande non abbastanza chiare e precise; che ne respingono con brutale impazienza le petizioni per il difetto di qualche breve formalità che quei rozzi agenti dello stato o del comune o di istituti di beneficenza non si curano tampoco di suggerire. Se poi taluno di costoro, i quali dimenticano di essere pagati allo scopo di servire il pubblico e con ispeciale premura la classe meno istruita e più bisognevole d'indirizzo e d' aiuto, smarrisse le carte o le lasciasse dormire polverose negli scaffali, allora la negligenza tramuterebbesi in colpa, e colui violerebbe non più le leggi del galateo, ma le ragioni della giustizia e dell'umanità. Potrei seguitare Dio sa quanto, e mi si offrirebbero sempre nuovi esempi di mala creanza e d'inciviltà. Però il fin qui detto intorno agli atti inurbani e molesti ai sensi, alla memoria, agli altrui desiderii, può essere sufficente. Anzi, a voi, giovinetti, non occorrerà di mettere così tosto in pratica tutti gli insegnamenti che scaturiscono dalla lunga serie degli esempi recati. Voi li terrete in serbo per l' avvenire, e non dubitate che la mia lezione saldamente impressa nella memoria, vi tornerà un giorno utile e fruttuosa. È finito il mio còmpito ? No davvero. Voi stessi vi sarete avveduti che io vi ho testè fatta una estesa enumerazione di atti riprovevoli da cui deve astenersi ogni persona educata. Ma ciò non basta, ciò non costituisce che la parte negativa del galateo ; dobbiamo adunque accennare la parte sua positiva, consistente in quegli atti, in quelle gentili costumanze che tra le nazioni incivilite hanno ormai forza di legge. Noi ne faremo soggetto di discorso e di studio quando l'argomento ci condurrà a toccare delle singole circostanze in cui l' uomo e la donna ponno trovarsi in società. Per ora accontentiamoci di un brevissimo saggio. L'uomo pulito è il primo a scendere di cocchio e l'ultimo a salirvi, per agevolare agli altri la salita e la discesa. Esso ha cura sopratutto di aiutare le signore sorreggendole colla mano; e più ancora quando montano in una barca o ne smontano, stantechè il barellare del navicello rende il piede mal fermo, e la persona può facilmente perdere l'equilibrio. In una gita di piacere per monte o collina vuolsi offrir loro il braccio, sollevarle dall'incomodo dello sciallo, del cappellino, ripararle dal sole, sostenerle dove occorra un passo angusto e difficile, e compiacere al loro desiderio di calare giù per un dirupo a cogliere fiori o frutti silvestri, a bevere nel cavo della mano l'acqua limpida e fresca di una sorgente. Viaggiando in una di quelle vetture che, forse per celia e per ironia, si chiamano velociferi e, dopo l'invenzione delle ferrovie, servono quasi esclusivamente alle comunicazioni tra la città e il contado, ciascuno ha il diritto di occupare quel posto che gli è assegnato secondo l'ordine dell'iscrizione ; ma la civiltà domanda anche qui delicati riguardi, e il giovinetto prima di ogni altro dee mostrarsi gentile e cedere il posto alla signora cui ne fosse toccato uno meno cocomodo. Siccome poi vi hanno taluni che, seduti col dorso rivolto ai cavalli, non ponno reggere al moto della carrozza e soffrono di capogiro, di nausea o d'altro malore, sarebbe non solo mancanza di cortesia, ma crudeltà il non toglierli da questo travaglio. Mentre io rivolgeva a' miei giovinetti gli opportuni suggerimenti sul modo di comportarsi col sesso gentile, ho notato che la schiera delle fanciulle sorrideva di compiacenza. Certo alla donna sono dovuti speciali riguardi, ma essa pure deve meritarli e corrispondere con garbatezza, con una schietta parola di ringraziamento, con quell' ingenuo sorriso che è più eloquente della parola ; il tutto però senza affettazioni nè leziosaggini, chè di queste non vogliamo saperne. L'uomo pulito, passeggiando con più persone, lascia