Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Contessa Lara (Evelina Cattermole)

219899
Storie d'amore e di dolore 1 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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— pregò, tendendo in alto le braccia, mezzo strozzata dalla violenza dell'emozione; poi raccomandò all'infermiere, che già saliva la scala: - Abbiate compassione! Guardatemelo voi, per l'anima dei vostri morti! — e fuggì barcollando, senza voltarsi. Lo spedale di San Francesco de' Poverelli sorgeva in un punto lontanissimo da quel palazzo de' quartieri nuovi, dove Lucia era portinaia. Ci volevan tre buoni quarti d'ora per farsi trascinare fin là in carrozza, e poco men che due ore per andarci a piedi, anche camminando di buon passo. Ora, il maggior dolore che lacerava il cuore di Lucia, da che non aveva più davanti a sè lo spettacolo del suo fanciullo in lotta con la morte, era di non potersi recar tutti i giorni, a tutte l'ore, là dove egli stava rinserrato fra gente estranea, alla quale il poverino doveva pur essere indifferente come chi sa quante altre creature che soffrivano al par di lui, intorno a lui. — Come starà, in questo momento, Santino mio? — era la domanda unica, insistente, fissa simile a un chiodo piantatosegli nel cervello, che la madre si rivolgeva, certe volte persino a voce alta, mentre, pallida come un cadavere, con un tremor nello stomaco, invecchiata, consumata, tornava a lavorar come prima per gl'inquilini del casamento, correva a comprar loro della roba, faceva de' bucati, in fine disbrigava tutte le solite faccende, tranne quella di cucire a macchina, che avrebbe tenuta ferma, mettendole nei nervi un convulso insoffribile. E, con la visione netta delle corsie dai muri bianchi d'intonaco, lungo i quali si schieran le file dei letti uniformi: le corsie di quello spedale ch'ella non avea mai veduto, la desolata si figurava tutti i pensieri che dovevano Contessa Lara. 7 affollarsi nel cervellino febbrile del suo bimbo, quando, se schiudeva gli occhi, non trovava più lei al capezzale. — Chi sa se gli fanno male, quando gli mutan la camicia! Chi sa se badano che il lenzuolo non gli s'aggrinzi sotto ! Ci vuol così poco a impiagarsi ! Brodo, ghiaccio, ne avrà quanto n' ha di bisogno ? Oh, Dio! oh, Dio mio ! — Ma l' idea più orrenda di tutte, una vera follìa che s' impossessava di lei a poco a poco a crisi acute, era quella che al fanciullo non si desse abbastanza spesso da bere. E le sembrava vederlo smaniare in quel letto non suo, senza potersi esprimere, stordito dall' intensità della febbre, e allungare il labbruccio inferiore nel desiderio d'un sorso fresco; ella sentiva come scottar su la propria bocca quel labbruccio arido, enfiato ; un suono indefinito le portava un lamento ch' ella avea sempre nell' orecchio... — Soffre la sete quella creatural — E Lucia allora, presa da una disperazione tanto crudele quanto impotente, si morsicchiava le mani, si stringeva la testa, torcendosi, come si torcono i tronchi delle serpi mutilate. Quanto più spesso le riusciva di scappare, si recava all'ospedale: due e anche tre volte alla settimana; ma quel giorno poteva contar di perdere quattro o cinque ore di lavoro: di più, la portineria restava abbandonata. Veniva il portalettere, veniva gente a chieder di questo o di quell'altro inquilino, e non c'era alcuno per rispondere. Lei si figurava il brontolío dei casigliani, il malumore del padrone, se fosse giunto a saper la faccenda, e correva verso San Francesco de' Poverelli, correva col viso in fiamma, con le gambe che tanto più le pesavano, come fatte di piombo, quanto più le premeva di far presto. E quando, trafelata, trovavasi finalmente allo spedale, davanti al pancione in livrea, che, non avendo nulla da fare, non aveva premura nè per sè, nè per gli altri, ella si struggeva lì una mezz'ora, avvolgendosi e svolgendosi macchinalmente una punta del fazzoletto intorno a due o tre dita della mano. Il tempo non le passava mai; scendevano e salivano inservienti, medici, impiegati, su e giù per l'ampia scala che mena alle corsíe; la donna sospirava, si raccomandava a Gesù, alla Vergine, a tutti i santi e martini benedetti... Stava su' carboni ardenti... Finalmente, qualcuno le si avvicinava a farle l'elemosina delle desiderate notizie; ed ella riprendeva la sua corsa verso casa, con le gambe che pareva non si volessero staccare dal suolo, col capo che le andava per aria, ma più serena d' animo, un po' rassicurata. Di fatti, le notizie di Santino eran sempre migliori. Una volta, dissero a sua madre che il medico lo aveva messo a un quarto di vitto, poi a metà. Un'altra volta seppe che gli era stato permesso d'alzarsi, e allora ebbe due terzi di vitto, non ostante che, a dar retta a lui, avrebbe mangiato anche il desinare del personale di servizio; tanto era l'appetito che gli tornava con le forze. Lucia sorrideva, con gli occhi inondati di lagrime, a sentir tante cose consolanti, e se le sarebbe fatte ripetere sa Dio quante volte. — Madonna cara! Che grazia mi avete fatta! — esclamava col cuore traboccante di gratitudine verso la Provvidenza. Un giorno, la superiora delle monache addette all'ospedale, le disse che il bambino, ormai perfettamente ristabilito, non avrebbe certo tardato a uscire. Quel giorno, prima di tornare a casa, la Lucia non seppe resistere al desiderio di fermarsi da un merciaio che conosceva, a pigliarsi quattro metri di frustagno marrone, per farne un vestitino nuovo a Santino. Fissò di pagarlo un tanto il mese. Ora che non aveva più da perder tempo in queste gite, poteva guadagnare qualche altra cosa; poi le si presentava un nuovo provento: era venuta ad abitare un quartierino del palazzo una giovane sposa incinta, moglie d'un tenente, la quale voleva la Lucia a mezzo servizio, non facendo ella quasi niente da sè in casa, un po' perchè non c'era avvezza, e un po' perchè soffriva di quella prima gravidanza. In questo modo le cose sarebbero andate meglio, si capisce: una spinta di qua, una di là, e la barca va avanti. Tutto questo, la Lucia ripeteva nell'intimo suo, mentre, con un sorriso felice, si stringeva al petto l'involto del frustagno. E come unse e riordinò con compiacimento la sua macchina per cucire il vestitino, non appena l'ebbe tagliato! Lavorava di sera: mentre quel tic-tac fitto fitto ch'ora le faceva l'effetto d'una musica allegra, s'accompagnava al ritmo eguale del respiro dei due bimbi dormenti uno da capo, l'altro da piedi del letto, certe lagrime grosse e calde rigavan la faccia della madre, perchè andava ripensando che in quei giorni di strazio, quando Santino era lontano, tanto malato, ella se la pigliava persino con la Marietta e con Checco, poverini! vedendoli così allegri, sani, chiassoni... Il vestitino era già pronto; la Lucia se l'era già rigirato fra le mani chi sa quante volte, immaginandosi la figura che avrebbe fatto indossato, quando finalmente giunse la famosa lettera diretta ai genitori o parenti di Santino Naldi, invitandoli a ritirare il fanciullo dallo spedale di San Francesco de' Poverelli. Era guarito. La vigilia del ritorno di lui, la madre non trovava il verso d'andare a letto: un'altra ferrata alla camicina con l'amido dal goletto lustro e interito; un'altra stiratina alle calze a costole d'un color marrone scuro, compagne al vestito. A un tratto, fu bussato all'uscio: potevano esser le dodici. — Chi è? — fece la Lucia, che non aspettava gente a quell'ora. - Son io, Trevisani: apri. — Era il tenente: l'inquilino nuovo. La portinaia gli aperse. Un bel giovane, alto e bruno, co' pantaloni alla militare e una giacchetta da borghese, si presentò su la soglia, occupando l'intero vano con la sua poderosa corporatura. Aveva il viso sconvolto, gli occhi cerchiati di rosso. - Mia moglie sta poco bene — disse - ha abortito. - - Oh Dio, come mai? — chiese la Lucia, incrociando le braccia in atto di rincrescimento. — Non so... proprio non so... senza motivo. Son solo... vieni su, fammi il favore... Tu, di queste faccende non te ne devi intendere... — Ella assentiva col capo. Pur troppo, pur troppo! Così non avesse mai saputo quel che costano i figliuoli! E, spenta la sua candela di sego, chiuse la portineria per seguir l'ufficiale. Se la brutta faccenda de' Trevisani fosse accaduta qualche giorno avanti, Lucia non avrebbe saputo come fare a aiutarli, a incoraggiarli, perchè aveva ella medesima troppe pene sue. Ma adesso, era tutt'altra cosa. L'idea d'abbracciare fra poche ore il suo Santino, il suo tesoro, le metteva a dosso un'energia singolare: vedeva ogni cosa sotto un aspetto di pace. — Coraggio, signora, coraggio! — ripetè più volte alla moglie del tenente, un'esile donnina di circa vent'anni, meravigliata e sfinita di quel che aveva patito, con la testa d'un biondo cenere affondata fra' guanciali. La sofferente non rispondeva; ma dalla mezz'ombra in cui trovavasi l'ampio letto matrimoniale, e che pareva dare a quel viso pallido qualcosa di fantastico, sbarrava, spauriti, gli occhi turchini, sforzandosi a sorridere, forse inconsciamente. — Ora rivedo Santino mio! Fra poco Santino mio è qui! — pensava la Lucia, affaccendata in torno a quella povera giovane; e mentre le porgeva una tazza di brodo, fatto lì per lì con dell'estratto di came d'un vasetto dal coperchio polveroso, trovato per caso in una credenza fra altra roba alimentare che il tenente avea riportata dal campo, la madre già vedeva il suo bimbo col vestitino nuovo. Che cosa le avrebbe detto, lui, per solito tanto amoroso? Che faccia avrebbe fatta? Povera, povera faccina, tutta rovinata dal vaiolo! Che importa? Per la mamma era sempre bello, bello come un sole! E mentre andava qua e là, dalla cucina alla camera, bisognava che la Lucia ripensasse al dispiacere di que' poveri signori Trevisani, perchè lei, la madre felice, non si mettesse a canterellare come a' suoi bei tempi, quando ancora non conosceva tribolazioni. Se Santino fosse rimasto in portineria, certo sarebbe morto come il padre. Povero, povero Peppe! Poveri tutti, i morti, anime sante del Purgatorio! E la Lucia si commoveva d'una commozione indefinita, piena di dolcezza. A giorno, appena vide aperta la finestra di cucina dei Lantoni, corse dall'Adele. — Abbiate pazienza — le disse: — il tenente m'è stato a tormentar tutta la notte, perchè non gli abbandoni la moglie, ora che sta meglio. È matto: dice che gliel'ho salvata io. Io non ho fatto nulla, figuratevi! ma, poveretta, è novellina, e sa ch'io me ne intendo. M'avreste dunque a fare un piacere, Adele. Andatemi a San Francesco de' Poverelli a riprender Santino. Tanto, lui sta bene, grazie a Dio, e non ha bisogno di me. Anzi, me lo rivedo a casa tutt'a un tratto...- - Volentieri — fece semplicemente l'Adele: — basta che loro sien contenti. — Loro — erano i suoi padroni; e gente di cuore, non soltanto permisero alla serva d'assentarsi, ma aggiunsero al vestiario di frustagno, che l'Adele portava allo spedale in una pezzuola, un berretto alla marinara, nuovo fiammante, con l'àncora d' oro sui nastri che pendevano dietro. Svelta, la fiorentina camminò fino a piazza San Carlo, dove prese l' omnibus per via dell'Archibugio; e di lì si recò allo spedale. Quella mezz'ora, o poco meno, ch'ella dovette far d'anticamera, le parve assai lunga; e alla madre quel tempo parve infinito. Sempre più nervosamente ella girava per casa Trevisani. Che ora poteva essere? O perchè non tornava l'Adele? Che cosa ci voleva a pigliarsi quella creatura e a portarsela via? Se avevano scritto che Santino era ormai in piena salute, che allo spedale non poteva rimanerci più... O dunque? Ma quando, dopo parecchie ore, che le parvero un secolo, ella vide tornare l'Adele sola, sottosopra, tutta scombussolata e con gli occhi pieni di bile, Lucia non capì più nulla. - O che c' è? Che vuol dire?.. — interrogò interdetta. - Non me l'hanno dato — rispose l'altra lasciandosi cader le braccia, come dopo aver fatta una grande fatica. Lucia non capiva; chiese: - Perchè? - - Non era lui! - - Come? - - Non era lui, no, no, non era lui - asserì l'Adele entrando e buttandosi sur una sedia. Poi raccontò per filo e per segno il fatto. Aveva dovuto pazientare un secolo: non fa niente; il portiere, un buzzone schifoso che si dava Dio sa che importanza, le aveva significato che lì era inutile aver fretta, angustiarsi, spazientirsi; facevano come gli pareva; ci voleva pazienza: c'era un buscherio di gente; chi andava, chi veniva... non si capiva un' acca... Lucia accennava di sì, di sì, sempre più frequentemente, per mostrare che capiva, capiva... Ma poi, poi che cosa era accaduto? Questo le stava a cuore. Poi, poi era accaduto che all'Adele avevan presentato un bambino di circa cinque anni, che lei non aveva riconosciuto. Quello lì, Santino? Ma nè pure per sogno! Era venuto un inserviente, e dopo, una monaca, e dopo anche la superiora, poi il medico di guardia: tutta una processione. Avevan detto: - Che mai dite che non è lui? — E l'Adele: - Nossignori che 'unn' è lui! - - Il vaiolo, lo sapete, muta la fisonomia. - - E' muterà quanto gli pare, ma questo 'unn'è Santino! Già Santino, gli ha sett'anni: e questo? - - La malattia l'avrà fatto dimagrare. - In vece, questo bimbo qui gli è grasso e robusto, e il nostro gli era mingherlino, piuttosto civile. - - È stato ben nutrito — osservò il dottore. - Poi, Santino gli aveva gli occhi celesti, e questo qui gli ha neri! — - Ve lo volete portar via, sì o no? — chiese il direttore, ch'era sopraggiunto in mezzo a questa discussione. - Io no, ecco! — dichiarò l'Adele o come ho a fare a portar via uno che 'unn' è Santino? - - Fate venir la madre, in questo caso — finirono col dire tutti. Di modo che l'Adele se n'era tornata sola, senza sapere che cosa la si facesse, accorata, con un diavolo per pelo. La madre ascoltò tutto il racconto per filo e per segno, senza batter palpebra; un ghiaccio, come di svenimento, le era corso per le vene. Madonna santa! Che voleva dire ciò?.. E due sole parole le uscirono di bocca: - Vado io. — Ma la mattina di poi, a punto mentre ella si preparava a recarsi allo spedale, s'affacciò alla portineria una femmina che teneva per mano un ragazzino; e chiese di Lucia Naldi, quella che aveva un malato a San Francesco de' Poverelli. Il bimbo indossava il vestito color marrone cucito a macchina, di sera, quando le fatiche diurne erano finite; portava le calzette a costola, il berretto con l'àncora. Ma il vestitino gli era largo e lungo: ci stava come in un sacco, goffo, impacciato, malinconico. - Vi riporto il vostro figliuolo, per ordine del direttore — disse la femmina. — Ormai sta benone e allo spedale non possiamo più tenerlo. — Lucia s'era fermata di botto, come se in un attimo le avessero inchiodato le piante al suolo. Fissò il ragazzo con le pupille dilatate, con le labbra strette, con tutta la faccia che si protendeva in atto di eccezionale stupore. Contessa Lara. 8 - Ma non è il mio, questo! — gridò ella. - Chi, questo? — chiese l'infermiera con tono d'incredulità. - Questo, questo qui! - - Eh diamine! Siete matta! Nome, cognome, età, sta scritto tutto su la tabella. Come volete che non sia il vostro? Guardatelo bene. - - Non è il mio, vi dico! — badava ad affermare la portinaia — Santo Dio, volete che una madre non riconosca il suo figliuolo? - - Si sa, ha avuta una malattia che cambia tutti. Gli è come se uno si mettesse una maschera, credete a me. - - Non può cambiare il sangue, la malattia! Questo bambino nè anche mi conosce. Vieni qua, dimmi come ti chiami — fece la Lucia, attirando verso di sè il fanciullo, intento a fissar la stanza dove si trovava con occhi attoniti, lustri fra la came lustra, tuttora chiazzati di rosso, e occupato, quando non fissava la stanza, a osservare l'abito marrone da lui indossato, del quale particolarmente sembravano interessarlo i bottoni e le tasche. - Come ti chiami? — ripetè la Lucia. Il bambino alzò lo sguardo un po' selvaggio; poi lo tornò subito a chinare, e rimase muto. Allora la Lucia lo respinse dolcemente: - Non è il mio!- Non è il mio! — esclamò sicura — Riportatevelo pur via, chè oggi stesso vengo a pigliar Santino. - E siccome, a punto la Marietta e Checco entravano in casa di corsa, come una folata di vento, la madre li interrogò, spingendoli davanti al piccolo sconosciuto: - È Santino nostro, questo? Ditelo voi! — I ragazzi smisero di ridere; squadrarono il nuovo arrivato con atto di diffidenza, poi se ne allontanarono un po' ammusoniti, facendo segno di no, col capo. - Vedete? Vedete bene che non è il mio! tornò a protestare la Lucia. L'infermiera insistè un altro poco, tanto per fare: raccontò qualche aneddoto straordinario su 'l vaiolo, che rende irriconoscibili anche alle persone di famiglia; ma, vedendo che la portinaia, anzi che persuadersi, sempre più si irritava, si strinse nelle spalle, come chi, in fin de' conti, si sente affatto estraneo ad una faccenda nella quale è immischiato senza sua volontà; e, ripreso per mano il fanciullo da lei condotto, se ne andò con un indifferente: — Arrivederci. — Lucia aveva la febbre a dosso. Saper guarito il suo Santino, saper di poterlo riabbracciare, e in tanto non averlo in casa! Lasciò andar tutto, servizio, bucato: salì soltanto a scusarsi con la Trevisani: e partì. All'ospedale, le dissero che il direttore non c'era. Bisognava aspettarlo. Aspettò. Quanto le parve lungo e angoscioso quel tempo, Dio solo lo sa: Lui che tien conto degl'istanti dei nostri dolori. Era sola, in una vasta camera dalle pareti nude, dipinte a stampino e scolorate. Di mobili, non altro che una vecchia scrivania di noce, ormai senza lustro, con sopra mucchi d'incartamenti giallognoli e un calamaio di porcellana bianca dal piattello attaccato, tutto sbocconcellature e macchie d'inchiostro. Davanti alla scrivania, dalla parte del muro, una poltrona, egualmente di noce, a guanciale di cuoio nero, fiancheggiata d'una fila di sedie impagliate. A sinistra, uno scaffale ingombro di registri luridi, per gli anni e per la polvere. Non osando passeggiare, per il timore di fare strepito e parer troppo ardita, la Lucia stava lì immobile. Non si metteva neanche a sedere per l'agitazione, per l'impazienza che aveva a dosso; quasi che lo star lì in piedi avesse sollecitato l'arrivo del direttore. Ogni rumore più lieve, venuto di fuori, la faceva riscuotere, le rimescolava il sangue, le dava come un colpo nel petto e una stretta alla gola. Teneva fissi gli occhi su la porta: una porta mezzo sgretolata, da cui sperava, a ogni istante, di veder comparire il suo bambino. Ma il tempo passava: nulla, nulla! Dopo un gran pezzo, che a lei parve incalcolabile, l'uscio s'aperse a un signore di una cinquantina d'anni, alto, con in testa un cappello a cilindro, e tutt'insieme un aspetto burbero e confuso. Lucia lo guardava tra ossequiosa e incerta. Egli sedette nella poltrona di cuoio nero, davanti alla scrivania, e rimescolò un gran numero degli scartafacci accatastati iì sopra. Un plico, un incartamento, chi sa che cosa fosse? lo tenne particolarmente attento; sfogliava avanti e indietro le pagine, come se non trovasse quel che cercava. Finalmente alzò la faccia, ombreggiata dal cappello, e, piantando i gomiti su la tavola, mentre badava a stropicciarsi le mani all' altezza del viso, cominciò: - Mi rincresce di dovervi dare una cattiva notizia. — - Lucia lo fissava. D'un tratto, ebbe l'impressione d'una corrente fredda che avvolgesse tutta, e inghiottì a forza la saliva, che non le voleva passar dalla gola. - Proprio mi rincresce — continuò l'uomo — ma che volete? c'è stato un errore... Si son messe le corsíe sossopra, per ripulirle, e questo ha cagionato l'equivoco. Han posta la tabella d'un ammalato a capo al letto d'un altro... e... — Ella lo fissava sempre, smarrita, senza comprendere ancora, ma col presentimento di qualcosa d'orribile, di nuovo, d'ignoto, d'inaspettato. Battendo le palpebre, faceva con le labbra il movimento di chi parla, quasi avesse ripetuto a sè, in silenzio, ogni parola di lui, per meglio intenderla, per crederla. Egli riprese ancora: - E, dunque... in questa confusione, è capitata al bambino che vi avevo rimandato la tabella del bambino vostro, morto il sei di marzo, cioè pochi giorni dopo che ce lo avete portato. - Morto? — chiese lei, calma, con lo stordimento incosciente d'un bue che riceve il primo colpo mortale. - Eh sì, cara mia! Ci vuol pazienza; è stato uno sbaglio, che m'ha proprio fatto dispiacere. Adesso ci vorranno almeno quarantott'ore per rimetter le cose a posto, e farvi avere un certificato di morte in regola. — La donna pareva fulminata. Rimasta ritta davanti alla scrivania, abbandonava le braccia, che le pendevano sotto lo scialle di lana nera, e sporgeva innanzi la testa bassa, con l'occhio vitreo, con la bocca mezzo aperta, cadente. — Del resto, — soggiunse il direttore — le cose sono state fatte ammodo; i genitori di quell'altro ragazzo hanno ordinato un mortorio decente al bambino vostro, credendolo il loro; questo deve consolarvi. E in ultima analisi, — concluse — con la morte c'è poco da fare: pur troppo, lo sapete come me. Quanto ai panni, ve li restituiranno, non c'è dubbio: m' impegno io. — Lucia udiva un rumore di parole vaghe, assordante come uno scrosciar d'acque invisibili. Non rispose mai. Soltanto, quando il direttore s'alzò, ella capì che doveva andarsene. Che cosa ci stava ormai a fare? Chi aspettava? E s'avviò verso l'uscio, col desiderio intenso di ritrovarsi in casa sua, nel suo covo, che le pareva lontano, lontano, come se, per arrivarci, avesse dovuto far un viaggio interminabile, eterno.