ad altri il posto di mezzo, come quello in cui è più facile udire e farsi udire, e non dimentica mai che la destra, per vecchia consuetudine, è posto d'onore e quindi vuolsi riserbare o cedere alle signore ed ai superiori. Giunto all'estremità del passeggio, si volge in modo da presentare non le spalle ma il viso alla persona con cui si favella. Chiesto da un forestiero di una via, di una piazza, di una locanda, non gli è grave indugiarsi un poco e con bella creanza fornirgli le indicazioni di cui abbisogna, accompagnandolo anche un breve tratto onde indirizzarlo, senza pericolo di errare, alla sua meta. Il commerciante che, oltre alla buona merce, avrà belle maniere, vedrà di giorno in giorno crescere le sue pratiche e fiorire sempre più gli interessi del suo negozio: l'avvocato, l'ingegnere e chiunque eserciti una professione liberale, colla pulitezza dei modi si acquisterà una numerosa clientela; e, a questo proposito, mi ricordo di aver inteso da parecchie signore come preferissero pagare un po' di più la stessa mercanzia in una bottega dove padroni e fattorini vi accolgono con gentile premura, che in un'altra da cui vi respingono, al solo vederle, facce burbere e modi ruvidi e bruschi. Insomma, vuoi nella fanciullezza o nella gioventù, nella virilità o nella vecchiaia, l'uomo, qual che ne sia la condizione, non deve mai somigliare nè all'istrice nè al pugnitopo.

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Nè avete a mangiare con troppa fretta, perchè ciò dinota avidità e fa anche male allo stomaco; nè troppo lentamente, per non recar noia agli altri, i quali, per pulitezza, dovranno attendere che abbiate finito il vostro tagliuolo prima di distribuire altra vivanda. Non rimpinzate la bocca di troppo cibo: e se mai inavvertitamente vi accade di farlo, guardatevi bene dal parlare a bocca piena, per non disgustare chi vi guarda e chi vi ascolta. È inciviltà, anche in casa propria, pigliare il sale o il pepe colle dita: quel pizzico che vi ùoccorre prendetelo col piccolo cucchiaino adatto a tal uso; e se in tavola non ci fosse, colla punta del vostro coltello, dopo di averlo ben ripulito. Nè metterete il naso sul bicchiere o sul piattello d'altri o vostro per fiutare; nè terrete il viso inchiodato sulla vivanda senza mai levarlo; e parimente avrete cura di non lordare le mani, la tovaglia, il tovagliolo, come fanno alcuni, i quali con questo non si vergognano di asciugare il sudore e di nettarsi il naso. Non toccate vivanda che col coltello o colla forchetta. Non prendete bocconi troppo grossi che gonfino le gote e deformino il volto; nè sorbite brodo o vino in modo che ne senta il gorgoglio; nè divorate, come suol dirsi, a quattro ganasce, con pericolo anche di offrir l'apparenza d' uomo che affoghi e di dover buttar fuori gli occhi dall' orbita pel soverchio cibo accumulato nell'esofago: cose tutte indegne di persona educata e che destano schifo e ribrezzo, Non dite mai nulla intorno alla qualità dei cibi, se sieno buoni o cattivi o mal preparati, eccetto che dal padrone foste richiesti del vostro parere; nel qual caso avrete sempre a rispondere in modo che gli sia gradevole. Se vi accadesse di trovar nelle vivande qualche sporcizia, come capelli o carboncini, traeteli fuori con tanta destrezza che nessuno abbia ad avvedersene, e non come in atto di mostrarli ai vicini. Non dovrete gittar per terra cosa alcuna, nè ossi, nè gusci d'uova, nè scorze di frutta, ma riporrete tutto quello che non si mangia sulla estremità del vostro tondo. Niente v'ha di più disgustoso che il vedere una persona, la quale, mangiando, si lorda le mani, che tocca la vivanda o la salsa colle dita, e poi se le accosta alla bocca per leccarle. Schivate adunque tutte queste cose che sono disdicevoli al sommo; e badate altresì che non vi si vegga colle labbra unte e bisunte, ma abbiate cura di asciugarle e pulirle di spesso, anzi ogni volta che ciò vi parrà conveniente, non che necessario. Non bevete mai colla bocca piena e senza averla prima pulita, ciò che pur farete subito dopo bevuto; nè riempite il vostro bicchiere in guisa che vi sia pericolo di spanderne il vino. Non bisogna bere nè troppo adagio nè troppo in fretta, nè sorseggiando, nè facendo colle labbra uno strepito simile a quello dei bambini che poppano. E, mentre bevete, non girate gli occhi di qua e di là sopra le vivande e molto meno sopra i commensali, ma tenete fisso lo sguardo sul vostro bicchiere. Se siete invitati a bere alla salute di alcuno, a fare un brindisi, toccando vicedevolmente le tazze, conformatevi alla costumanza, facendo prontamente e lietamente quel che fanno gli altri. Sarebbe inurbanità e grettezza il restar muto, immobile, in mezzo a questo slancio generale di allegria, tanto più se oggetto del brindisi è il padrone o la padrona che vi ha gentilmente convitato; ed io vi ho ripetuto più d'una volta che la vera pulitezza consiste nel far ciò che torna gradito agli altri. Durante il pranzo, non guardate mai, neppur colla coda dell'occhio, ciò che il vostro vicino ha sul piattello, quasi per sapere se egli fu meglio servito di voi. Nè dovrete manifestare il vostro desiderio di aver piuttosto quel pezzo che l'altro della vivanda, salvo il caso che ne foste richiesti, e che la vostra età e la gran dimestichezza coi padroni non vi dessero la permissione di rispondere in conformità al vostro gusto particolare. Ma ricordatevi di non ricever mai nulla da chicchessia senza ringraziarlo, inchinandovi, più o meno, secondo il grado della persona, col capo. Ponete poi la massima cura nel tagliar la vivanda sul vostro piattello, per non imbrattare il vicino o voi medesimi colla salsa o con qualche pezzetto di cibo o con altro. Ma in un convito non basta guardarsi dagli atti incivili: fa d'uopo essere disinvolti; mostrare educazione finita, gentilezza, buon umore; prevenire i bisogni dei nostri vicini, e maggiormente se sono signore; offrire e versare acqua, vino; accostar la saliera, sporgere un piatto; rispondere prontamente alle domande, farne alcuna, condire il discorso con qualche opportuna celia ; insomma comportarsi in guisa che la nostra compagnia riesca piacevole e ai commensali vicini e a tutti gli altri. L'ultima cosa che vi raccomando su questo soggetto della maniera di starvene a tavola è la sobrietà, cioè di non mangiare nè bere fuor di misura, a segno di dar nell' occhio ai convitati e risentirne incomodo. La natura, che ha bisogno di rinfrancarsi col cibo, mise in noi un sentimento di soddisfazione nell' atto di mangiare, anche per stimolarci a non trascurare questo bisogno essenziale dell'esistenza; ma insieme ne avvisa colle malattie prodotte dall'intemperanza, cioè dall' eccesso del mangiare e del bere, che noi dobbiamo essere sobrii. Vi ho testè spiegato il senso della parola sobrietà. Le indigestioni pel troppo mangiare portano gravissimi incomodi al nostro corpo, e, causa le relazioni che passano tra il fisico e il morale, anche lo spirito si trova in uno stato di abbattimento e di prostrazione. Dunque, regola generale: comandare alla gola e non lasciarsi vincere dalla tentazione di odorose leccorníe e di squisite delicature. Vi raccomando altresì di non bere oltre il bisogno. Già conoscerete il proverbio che dice: « Il vino è il latte dei vecchi e il veleno dei giovani. » Vino e liquori in troppa quantità mettono il fuoco nel corpo, infiacchiscono l'animo. ùChi nell'età giovanile ne abusa, coll'andare degli anni si fa beone, e diventa per lui un'abitudine quel turpe vizio dell' ubbriachezza, in cui l'uomo affoga la facoltà sublime che lo distingue dal bruto, la ragione. Guardatelo: non ha peranco varcata la virilità, ed è già rotto di salute, ottuso di mente, paralitico. Osservate invece quell'altro che conta più anni di lui, ma ebbe sempre a regola indefettibile la sobrietà; esso gode di verde vecchiezza, robusto di corpo, sereno di spirito, contento di sè, utile e caro ai concittadini, agli amici. La maggiore difficoltà nel resistere alle tentazioni della gola voi la incontrerete in un pranzo d' invito, ove tutto abbonda, dove le molte o varie vivande sono condite in maniera da aguzzar l'appetito, o dove la letizia dei commensali, ravvivata dalla eccellenza dei vini, può far dimenticare le abitudini di sobrietà e di temperanza. Ma la vostra moderazione sarà ancor più lodevale al cospetto di tante e così forti attrattive. E poi tenete ben fisso nella memoria che so la nostra ragione qualche volta è facile ed indulgente, la natura non lo è mai: e quando taluni ci dicono: « Oggi ci è permesso di stare allegri oltre il solito », e noi abusiamo di questa, imprudente, o meglio, chimerica permissione, la natura ci castiga con quelle malattie che sono la conseguenza degli abusi. Non fraintendete però i miei consigli, nè tirate le mie parole a un senso falso. Raccomandandovi la sobrietà, non intendo dirvi che in un giorno di comune allegrezza abbiate a camuffarvi da anacoreti, trasformandolo, per quanto è da voi, in un giorno di penitenza e di malinconia. Tale contegno sarebbe in aperta contradizione coi più elementari insegnamenti del galateo. Delle molte cose dette nella precedente lezione alcune sono generali e applicabili a qualsiasi mensa, altre riguardano specialmente i pranzi d'invito. Ma, quantunque sembri ch' io abbia in certo modo posto il suggello a codesta materia colla soluzione intorno alla sobrietà, mi nasce il sospetto di aver lasciata qualche lacuna. E i tanti e diversi atti d' inciviltà che tuttogiorno, colpa in gran parte la trascuranza o la troppa indulgenza dei genitori, si veggono commessi da fanciulli e da giovinetti in buone famiglie, mi persuadono della necessità di soggiungere, a guisa di appendice e come giunta sulla derrata, poche altre avvertenze che valgono per tutti i casi ; alcuna delle quali dirette particolarmente ai più teneri di età fra i miei ascoltatori e a quelli che per la prima volta sentono parlare di siffatti doveri. Ed eccomi all'opera. Rompete sempre il pane colle mani o col coltello, nè mettetene mai alla bocca tal pezzo che abbiate a distaccarlo coi denti. Non istritolate coi denti nè ossi nè nocciuoli, chè ciò fa ribrezzo e ricorda il mangiare dei cani. Non succhiate gli ossi per estrarne il midollo, nè addentateli per istaccarne la poca carne che vi rimane. Ciò s'ha a fare sul proprio tondo, colla forchetta e col coltello. È gran villania anche al desco di famiglia, l'intingere nella saliera un boccone che si vuol condire a proprio gusto. Guardatevi dal mettere il vostro cucchiaio o la forchetta nel piatto comune o d'altri che vi offra parte di vivanda non tocca. Non porgete mai a nessuno ciò che voi avete assaggiato. Non riponete sul piatto comune quello che fu sul vostro. Non lasciate cader d'alto alcun che di bocca, nè sputate fuori acini d'uva succhiati o altro; ma tutto va preso colle dita e posto sul piattello. Se per vostra negligenza o per la qualità delle vivande vi trovate unte le dita, non le pulite colla tovaglia, sibbene col tovagliolo o con mollica di pane, che porrete sul vostro tondo. Fate il possibile per astenervi a tavola da sputare, da tossire e più da starnutire, onde alla mente d'alcuno non si affacci l'idea di qualche spruzzo, giusto il proverbio che «mai vento non fu senz'acqua.» Anche grattarsi il capo a tavola sta male. Che dire poi di que' malcreati che si fregano colle dita o col tovagliolo i denti, e per pulirli adoperano forchetta e