Mitchell, Margaret

221111
Via col vento 19 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
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. - Intanto non so che idea abbiate avuto fin dal principio di riceverlo. Ma dopo il pomeriggio di oggi non vi sarà in tutta la città una casa onorevole che voglia accoglierlo. Abbiate un po' di abilità e proibitegli di venire in casa vostra. Volse alle ragazze un'occhiata penetrante. - Spero che voi due farete tesoro delle mie parole - continuò - perché in parte è colpa vostra. Siete state troppo gentili con lui. Ora dovete dirgli cortesemente, ma decisamente che la sua presenza e i suoi discorsi antipatriottici sono per voi ugualmente spiacevoli. Rossella si stava agitando internamente, pronta a reagire come un cavallo che sente la propria briglia toccata da un estraneo. Ma non osò parlare per timore che la signora Merriwether scrivesse un'altra lettera a suo padre. «Vecchia bufala!» pensò rossa d'ira repressa. «Che gioia sarebbe poterti dire quello che penso di te e del tuo modo di fare!» - Non avrei mai creduto di udire simili parole contro la nostra Causa - proseguí la signora Merriwether. - E se dovessi credere che voialtre due parlerete ancora con lui... per l'amor di Dio, Melly, che hai? Melania era pallida e aveva gli occhi sbarrati. - Continuerò a parlargli - disse a bassa voce. - Non sarò scortese con lui. Non gli proibirò di venire in casa. La signora Merriwether sembrò soffocare; zia Pitty spalancò la bocca e zio Pietro si voltò a guardare. «Perché non ho avuto io il coraggio di dir questo?» pensò Rossella con un senso di gelosia mista ad ammirazione. «Come fa questo piccolo coniglio ad avere il coraggio di ergersi contro la vecchia Merriwether?» Le mani di Melania tremavano, ma ella continuò in fretta come se avesse paura che l'ardire le venisse meno. - Non sarò scortese con lui a causa di ciò che ha detto, perché... ha avuto torto a dirlo forte... è stato sconsigliato... ma... è la stessa cosa che pensa Ashley. Ed io non posso vietare la mia casa a un uomo che la pensa come mio marito. Sarebbe un'ingiustizia. La signora Merriwether aveva ripreso fiato ed esplose. - Melly Hamilton! Non ho mai udito una simile menzogna! Nessuno dei Wilkes è mai stato un codardo... - Non ho detto che Ashley è un codardo - e gli occhi di Melania cominciarono a fiammeggiare. - Ho detto che egli pensa le stesse cose che pensa il capitano Butler, soltanto le esprime con parole diverse. E non va in giro a dirle nelle riunioni, spero. Ma a me lo ha scritto. La coscienza di Rossella si scosse mentre ella cercava di ricordare che cosa aveva scritto Ashley; ma la maggior parte di ciò che aveva letto le era uscito di mente. Quindi credette che Melania avesse smarrito il cervello. - Ashley mi ha scritto che non dovremmo combattere contro gli yankees e che siamo stati ingannati dagli uomini di Stato che ci hanno raccontato una quantità di bubbole - continuò Melly rapidamente. - E ha detto che nulla al mondo vale il danno che ci produrrà questa guerra. «Ah!» pensò Rossella. «È quella la lettera...!» - Non ci credo - replicò la signora Merriwether. - Tu hai frainteso le sue parole. - Io capisco perfettamente Ashley - ribatté Melania tranquilla, benché le sue labbra tremassero. - Egli intende esattamente dire quello che dice il capitano Butler, ma detto in altro modo. - Dovresti vergognarti di paragonare un uomo come Ashley Wilkes a un farabutto come il capitano Butler! Forse anche tu pensi che la Causa non valga nulla! - Io... non so che cosa penso - cominciò Melania incerta, mentre il suo ardore l'abbandonava e una specie di panico s'impadroniva di lei. - Morirei per la Causa... ed anche Ashley. Ma... voglio dire... che questi pensieri vanno lasciati agli uomini. - Non ho mai sentito una cosa simile! Fermo, zio Pietro, siamo a casa mia! Zio Pietro occupato ad ascoltare la conversazione, stava oltrepassando la casa dei Merriwether. La signora Merriwether discese, coi nastri della sua cuffia che si agitavano come vele al vento. - Te ne pentirai - disse. Zio Pietro frustò il cavallo. - Tu, signorina, vergognarti di mettere Miss Pitty in questo stato, - sgridò. - Non sono affatto agitata - rispose Pitty con stupore di tutti, perché generalmente sveniva per molto meno di questo. - Melly, tesoro, so che hai voluto difendermi, e sono stata veramente contenta di vedere che qualcuno ha umiliato Dolly. Come ha avuto tanto coraggio? Ma credi di aver fatto bene a dire ciò cli Ashley? - Ma è vero! - esclamò Melly e cominciò a piangere piano. - E non mi vergogno di dire che egli la pensa cosí. Egli crede che la guerra sia un errore, ma è pronto a combattere e a morire, e per questo occorre assai piú coraggio di quando si combatte per qualche cosa che si crede giusto. - Zitta, Miss Melly, non piangere in Strada di Albero di Pesco - borbottò zio Pietro affrettando il passo del cavallo. - Gente subito pronta a fare chiacchiere. Aspettare di essere a casa. Rossella non parlò. Non strinse neanche la mano che Melania aveva messo nella sua per cercare conforto. Ella aveva letto le lettere di Ashley per un solo scopo; per assicurarsi che egli l'amava ancora. Ora Melania aveva dato un nuovo significato a certi punti delle lettere che Rossella aveva appena scorso. La urtava il pensare che qualcuno cosí perfetto come Ashley, potesse avere dei pensieri in comune con un reprobo come Rhett Butler. Disse fra sé: «entrambi vedono la verità in questa guerra; ma Ashley è pronto a morire e Rhett no. Mi pare che questo dimostri il buon senso di Rhett». Si fermò un attimo, colpita dall'orrore di avere avuto un simile pensiero sul conto di Ashley. «Entrambi vedono la stessa spiacevole verità; ma Rhett ama guardarla in faccia e irritare il pubblico parlandone; mentre Ashley non può sopportarne la vista.» E questo la stupiva molto.

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. - Sí, abbiate cura di lei, fate attenzione. È fragile e non se ne rende conto. Si strapazza a cucire e a fare l'infermiera. Ed è cosí buona e cosí timida! Eccettuato zia Pitty, zio Enrico e voi, non ha parenti stretti; soltanto i Burr di Macon, e sono dei cugini in terzo grado. E zia Pitty... è come una bambina; lo sapete anche voi. Melania vi vuole molto bene, e non perché eravate la moglie di Carlo ma perché... sí, perché siete voi e vi vuol bene come a una sorella. Rossella, è un tormento per me il pensiero che se io fossi ucciso, Melly non avrebbe nessuno a cui rivolgersi. Volete promettermi...? Ella non udí neanche la sua preghiera, terrorizzata com'era dalle parole «se io fossi ucciso». Aveva letto tutti i giorni le liste dei morti e feriti, col cuore in gola perché sapeva che se gli fosse accaduto qualche cosa, il mondo sarebbe finito. Ma sempre aveva avuto il presentimento che, anche se l'esercito confederato fosse spazzato via, Ashley sarebbe salvo. Ed ora... ora sentiva il cuore batterle violentemente e si sentiva presa da un terrore superstizioso che non riusciva a vincere col ragionamento. Era abbastanza irlandese da credere alla chiaroveggenza, specialmente quando si trattava di morte; e vide nei suoi occhi grigi una tristezza sconfinata che interpretò come quella di un uomo che sente sulla sua spalla il tocco della mano gelida. - Non dovete dir questo! Neanche pensarlo! Porta disgrazia, parlare della morte! Dite una preghiera, presto! - Ditela voi per me e accendete qualche cero - rispose egli sorridendo del terrore che era nella voce di lei. Ma ella non poté replicare: dinanzi ai suoi occhi si dipingevano i quadri piú spaventosi: Ashley morto tra le nevi della Virginia, lontano da lei. Egli continuò a parlare e nella sua voce era una malinconia è una rassegnazione che aumentarono il suo terrore e la sua delusione. - Non so che cosa sarà di me, Rossella, o di noi. Ma quando giungerà la fine, io sarò troppo lontano da qui, anche se sarò vivo, per potere aver cura di Melania. - La... la fine? - La fine della guerra... e la fine del mondo. - Ma non penserete, Ashley, che gli yankees possano batterci?! In questa settimana non avete parlato d'altro che della forza e dell'abilità del generale Lee... - Ho mentito, come tutti quanti quando sono in licenza. Perché spaventare Melania e zia Pitty senza bisogno? Sí, Rossella, credo che gli yankees ci batteranno. Gettysburg è stato il principio della fine. Molti ignorano... Ma sono tanti gli uomini scalzi, Rossella; e c'è tanta neve adesso in Virginia. E quando vedo quei poveri piedi congelati avvolti in vecchi stracci o in pezzi di sacco, e vedo le impronte sanguinose che lasciano nella neve... e so che io ho delle scarpe... ebbene, mi pare che dovrei gettarle via e andare anch'io scalzo. - Oh, Ashley, promettetemi di non darle via! - Quando vedo queste cose... vedo la fine di tutto. Gli yankees stanno reclutando soldati in Europa a migliaia! La maggior parte dei prigionieri che abbiamo preso ultimamente non sanno neanche una parola d'inglese. Sono tedeschi, polacchi, o irlandesi che parlano gaelico. Ma quando noi perdiamo un uomo, non si può sostituirlo. E quando le nostre scarpe sono consumate, non ve ne sono altre. Siamo imbottigliati, Rossella. E non possiamo lottare contro tutto il mondo. Ella pensò: «crolli la Confederazione, finisca il mondo, purché tu non muoia! Non potrei vivere se tu morissi!» - Spero che non ripeterete ciò che vi ho detto, Rossella. Non voglio allarmare gli altri. E non avrei voluto spaventare neanche voi; ma ho dovuto spiegarvi perché vi chiedevo di aver cura di Melania. È debole mentre voi siete cosí forte, Rossella! Sarà un conforto per me pensare che qualunque cosa possa accadermi, voi due siete insieme. Me lo promettete? - Oh sí! - ella esclamò, perché in quel momento, vedendogli la morte accanto, avrebbe promesso qualunque cosa. - Ashley, Ashley, non posso lasciarvi partire! Non posso aver tanto coraggio! - Dovete averlo - replicò egli; e la sua voce mutò. Era piú sonora, piú profonda, e le sue parole sgorgarono rapide. - Dovete essere coraggiosa. Altrimenti, come potrei resistere? Gli occhi di lei cercarono il suo volto con gioia, perché ella credeva di comprendere che la separazione da lei gli spezzava il cuore. Il volto di lui era cupo come quando era sceso dalla camera di Melania, ma nei suoi occhi ella non riuscí a decifrare nulla. Egli si chinò un poco, le prese il volto fra le mani, la baciò lievemente in fronte. - Rossella, Rossella! Siete cosí bella, forte e buona. Bella non per il vostro visino cosí dolce, ma per tutta voi stessa, per il vostro spirito e la vostra anima. - Oh Ashley - bisbigliò Rossella felice delle sue parole e commossa nel sentirsi le sue mani sul volto - nessun altro mi ha mai... - Mi piace credere che forse vi conosco meglio degli altri e vedo le belle cose nascoste entro di voi e che altri, troppo frettolosi osservatori, non sanno scorgere. Si interruppe lasciando ricadere le mani, ma continuando a fissarla. Ella rimase un istante, col respiro affannoso, attendendo le due parole magiche. Ma queste non vennero. Questo secondo crollo delle sue speranze fu più di quanto il suo cuore potesse sopportare. Ella sedette, con un «oh!» di disperazione infantile sentendo le lagrime che le pungevano gli occhi. E in quella udí nel viale d'accesso un rumore che la riempí di terrore. Era la carrozza che zio Pietro conduceva dinanzi alla porta per accompagnare Ashley al treno. - Addio - mormorò piano Ashley. Prese dalla tavola il feltro a larghe tese che essa si era procurato facendo delle moine a Rhett e si avviò per il vestibolo semibuio. Con la mano sulla maniglia della porta si volse, e la fissò con uno sguardo lungo, disperato, come se avesse voluto portar via con sé tutti i particolari del suo volto e della sua figura. Attraverso una nebbia di lagrime ella scorse il suo viso e, con uno strazio che la soffocava, sentí che egli se ne andava, lontano da lei, lontano dal rifugio sicuro della sua casa, fuori dalla sua vita, forse per sempre, senza aver detto le parole che ella anelava di udire. Il tempo era passato ed ora era troppo tardi. Ella corse attraverso il salotto ed afferrò i lembi della sua sciarpa. - Baciatemi - gli disse in un soffio. - Baciatemi per dirmi addio. Le sue braccia la circondarono dolcemente ed egli si curvò sul suo visino. Al primo contatto delle loro labbra, le braccia di lei si avvolsero freneticamente al suo collo. Per un attimo incommensurabile, egli strinse al suo il corpicino di lei. Quindi ella sentí i suoi muscoli irrigidirsi; e, lasciando cadere a terra il cappello, egli staccò vivamente le morbide braccia dal suo collo. - No, Rossella, no - disse a bassa voce serrandole i polsi in una stretta che le fece male. - Vi amo - bisbigliò lei soffocando. - Vi ho sempre amato. Non ho mai amato nessun altro. Sposai Carlo per... farvi dispetto. Oh, Ashley, vi amo tanto che verrei nella Virginia... a pulirvi le scarpe e cucinare per voi e strigliare il vostro cavallo... Ashley, dite che mi amate! Vivrò di queste parole fino al mio ultimo giorno! Egli si chinò rapidamente a raccogliere il suo cappello, ed ella scorse di sfuggita il suo viso: il piú infelice che ella avesse mai visto, ma da cui era scomparso ogni senso di distanza. La sua espressione rivelava il suo amore per lei, e la sua gioia che anche lei lo amasse, ma tutto ciò in un misto di vergogna e di disperazione. - Addio - disse con voce rauca. La porta si aperse e un soffio di vento freddo entrò in casa, agitando le cortine. Rossella rabbrividí vedendolo correre verso la carrozza, con la sciabola che brillava al pallido sole invernale e la sciarpa che ballonzolava gaiamente sul suo fianco.

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. - Allora bisogna che abbiate piú cura di voi stessa. Tutto questo correre su e giú non può farvi bene; e certamente danneggia il bambino. Se mi permettete, Mrs. Wilkes, cercherò, attraverso le relazioni che ho a Washington, di sapere qualche cosa di vostro marito. Se è prigioniero, sarà sulle liste dei Federali; e se non lo è... beh, tutto è preferibile all'incertezza. Ma ho bisogno della vostra promessa. Se non avete cura della vostra salute, giuro a Dio che non muoverò dito. - Come siete buono! - esclamò Melania. - Come fanno a dir tanto male di voi? - Quindi, sopraffatta dalla coscienza della spudoratezza dimostrata parlando del proprio stato con un uomo, cominciò a piangere debolmente. E Rossella, che saliva a precipizio le scale con un mattone caldo avvolto in un pezzo di flanella, la trovò con Rhett che le accarezzava una mano. Rhett mantenne la parola. Nessuno seppe mai quali fili egli riuscí a fare agire. Non osarono chiederglielo, per timore che ciò significasse un riconoscimento dei suoi stretti rapporti con gli yankees. Ci volle un mese prima di sapere qualche cosa; e le notizie che dapprima le sollevarono ai sette cieli, crearono nei loro cuori, in un secondo tempo, un'angoscia lacerante. Ashley non era morto! Era stato ferito e preso prigioniero; le informazioni dicevano che si trovava a Rock Island, un campo di prigionieri nell'Illinois. Nel primo impeto di gioia, pensarono solo al fatto che egli era vivo. Ma quando cominciarono a calmarsi, si guardarono sgomente, esclamando: - Rock Island! - come se avessero detto: - All'inferno! - Perché, come Aldersonville era un nome che spaventava quelli del Nord, cosí Rock Island terrorizzava gli abitanti del Sud che avevano qualche parente internato colà. Quando Lincoln rifiutò lo scambio dei prigionieri, credendo che il lasciare alla Confederazione il peso di nutrire e vestire i prigionieri dell'Unione avrebbe affrettato la fine della guerra, migliaia di uomini vestiti d'azzurro furono raccolti ad Aldersonville, in Georgia. I Confederati avevano scarsità di cibo e mancavano di medicinali e di articoli sanitari per i loro ammalati e feriti; avevano perciò ben poco da dividere coi prigionieri. Diedero loro da mangiare quello che davano ai soldati: grasso di porco e piselli secchi; e a questa dieta gli yankees morivano come le mosche; a volte piú di cento in un giorno. Inferocito da queste notizie, il Nord rese piú aspro il trattamento usato ai prigionieri confederati; e il luogo dove tale trattamento era peggiore era Rock Island. Il cibo era insufficiente; vi era una coperta ogni tre uomini; e le stragi prodotte dal vaiuolo, dalla polmonite e dal tifo fecero ritenere quel luogo come un lazzaretto. Tre quarti di coloro che vi eran mandati non ne uscivano vivi. E Ashley stava in quel luogo orrendo! Vivo, ma ferito; e a Rock Island la neve cadeva ininterrottamente. Era morto per le ferite, dopo che Rhett aveva avuto le informazioni? Era stato colpito dal vaiolo o delirava per la polmonite senza una coperta che lo riparasse? - Oh capitano Butler, non v'è modo... Non potete fare uso della vostra influenza per ottenere che venga scambiato? - esclamò Melania. - Mr. Lincoln, l'uomo giusto e pietoso che piange dirottamente sui cinque figliuoli di Mrs. Bixby, non ha lagrime per le migliaia di uomini che muoiono a Andersonville - rispose Rhett torcendo la bocca. - Non gl'importa nulla della loro morte. L'ordine è perentorio. Niente scambi. Non... non ve lo avevo detto prima, Mrs. Wilkes, ma a vostro marito è stata offerta la possibilità di uscirne e l'ha rifiutata. - No! - gridò Melania desolata. - Vi dico di sí. Gli yankees stanno reclutando uomini per il servizio di frontiera onde combattere contro gli Indiani; e li reclutano tra i prigionieri. Chiunque vuol prestare giuramento di fedeltà e arruolarsi nel reggimento che va contro gli indiani, vien liberato ed inviato in Occidente. Mr. Wilkes ha rifiutato. - Ma perché? - esclamò Rossella. - Perché non ha prestato giuramento per poi disertare e tornare a casa appena libero? Melania si volse a lei come una piccola furia. - Come puoi supporre che egli avrebbe fatto una cosa simile? Tradire la propria Confederazione prestando un abietto giuramento e poi mancare al giuramento stesso! Preferirei saperlo morto a Rock Island piuttosto che saperlo traditore. Sarei fiera di lui se morisse in prigione. Ma se facesse quello... non potrei piú guardarlo in faccia. Mai! È naturale che abbia rifiutato. Quando Rossella accompagnò Rhett alla porta, gli chiese, indignata: - Se foste stato voi, non vi sareste arruolato con loro, per evitare di morire in quel luogo, e non avreste poi disertato? - Senza dubbio - rispose Rhett, facendo brillare i suoi denti bianchi sotto ai baffetti neri. - E allora perché Ashley non l'ha fatto? - Perché è un gentiluomo. E Rossella si chiese come fosse possibile mettere in quella parola rispettosa tanto cinismo e tanto disprezzo.

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«Non abbiate paura, Miss, non possono prendere Atlanta.» «No, signora, abbiamo costruito troppe fortificazioni intorno alla città.» Ho sentito il Vecchio Joe dirmi personalmente: posso tenere Atlanta indefinitamente.» «Sí, se ci fosse il Vecchio Joe. Ma...» «Sta' zitto, imbecille! Che bisogno hai di spaventare le signore?» «Gli yankees non potranno mai conquistare Atlanta.» «Ma perché non andate a Macon o in qualche altro posto? Non avete parenti?» «Gli yankees non possono prendere Atlanta; ma certo sarebbe meglio che le donne non rimanessero qui, sia pure per assistere al tentativo.» L'indomani, in una giornata soffocante e piovosa, l'esercito sconfitto affluí ad Atlanta: migliaia di uomini esauriti dalla fame e dalla debolezza, demoralizzati da 70 giorni di battaglie e di ritirate, coi cavalli macilenti e spauriti, i cannoni e i cassoni tenuti insieme da pezzi di corda e strisce di vecchio cuoio. Ma non venivano col disordine di un esercito in rotta. Marciavano in buon ordine, malgrado i loro stracci, con le rosse e lacere bandiere di battaglia sventolanti sotto la pioggia. Avevano imparato a ripiegare col Vecchio Joe, il quale aveva fatto della ritirata un elemento strategico come un'avanzata. Le file di uomini barbuti e laceri percorsero la via dell'Albero di Pesco, cantando: «Maryland! O mia Maryland!»; e tutta la città venne fuori a salutarli. Vincitori o sconfitti erano i suoi soldati. La Milizia di Stato, che era andata in campo poco tempo prima, splendente nelle sue nuove uniformi, si distingueva a malapena dalle truppe stagionate, tanto i suoi componenti erano in disordine. Nei loro occhi era una nuova espressione. I tre anni, durante i quali non avevano fatto che giustificarsi, spiegando la loro assenza dal fronte, erano ormai dietro di loro. Essi avevano abbandonato la sicurezza delle retrovie per i pericoli della battaglia; molti di loro avevano lasciato una vita facile per una morte dolorosa. Ora erano dei veterani, veterani di un servizio breve, ma veterani ugualmente per la maniera in cui s'erano comportati. E cercavano nella folla i volti degli amici, fissandoli con fierezza. Adesso potevano tenere la fronte alta. I vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale marciavano: i primi movendo a stento il passo, e i secondi col volto di bimbi stanchi che avevano troppo presto conosciuto le tristezze della vita. Rossella scorse Phil Meade e stentò a riconoscere il suo volto nero di polvere e di sudiciume, irrigidito dallo sforzo e dalla stanchezza. Zio Enrico si avanzava zoppicando, senza cappello sotto la pioggia, col capo riparato alla meglio da un pezzo di tela impermeabile. Il nonno Merriwether era in un carro d'artiglieria coi piedi nudi avvolti in ritagli di coperte. Ma per quanto guardasse non riuscí a scorgere John Wilkes. I veterani di Jonhson, però, camminavano col passo instancabile che avevano avuto per tre anni, ed avevano ancora la forza di sorridere alle belle ragazze e di insolentire gli uomini senza uniforme. S'avviavano alle trincee che circondavano la città; non fossati scavati in fretta, ma trincee costruite in piena regola, con parapetti all'altezza del petto, rinforzati con sacchi di terra e travi di legno. Erano miglia e miglia di solchi purpurei, che attendevano gli uomini che dovevano riempirli. La folla salutava le truppe come le avrebbe salutate se fossero state vittoriose. In ogni cuore era la paura; ma ora che si conosceva la verità, ora che il peggio era accaduto, ora che la guerra era tra loro, un mutamento sopravvenne. Non vi era piú panico né isterismo. Ciò che era nel cuore non si leggeva sul volto. Ciascuno cercava di mostrarsi coraggioso e fiducioso dinanzi ai soldati. E tutti ripetevano ciò che il Vecchio Joe aveva detto proprio prima di essere esonerato dal comando: «Terrò Atlanta indefinitamente.» Ora che Hood si era dovuto ritirare, molti desideravano, come i soldati, il ritorno del Vecchio Joe; ma non osavano dirlo e si limitavano a ripetere la sua frase: «Conserverò Atlanta indefinitamente!»

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. - Mi sembra che abbiate un certo buon senso; quindi risparmiatemi i rossori inutili. Non voglio piú sentir parlare di viaggi per Melly. Temo che non resisterebbe. Avrà un parto difficile, anche nella migliore delle ipotesi... È stretta di bacino e probabilmente avremo bisogno del forcipe; perciò non voglio che càpiti nelle mani di qualche ignorante levatrice negra. Le donne come lei non dovrebbero aver bambini, ma... Ad ogni modo, fate i bauli di miss Pitty e mandatela a Macon. È cosí spaventata che non è una buona compagnia per sua nipote. Quanto a voi - proseguí fissandola coi suoi occhi penetranti - non voglio sentir dire che andate a casa. Rimarrete qui fino alla nascita del piccino. Non avete paura, spero? - Oh no! - mentí Rossella. - Brava figliuola. Mia moglie vi farà da accompagnatrice sempre che ne avrete bisogno, e vi manderò la vecchia Betsy per farvi la cucina, perché miss Pitty vuol portare con sé i suoi servi. Sarà per poco. Il bimbo dovrebbe nascere tra cinque settimane, circa; ma con le primipare non si può mai esser sicuri. Può anche anticipare. Zia Pitty partí per Macon, piangendo a calde lagrime, portando con sé zio Pietro e la cuoca. Regalò all'ospedale la carrozza e il cavallo, in uno slancio di patriottismo di cui si pentí immediatamente. E Rossella e Melania rimasero sole con Wade e Prissy in una casa che era adesso assai piú tranquilla, malgrado il cannoneggiamento continuo.

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Perciò mi stupisce che abbiate compiuto l'altruistico gesto di rimanere con lei durante questo bombardamento. Dunque, perché lo avete fatto? - Perché è sorella di Carlo... ed è come una sorella per me - replicò Rossella con la maggior dignità possibile, sentendosi arrossire nel buio. - O meglio perché è la vedova di Ashley Wilkes. Rossella balzò in piedi. - Stavo quasi per perdonarvi il vostro villano contegno, ma vedo che è impossibile. Non avrei dovuto nemmeno lasciarvi entrare qui, ma mi sentivo talmente depressa che... - Sedete e lisciatevi il pelo arruffato, gattina rabbiosa. La sua voce era mutata. Si alzò e la spinse nuovamente nella sua poltrona. - Perché siete depressa? - Perché ho avuto oggi una lettera da Tara. Gli yankees sono vicino a casa e la mia sorellina è a letto col tifo... e ora, anche se potessi andare a casa, la mamma non vuole per paura del contagio per me. E se sapeste che desiderio ho della mia casa! - Non piangete adesso. - La sua voce si era addolcita. - Siete molto piú sicura qui ad Atlanta, anche se vengono gli yankees, che a Tara, Non vi faranno niente di male. - Non mi faranno male! Perché mentite? - Cara bambina, gli yankees non sono dei selvaggi. Sono simpatici come molti meridionali... eccetto il fatto che sono piú maleducati e che hanno un accento orribile. - Volete dire che gli yankees non... - Non vi violerebbero? Credo di no. Benché credo che ne avrebbero veramente il desiderio. - Se parlate in questo modo ignobile, sarò costretta a rientrare. - E fu lieta che le tenebre nascondessero il suo rossore. - Perché vi arrabbiate quando vi dico quello che pensate? Tutte le nostre delicate signore non pensano ad altro. Scommetto che perfino le vecchie come la signora Merriwether... Rossella inghiottí senza rispondere, ricordando che quando due o tre signore erano riunite, in quei tristi giorni, raccontavano sottovoce simili avvenimenti, capitati in Virginia o in Luisiana; mai troppo vicino a casa. Gli yankees violavano le donne, sbudellavano i bambini con le baionette e bruciavano le case in cui rimanevano le persone d'età. Anche Rhett doveva sapere che tutto ciò era vero. E aver la delicatezza di non parlarne. Comunque, non c'era punto da ridere. Era proprio odioso in certi momenti. Anzi, quasi sempre. Era terribile un uomo che sapeva che cosa pensavano le donne e di che cosa parlavano. Certo non poteva aver queste cognizioni da nessuna donna come si deve. - E a proposito - rispose Rhett - avete un'accompagnatrice o qualche persona del genere in casa? La rispettabile Mrs. Merriwether o Mrs. Meade? Mi guardano sempre come se pensassero che vengo per Dio sa quali scopi malvagi. - Di solito, la sera viene Mrs. Meade. Ma stasera non ha potuto. C'è Phil a casa - rispose Rossella lieta di cambiare argomento. - Che fortuna trovarvi sola! Qualche cosa nella voce di lui le fece battere il cuore piú rapidamente. Aveva udito troppo spesso quella nota di dolcezza nelle voci maschili per non sapere che essa preludiava a una dichiarazione d'amore. Che divertimento! Come si vendicherebbe, ora, di tutti i sarcasmi coi quali l'aveva bersagliata ad ogni istante! Gli darebbe una lezione tale, da cancellar per sempre l'umiliazione del giorno in cui egli l'aveva vista percuotere Ashley sul viso. E poi gli direbbe con tenerezza che poteva essere solo una sorella per lui e si ritirerebbe con tutti gli onori della guerra. Rise nervosamente pregustando quella gioia. - Non ridete - disse Rhett; e prendendole la mano la voltò e premette le sue labbra sul palmo. Qualche cosa di vitale, di elettrico percorse tutto il suo corpo al contatto di quelle labbra calde. Le labbra arrivarono al suo polso; pensando che in quel modo egli avrebbe sentito che il suo sangue correva piú velocemente, ella cercò di ritrarre la mano. Non aveva calcolato questo... quella corrente traditrice che le faceva desiderare di ficcargli le mani tra i capelli, di sentire le labbra di lui sulla propria bocca. Non era innamorata di lui, disse confusamente fra sé. Era innamorata di Ashley. Ma come spiegare quella sensazione che le faceva tremare le mani e sentir freddo alla bocca dello stomaco? Egli rise piano. - Non vi scostate! Non vi faccio male! - Farmi male? Non ho paura di voi né di nessuno! - esclamò, furente nel sentire che la sua voce tremava. - Un bellissimo sentimento; ma parlate piú sottovoce. Mrs. Wilkes potrebbe udirvi. E ricomponetevi. - Sembrava contentissimo della sua emozione. - Rossella, io vi piaccio, non è vero? Questo somigliava di piú a quanto ella si aspettava. - Qualche volta - rispose guardinga. - Quando non vi comportate come un mascalzone. Rise di nuovo e posò il palmo della manina contro la propria guancia ruvida. - Credo di piacervi proprio perché sono un mascalzone. Ne avete conosciuti cosí pochi, che questa differenza è quella che forma il mio strano fascino agli occhi vostri. Non era questa la conversazione che ella sperava. Perciò cercò nuovamente di liberare la sua mano, ma senza successo. - Non è vero! Mi piacciono gli uomini come si deve... quelli che serbano sempre il contegno di un gentiluomo. - Volete dire quelli che potete sempre dominare. È questione di definizione. Ma non importa. Ora le baciava nuovamente il palmo ed ella sentiva un brivido correrle lungo la schiena. - Ma vi piaccio. Potrete mai amarmi, Rossella? «Ci siamo!» pensò Rossella trionfante. E rispose con studiata freddezza: - Non credo, a meno che non mutiate considerevolmente il vostro modo di fare. - Non ne ho affatto l'intenzione. Dunque, non potreste amarmi? Meno male. Perché, mentre mi piacete immensamente, non vi amo; e sarebbe tragico per voi soffrire una seconda volta per amore non corrisposto, non è vero, cara? Posso chiamarvi cara, Mrs. Hamilton? Bisogna rispettare le convenienze! - Non mi amate? - No davvero. Lo speravate? - Non siate cosí presuntuoso! - Lo speravate! Ahimé, povere speranze! No, non vi amo. Ma mi piacete moltissimo, per l'elasticità della vostra coscienza, per l'egoismo che raramente vi curate di nascondere e per l'astuzia che dovete avere ereditato, temo, da qualche contadino irlandese vostro avo non troppo remoto. Contadino! Come la insultava! Si sentí soffocare senza trovar parole per rispondergli. - Non interrompetemi - continuò Rhett stringendole la mano. - Mi piacete perché io ho queste stesse qualità, e ogni simile cerca il proprio simile. Capisco che voi conservate ancora una cara memoria di quel divino testa-di-legno di Wilkes che probabilmente è sotterra da sei mesi. Ma nel vostro cuore dev'esservi posto anche per me. Finitela di agitarvi! Vi sto facendo una dichiarazione. Vi ho desiderata da quando vi vidi per la prima volta, nel vestibolo delle Dodici Querce, mentre stregavate il povero Carlo Hamilton. Vi desidero piú di quanto abbia desiderato qualunque altra donna... e vi ho aspettata piú di quanto abbia atteso qualunque altra. Queste ultime parole le tolsero il respiro. Malgrado i suoi insulti, egli l'amava; ma era cosí perverso che non voleva dirlo francamente, anche per timore che lei ne ridesse. Bene, ora gliela darebbe lo stesso la lezione! - Mi state chiedendo di sposarvi? Egli lasciò cadere la sua mano e rise cosí forte che ella ricadde indietro nella poltrona. - Dio mio, no! Non vi ho già detto che io sono uno di quelli che non si sposano? - Ma... allora... che cosa... Si alzò in piedi e, con una mano sul cuore, le fece un inchino burlesco. - Cara - le disse tranquillo - faccio un complimento alla vostra intelligenza chiedendovi di essere la mia amante senza avervi prima sedotta. Amante! Dentro di lei la parola risuonò come un insulto. Ma in quel primo momento ella non si sentí insultata. Fu solo invasa dall'indignazione che egli potesse crederla cosí sciocca. Rabbia, vanità offesa e delusione le diedero una specie di vertigine e, prima ancora che le venissero in mente le alte ragioni morali con le quali avrebbe potuto rimproverarlo, ella gli lanciò le prime parole che le salirono alle labbra. - La vostra amante! e che cosa ci guadagnerei, se non qualche marmocchio? Subito dopo fu inorridita di ciò che aveva detto. Egli rise cordialmente, cercando di vederla, seduta nell'oscurità, come colpita dal fulmine, col fazzoletto premuto sulla bocca. - Questo è quello che mi piace in voi! Siete la sola donna sincera che conosco, la sola che guarda il lato pratico delle cose, senza andare a scomodare il peccato e la morale. Qualunque altra al vostro posto prima sarebbe svenuta e poi mi avrebbe messo alla porta. Rossella balzò in piedi, rossa di vergogna. Come aveva potuto, lei, la figlia di Elena, con la sua educazione, ascoltare quelle parole impudenti e rispondere cosí svergognatamente? Avrebbe dovuto gridare. Svenire. Voltarsi senza una parola e rientrare in casa. Troppo tardi adesso! - Vi metterò alla porta! - gridò senza curarsi che Melania o la signora Meade, giú in istrada, potessero udirla. - Fuori di qui! Come osate dirmi una cosa simile! Ho mai fatto qualche cosa per incoraggiarvi... per farvi supporre... Andate via e non tornate mai piú! E questa volta parlo sul serio. Inutile tornare coi pacchetti di forcine e di nastri per farvi perdonare! Lo dirò... lo dirò a mio padre e lui vi ucciderà! Egli raccolse il cappello e si inchinò; ed ella scorse, alla luce della lampada, che i suoi denti brillavano sotto i balletti neri. Non sentiva vergogna, si divertiva di quanto ella diceva e la osservava con viva curiosità. Com'era detestabile! Si girò sui tacchi e si avviò per rientrare. Afferrò il battente della porta per sbattergliela in faccia, ma il gancio che la tratteneva aperta era troppo pesante per lei. Si sforzò, ma inutilmente. - Posso aiutarvi? - chiese Rhett. Sentendo che se fosse rimasta un minuto di piú avrebbe avuto un travaso di sangue, ella fuggí su per le scale. E quando fu al piano di sopra sentí che egli cortesemente sbatteva la porta in sua vece.