coltello? A quest' uopo serve l'apposito stecco: però non vuolsi usarne dinanzi a persona di riguardo, nè tenerlo sempre in bocca a somiglianza d'uccello che faccia il nido. Non porgete mai ad altri quel bicchiere di vino al quale avrete posto la bocca, salvo che egli non fosse con voi più che domestico. E molto meno si deve porgere pera o altro frutto nel quale avrete dato di morso. Abbiate cura a mensa di masticare senza strepito, cosa molto spiacevole ad udire e contraria ad ogni gentil costume. Nè in palese sta bene risciacquarsi la bocca; e la sconcia moda introdotta, or fa qualche anno, alle tavole signorili di portare ad ogni commensale una ciotola d'acqua tiepida a quest'uso è ormai smessa quasi del tutto per generale riprovazione. Non può essere lecito che intingere nell'acqua le estremità delle dita, e con quelle passar sulle labbra. In quanto all'ora opportuna per recarvi alla casa dove siete invitati a pranzo o ad altro qualsiasi convegno, guardatevi bene, o giovinetti, dall'imitare quegli ineducati che si fanno sempre aspettare e sono l' indugio, lo sconcio, il disagio di tutta la compagnia. Rispetto ai discorsi poi, ricordatevi che nè a festa nè a tavola si vogliono raccontare malinconiche istorie, nè far menzione di malattie, di pestilenze, di morti, nè di altra dolorosa materia: anzi, se alcuno fosse sbadatamente caduto in siffatte rammemorazioni, è bene scambiarli per acconcio modo la materia e mettergli per le mani più lieto è più convenevole soggetto. In certe famiglie di città, e più ancora del contado, i padroni, nei calori dell' estate, insisteranno, con una cordialità schietta, sebbene un po' spinta, perchè abbiate a spogliarvi del soprabito innanzi di mettervi a tavola. Io vi consiglio di ringraziarli della premura, ma non di arrendervi mai a cotesto invito. Siffatta libertà, a mio giudizio, è appena permessa tra amici, e soli uomini, in un'osteria di campagna, sotto il bel verde di una pergola o di un frascato. Nè venite a dirmi che anche in città, e non in bettola ma in buone osterie, avete visto persone della classe civile in manica di camicia. Eh, miei cari, in società se ne vedon di crude e di cotte. Vi hanno certuni che all'osteria, in sala comune e presenti signore, non solo si cavano il soprabito, ma si tolgono la cravatta, il panciotto, rimboccando le maniche della camicia fino al gomito, e mostrando le braccia nude e il petto irsuto, come operai che sudano alla fucina o contadini sotto la sferza del sole. E v'hanno altri che non si accontentano di ciò, ma usano del tovagliuolo per quell'indecente ufficio di tergere il sudore del quale abbiamo toccato più sopra, e se ne servono come di pezzuola pel naso e di spazzola per le scarpe polverose e per nettare il bocciolo del sigaro. Vedete che sporcizie! Eppure ne avrei molte ancora da mettervi innanzi, e potrei dirvi come alcuni puliscono le unghie in pubblico collo stecco e commettono altri atti villani e ributtanti a chiunque abbia dramma di educazione. Ma usciamo da questo fango, e il saggio recato basti a persuadervi che della società non hassi a imitare che il buono e l'onesto. Io vi ho ragionato a lungo sul modo di contenersi a mensa, specialmente in casa altrui, e su questo punto il mio cómpito sarebbe finito. Tuttavia, per le ragioni più volte allegate, non credo fuor di proposito dir quattro parole anche intorno ai doveri di quei che convitano; e sarà, come tante altre, una lezioncina da tenere in serbo per l'avvenire. Anzitutto sarebbe mancare ad ogni principio di pulitezza e di convenienza raccogliere alla stessa tavola persone che si veggono di mal occhio, che sono in aspra lite, oppure divise da freschi rancori o da vecchi dissidii. Ciò non è da farsi che nell'idea di suggellare una riconciliazione già preparata, e in questo caso il pensiero