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. - Non abbiate paura, bambine! - La sua voce era scherzosa. - Vostra sorella ha voluto pulire la pistola di Carlo e involontariamente ha fatto partire un colpo che le ha fatto una paura terribile!... Pensa, Wade, che la mamma ha sparato con la pistola del tuo papà! Quando sarai grande, sparerai anche tu. «Con che freddezza sa mentire!» pensò Rossella con ammirazione. «Io non avrei avuto l'idea... Ma perché mentire? Bisogna che sappiano quello che ho fatto.» Guardò nuovamente il corpo; ora la sua ira e il suo terrore svanivano e la reazione le faceva vacillare le ginocchia. Melania si trascinò nuovamente sino alla sommità della scala e cominciò a scendere reggendosi alla ringhiera, mordendosi il pallido labbro inferiore. - Torna a letto, sciocca; ti ammazzerai! - esclamò Rossella; ma Melania la raggiunse nel vestibolo. - Rossella - bisbigliò - dobbiamo portarlo fuori e seppellirlo. Non può essere che sia solo; e se lo trovano qui... - Dev'essere solo - replicò Rossella. - Non ho visto nessun altro dalla finestra. Sarà uno sbandato. - Anche se è solo, bisogna che nessuno sappia... I negri potrebbero parlare, e tu potresti essere arrestata. Dobbiamo nasconderlo prima che gli altri tornino dalla palude. Spinta ad agire dall'insistenza di Melania, Rossella rifletteva. - Potrei seppellirlo nell'angolo del giardino, sotto il noce... Il terreno dev'essere morbido, perché Pork ha scavato per dissotterrare il bariletto di whisky. Ma come portarlo fin là? - Prendiamo una gamba per ciascuna e trasciniamolo - disse Melania con fermezza. L'ammirazione di Rossella aumentò. - Tu non puoi - riprese. - Lo trascinerò io. Torna a letto. Ti ammazzerai. Non tentare di aiutarmi, altrimenti ti porto su in braccio. Il volto pallido di Melania abbozzò un sorriso di comprensione. - Sei molto buona, Rossella - e le sfiorò la guancia con le labbra. Poi, prima che Rossella si fosse riavuta dalla sorpresa, proseguí - Se tu puoi trascinarlo da sola, io pulirò intanto il... sí, il pavimento prima che gli altri tornino a casa; e... senti... - Di'? - Credi che sarebbe... disonesto frugare nella sua giberna? Potrebbe esservi qualcosa da mangiare. - Hai ragione - rispose Rossella, seccata di non avere avuto lei stessa quell'idea. - Tu guarda nella giberna; io esaminerò le tasche. Chinandosi sul morto con disgusto, finí di sbottonargli la tunica e cominciò sistematicamente a frugare nelle tasche. - Dio mio! - mormorò tirando fuori una saccoccia rigonfia avvolta in uno straccio. - Melania... Melly, questa è piena di denaro! Melania non rispose, ma sedette a un tratto sul pavimento e si appoggiò alla parete. - Non badarci - mormorò - mi sento un po' debole. Rossella tolse il cencio e allargò le pieghe del cuoio con mano tremante. - Guarda, Melly... guarda! Melania guardò e i suoi occhi si dilatarono. Ficcate dentro alla rinfusa erano una quantità di banconote degli Stati Uniti, insieme a denaro della Confederazione, e in mezzo a quelle erano una moneta d'oro di dieci dollari e due da cinque. - Non metterti a contare adesso - riprese Melania mentre Rossella cominciava a sfogliare i biglietti di banca. - Non abbiamo il tempo... - Capisci, Melania, che questo denaro significa che potremo mangiare? - Sí, cara. Lo so; ma ora non abbiamo tempo. Guarda nelle altre tasche mentre io frugo nella giberna. Le tasche dei calzoni contenevano soltanto un mozzicone di candela, un temperino, una borsa da tabacco e un pezzo di spago. Melania trasse dalla giberna un pacchetto di caffè che annusò come se fosse il piú soave dei profumi, un rimasuglio di galletta e la miniatura di una bambina in una cornicetta d'oro ornata di perline, una spilla di granati, due larghi braccialetti d'oro, due catenelle e un ditale anche d'oro, una tazza d'argento da bambino, un anello con un solitario, un paio di forbici d'oro e un paio di pendenti di brillanti a forma di pera che anche ai loro occhi inesperti sembrarono essere non meno di un carato ciascuno. - Un ladro! - mormorò Melania ritraendosi con ribrezzo. - Deve aver rubato tutto questo! - Senza dubbio. Ed era venuto qui sperando di rubare ancora qualche altra cosa. - Hai fatto bene a ucciderlo - e i dolci occhi di Melania s'indurirono. - Ma ora bisogna sbrigarsi. Rossella si chinò e afferrò i piedi del morto. Ma com'era pesante e come si sentí improvvisamente debole! E se non riuscisse a smuoverlo? Si volse di spalle e mettendosi sotto le braccia quei piedi, cominciò a tirare. Il suo piede ammalato che nell'eccitazione aveva dimenticato, ora le dava una sofferenza che le faceva stringere i denti, costringendola a portare tutto il proprio peso sul calcagno. Sforzandosi e sudando riuscí a trascinarlo per tutto il vestibolo, lasciandosi dietro una traccia rossa. - Se fa sangue nel cortile, non potremo nasconderlo - disse rabbrividendo. - Dammi il tuo accappatoio, Melania, glie lo avvolgerò intorno alla testa. Il volto pallido di Melania divenne vermiglio. - Non fare la sciocca, nessuno ti guarda. Se io avessi una sottoveste o delle mutandine, le adoprerei. Accoccolandosi presso la parete, Melania si sfilò l'accappatoio cencioso e lo porse a Rossella, cercando di coprirsi il seno alla meglio con le braccia. «Meno male che io non ho tanto pudore» pensò Rossella sentendo piú che vedere, l'imbarazzo di Melania, mentre ella avvolgeva la tela attorno al viso in poltiglia. Riuscí a trascinare il corpo fino al porticato posteriore e, fermandosi per asciugarsi la fronte col dorso della mano, diede un'occhiata verso Melania che era rannicchiata contro la parete con le ginocchia piegate contro il petto nudo. «Era proprio il momento di stare a pensare al pudore!» disse fra sé Rossella; ma subito dopo si vergognò. Dopo tutto... dopo tutto Melania si era trascinata fuori dal letto per venire in suo aiuto con un'arme troppo pesante per lei. C'era voluto del coraggio, quella specie di coraggio che Rossella riconosceva lealmente di non possedere; quel coraggio tutto d'un pezzo che aveva caratterizzato Melania nella terribile notte della resa di Atlanta e durante il lungo viaggio verso casa. Era l'intangibile, incrollabile coraggio dei Wilkes, qualità che Rossella non possedeva, ma a cui rendeva omaggio. - Torna a letto - le disse voltandosi. - In questo modo arrischi la vita. Pulirò io dopo averlo sepolto. - Ma no; strofinerò con uno di quei tappeti vecchi - sussurrò Melania guardando la pozza di sangue col viso sconvolto. - Ah, be', se vuoi proprio star male, io poi non verrò a curarti! Piuttosto, se qualcuno ritorna prima che io abbia finito, trattienilo in casa e digli che il cavallo è venuto qui non si sa da dove. Melania rimase rannicchiata contro la parete e si coperse le orecchie per non udire la serie di colpi prodotti dalla testa del morto che batteva contro i gradini. Nessuno domandò da dove era venuto il cavallo; era ovvio che fosse un superstite della recente battaglia e tutti furono troppo contenti di averlo. Nessuno spettro si levò dalla tomba scavata da Rossella per spaventarla durante le lunghe notti in cui la stanchezza le impediva di dormire. Nessun sentimento di orrore o di rimorso l'assaliva; e ciò la stupiva perché ella sapeva che fino a un mese prima sarebbe stata incapace di quel gesto. La graziosa e giovane signora Hamilton, con le sue fossette e i suoi pendenti sempre in moto, che riduceva in poltiglia il viso di un uomo e poi lo seppelliva in una fossa scavata frettolosamente! Rossella sogghignò pensando alla costernazione che una simile idea avrebbe dato a coloro che la conoscevano. - Non voglio piú ricordarmene - decise. - Oramai la cosa è fatta e sarei stata molto stupida se non l'avessi ammazzato. Ma credo di essere cambiata parecchio da quando sono tornata a casa, altrimenti non avrei potuto. Era effettivamente cambiata piú di quanto non immaginasse, e la corazza che aveva cominciato a formarsi attorno al suo cuore quel giorno in cui ella giaceva nell'orto degli schiavi alle Dodici Querce, si andava a poco a poco indurendo. Ora che aveva un cavallo, Rossella poteva pensare a informarsi di quel che fosse accaduto ai vicini. Da quando era arrivata a casa si era chiesta disperatamente mille volte: «Ma siamo proprio i soli rimasti nella Contea? Tutto è stato incendiato, tutti si sono rifugiati a Macon?» Con la memoria fresca della rovina delle Dodici Querce e delle abitazioni dei MacIntosh e degli Slattery, aveva paura, quasi, di apprendere la verità. Ma era meglio sapere il peggio che ignorarlo. Decise quindi recarsi prima alla casa dei Fontaine, non perché fossero i piú vicini, ma perché poteva esservi il vecchio dottor Fontaine; e Melania aveva bisogno di un medico. Non si andava rimettendo come avrebbe dovuto e Rossella era spaventata del suo pallore e della sua debolezza. Non appena il suo piede le permise d'infilare una scarpina, ella montò quindi il cavallo dello yankee. Con un piede in una staffa accorciata e l'altra gamba di traverso sul pomo della sella, ella si avviò attraverso i campi, verso Mimosa. Con sua sorpresa e piacere vide che la casa giallo-pallido era ancora ritta fra gli alberi di mimosa. Una felicità che le fece quasi venire le lagrime la invase quando vide uscire dalla casa le tre signore Fontaine che le diedero il benvenuto con baci ed esclamazioni di gioia. Ma quando i primi saluti affettuosi furono scambiati, e tutte si riunirono nella sala da pranzo, Rossella ebbe un brivido. Gli yankees non erano arrivati a Mimosa, perché questa era lontana dalla strada principale; perciò i Fontaine avevano ancora la loro casa e le loro provviste. Ma a Mimosa regnava lo stesso strano silenzio che opprimeva Tara e tutta la regione. Tutti gli schiavi, ad eccezione di quattro serve, erano fuggiti, spaventati dall'avvicinarsi degli yankees. Non un uomo in casa a meno che non si volesse calcolare come tale il bambino di Sally, il piccolo Joe appena fuori dalle fasce. Nella grande casa erano sole la nonna Fontaine, ormai settantenne, sua nuora che era sempre stata chiamata la signora giovane, benché avesse compiuto i cinquant'anni, e Sally che ne aveva appena compiuto venti. Quantunque isolate e prive di qualsiasi protezione, non mostravano terrore; probabilmente, - pensò Rossella - perché Sally e la signora giovane troppo temevano l'indomabile nonna che aveva sempre avuto occhi e lingua ugualmente acuti, per osare lamentarsi. Fra le tre donne non esisteva parentela di sangue, ed esse erano di età assai diversa; ma pure erano unite da un legame di spirito e di esperienza. Tutte portavano abiti neri tinti in casa, tutte erano tristi, preoccupate e amareggiate; ma questi sentimenti non trapelavano dai loro sorrisi e dalle loro parole. I loro schiavi erano fuggiti, il loro denaro non valeva nulla, il marito di Sally era morto a Gettysburg e anche la signora giovane era vedova, essendo il giovane dottor Fontaine morto di dissenteria a Vicksburg. Gli altri due ragazzi, Alex e Toni, erano nella Virginia; e nessuno sapeva se erano vivi o morti; il vecchio dottor Fontaine era rimasto con la cavalleria di Wheeler. - E quel vecchio pazzo, a settantatré anni cerca di fare il giovinotto benché sia pieno di reumatismi - disse la nonna, fiera di suo marito, con gli occhi che smentivano le parole aspre. - Sapete nulla di ciò che sta succedendo ad Atlanta? - chiese Rossella dopo che si furono messi a sedere. - Noi a Tara siamo completamente privi di ogni notizia. - Qui siamo nella stessa condizione, figliola - rispose la vecchia. - Sappiamo soltanto che Sherman si è finalmente impadronito della città. - Ed ora che sta facendo? Dove sta combattendo? - Come vuoi che tre povere donne isolate in campagna sappiano qualche cosa della guerra, quando da settimane non abbiamo visto né una lettera né un giornale? - replicò la vecchia aspramente. - Uno dei nostri negri ha parlato con un altro che ne aveva visto un terzo che era stato a Jonesboro. Hanno detto che gli yankees si erano acquartierati ad Atlanta per far riposare uomini e cavalli; ma non so se sia vero. - Pensare che eravate a Tara e non lo sapevamo! - esclamò la signora giovane. - Come mi rimprovero di non essere mai venuta a vedere! Ma qui c'è tanto da fare dopo che i negri sono andati via, che non mi sono mai potuta muovere. Avrei pur dovuto trovare il tempo; era un dovere. In verità credevamo che gli yankees avessero bruciato Tara, come hanno fatto per le Dodici Querce e per la casa di MacIntosh, e che i vostri si fossero rifugiati a Macon. Non immaginavamo mai che voi, Rossella, foste tornata. - E come potevamo pensare diversamente, se i negri del signor O'Hara, quando passarono di qui, erano tutti spaventati e ci dissero che gli yankees stavano per incendiare Tara? Una sera, poi, vedemmo i riflessi del fuoco da quella parte, e durarono per delle ore; e i nostri stupidi schiavi si spaventarono tanto che fuggirono. Che cosa fu bruciato? - Tutto il nostro cotone: un valore di centocinquantamila dollari - rispose Rossella amaramente. - Ringrazia Dio che non abbiano bruciato la tua casa - replicò la nonna, appoggiando il mento al suo bastone. - Il cotone si può coltivare ancora, mentre la casa non si ricostruisce. A proposito, avete cominciato a raccogliere il cotone, voialtri? - No, - rispose Rossella; - ma è quasi tutto rovinato. Non credo che ve ne sia piú di tre balle. E poi, tutti i nostri negri-contadini se ne sono andati e non c'è nessuno per raccoglierlo. - Dio mio, tutti i contadini andati via e nessuno per raccoglierlo! - scimmiottò la nonna, lanciando a Rossella uno sguardo satirico. - E le tue belle manine, e quelle delle tue sorelle? - Io raccogliere il cotone? - esclamò Rossella inorridita, come se la nonna avesse suggerito un delitto. - Come una contadina? Come una stracciona? Come le donne di Slattery? - Straccioni! Dio mio, com'è delicata e signorile questa generazione! Ti dirò che quando io ero una bambina, mio padre perse tutto il suo patrimonio, e io non ebbi paura di lavorare con le mie mani, anche nei campi, finché papà non mise assieme abbastanza denaro per comprare degli altri schiavi. Ho zappato la terra, ed ho raccolto il cotone, e se sarà necessario, lo farò ancora. - Ma allora - esclamò la nuora lanciando sguardi imploranti alle due ragazze perché la aiutassero a lisciare le penne rabbuffate della vecchia, - erano altri tempi, e adesso tutto è cambiato! - I tempi non cambiano mai quando c'è bisogno di lavorare - affermò la vecchia senza lasciarsi addolcire. - Ed io mi vergogno per te, Rossella, di sentirti parlare come se il lavoro onesto fosse una cosa indegna. Per cambiare argomento Rossella si affrettò a chiedere: - E che notizie dei Tarleton e dei Calvert? Si sono rifugiati a Macon? Hanno avuto la casa incendiata? - Gli yankees non sono arrivati a casa Tarleton, perché come la nostra, è lontana dalla strada maestra; ma sono andati dai Calvert e hanno rubato tutte le provviste e il pollame, e hanno fatto fuggire tutti i negri. Era Sally che aveva cominciato a parlare, ma la nonna l'interruppe. - Sicuro! Promisero a tutte le negre abiti di seta e orecchini d'oro! E Catina Calvert ha raccontato che alcuni soldati son partiti portando in groppa delle stupide negre. I risultati saranno dei bambini gialli, e non credo che il sangue yankee migliorerà. - Oh, mamma! - Non fare quella faccia scandalizzata, Giovanna. Siamo tutte maritate, no? E Dio sa che abbiamo visto dei bambini mulatti anche prima di ora! - Come mai non hanno bruciato la casa dei Calvert? - La casa è stata salvata per gli sforzi combinati della seconda signora Calvert e di quel suo sorvegliante yankee, Hilton - rispose la vecchia signora, la quale parlava sempre della ex- governante come della o seconda signora Calvert» benché la prima fosse oramai morta da venti anni. «Noi siamo simpatizzanti con l'Unione» - continuò con voce nasale e strascicata rifacendo l'accento yankee. Ed affermò che tutti i Calvert erano yankees. Pensare che il signor Calvert è morto nel Wilderness! E Raiford a Gettysburg e Cade è nella Virginia, con l'esercito! Catina era cosí mortificata che avrebbe preferito che la casa fosse incendiata! Disse che Cade diventerebbe idrofobo il giorno in cui, tornando a casa, venisse a saperlo. Ma questo è ciò che accade quando un uomo sposa una yankee: né orgoglio né dignità; non pensano che alla loro pelle... Ma come mai non hanno incendiato Tara, Rossella? Per un attimo Rossella tacque. Sapeva che la domanda seguente sarebbe: «E come state tutti? Come sta la cara mamma?» E non poteva, no, non poteva dire che Elena era morta. Sapeva che se avesse pronunciato quella parola dinanzi a quelle donne simpatiche sarebbe scoppiata in lagrime; e non doveva piangere. Non aveva pianto da quando era arrivata a casa; ed era certa che se aprisse la via alle lagrime, tutto il suo coraggio svanirebbe. Ma capiva anche che se taceva, le Fontaine non le perdonerebbero mai di aver loro nascosto quella notizia. - Suvvia, parla - proseguí con asprezza la vecchia. - Non lo sai? - Ecco: io sono arrivata a casa l'indomani della battaglia - rispose in fretta - e gli yankees erano andati via. Il babbo mi disse che... non avevano bruciato la casa perché Súsele e Carolene stavano tanto male che non si poteva trasportarle altrove. - È, la prima volta che sento dire che uno yankee si è comportato come si deve. - La vecchia signora sembrava si rammaricasse di dovere riconoscere un sentimento umano negli invasori. - E ora come stanno le ragazze? - Molto meglio; ma sono debolissime. - Poi, vedendo la domanda sulle labbra della vecchia signora, si affrettò a cambiare conversazione. - Volevo appunto... volevo chiedervi se potete prestarci qualche cosa da mangiare. Gli yankees hanno distrutto tutto, come uno stormo di cavallette. Ma se siete poco provviste, ditemelo francamente e... - Manda Pork con un carretto e ti daremo la metà di quello che abbiamo: riso, farina, prosciutto, qualche pollo. - No, questo è troppo! Io... - Non una parola! Non voglio sentirla. Altrimenti, perché si sarebbe vicini? - Siete cosí buona che non so... Ma ora debbo andare. A casa saranno preoccupati di non vedermi ancora tornare. La nonna si alzò bruscamente e prese Rossella per un braccio. - Voi due rimanete qui - disse alle altre. - Debbo dire una parola a Rossella. Aiutami a scendere gli scalini, Rossella. La signora giovane e Sally salutarono Rossella, promettendo di andare presto a trovarla. Erano divorate dalla curiosità di sapere di che cosa dovesse parlare la nonna; ma sapevano che questa non lo avrebbe mai detto. Con la mano sulla briglia del cavallo, Rossella attendeva, col cuore angosciato. - Ora dimmi: - cominciò la vecchia - che cosa c'è che non va bene a Tara? Che cosa ci nascondi? Rossella fissò gli occhi acuti che la guardavano e comprese che potrebbe parlare senza piangere. Nessuno piangeva dinanzi alla nonna Fontaine, a meno che non ne avesse il permesso da lei. La mamma è morta - disse piano. La mano appoggiata al suo braccio si strinse e le palpebre grinzose ebbero un battito. - L'hanno uccisa gli yankees? - È morta di tifo. Il giorno prima del mio arrivo. - Non ci pensare. - La voce era severa; e Rossella vide che la nonna inghiottiva con sforzo. - E tuo padre? - Il babbo è... il babbo non è piú lo stesso. - Che vuoi dire? È ammalato? - Il colpo... è cosí stranito... non è... - Non dirmi che non è piú in sé. Il colpo gli ha toccato il cervello? Fu un sollievo per lei udire enunciare cosí schiettamente la verità. Com'era buona la vecchia a non dirle parole di simpatia che l'avrebbero fatta piangere! - Sí - rispose con tristezza - ha perduto il senno. Sembra come addormentato e a volte non si ricorda che la mamma è morta. Rimane delle ore ad aspettarla pazientemente, lui che era cosí impaziente! Ma è peggio quando si ricorda... Improvvisamente balza in piedi e corre fuori di casa, fino al nostro cimitero. Ritorna trascinandosi, con gli occhi pieni di lagrime e dice: «Caterina Rossella, la mamma è morta. La mamma è morta». E lo ripete all'infinito, tanto che mi par di impazzire. Di notte, qualche volta, sento che la chiama; allora scendo dal letto e vado a dirgli che è andata a trovare uno schiavo ammalato. E lui brontola perché dice che si strapazza sempre per curare gli altri. È difficile farlo tornare a letto: è come un bambino. Come vorrei che il dottor Fontaine fosse qui! So che farebbe qualche cosa per il babbo. E anche Melania ha bisogno del medico. Non si è rimessa come dovrebbe dopo il parto e... - Melly... un bambino? Ed è con te? - Sí. - E perché non è a Macon con sua zia e i suoi parenti? Non mi pareva che tu avessi gran simpatia per lei, benché fosse sorella di Carlo. Andiamo, via, raccontami. - È un po' lungo, nonna Fontaine. Non volete rientrare in casa e mettervi a sedere? - Posso stare in piedi - fu la breve risposta. - E se racconti la storia dinanzi alle altre, si mettono a piangere e ti fanno commuovere e dopo ti senti male. Avanti, racconta. Rossella cominciò semplicemente a narrare l'assedio e lo stato di Melania; e mentre andava avanti, trovava negli occhi che la fissavano le parole di sgomento e di orrore che da principio le erano mancate. Tutto le tornò in mente: il calore estenuante della giornata in cui era nato il bimbo, il terrore, la fuga, l'abbandono di Rhett. Parlò dell'oscurità della notte, dei fuochi che potevano essere di amici o di nemici, degli uomini e dei cavalli morti che aveva incontrato lungo la strada, delle rovine fumiganti, della fame, della desolazione, della paura che anche Tara fosse bruciata. - Credevo che arrivando a casa avrei deposto il tremendo fardello. Credevo che mi fosse già accaduto quanto di peggio poteva accadere; ma quando seppi che era morta, compresi che cosa era veramente il peggio. Abbassò gli occhi e attese che la nonna dicesse una parola. Il silenzio era cosí prolungato che temette di non essere stata compresa. Finalmente udí la voce; parlava con un tono di bontà assolutamente nuovo. - Figliuola, è male per una donna trovarsi di fronte al peggio che le può accadere, perché dopo di questo non ha piú paura di nulla. Ed è male, per una donna, non aver paura di nulla. Credi che non capisca tutto quello attraverso cui sei passata? Ho capito benissimo. Avevo circa la tua età quando avvenne la rivolta degli indiani, dopo il massacro del Forte Mims... - la sua voce era stranamente lontana - e riuscii a nascondermi fra i boschi e vidi la nostra casa incendiata e i miei fratelli e sorelle scotennati dagli indiani. E io non potevo fare altro che supplicare il Cielo perché la luce delle fiamme non rivelasse il mio nascondiglio. Trascinarono fuori mia madre e la uccisero a pochi metri dal luogo dove io ero sdraiata nel sottobosco. E anche a lei tolsero il cuoio capelluto; e ogni indiano le ficcava il suo tomahawk nel cranio. Io ero la beniamina della mamma... e vidi tutto questo. La mattina mi avviai all'accampamento piú vicino, che era a circa trenta miglia. Mi ci vollero tre giorni, attraverso le paludi e gli indiani; i nostri, quando li trovai, mi credettero pazza... Là conobbi il dottor Fontaine, che si occupò di me. Sono passati cinquant'anni; e da allora non ho mai piú avuto paura di nulla, perché sapevo che nulla di peggio potrebbe ormai accadermi. Dio vuole che le donne siano creature timide; in una donna che non ha paura è qualche cosa di innaturale... Rossella, cerca che ti rimanga sempre qualche cosa di cui temere... e cerca che ti rimanga qualche cosa da amare... Tacque e rimase con gli occhi fissi, come se rivedesse il giorno in cui aveva avuto paura, mezzo secolo prima. Rossella si mosse impaziente. Aveva creduto che la nonna l'avrebbe compresa e forse l'avrebbe aiutata a risolvere i suoi problemi. Ma, come tutti i vecchi, si era messa a parlare di cose avvenute tanto e tanto tempo prima; cose che non interessavano nessuno. Si pentí di essersi confidata a lei. - Ora vai, bambina; altrimenti a casa staranno in pensiero - riprese a un tratto la vecchia signora. - Manda Pork col carretto oggi nel pomeriggio... E non credere di poter deporre il tuo fardello, perché non lo puoi. Lo so.

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. - Non ho altro; ma immagino che abbiate l'abitudine di spogliare le vostre vittime. - Oh, vi crederò sulla parola - rispose il sergente tranquillo, e sputando mentre se ne andava. Rossella raddrizzò il bambino e cercò di calmarlo tenendo la mano nel punto dov'era nascosto il portafogli e ringraziando Dio che Melania avesse un bimbo in fasce. Sentiva al piano superiore pesanti scarponi scalpicciare sul pavimento. Sentiva i cassetti gettati sul pavimento, lo strepito delle porcellane e degli specchi infranti, le maledizioni perché non si trovava nulla di valore. Dal cortile giunsero grida: - Prendili, non farli scappare! - E lo schiamazzo disperato delle galline, delle anatre e delle oche. Sussultò sentendo un grugnito doloroso che fu subito acquetato da un colpo di pistola; e comprese che la scrofa era morta. Maledetta Prissy, era scappata via lasciandola. Se almeno i maialini fossero salvi! E se la famiglia avesse raggiunto la palude! Ma non vi era modo di saperlo. Rimase tranquilla nel vestibolo mentre i soldati si agitavano intorno a lei gridando e bestemmiando. Le dita di Wade stringevano terrorizzate la sua gonna. Ella sentiva quel corpicino scosso da un tremito, ma non aveva la forza di parlargli per rassicurarlo. Né riusciva a rivolgere una parola agli yankees, sia pure di lamento, di protesta o di collera. Poteva soltanto ringraziare Dio perché le sue ginocchia continuavano a sorreggerla, perché il suo collo era abbastanza forte da permetterle di tenere la testa eretta. Ma quando un gruppo di uomini barbuti, discese la scala portando un vero assortimento di oggetti rubati e fra le mani di uno di costoro ella vide la sciabola di Carlo, allora gridò. Quella sciabola era di Wade. Era stata di suo padre e di suo nonno e Rossella l'aveva regalata al piccino per il suo compleanno. Ne avevano fatto una vera cerimonia, e Melania aveva pianto lagrime di orgoglio dicendogli che doveva crescere per essere un soldato coraggioso come suo padre e suo nonno. Wade era molto fiero di questa sua proprietà e spesso si arrampicava sulla tavola al disopra della quale era sospesa per accarezzarla. Rosella poteva sopportare di veder la propria roba uscir dalla casa fra le mani odiose di quegli stranieri, ma non questo... Questo era il vanto del suo bambino. Wade, sogguardando dalle pieghe della gonna al suo grido, trovò la forza di emettere una parola in un singhiozzo. Stendendo una mano, gridò: - Mia! - Non potete prendere questo! - gridò Rossella tendendo anche lei la mano. - Non posso? - sogghignò il piccolo soldato che la teneva. - Sicuro che posso! È la spada di un ribelle! - No... non lo è. È una spada della Guerra Messicana. Non potete prenderla: è del mio bambino. Era di suo nonno. Oh, capitano - esclamò volgendosi al sergente - vi prego, fatemela restituire! Il sergente, soddisfatto della promozione, si avanzò di un passo. - Fammi vedere quella spada, ragazzo - disse. Riluttante, il piccolo cavalleggero gliela porse. - Ha l'impugnatura d'oro massiccio - disse. Il sergente la osservò, la mise contro il sole per leggere l'iscrizione che vi era incisa. «Al colonnello Guglielmo R. Hamilton» decifrò. «Dal suo Stato Maggiore, per il suo valore. Buena Vista 1847.» - Oh, signora! Anch'io ero a Buena Vista. - Davvero? - fece Rossella freddamente. - Sicuro. E vi assicuro che ci faceva caldo! Non ho mai visto in questa guerra una battaglia come quella... Dunque questa spada era del nonno di quel ragazzino? - Sí. - Allora bisogna lasciargliela - disse il sergente che era abbastanza soddisfatto per i gioielli che aveva annodati nel fazzoletto. - Ma è d'oro massiccio - obiettò il soldato. - Gliela lasceremo per nostro ricordo - e il sergente sogghignò. - Oh, penserò io a lasciarglielo, un ricordino! - replicò il cavalleggero. Rossella prese la spada senza neanche ringraziare. Perché avrebbe dovuto ringraziare quei ladri che le restituivano ciò che era sua proprietà? Tenne la spada stretta al petto mentre il piccolo cavalleggero discuteva col sergente. Rossella cominciava a respirare. Non aveva sentito parlare di incendiare la casa. Non le avevano detto di andarsene perché volevano appiccare il fuoco. Forse... forse... Gli uomini rientrarono nel vestibolo e discesero dal piano di sopra. - C'è qualche cosa? - chiese il sergente. - Un porco, qualche pollo e poche anatre. - Un po' di grano, di patate dolci e di fagioli. Quella strega che abbiamo visto a cavallo deve aver dato l'allarme. - Avete scavato sotto alla dispensa? Di solito è lí che nascondono i valori... - Non c'è dispensa. - E nelle capanne dei negri? - Solo del cotone. Lo abbiamo incendiato. Rossella rivide le lunghe giornate ardenti nel campo di cotone, sentí nuovamente il tremendo dolore alla schiena e alle spalle. Tutto invano. Il cotone era distrutto. - Non siete molto provvista, eh, signora? - Il vostro esercito è già stato qui, prima - rispose ella freddamente. - Infatti. Eravamo in questi paraggi nel settembre - disse uno degli uomini rigirando tra le mani qualche cosa. - Me n'ero dimenticato. Rossella vide che era il ditale d'oro di Elena. Quante volte lo aveva visto brillare mentre Elena lavorava! Ed eccolo nella mano callosa e sudicia di uno yankee e fra breve nel dito di una donna yankee che sarebbe fiera di usare una cosa rubata! Il ditale di Elena! Rossella chinò la testa perché il nemico non la vedesse piangere, e le sue lagrime caddero sul capo del piccino. Come attraverso una nebbia vide gli uomini muovere verso la porta, udí i comandi del sergente. Se ne andavano e Tara era salva... Ma tormentata dal ricordo di Elena, non riuscí ad esserne contenta. Il rumore delle sciabole e degli zoccoli le diede scarso sollievo ed ella si sentí improvvisamente stanca ed abbattuta, mentre la pattuglia percorreva il viale, tutti gli uomini carichi di oggetti di vestiario, coperte, quadri, galline ed anatre; e la scrofa. Alle sue narici giunse un odore di fumo ed ella si volse, troppo stanca per preoccuparsi del cotone. Attraverso le finestre aperte della sala da pranzo vide il fumo alzarsi pigramente dalle capanne dei negri. Era il cotone che ardeva. Il denaro delle tasse e parte del denaro che doveva aiutarli a trascorrere quel terribile inverno. Non vi era nulla da fare: solo guardare. Aveva visto altre volte ardere del cotone, e sapeva com'era difficile spegnerlo, anche con l'aiuto di parecchi uomini. Grazie a Dio, il quartiere degli schiavi era abbastanza lontano dalla casa! E non vi era vento che portasse le scintille sul tetto di Tara! A un tratto balzò in piedi irrigidita, fissando con orrore l'estremità del vestibolo, dove sboccava il passaggio coperto che conduceva alla cucina. Da quella parte veniva del fumo! Posò un attimo il bambino. Si liberò dalla stretta di Wade, balzò nella cucina piena di fumo, indietreggiò tossendo, con gli occhi pieni di lagrime. Entrò di nuovo, tenendosi la gonna contro il naso: la stanza, illuminata solo da una finestrella, era quasi buia; il fumo era talmente denso che non si vedeva nulla attraverso. Però udiva il crepitio delle fiamme, e cercando di ripararsi gli occhi con la mano, scorse sottili lingue di fiamme che dal pavimento correvano verso le pareti. Qualcuno aveva sparso per la stanza i pezzi di legno che ardevano nel focolare, e il pavimento di legno di pino si stava bruciando rapidamente. Tornò di corsa nella sala da pranzo e afferrò un grosso tappeto, facendo cadere con fracasso due sedie. - Non riuscirò a spegnerlo... Dio, Dio se ci fosse qualcuno per aiutarmi! Tara è finita... finita! Dio, Dio! - Ecco che cos'era il ricordo che le aveva lasciato quel farabutto... - Avrei fatto meglio a lasciargli la spada! Riattraversando il vestibolo vide suo figlio giacente nell'angolo con la sua spada: aveva gli occhi chiusi e il suo visino aveva un'espressione di pace indicibile. «Dio mio! È morto! Morto di paura!» pensò con angoscia. Ma balzò al secchio d'acqua che era sempre nel corridoio. Immerse nell'acqua l'estremità del tappeto e trattenendo il respiro penetrò nuovamente nella stanza piena di fumo, sbattendo la porta dietro di sé. Due volte le sue lunghe gonnelle presero fuoco, ed ella spense le fiamme stringendole tra le mani. Sentiva l'odore dei suoi capelli che ardevano, perché le forcine erano cadute e le trecce le ondeggiavano sulle spalle. Le fiamme correvano intorno a lei, verso i muri del passaggio coperto, serpenti rossi che si contorcevano e balzavano; vinta dall'esaurimento, comprese che non vi era piú speranza. L'uscio si spalancò e il soffio d'aria fece balzare le fiamme piú in alto. Mezza accecata, Rossella vide Melania che calpestava le fiamme, le batteva con qualche cosa di oscuro e di pesante. La vide vacillare, la sentí tossire, vide il suo corpicino agitarsi. Per un'altra eternità lottarono, fianco a fianco; e Rossella vide che le strisce di fiamma diventavano piú brevi. A un tratto Melania si volse verso di lei e con un grido la percosse violentemente tra le spalle. Poi Rossella cadde in un vortice di fumo e di oscurità. Quando riaperse gli occhi, era coricata nel porticato posteriore, col capo posato sulle ginocchia di Melania; sul suo volto brillava il sole pomeridiano. Le capanne degli schiavi erano avvolte in dense nuvole di fumo e l'odore del cotone che bruciava era intollerabile. Rossella vide nuvolette di fumo levarsi anche dalla cucina e fece per alzarsi freneticamente. Ma fu respinta dalla voce tranquilla di Melania. - Resta coricata, cara. Il fuoco è spento. Rimase quieta per un momento, sospirando di sollievo, con gli occhi chiusi, e udí accanto a sé il gemito sottile del piccino e il rassicurante singulto di Wade. Non era morto, grazie a Dio! Aperse gli occhi e guardò Melania. Aveva i riccioli abbruciacchiati e il viso nero di fuliggine, ma i suoi occhi brillavano di eccitazione e la bocca sorrideva. - Sembri una negra - mormorò Rossella riappoggiando il capo sul morbido guanciale. - E tu, uno spazzacamino. - Perché mi hai battuta? - Perché avevi il dorso in fiamme. Non pensavo che saresti svenuta, benché oggi tu ne abbia sopportate abbastanza da far morire chiunque... Sono tornata indietro appena ho messo tutto in salvo nel bosco. Mi sentivo morire, sapendoti sola qui col piccolo... Ti... ti hanno fatto male? - Se intendi che mi abbiano violentata, posso assicurarti di no. - Ed emise un gemito mentre tentava di sollevarsi a sedere. Il grembo di Melania era morbido, ma il pavimento del porticato era tutt'altro che comodo. - Ma hanno rubato tutto, tutto. Abbiamo perduto tutto... Ma perché hai quell'aria contenta? - Perché ci siamo ancora noi, una per l'altra, e abbiamo i nostri bimbi... e un tetto. E nessuno al giorno d'oggi può sperare di aver di piú... Dio mio, Beau è bagnato! Immagino che avranno rubato anche i suoi pannolini di ricambio... Ma... che diamine c'è nelle sue fasce, Rossella? Spaventata, ficcò la mano tra le fasce del piccolo e trasse il portafogli. Per un attimo lo guardò come se non lo avesse mai visto; poi cominciò a ridere, a ridere di un riso isterico. - Nessun altro sarebbe stato capace di pensarlo! - esclamò; e gettando le braccia al collo di Rossella la baciò. - Sei un vero tesoro! Rossella si lasciò abbracciare perché era troppo stanca per lottare; perché le parole di lode erano un balsamo per il suo cuore e perché, nella cucina piena di fumo, aveva provato un immenso rispetto per sua cognata, e uno stretto senso di cameratismo. «Bisogna ammettere» disse fra sé rimuginando «che è sempre presente quando c'è bisogno di lei.»