meriterebbe le lodi di tutti gli animi onesti e gentili. Nè il riunire al medesimo desco uomini di opinioni politiche diametralmente opposte è senza pericolo: stantechè nelle quistioni che valgono su tali argomenti anche le persone più gravi e più educate si lasciano talvolta trasportare fuori dai confini della calma e dignitosa discussione. Non è conveniente far aspettare troppo tempo i commensali già raccolti per la ragione che ne manchi alcuno. L'incivile in ritardo non dev'essere causa d'incomodo altrui. Voglionsi però eccettuare due casi: l'uno, quando si aspettano forestieri pei quali è dato il pranzo; l' altro, quando un convitato ragguardevole abbia fatto sapere alla padrona il grave motivo del suo involontario ritardo, e questa ne presenti le scuse alla compagnia. Però non è mai lecito oltrepassare i limiti della convenienza e della discrezione, e chi è sorpreso da subito impedimento può con bel garbo scusarsi del suo non intervenire al convitto, senza recar noia e disagio a nessuno. Sarebbe stranezza peccare di parsimonia, ma non potrebbe piacere neanche una sontuosità esagerata a paragone del censo di chi invita. Sfoggiare un lusso principesco con una rendita non corrispondente gli è un mettersi in ridicolo, fare il passo, come suona il motto popolare, più lungo della gamba. Spiacciono poi sommamente certi padroni strani, bizzarri, meticolosi, che non trovano mai nulla fatto a loro modo, e non rifinano di lagnarsi del cuoco, di sgridare fanti e fantesche al cospetto altrui e a mensa, che è luogo di allegria. Tu chiami gli amici a letizia, e invece li rattristi: poichè come gli agrumi che altri mangia alla tua presenza a te pure allegano i denti, così il vedere che altri si adira, turba anche noi. Il padrone dev'essere il primo a mostrarsi di buon umore, a diffonderlo come corrente elettrica nei convitati; e la padrona dee spandere intorno il tesoro delle sue grazie e del suo spirito. Colle sole persone molto famigliari e domestiche, o con inferiori visibilmente troppo timidi può correre il costume di stuzzicarli a mangiare, quando però si faccia con discrezione; chè altrimenti sarebbe una cortesia ben incomoda quella di costringere un galantuomo a rimpinzarsi di cibi contro sua voglia e a buscarsi una buona indigestione. Siffatta insistenza notasi principalmente nella campagna, in quei banchetti per nozze, per messe nuove, per sagre, nei quali la moltiplicità e la quantità enorme delle imbandigioni ricordano i pranzi degli eroi omerici e renderebbero necessarii i loro stomachi di ferro. Per chiusa di questa lunga lezione, volgo una parola speciale a voi, mie buone fanciulle: prestatemi dunque orecchio. Delle tante rac comandazioni, dei tanti suggerimenti, che avete udito testè dalla mia bocca, io sono persuaso che una parte sia quasi superflua per voi giacchè l'istinto della decenza e del pudore che si sviluppa così precocemente nell'animo vostro è come una salvaguardia che vi rattiene dal commettere non pochi atti contrarii alla buona e bella creanza nei quali cadono facilmente i maschi. Ma, per converso e quasi a bilanciar le partite, certe mancanze che con più larga indulgenza si perdonano a questi, non si vogliono vedere nelle fanciulle, e sono con assai maggiore severità giudicate. Qual'è la causa di tale diversità di pesi e di misure ? È forse una ingiustizia del sesso forte contro il più debole? Nemmeno per celia. La ragione è questa: che siccome il sesso gentile ha diritto ad ogni delicato riguardo, così ha pure l' obbligo di serbar sempre il sentimento d'ogni delicatezza e di non fare il minimo atto che anche impercettibilmente offenda la dignità femminile. Eccovene un esempio: dopo un pranzo, spiace il vedere un giovinetto che, avendo ascoltato più i consigli della gola che quelli della moderazione, si sente aggravato il ventricolo, non dice parola, o pallido e sofferente si lascia cadere sur una seggiola, se pur non gli avviene di peggio...; ma quanto non dispiace di più una fanciulla che si trovi in simile stato! Lo lascio dire a voi stesse, mie care. Un ragazzo che in un dì di festa e d'allegria si mostri un tantino brillo potrà venire scusato pel caso eccezionale, per non essere abituato a vini generosi, e spandere anche il buon umore nella brigata. Ma d'una fanciulla io non vorrei che in nessuna circostanza si possa dire: « Ha bevuto un po' troppo, il vino le ha fatto male. » Anzi il mio consiglio sarebbe di non bere che acqua pura o vino corretto. Dunque, mie buone ascoltatrici, imprimete nella memoria quegli insegnamenti che fanno per voi come pei maschi, e tenete conto di queste ultime osservazioni che in modo particolare vi riguardano.

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E però abbiate cura di essere delicati in questo proposito, di non avviare il discorso unicamente su quella materia che voi conoscete meglio, e di cui forse gli altri non capiscono un ette, ma anzi fate in modo che a ciascheduno si offra l'opportunità di prendere la parola su quel soggetto che ha più alla mano. In generale è bene che gli argomenti siano adatti all' intelligenza del maggior numero. In presenza altrui, guardatevi dal censurare o rimproverare o correggere alcuno, sia pure un compagno od anche un fratello, perchè ciò ferisce troppo vivamente il nostro amor proprio. Potrete farlo invece amorevolmente e a quattr'occhi, e la vostra ammonizione non sarà senza frutto. Giungendo in mezzo ad una conversazione dov'è incamminato un discorso, non domandate di che si parli. Ma se all'incontro, mentre voi parlate, sopravviene una persona di riguardo, abbiate la gentilezza di riassumere in poche parole quanto avete già detto, quindi riattaccate il filo del vostro discorso. Non fate mai ripetere alla persona che parla con voi quello che ha già esposto. « Io non capisco. - Che avete detto? - Era distratto non ho inteso. » Questi e consimili modi non sono da giovinetti bene educati. E nemmeno pigliate in disparte qualcheduno, come in aria di confidargli un segreto, mentre le persone radunate in crocchio s'intrattengono a ragionare. Ciò disgusta gli astanti ed eccita indiscretamente la curiosità altrui. Così pure, favellando col vostro vicino, badate di non mostrare col dito le persone, e non fate movimenti sconvenevoli, nè schiamazzate ridendo fuori di modo e fuori di tempo. Raccontando un fatto o un aneddoto, non nominate mai la persona da cui lo sapeste, se avete il menomo dubbio di recarle dispiacere. La discrezione è una delle prime doti di cui vuol essere adorno l' uomo che frequenta la società. Altrimenti chi si arrischierebbe a confidarvi un segreto, nella persuasione o nel dubbio che voi andiate tosto a strombazzarlo ai quattro venti, palesando anche il nome di chi ve l'ha confidato? Se alcuno, in vostra presenza, scappa a dire o a fare cosa che non stia bene, accorgendosi che la fu una sbadataggine e ch'egli stesso ne è già pentito, voi dovete starvene in silenzio, fingendo di non avervi fatto attenzione, e non rinfacciargli quella parola o quell'atto, ciò che sarebbe non solo contro la civiltà, ma eziandio contro la carità. Se poi bisbiglia qualche scusa, cercate d' interpretar tutto per il meglio, onde in certo modo scusare lui stesso a' suoi occhi medesimi. Spiace a tutti l'uomo che mena vanto della sua nobiltà, delle sue ricchezze, de' suoi onori, delle opere sue. Meglio è sottrarre alcuna cosa ai proprii meriti. Guardatevi adunque dal gloriarvi e dal fare il vostro elogio; ciò riesce intollerabile a quelli che vi ascoltano, i quali argomentano subito che voi vogliate essere da più di loro. Se alcuno vi loda, non mostrate di rallegrarvene