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L'importante è che mi abbiate perdonato. - Ma niente affatto. Siete una canaglia. - Disse quest'ultima parola come se avesse detto «tesoro». - Non raccontatemi storie. Mi avete perdonato. Una giovane signora non affronta le sentinelle yankee per venire a trovare un detenuto per puro spirito di carità; e non viene tutta vestita di velluto con penne e manicotto. Come siete carina, Rossella! Grazie a Dio non siete in lutto né vestita di stracci. Non ne posso piú di donne malvestite. Sembra che veniate da Rue de la Paix. Voltatevi, cara, e lasciatevi guardare. Aveva notato il vestito. Era naturale che Rhett notasse queste cose. Ella rise dolcemente eccitata e si girò sui tacchi con le braccia tese, facendo ondeggiare i suoi cerchi per mostrare la guarnizione di pizzo della sottoveste. Gli occhi neri di lui la abbracciarono in un solo sguardo dalla testa ai piedi; era ancora quel suo sguardo impudente che sembrava svestirla e che le faceva accelerare i battiti del cuore. - State molto bene e molto elegante. Mi date proprio il desiderio... Se non ci fossero quegli yankees là fuori... Ma potete star tranquilla, cara. Sedete. Non approfitterò di voi come ho fatto l'ultima volta che ci siamo visti. - Si strofinò la guancia con finta tristezza. - Sinceramente, Rossella, non vi pare che quella notte siete stata abbastanza egoista? Pensate: con tutto ciò che avevo fatto per voi, arrischiato la vita, rubato un cavallo. e che cavallo! Rapito alla difesa della Nostra Causa Gloriosa! E che cosa ho avuto per ricompensa? Poche parole dure e uno schiaffo sonoro. Ella sedette. La conversazione non si svolgeva secondo il suo desiderio. - Volete sempre avere qualche cosa in cambio di ciò che fate? - Si capisce! Dovreste sapere che sono un mostro di egoismo. Pretendo sempre il pagamento, per qualunque cosa. Questo le diede un leggero brivido. Ma si riprese subito e agitò nuovamente gli orecchini. - Ma no, non è vero che siete tanto cattivo, Rhett. Vi piace farlo credere. - Siete proprio cambiata sul serio! - E Rhett rise. - Ma chi è che ha fatto di voi una cosí buona cristiana? Ho avuto vostre notizie da miss Pittypat, la quale non mi ha detto che in voi si fosse sviluppata la dolce femminilità. Ma parlatemi di voi. Che avete fatto da quando non ci siamo piú visti? L'antica irritazione verso di lui e lo spirito antagonistico erano già risorti in lei, e l'impulso fu di rispondere con asprezza; ma lo dominò e sorrise mostrando le fossette delle guance. Egli aveva avvicinato la sedia alla sua, e Rossella gli posò dolcemente mia mano sul braccio. - Oh, me la sono cavata, e le cose a Tara vanno benino adesso. Certo, abbiamo passato dei brutti momenti dopo la venuta di Sherman; ma per fortuna la casa non fu bruciata, e i negri salvarono la maggior parte delle nostre provviste nascondendole nella palude. Abbiamo anche fatto un discreto raccolto: venti balle. Senza dubbio, è un'inezia in confronto di quello che potrebbe produrre Tara; ma abbiamo pochi contadini. Il babbo dice che l'anno venturo andrà meglio. Ma com'è malinconica adesso la campagna, se sapeste! Né balli né riunioni; e non si parla d'altro che della tristezza dei tempi! Vi assicuro che non ne posso piú! Finalmente, la settimana scorsa ho sentito che proprio ero stufa, e allora il babbo mi ha consigliato di fare un viaggetto per distrarmi un poco. Perciò sono venuta qui a farmi qualche abito e poi andrò a Charleston da mia zia. Sarà piacevole frequentare di nuovo qualche ballo! «Bene» pensò con soddisfazione «gliel'ho detto proprio come dovevo! Senza aver l'aria troppo ricca, ma neanche troppo povera!» - Siete molto bella vestita da ballo, mia cara; e quel ch'è peggio, è che lo sapete! Probabilmente la vera ragione per cui andate a far visita alle vostre parenti è perché avete esaurito tutti i corteggiatori della Contea e avete bisogno di andare a mietere altre conquiste in campi lontani! Rossella fu ben lieta al pensiero che Rhett avesse trascorso gli ultimi mesi all'estero. Altrimenti, non avrebbe fatto quella ridicola affermazione. Pensò con amarezza ai corteggiatori della Contea: i piccoli Fontaine vestiti di abiti logori, i poveri Munroe, i giovinotti di Jonesboro e di Fayetteville, tanto occupati ad arare, spaccare legna, curare vecchi animali infermi, che avevano completamente dimenticato l'esistenza di cose piacevoli come balli e corteggiamenti. Ma respinse questo pensiero e sorrise ammettendo la verità dell'asserzione. - Andiamo, via! - esclamò. - Siete una creatura senza cuore, Rossella; ma forse questo fa parte del vostro fascino. - Sorrise del suo vecchio sorriso un po' beffardo. - È un fascino veramente eccessivo, il vostro. L'ho sentito perfino io, benché sia cosí indurito... Spesso mi sono chiesto perché avevo cosí vivo il vostro ricordo, mentre ho conosciuto tante signore piú belle di voi, piú intelligenti e, probabilmente, piú buone e moralmente piú oneste di voi. Eppure, non vi ho mai dimenticata. Anche quando, dopo la sconfitta, sono stato in Inghilterra e in Francia, e ho conosciuto tante donne piacevoli, mi è accaduto spesso di pensare a voi e di chiedermi che cosa stavate facendo. Per un momento fu indignata nel sentirgli dire che altre donne erano piú belle, piú intelligenti e piú buone di lei, ma questo pensiero svaní dinanzi alla gioia di sapere che aveva sempre ricordato lei e il suo fascino. Questo le facilitava il compito. Ora bisognava parlare di lui, fargli comprendere che anche lei non aveva dimenticato e poi... Gli strinse dolcemente il braccio e sorrise ancora. - Oh Rhett, perché prendere in giro una ragazza di campagna come me! So benissimo che non vi siete piú ricordato che io fossi al mondo dopo quella notte... Con tutte quelle belle inglesine e francesine... Ma non sono venuta qui per sentirvi dire delle galanterie. Sono venuta... sono venuta... perché... - Perché...? - Perché... ero tanto preoccupata per voi! Tanto spaventata! Quando uscirete da questo orribile luogo? Rapidamente egli le coperse la mano con la sua e la trattenne contro il proprio braccio. - Siete molto carina. Non so dirvi quando potrò uscire. Probabilmente quando avranno tirato un poco piú la corda. - La corda? - Ma sí; immagino che uscirò da qui sospeso a una corda! - Non volete dire che vi impiccheranno...? - Lo faranno se riusciranno ad avere qualche prova di piú a mio carico. - Rhett! - e Rossella si portò la mano al cuore. - Ne avrete dolore? Se sarete abbastanza addolorata, mi ricorderò di voi nel mio testamento. Gli occhi neri ridevano incuranti. Le strinse la mano. «Il suo testamento!» pensò Rossella. E abbassò gli occhi per tema che la tradissero. Ma non abbastanza rapidamente: e gli occhi di lui improvvisamente si accesero di curiosità. - Secondo gli yankees, dovrei fare un bellissimo testamento. Si interessano molto dello stato delle mie finanze. Tutti i giorni mi rivolgono un'infinità di domande stupide. A quanto pare, corre voce che io abbia portato via il mitico oro della Confederazione... - E... non lo avete fatto? - Che domanda! Voi sapete meglio di me che la Confederazione aveva una macchina litografica invece di una zecca. - E da dove veniva tutto il vostro denaro? Speculazioni. Zia Pitty dice... - Che domande insidiose? Dio lo benedica! Certamente aveva il denaro... Rossella era cosí eccitata che ormai trovava difficile parlargli con dolcezza. - Rhett, sono tanto sconvolta all'idea che siate rinchiuso qui dentro... Non vi è nessuna possibilità di uscirne? - Il mio motto è "nihil desperandum". - E che significa? - Significa "forse", mia graziosa ignorantella. Rossella agitò le palpebre frangiate come ali di farfalla. - Siete troppo abile per lasciarvi impiccare! Certo troverete il modo di cavarvela. E quando sarete riuscito... - Ebbene? - chiese Rhett dolcemente, chinandosi ancor di più - Ebbene, io... - Riuscí a fingere un grazioso imbarazzo e ad arrossire. Il rossore non le riuscí troppo difficile, perché era ansimante e il cuore le batteva come un tamburo. - Rhett, sono cosí spiacente di... di quello che vi dissi quella sera... lí, sulla strada. Ero... tanto spaventata e sconvolta e voi... - Abbassò gli occhi e vide le mani brune di lui sulle sue.... E credetti... che non vi avrei mai piú perdonato! Ma quando zia Pitty ieri mi ha detto che voi... che potrebbero impiccarvi... io... io... - Gli lanciò un rapido sguardo d'implorazione in cui mise tutta l'angoscia di un cuore spezzato - Oh, Rhett, se vi impiccassero morirei! Non potrei resistere! Io... - E non potendo sostenere la luce ardente degli occhi di lui, abbassò nuovamente le palpebre. «Sento che sto per piangere» pensò eccitata, frenetica. «Debbo dar corso alle lagrime? Sembrerà piú naturale? Rhett le strinse le mani cosí forte da farle male, mentre mormorava: - Dio mio, Rossella, non volete dire che... Ella chiuse gli occhi cercando di spremerne qualche lagrima, ma volgendo lievemente in alto il viso perché egli potesse baciarla piú facilmente. Fra un secondo la sua bocca sarebbe sulla sua; quella bocca dura che improvvisamente ricordò con un'intensità che parve la svuotasse di tutto il sangue. Ma egli non la baciò. Delusa e stupita, riaperse gli occhi e arrischiò una breve occhiata. Il capo bruno era chino sulle sue mani; egli ne sollevò una e la baciò; poi, prendendo l'altra, se la posò per un momento sulla guancia. Aspettandosi qualche cosa di violento, questo gesto gentile e affettuoso la stupí. Avrebbe voluto vedere l'espressione del suo volto, ma non poté scorgerlo. Riabbassò in fretta gli occhi per timore che egli sollevasse i suoi e vedesse la sua espressione. Era sicura di non poter celare la gioia per il trionfo imminente. Certo fra un minuto le chiederebbe di sposarlo o perlomeno le direbbe che l'amava; e allora... Mentre attraverso le folte ciglia abbassate ella lo guardava, Rhett le rivoltò la mano per baciarne anche il palmo, e a un tratto respirò piú velocemente. Anche Rossella in quel momento vide il palmo della propria mano, come se non lo avesse mai visto, e si sentí mancare il cuore. Era la mano di un'estranea, non la mano bianca, morbida, tutta fossette di Rosella O'Hara. Era una mano indurita dal lavoro, arsa dal sole, screpolata e incallita. Le unghie erano spezzate e irregolari; nel pollice era una vescica in via di guarigione. La cicatrice della bruciatura prodotta il mese scorso dal grasso bollente era lucida e rossa. Rossella vide tutto ciò in un lampo, con orrore, e istintivamente strinse il pugno. Neanche adesso Rhett levò il capo. Neanche adesso ella vide il suo volto. Le riaperse il pugno senza pietà, le prese l'altra mano e rimase a fissarle senza parlare. - Guardatemi - disse finalmente alzando la testa; la sua voce era tranquilla. - E smettete quell'aria umiliata. Involontariamente ella lo guardò con un'espressione di sfida e di turbamento. Gli occhi di lui scintillavano e le sue sopracciglia brune erano inarcate. - Dunque le cose vanno benino a Tara, non è vero? E il raccolto del cotone rende tanto che voi potete andare in giro a visitare i parenti. Che cosa avete fatto con queste mani...? Vangato? Ella cercò di svincolarsi; ma Rhett la trattenne e le posò un dito sui calli. - Queste non sono le mani di una signora - e gliele posò nuovamente in grembo. - Tacete! - ella esclamò provando un attimo di sollievo nel sentirsi nuovamente capace di esprimere i propri sentimenti. - Che cosa v'importa di quello che faccio con le mani? «Che sciocca!» pensò frattanto con ira. «Dovevo farmi prestare i guanti di zia Pitty o rubarglieli. Ma non mi ero accorta che le mie mani fossero in questo stato. E ora ho perso il controllo di me stessa ed ho rovinato ogni cosa!» E questo proprio nel momento in cui stava per fare la sua dichiarazione! - Senza dubbio le vostre mani non mi riguardano - rispose Rhett freddamente e si appoggiò indolentemente alla spalliera della sua sedia con aria ingenua. La faccenda diventava difficile. Chi sa, forse parlandogli con dolcezza... - Siete poco gentile a respingere le mie povere mani, soltanto perché la settimana scorsa sono andata a cavallo senza guanti e me le sono sciupate... - Accidempoli, che cavallo! - La voce di lui era ugualmente calma e dolce. Avete lavorato come un negro, con quelle mani. Perché non dite la verità? Perché darmi ad intendere che le cose a Tara vanno bene? - Ma insomma, Rhett... - Qual'è il vero scopo della vostra visita? Avevo quasi creduto alle vostre moine e stavo per convincermi che eravate addolorata che io... - Ma sí, Rhett, sono addolorata! Davvero... - Niente affatto. Se anche mi appiccassero a non so che altezza, non ve ne importerebbe nulla. È scritto chiaramente sul vostro viso, cosí come il lavoro faticoso è scritto sulle vostre mani. Voi volete qualchecosa da me e perciò avete inscenato questa commedia. Perché non siete venuta a dirmelo francamente? Avreste avuto piú probabilità di raggiungere il vostro scopo, perché se vi è una virtú che stimo in una donna è la franchezza. Ma no: siete venuta qui a far dondolare i vostri orecchini e a fare delle smorfie come una prostituta che spera di accaparrarsi un cliente. Non aveva alzato la voce pronunciando queste ultime parole, ma per Rossella furono come una frustata; ed ella vide con disperazione il naufragio di tutte le sue speranze. Se egli avesse avuto uno scoppio d'ira come a molti altri uomini sarebbe accaduto, Rossella avrebbe ancora trovato modo di prenderlo. Ma la calma mortale della sua voce la sgomentò. Benché fosse un detenuto e nella stanza accanto vi fossero gli yankees, ella comprese improvvisamente che era pericoloso mettersi in contrasto con Rhett Butler. - Evidentemente la memoria mi ha fatto difetto. Dovevo ricordarmi che voi siete come me e non fate mai nulla senza uno scopo. Vediamo, dunque. Che diamine potevate avere in mente, signora Hamilton? Possibile che abbiate supposto che vi avrei chiesta in moglie? Ella divenne di porpora e non rispose. - Eppure non potete aver dimenticato che molte e molte volte ho affermato che non sono tipo da matrimonio! Poiché ella non rispondeva, egli riprese con subitanea violenza. - Non lo avevate dimenticato? Rispondetemi! - Non lo avevo dimenticato - rispose Rossella miserabilmente. - Siete una giocatrice, Rossella - rise Rhett. - Avete creduto che l'essere chiuso qui, lontano da ogni contatto femminile, mi avrebbe messo in tale stato che avrei abboccato all'amo come un povero pesciolino... «E se non fosse stato per le mie mani...!» pensò Rossella con ira. - Ora la verità è venuta fuori; mi manca soltanto conoscere i vostri motivi. Vedete un po' se siete capace di dirmi perché volevate accalappiarmi nella rete matrimoniale. Nella sua voce era una nota soave, quasi beffarda, ed ella riprese un po' di coraggio. Forse tutto non era ancora perduto. Certo non vi era piú da pensare al matrimonio; ma di questo, malgrado la sua disperazione, fu quasi contenta. Vi era qualche cosa, in quell'uomo immobile, che la sgomentava; sicché ora il pensiero di sposarlo le appariva spaventoso. Ma forse, con un po' di abilità e sapendo toccare il tasto dei ricordi, potrebbe ottenere il prestito. Diede al suo viso un'espressione infantile e supplichevole. - Oh, Rhett... potreste aiutarmi... se voleste esser buono! - Non c'è nulla che mi piaccia di piú che l'esser buono. - Rhett, per la nostra vecchia amicizia, vorrei che mi faceste un favore. - Oh, finalmente la signora dalle mani callose viene a dirmi il vero scopo della sua visita. Mi pareva bene che «visitare gli infermi e i carcerati» non fosse il vostro genere. Di che avete bisogno? Denaro? La rudezza di questa domanda distrusse ogni speranza di condurre la faccenda in maniera guardinga e sentimentale. - Non siate cosí cattivo, Rhett! - La sua voce era lusingatrice. - Ho bisogno di un prestito da voi... Trecento dollari. - Finalmente la verità! Si parla d'amore ma si pensa ai quattrini. Com'è femminile questo! E vi occorrono assolutamente? - Sí... Cioè, non assolutamente, ma mi farebbero comodo. - Trecento dollari. È una bella somma. Per che cosa vi serve? - Per pagare le imposte su Tara. - Dunque, vi occorre una sovvenzione. Giacché siete qui per affari, parlerò anch'io da uomo d'affari. Che garanzia mi date? - Come? - Garanzia. Sicurezza della restituzione. Non ho nessuna voglia di perdere una simile cifra. - La sua voce aveva una falsa dolcezza; ma Rossella non la rilevò. Sperava ancora che la faccenda potesse aggiustarsi. - I miei orecchini. - Non mi interessano. - Vi darò un'ipoteca su Tara. - Che volete che ne faccia di una proprietà fondiaria? - Potreste... potreste... è un'ottima piantagione. E non perderete nulla. Vi rimborserò col ricavato del prossimo raccolto. - Non ne sono molto sicuro. - Si appoggiò indietro, alla spalliera della sedia, e si mise le mani in tasca. - I prezzi del cotone stanno scendendo. I tempi sono difficili e il denaro è scarso. - Mi prendete in giro, Rhett! Coi milioni che avete... Gli occhi neri di lui brillavano maliziosamente mentre egli la fissava. - Dunque, tutto va bene e voi non avete un bisogno assoluto di questo denaro. Mi fa piacere di saperlo. Sono ben contento che per i vecchi amici la vita sia abbastanza facile. - Rhett, per l'amor di Dio... - riprese Rossella disperata, perdendo il coraggio e il controllo di sé. - Parlate piú sommessa. Spero che non vorrete che gli yankees vi sentano. Vi hanno mai detto che avete gli occhi di un gatto... di un gatto nell'oscurità? - Non mi tormentate, Rhett! Vi dirò tutto. Ho assoluto bisogno del denaro. Ho... ho mentito in tutto e per tutto. Le cose... vanno alla peggio. Il babbo è... non è piú in sé, da quando è morta la mamma; e non può aiutarmi in nessun modo; è ridotto come un bambino. Non abbiamo un solo contadino per coltivare il cotone e siamo in tanti a mangiare: tredici persone! Le tasse sono altissime. Voglio dirvi tutto, Rhett! Per un anno siamo stati sempre in procinto di morire di fame. Oh, non potete sapere! È terribile svegliarsi con la fame e andare a letto con la fame... E non avere un vestito che dia un po' di calore; i bambini sono sempre raffreddati e sofferenti... - Dove avete preso questo bel vestito? - È fatto con le tende della mamma - rispose, troppo disperata per tacere questa vergogna. - Ho resistito al freddo e alla fame, ma ora... i «carpetbaggers» hanno aumentato le tasse. E bisogna pagare! Non ho che una moneta d'oro da cinque dollari. E se non pago... mi prenderanno Tara! E io... noi non possiamo perdere la nostra terra, la nostra casa! - Perché non mi avete detto subito tutto questo invece di far languire il mio cuoricino suscettibile... sempre debole quando si tratta di belle signore? No, Rossella, non piangete. Avete usato tutti i trucchi possibili, meno questo; e non so se potrei resistere. Ho già il cuore abbastanza lacerato dalla delusione di avere scoperto che volevate il mio denaro e non la mia affascinante persona. Ella ricordò che Rhett spesso diceva delle verità scherzando e lo guardò per comprendere se egli era veramente addolorato. Si interessava davvero a lei? Era realmente stato in procinto di farle una proposta quando si era accorto delle sue mani callose? Ma gli occhi neri la guardavano con un'espressione che non era amorosa, e la bocca rideva beffarda. - Non mi piace la vostra garanzia. Non sono un piantatore. Che altro potete offrirmi? Finalmente era giunto il momento... Coraggio! Trasse un profondo respiro e lo guardò schiettamente, senza civetteria, mentre la sua mente cercava di non indietreggiare dinanzi a ciò che temeva di piú. - Ho... ho me stessa. - Davvero? La linea della mascella di lei si assottigliò e i suoi occhi divennero di smeraldo. - Vi ricordate quella sera, durante l'assedio, sotto al porticato di zia Pitty? Mi diceste... che mi desideravate. Egli si gettò nuovamente indietro, appoggiando la spalliera della seggiola alla parete; il suo volto bruno era impenetrabile. Una luce si agitò un attimo nei suoi occhi, ma egli tacque. - Diceste... che non avevate mai desiderato tanto nessuna donna. Se mi desiderate ancora, Rhett, potete avermi. Farò tutto ciò che vorrete; ma per carità, scrivetemi un ordine per il denaro! La mia parola vi deve bastare. Giuro che non mi trarrò indietro. Se volete, ve lo metterò in iscritto. Egli la guardò in modo strano, sempre impenetrabile; Rossella non avrebbe saputo dire se era divertito o disgustato. Se almeno avesse pronunciato una parola! Ella sentí le fiamme salirle al viso. - E bisogna che io abbia il denaro senza indugio, Rhett. Altrimenti ci metteranno in mezzo alla strada; quel maledetto sorvegliante che era alle dipendenze del babbo vuoi diventare proprietario di Tara... - Un momento. Che cosa vi fa credere che io vi desideri ancora? Che cosa vi fa supporre che potete valere trecento dollari? Generalmente le donne non raggiungono questo prezzo. Ella arrossí fino alla radice dei capelli; non poteva essere piú umiliata di cosí. - Perché fate questo? Perché non lasciate perdere la proprietà e non ve ne andate ad abitare con miss Pittypat? Metà della casa vi appartiene... - Dio benedetto! - esclamò Rossella. - Siete pazzo? Io non posso lasciar perdere Tara. È la mia casa. Non la lascerò finché avrò respiro! - Gli irlandesi - e riabbassò i piedi anteriori della sedia togliendosi le mani di tasca - sono la razza piú infernale che vi sia. Mettono un ardore inverosimile nelle cose piú sbagliate. Per esempio, la terra. Come se una zolla non fosse identica a un'altra zolla... Dunque, stabiliamo chiaramente questa faccenda. Siete venuta da me con una proposta commerciale. Io vi darò trecento dollari e voi diventerete la mia amante. - Sí. Ora che la parola ripugnante era stata detta, ella si sentí sollevata; la speranza si ridestò in lei. Rhett aveva detto «vi darò». Nei suoi occhi era una luce diabolica, come se la cosa lo divertisse sommamente. - Eppure, quando ho avuto la sfacciataggine di farvi la stessa proposta, mi avete messo alla porta. E mi avete gratificato di un certo numero di insulti, aggiungendo che non volevate arrischiare di mettere al mondo «un mucchio di bastardi». Questo lo dico soltanto perché sto cercando di capire le stranezze della vostra mentalità. E tutto questo mi convince una volta di piú che la virtú è semplicemente una questione di prezzo. - Oh, Rhett, continuate pure! Se avete voglia di insultarmi, dite tutto quello che volete, ma datemi il denaro! Ora si sentiva piú tranquilla. Conoscendo Rhett, era certa che egli l'avrebbe tormentata e insultata per vendicarsi del passato e anche del suo recente tentativo. Ebbene, sopporterebbe tutto. Per Tara, valeva la pena. Tutto si poteva sopportare. Rialzò il capo. - Me lo darete? Egli la fissò come se si stesse divertendo, e quando rispose la sua voce ebbe una soave brutalità: - No, non ve lo darò. Le sembrò quasi di non capire. - Non potrei darvelo, anche se volessi. Non ho un quattrino con me. E non ho un dollaro ad Atlanta. Ho un po' di denaro, sí, ma non qui. E non vi dirò quanto né dove. Ma se io cercassi di fare un assegno, gli yankees vi si avventerebbero sopra e non prenderemmo piú nulla, né voi né, io. Che ne dite? Il volto di lei divenne verdastro, e la sua bocca si contorse come quella di Geraldo in una rabbia omicida. Balzò in piedi con un grido incoerente che fece immediatamente cessare il mormorio di voci nella stanza accanto. Con un guizzo di pantera Rhett le fu vicino, mettendole una mano sulla bocca e afferrandola alla vita con l'altro braccio. Ella lottò violentemente, cercando di mordergli la mano, di dargli dei calci, di urlare la sua ira, la sua disperazione, il suo odio, la sua angoscia, il suo orgoglio ferito. Si dibatté e si torse su quel braccio di ferro, ma egli la teneva cosí stretta da farle male; anche la mano che le aveva posto sulla bocca le serrava crudelmente le mascelle. Era pallidissimo sotto il suo colore abbronzato e i suoi occhi erano ansiosi mentre la sollevava completamente da terra; sedette nuovamente, stringendosela al petto, raccogliendola sulle sue ginocchia tutta contorta. - Cara, per l'amor di Dio! Zitta! Non urlate! Altrimenti entreranno qui... Calmatevi! Volete che gli yankees vi vedano in questo stato? Non le importava nulla di essere vista da chiunque; non aveva altro che un feroce desiderio di ucciderlo. Ma si sentí prendere dal capogiro: stentava a respirare; Rhett la soffocava; il busto la stringeva come una morsa di ferro. Udí la sua voce diventare piú fievole e lontana e il volto di lui chino sul suo fu avvolto da una specie di nebbia sempre piú densa, finché non lo vide piú. Tornando in sé, fece qualche lieve movimento: le dolevano tutte le ossa e si sentiva debole e sbalordita. Semisdraiata sulla sedia, era senza cappello; Rhett le dava dei lievi colpetti sul polso, mentre i suoi occhi neri la scrutavano ansiosamente. Il giovine capitano cercava di farle inghiottire un bicchierino di acquavite; gliene aveva sparso metà sul collo. Gli altri ufficiali giravano intorno senza saper che fare, parlando sottovoce e agitando le mani. - Credo... di essere svenuta. - E la propria voce le parve cosí lontana che la spaventò. - Bevi questo - disse Rhett prendendo il bicchiere e accostandoglielo alle labbra. Ella ricordò l'accaduto e lo guardò; ma era troppo stanca per adirarsi. - Ti prego, per amor mio. Inghiottí un sorso e cominciò a tossire; ma egli la costrinse ad inghiottire ancora. Ingoiò e il liquido ardente le bruciò la gola. - Ora mi pare che stia meglio, signori - disse Rhett - ed io vi ringrazio molto. L'idea che io debba essere giustiziato l'ha sconvolta. Il gruppo in uniformi azzurre si agitò un poco confusamente; vi fu qualche sguardo imbarazzato, qualche colpetto di tosse, poi tutti uscirono. - Se posso ancora esservi utile... - disse il giovine capitano soffermandosi sulla soglia. - No, grazie. Uscí e richiuse l'uscio. - Bevete un altro sorso. - No. - Bevete. Bevve ancora; il calore si diffuse per il suo corpo e le diede un po' di forza. Fece per alzarsi in piedi, ma egli la trattenne. - Lasciatemi. Ora me ne vado. - Non ancora. Aspettate un momento. Potreste svenire di nuovo. - Preferisco svenire per istrada piuttosto che stare qui con voi. - Ma io non voglio che vi sentiate male per istrada. - Lasciatemi andare. Vi odio. Egli accennò un debole sorriso. - Questo vi somiglia. Si vede che state meglio. Rossella cercò per un momento di richiamare la sua collera; ma era troppo stanca e debole per potere odiare e provare qualsiasi sentimento violento. La sconfitta le pesava come il piombo. Aveva giocato e aveva perduto tutto. Questa era la fine della sua ultima speranza; la fine di Tara e di ogni cosa. Rimase a lungo con gli occhi chiusi, sentendo vicino a sé il respiro di lui; il calore dell'acquavite diffondendosi nel suo corpo le diede una fittizia energia. Quando finalmente riaperse gli occhi e lo vide, la collera la invase nuovamente. Vedendole aggrondare le sopracciglia, Rhett sorrise. - State meglio. Si vede dal vostro cipiglio. - Sí, sto bene. Ma voi, Butler, siete un odioso farabutto, il piú gran mascalzone che io abbia mai conosciuto! Sapevate benissimo quello che vi avrei detto e sapevate che non potevate darmi il denaro. Avreste dunque potuto evitarmi... - Evitarvi di dire quello che avete detto? Neanche per sogno. Ho cosí poche distrazioni qui! E non ho mai udito nulla di piú piacevole. - Improvvisamente rise del suo vecchio riso beffardo. Udendolo ella balzò in piedi afferrando il suo cappello. Egli la prese per le spalle. - Non ancora! Vi sentite abbastanza bene da poter parlare con un po' di senso comune? - Lasciatemi andare! - Vedo che state bene. E allora ditemi una cosa. Ero io la sola cartuccia che potevate sparare? - I suoi occhi erano attenti e pronti a spiare ogni mutamento del volto di lei. - Che volete dire? - Ero il solo uomo col quale potevate tentare...? - Che ve ne importa? - Piú di quello che immaginate. Ditemi dunque. Avete altri uomini a cui ricorrere? - No! - Incredibile. Non riesco a immaginarvi senza una riserva di cinque o sei innamorati. Certamente qualcuno potrebbe accettare la vostra proposta. Ne sono tanto sicuro che vorrei darvi un piccolo consiglio. - Non so che farmene dei vostri consigli. - Voglio darvelo lo stesso. È la sola cosa che posso darvi adesso. Quando volete ottenere qualche cosa da un uomo, non siate cosí schietta come siete stata con me. Siate piú insinuante, piú seducente. Il risultato sarà migliore. Una volta eseguivate questo gioco alla perfezione. Ma poco fa, quando mi avete offerto la vostra... hm.... garanzia per il mio denaro, siete stata troppo dura. Ho visto degli occhi come i vostri una volta, a venti passi di distanza, durante un duello alla pistola; e vi assicuro che non è una vista piacevole. Ciò non risveglia l'ardore nel petto di un uomo. Non è cosí che si trattano gli uomini, mia cara. Voi state dimenticando la vostra educazione e tutte le arti che vi sono state insegnate. - Non ho bisogno che mi diciate come devo comportarmi - replicò Rossella; e si mise il cappello con le mani tremanti di stanchezza. Fu stupita che egli avesse voglia di scherzare, sentendosi la corda intorno al collo, e sapendo lei in condizioni cosí pietose. Non si accorse neppure che egli aveva le mani sprofondate in tasca, coi pugni stretti, come se facesse uno sforzo contro la propria impotenza. - Allegra - le disse mentre ella si annodava i nastri del cappello. - Potrete venire ad assistere alla mia impiccagione; questo vi farà bene. Salderà tutti i vostri vecchi rancori contro di me... anche quest'ultimo. E io vi nominerò nel mio testamento. - Grazie; ma c'è il pericolo che vi impicchino quando sarà troppo tardi per pagare le tasse - rispose Rossella con una subitanea malizia che superò quella di lui.

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. - È strano che abbiate questi sentimenti quando siete stati voialtri che avete voluto emanciparli. - Ah, io no davvero! - rise la donna del Maine. - Io non avevo mai visto un negro prima di venire nel Sud un mese fa; e non vorrei proprio vederne altri. Mi fanno venire i brividi. Non potrei fidarmi... Da qualche istante Rossella si era accorta che zio Pietro respirava affannosamente pur rimanendo dritto e immobile con lo sguardo fisso alle orecchie del cavallo. La sua attenzione fu richiamata forzatamente su di lui quando la donna ruppe improvvisamente in una gran risata indicandolo alle sue compagne. - Guardate quel vecchio negro pettoruto come un rospo! - esclamò fra le risate. - Dev'essere un vostro beniamino, non è vero? Voialtri meridionali non sapete come dovete trattare i negri. Siete voi che li rovinate. Pietro inghiottí la saliva e aggrottò la fronte; ma non torse gli occhi. Non aveva mai udito la parola «negro» applicata a lui da un bianco. Dagli altri negri, sí. Ma mai da un bianco. E sentir dire che era indegno di fiducia, lui che era sempre stato il sostegno della famiglia Hamilton! Rossella intuí, piú che vedere, il nero mento tremare di dignità offesa, e si sentí invasa da una rabbia omicida. Aveva ascoltato con calmo disprezzo quelle donne quando avevano disistimato l'esercito confederato e avevano accusato i meridionali di torturare e uccidere i loro schiavi. Se le fosse convenuto, avrebbe sopportato anche degli insulti contro la propria onestà. Ma l'idea che le loro stupide osservazioni avessero offeso il vecchio negro fedele, la infiammò come un fiammifero gettato in una polveriera. Per un attimo guardò la grossa pistola infilata nella cintura di Pietro e le sue mani tremarono dalla voglia di afferrarla. Meritavano proprio la morte, quei conquistatori insolenti, ignoranti, arroganti. Ma strinse i denti irrigidendo i muscoli delle mascelle, ricordando che non era ancora giunto per lei il momento di dire agli yankees il suo pensiero. Piú tardi, sí! Sí, per Dio! Ma non ancora. - Zio Pietro fa parte della nostra famiglia - si limitò a dire con voce tremante. - Buon giorno. Vai, Pietro. Pietro frustò il cavallo con tanto improvviso vigore che l'animale fece un balzo in avanti; e mentre il carrozzino si muoveva Rossella udí la donna dire perplessa: - Della sua famiglia? Credete che avrà voluto dire un parente? Ma è cosí nero! «Dio li maledica! Bisognerebbe spazzarli dalla faccia della terra. Se un giorno avrò abbastanza denaro, sputerò sul viso a tutti loro.» Diede un'occhiata a Pietro e vide una lagrima che gli scivolava lungo il naso. Istantaneamente uno slancio di tenerezza e di pena per la sua umiliazione la inondò, le fece bruciare gli occhi. Come se qualcuno fosse stato brutale verso un bimbo. Quelle donne avevano offeso zio Pietro: Pietro che era stato alla guerra messicana col colonnello Hamilton, che aveva tenuto fra le braccia il suo padrone quando questi era morto, che aveva allevato Melly e Carlo e si era occupato della debole Pittypat, l'aveva «protetta» quando erano fuggiti a Macon e aveva «quisito» un cavallo per ricondurla a casa sua dopo la sconfitta. E coloro dicevano che non si fidavano dei negri! - Pietro - disse con voce spezzata mettendogli una mano sul braccio - se piangi, mi vergogno di te. Che te ne importa? Non sono altro che maledetti yankees! - Avere parlato davanti a me come se io essere mulo e non capire... come se essere africano che non sapere loro cosa dire - disse Pietro aspirando dal naso vigorosamente. - E avermi chiamato negro; nessun bianco avermi mai detto negro e aver detto che non potersi fidare di negri! Non fidarsi di me! Quando vecchio colonnello essere moribondo avermi detto: «Tu, Pietro, badare a miei bambini. E badare a giovine miss Pittypat, perché avere tanto senso comune come un grillo». E io essermi occupato di tutto per tanti anni... - Solo l'angelo Gabriele avrebbe potuto far meglio - disse Rossella calmandolo. - Senza di te non so come avremmo potuto vivere. - Sí, grazie, badrona. Io e tu sapere, ma quella gente yankee non sapere e non aver bisogno di sapere. Come potersi mescolare in nostri affari? Loro non comprendere noi confederati. Rossella non rispose perché si sentiva ancora ardere dalla collera che non aveva lasciato esplodere dinanzi a quelle donne. Tornarono a casa in silenzio. Il labbro inferiore di Pietro cominciò a sporgere gradatamente in maniera allarmante; la sua indignazione cresceva ora che l'offesa iniziale si era calmata. Rossella pensò: «Che strana gente questi yankees! Quelle donne avevano l'aria di credere che zio Pietro, essendo nero, non avesse orecchi per udire e sentimenti per comprendere. Ignorano che i negri devono essere trattati gentilmente, come dei bambini; diretti, lodati, accarezzati, sgridati. Eppure coloro hanno fatto la guerra per liberarli. E dopo averli liberati non vogliono aver rapporti con loro: non li amano, non li comprendono, non se ne fidano; eppure non hanno fatto altro che dire che i meridionali non sapevano trattarli. Rossella ricordò i pochi fedeli che erano rimasti a Tara dinanzi all'invasione yankee, mentre avrebbero potuto fuggire. Pensò ai servi dei suoi vicini che avevano protetto le loro padrone mentre gli uomini erano al fronte; che avevano curato i feriti, seppellito i morti, confortato gli afflitti, e avevano lavorato, mendicato, rubato per procurar loro da mangiare. Ed anche ora che il «Freedmen's Bureau» prometteva ogni specie di miracoli, essi preferivano rimanere coi loro padroni bianchi, lavorando ben piú di quando erano schiavi. Ma gli yankees non avrebbero mai compreso queste cose. - Eppure ti hanno liberato - disse ad alta voce. - No, badrona! Loro non avermi liberato. Io non volere accettare simile cosa! - esclamò Pietro indignato. - Io appartenere ancora a miss Pitty, e quando io morire, lei farmi seppellire in cimitero di Hamilton come a me spettare... Mia badrona avrà svenimento quando io dire a lei che tu avermi lasciato insultare da donne yankees. - Ma non è vero! - esclamò Rossella sbalordita. - Sí, essere vero. Perché se né tu né io avere affari con yankees, loro non potermi insultare. Se tu non aver parlato con loro, loro non potermi trattare come un mulo o un africano; e tu non avermi difeso. - Come, non ti ho difeso! - esclamò Rossella punta. - Non ho detto che tu fai parte della nostra famiglia? - Questa non essere difesa. Questo essere un fatto. Tu miss Rossella non dover avere affari e rapporti con yankees. Nessun'altra signora avere. È gente che Pitty non toccherebbe con la punta delle scarpe. La critica di Pietro la ferí piú di qualsiasi cosa avessero potuto dirle Franco e zia Pitty. Ciò che Pietro diceva era vero, ma ella non voleva udirlo da un negro, e per di piú da un negro che apparteneva alla famiglia. Diminuire nell'opinione della propria servitú era la cosa piú umiliante che potesse accadere a un meridionale. Ella sapeva tutti i pettegolezzi che si facevano in città sul suo conto. Ed ora ecco che anche Pietro si metteva a disapprovarla. - E io credere - riprese Pietro - che miss Pitty non permettermi piú di guidare tuo carrozzino. Anche perché io non sentirmi bene. Ecco dunque che Pietro non voleva piú farsi vedere in pubblico con lei. Questo era veramente il colmo. Finora Rossella non si era mai curata della pubblica opinione, anzi l'aveva tenuta alquanto in dispregio. Ma le parole di Pietro la fecero risentire, e le diedero improvvisamente un senso di antipatia per i suoi conoscenti, quasi tanto forte come quella che aveva per gli yankees. «Perché si occupano di quello che faccio?» pensò. «Evidentemente credono che sia una gioia per me avere rapporti con gli yankees e lavorare come una bestia. E cosí rendono il mio lavoro anche piú faticoso. Ma a me non importa quello che pensano. Non posso occuparmene ora.» Ma un giorno... un giorno... Un giorno! Quando vi sarà nuovamente un po' di sicurezza: allora ella potrà riposare e fare la signora come Elena. Sarà debole e timida, come deve essere una signora, e tutti la approveranno. Sarà buona e gentile, com'era stata Elena; non avrà piú paura, e la vita scorrerà placida e tranquilla. Avrà tempo per poter giocare coi suoi bambini e per ascoltare le loro lezioni. Vi saranno dei lunghi pomeriggi tepidi in cui le signore verranno a farle visita; e in mezzo al fruscio degli abiti di taffettà, al ritmico scricchiolío dei ventagli di palma, ella servirà il tè, offrendo deliziosi pasticcini e tartine squisite, e le ore trascorreranno lievi e gioconde. Ed ella sarà dolce verso i sofferenti e porterà vivande ai poveri e medicine agli ammalati. Sarà una vera signora, alla maniera meridionale, come era stata sua madre; e tutti le vorranno bene, come avevano voluto ad Elena, e la chiameranno "Dama Bontà". La gioia che provava nel figurarsi questo avvenire non era offuscata dal pensiero che in realtà ella non desiderava affatto essere altruista, buona o caritatevole; le bastava la reputazione di possedere queste qualità. Ma le maglie del suo cervello erano troppo larghe per poter filtrare queste piccole differenze. Era certa che un giorno, quando fosse ricca, tutti l'approverebbero. Un giorno! Ma ora no. Ora non vi era tempo di far la signora. Pietro aveva fatto una previsione esatta. Zia Pitty svenne; e la disperazione del negro assurse quella sera a tali proporzioni, che fu deciso che egli non guiderebbe mai piú il carrozzino. Rossella fu quindi costretta a guidarlo da sé; e i calli che avevano cominciato a scomparire dalle sue mani, ritornarono.