soverchiamente, ma con modestia cercate di persuaderlo che la sua benevolenza ingrandisce agli occhi di lui il poco vostro merito, oppure ingegnatevi a troncare destramente il discorso ed è questo uno dei rari casi in cui il troncarlo con garbo in bocca altrui non può essere giudicata azione incivile. Se mai sentite a lodare qualcuno che non sia presente, non vogliate scemar quelle lodi, altrimenti vi acquistereste la bruttissima taccia d'invidiosi. Se, all' incontro, sentite censurare o biasimare ingiustamente una persona della quale conoscete l'onesto carattere e le pregevoli doti, pigliatene pur le difese e rendetegli quella giustizia che merita, senza però prorompere in parole d'oltraggio contro chi introdusse il discorso, e sforzandovi di convincerlo con sodi argomenti ch' esso fu tratto in inganno o da un equivoco, o dalle false dicerie di qualche malevolo. Talvolta noi siamo obbligati per civiltà a soffrire nelle conversazioni i difetti altrui; e fin qui tutto si riduce a una scambievole indulgenza, giacchè anche gli altri sopportano i nostri. Ma il peggio si è che non di rado ci troviamo costretti, per non parere istrici od orsi, a dire cose gentili a chi forse non le merita. Non c' è scampo, bisogna rassegnarci e fare di necessità virtù guardandosi però dallo sdrucciolare nell'abbietta adulazione. E a questo proposito calza molto bene un avvertimento di monsignor Della Casa, il quale dice che gli uomini in genere « devonsi piuttosto pesare colla stadera del mugnaio che con la bilancia dell'orafo...... e accettarli non per quello che essi vagliono, ma, come si fa delle monete, per quello che corrono. Codesto argomento ha pure affinità colle espressioni di cerimonia, cioè colle parole che racchiudono un vano significato di onore e di riverenza. Infatti si dice e si scrive: Illustrissimo signor tale. Distintissimo signor cotale, a persone tutt'altro che illustri e distinte; e ci protestiamo devotissimi servitori a certuni che noi, osserva il Della Casa, vorremmo piuttosto disservire che servire. Queste espressioni adunque sarebbero vere menzogne, se non avessero perduto la loro forza e guasta, siccome il ferro, la tempera primitiva. Quindi si dà loro quel peso e quel valore che meritano. Non potendo mutare l' antica usanza, siamo costretti a secondarla: ma ciò vuolsi fare con discrezione e con misura, non seguendo il brutto vezzo di coloro che a persone di nessun conto profondono e a voce e in iscritto i più altisonanti e ampollosi superlativi. Il primo nostro poeta satirico, il Giusti, aveva una istintiva antipatia pel chiarissimo, e in un sua lettera lo pone lepidamente in ridicolo. Non vogliate imitare le persone che guardano troppo pel sottile ai complimenti, ai saluti, ai titoli, alle visite, e con questo modo vengono a noia a tutti. E neppur quelle che si proferiscono sempre disposte a farvi piacere e che poi al bisogno non sanno rendervi il più piccolo servigio. Benchè ormai si sappia dall' universale che codeste offerte non sono che complimenti e formole d'uso, si hanno ugualmente a sfuggire, non essendo, in fin dei conti, che falsità. E in vero come prestar fede alle dichiarazioni di stima, di riverenza, d'affetto di chi le ha sempre sulle labbra e le usa indistintamente con tutti? « Ella è mio padrone. - Io sono interamente a' suoi ordini. - O qual fortuna è la mia di godere della sua amicizia! - Oh quanto sarei felice se mi fosse dato di poter servirla in qualche cosa! - Ella è veramente una degna persona. - Mi comandi con ogni libertà. - Io non valgo a niente, ma sono tutto cosa sua.... » E mille altre esagerazioni e menzogne di questa specie. Il galantuomo non si proferisce per un servizio che coll'intenzione e, dirò anche, colla possibilità di renderlo davvero.

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