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Inoltre, il fatto che voi abbiate fatto prosperare il vostro piccolo stabilimento è un insulto per tutti gli uomini che non sono riusciti a far nulla. Ricordatevi che il posto di una donna bennata è nella sua casa; e che essa non dovrebbe conoscer nulla di questo mondo brutale e affaccendato. - Ma se io fossi rimasta in casa ora non avrei piú una casa in cui rimanere. - Sicuro: ma sareste morta di fame con orgoglio e dignità. - Oh, storie! Guardate la signora Merriwether. Vende focacce agli yankees e questo è peggio che gestire una segheria; la signora Elsing lavora di cucito e tiene dei pensionanti e Fanny dipinge delle orrende ceramiche che nessuno vorrebbe, ma che tutti comprano per aiutarla... - Ma voi trascurate la cosa piú importante, mia cara: nessuna di loro fa buoni affari e perciò non, ferisce la dignità dei suoi uomini. Costoro possono ancora dire: «Povere stupidine, come si affaticano! Lasciamo che credano di essere utili!» D'altronde, le signore che avete nominato non hanno alcuna gioia nel lavorare. Dichiarano che Io fanno soltanto finché qualcuno della loro famiglia le libererà dal peso di quel lavoro; e cosí tutti le compatiscono. Ma voi invece amate il lavoro ed è evidente che non permettereste a nessun uomo di occuparsi dei vostri affari; perciò nessuno vi può compatire. E Atlanta non ve lo perdonerà mai. È tanto piacevole provare un senso di compassione! - Non siete mai serio un momento! - Conoscete quel proverbio orientale: «I cani abbaiano ma la carovana va avanti»? Lasciateli abbaiare, Rossella. Credo che nulla fermerà la vostra carovana. - Ma che cosa importa a loro se io guadagno un po' di denaro? - Non si può aver tutto a questo mondo. Potete guadagnare e vedervi trattata freddamente, oppure esser povera e avere una quantità di amici. Voi avete fatto la vostra scelta. - Non voglio esser povera! - esclamò vivamente Rossella. - Ma... la mia scelta è giusta, non è vero? - Se è il denaro che desiderate... - Sí; piú di qualunque cosa al mondo. - E allora avete fatto la scelta giusta. Ma a questa, come a molte cose che si desiderano, è associata una specie di castigo: ed è la solitudine. Ella tacque per un momento. Era vero. Durante gli anni di guerra aveva avuto la possibilità di andare da Elena, quando aveva la malinconia. E dopo la morte di Elena, vi era stata Melania, benché con questa ella non avesse nulla di comune, se non il duro lavoro di Tara. Ora non le restava piú nessuno, perché zia Pitty non aveva alcuna concezione della vita all'infuori del suo piccolo circolo di pettegolezzi. - Credo... - cominciò esitando - credo... di essere sempre stata molto sola, per quanto riguarda amicizie femminili... Non è il mio lavoro che mi rende antipatica alle signore di Atlanta. È per me che non hanno simpatia. Nessuna donna mi ha mai voluto bene, eccetto mia madre. Neanche le mie sorelle. Non so perché, ma anche prima della guerra, prima che io sposassi Carlo, le signore disapprovavano qualunque cosa io facessi... - Dimenticate la signora Wilkes - e gli occhi di Rhett brillarono maliziosamente - la quale vi ha sempre approvata anche se aveste commesso un assassinio. Rossella pensò, torva: «Infatti, ha approvato anche questo» ma rise con disprezzo. - Oh, Melly! - esclamò; poi soggiunse con tristezza: - Certamente non mi fa onore il fatto che Melly mi approvi, perché ha il cervello di una gallina. Se avesse piú senso comune...- Si interruppe un po' confusa. - Se avesse piú senso comune - terminò Rhett - capirebbe alcune cose che non potrebbe approvare. Ma torniamo al nostro argomento. Ricordatevi bene quanto vi dico. Finché sarete diversa dalle altre sarete isolata, e non solo dalle persone della vostra generazione, ma anche da quelle della precedente e della seguente. Nessuno vi comprenderà e tutti saranno scandalizzati dal vostro modo di agire. Ma probabilmente i vostri nonni sarebbero fieri di voi e direbbero: «È del buon ceppo»; e i vostri nipotini sospireranno con invidia dicendo: «Che bel tipo doveva essere la nonna!» e cercheranno di assomigliarvi. Rossella rise divertita. - A volte colpite proprio nel segno! Guardate mia nonna Robillard. Era fredda come un ghiacciolo e severa per tutto quanto riguardava l'educazione; ma si sposò tre volte. Per lei vi furono non so quanti duelli; adoperava il belletto e portava vestiti scandalosamente scollati e non usava... hm... non portava molta biancheria sotto ai vestiti. - E voi l'avete ammirata moltissimo, benché abbiate cercato di essere come vostra madre! Io ho avuto un nonno, dalla parte dei Butler, che era un pirata. - Davvero? Di quelli tanto crudeli? - Suppongo che fosse crudele quando questo era il modo di far quattrini. Ad ogni modo, ne guadagnò abbastanza da lasciare a mio padre un buon patrimonio. Ma in famiglia si parlava sempre di lui come del "capitano di mare". Fu ucciso in una rissa molto prima che io nascessi. Inutile dire che la sua morte fu un gran sollievo per i suoi figli, perché il brav'uomo era quasi sempre ubbriaco; e quando aveva bevuto qualche bicchiere di piú era capace di dimenticare che era un capitano a riposo e rievocava certi ricordi che facevano drizzare i capelli ai figliuoli. Io l'ho sempre ammirato e ho cercato di imitarlo piú di quanto non abbia cercato di imitare mio padre, il quale e un amabile gentiluomo, pieno di buone abitudini e di massime religiose. Cosí vanno le cose. Sono sicuro che i vostri figli non vi approveranno, Rossella, come non vi approvano le signore Merriwether ed Elsing e le loro famiglie. I vostri figli saranno probabilmente creature dolci e remissive. E per giunta voi siete probabilmente decisa, come tutte le mamme, a fare in modo che essi non conoscano le privazioni e gli stenti che voi avete dovuto sopportare. E avete torto. Le privazioni temprano le persone o le spezzano. Dovrete quindi attendere l'approvazione dei vostri nipotini. - Chi sa come saranno i nostri nipoti! - Dicendo i "nostri" vorreste intendere che voi ed io avremo dei nipoti in comune? Andiamo, via, signora Kennedy! Rossella, accorgendosi del suo errore di linguaggio, arrossí. Non furono soltanto le sue parole scherzose a darle un senso di vergogna, ma l'improvviso ricordo del suo corpo deformato. Nessuno di loro aveva mai alluso al suo stato interessante, ed ella portava sempre, quando era con lui, la cintura dell'abito quasi sotto alle ascelle, illudendosi, come tutte le donne, che in tal modo non si vedesse la deformazione della sua figura; ma in quel momento si sentí improvvisamente irritata della sua condizione e vergognosa che egli la conoscesse. - Scendete subito da questo carrozzino, rettile osceno che siete! - e la sua voce tremava. - Neanche per sogno - rispose egli calmo. - Sarà buio prima che giungiate a casa; e da queste parti vi è una nuova colonia di negri che abita in un accampamento; mi hanno detto che sono dei negri molto abbietti, e non vedo perché dovreste dar motivo all'impulsivo Ku Klux di mettersi le camicie da notte e uscire stasera. - Scendete! - E una nausea improvvisa l'assalse. Egli fermò subito il cavallo, le passò due fazzoletti puliti e le sorresse la testa con una certa abilità facendola affacciare sulla fiancata del calessino. Il sole pomeridiano coi suoi raggi obliqui attraverso il fogliame novello, le diede per qualche istante l'impressione di uno stomachevole vortice d'oro e di verde. Dopo l'accesso, ella si nascose il volto fra le mani e pianse di mortificazione. Non solo aveva rigettato dinanzi a un uomo - la cosa piú orribile che potesse accadere a una donna! - ma l'incidente affermava in modo inequivocabile il fatto umiliante della sua gravidanza. E questo le era accaduto proprio con lui, proprio con Rhett che non rispettava le donne! Ah, non potrebbe mai piú guardarlo in viso! - Non siate sciocca - le disse egli con calma. - Se piangete di vergogna siete una sciocca. Avanti, non fate la bambina. Certo non potevate supporre che, a meno di essere cieco, io ignorassi che eravate incinta. - Oh! - esclamò con voce soffocata e le sue dita si strinsero convulsamente sul viso di porpora. La parola la faceva inorridire. Franco, ogni volta che doveva parlare della sua gravidanza, le diceva con imbarazzo "le tue condizioni". Geraldo, quando si trattava di queste cose, soleva sempre accennare delicatamente che la tal signora "aspettava un bimbo"; e le signore generalmente dicevano che una donna era "in istato interessante". - Siete una bambina se immaginate che io non me ne sia accorto, malgrado questa vostra veste cosí pesante. Sicuro che sapevo. Altrimenti, perché credete che sarei stato... Si interruppe improvvisamente; e un silenzio fu tra loro. Egli raccolse le redini e percosse il cavallo. Continuò poi a parlare tranquillamente; e mentre ella ascoltava con piacere la sua cantilena, l'eccesso di colore svaní a poco a poco dalle sue guance ardenti. - Non credevo che la prendeste in questo modo, Rossella. Vi immaginavo piú ragionevole, e sono deluso. Possibile che nel vostro seno alberghi ancora la verecondia? Forse non è da gentiluomo aver parlato chiaramente. Ma non sono affatto un gentiluomo, e le donne incinte non mi imbarazzano per nulla. Le tratto come creature normali, senza sentirmi punto obbligato a guardare il cielo o la terra pur di non posare gli occhi sulla loro cintura; e fissarla poi furtivamente con certe occhiate che mi sembrano il colmo dell'indecenza. È una condizione normalissima. Gli europei, piú ragionevoli, fanno dei complimenti alle madri che sono in attesa. Senza arrivare a questo punto, lo trovo però piú giusto della nostra finta ignoranza. E le donne dovrebbero esserne orgogliose invece di nascondersi come se commettessero un delitto. - Orgogliose! - e la voce di Rossella era strozzata. - Che orrore! - Non siete fiera di avere un bambino? - Dio mio, no! Non mi piacciono i bambini! - Volete dire... il bambino di Franco? - No... di chiunque! Per un attimo si sentí nuovamente a disagio, accorgendosi di quest'altro errore di espressione; ma Rhett continuò con voce calma, come se non lo avesse notato: - In questo siamo diversi. Io amo i bambini. - Li amate? - E fu cosí stupita di questa dichiarazione che dimenticò il proprio imbarazzo. - Che bugiardo! - Amo i bambini e i ragazzi finché non cominciano a crescere e ad acquistare il modo di pensare degli adulti e la loro abilità di mentire e di essere furfanti e mascalzoni. Del resto questa non è una novità per voi. Sapete che voglio molto bene a Wade Hamilton, benché non sia il ragazzo che dovrebbe essere. Era vero, ricordò Rossella. Gli piaceva giocare con Wade e spesso gli portava dei regali. - E giacché siamo venuti a parlare di questo terribile argomento, e voi ammettete che fra non molto avrete un bambino, vi dirò qualche cosa che desidero dirvi da un pezzo: anzi, due cose. Prima di tutto, che è pericoloso per voi andare sola in carrozza. Lo sapete, perché vi è stato detto abbastanza spesso. Se personalmente può non importarvi di essere rapita o violentata, dovete considerare le conseguenze. A causa della vostra ostinazione potete trovarvi in una situazione per la quale i vostri coraggiosi concittadini potranno essere costretti a vendicarvi facendo la pelle ad alcuni negri; e questo scatenerà gli yankees contro di loro e probabilmente ne condurrà qualcuno al capestro. Vi è mai venuto in mente che forse una delle ragioni per cui le signore non vi amano è che la vostra condotta può condurre alla forca i loro mariti e figli? Inoltre, se il Ku Klux fa la pelle ad altri negri, gli yankees diventeranno talmente spietati che la condotta di Sherman sembrerà angelica a confronto. So quello che dico, perché sono in grande intimità con gli yankees. Mi trattano come uno di loro, - mi vergogno di dirlo - parlano senza riguardo. Vogliono distruggere il Ku Klux anche se dovessero incendiare di nuovo tutta la città e impiccare tutti i maschi al di sopra dei dieci anni. Sarebbe un danno anche per voi, Rossella. Perdereste del denaro. E non si può dire a che punto può fermarsi l'incendio di una prateria, una volta iniziato. Confisca di proprietà, aumenti di tasse, multe a persone sospette... Li ho uditi proporre di tutto. Il Ku Klux... - Ne conoscete nessuno del Ku Klux? Sapete se Tommy Wellburn o Ugo... Egli si strinse nelle spalle con impazienza. - Come volete che li conosca? Io sono un rinnegato e un affarista. Ma so di alcuni che sono sospettati; basta un falso movimento da parte loro per poterli considerare come impiccati. Mentre so che non avreste alcun rimpianto se mandaste al capestro i vostri amici, sono certo che vi dispiacerebbe perdere i vostri stabilimenti. Vedo dall'espressione caparbia del vostro viso che non mi credete e che le mie parole cadono nel vuoto. Perciò vi dico soltanto: tenete a portata di mano la pistola; e quando io sono in città farò il possibile per potervi sempre accompagnare. - Rhett, ma è proprio per proteggermi che... - Sí, mia cara. È il mio sentimento cavalleresco che m'induce a proteggervi. - La fiammella beffarda ricominciò a danzare nei suoi occhi neri. Ogni barlume di serietà scomparve dal suo volto. - E perché? Per il profondo amore che ho per voi, signora Kennedy. Sí; silenziosamente ho avuto fame e sete di voi, e vi ho adorata da lontano; ma siccome sono un uomo onesto come il signor Ashley Wilkes, ve l'ho celato. Voi siete, ahimè, moglie di Franco, e l'onore mi vieta di rivelarvi il mio sentimento. Ma come anche l'onore del signor Wilkes qualche volta si screpola, cosí anche il mio oggi si è incrinato ed io rivelo la mia segreta passione che... - Per carità, smettetela! - interruppe Rossella, annoiata come sempre quand'egli le faceva dei discorsi di questo genere, e desiderosa di mutare argomento, ma evitando quello di Ashley. - Che cos'era l'altra cosa che volevate dirmi? - Come? Cambiate discorso mentre io vi sto offrendo un cuore amante ma esulcerato? Beh, l'altra cosa è questa. - La luce beffarda si spense di nuovo e il suo volto si oscurò. - Voglio che facciate qualche cosa per questo cavallo. È caparbio e ha una bocca dura come il ferro. Credo che guidarlo vi stanchi parecchio, no? Sono sicuro che se prende la mano, vi sarà impossibile fermarlo. E se vi trascina in un fosso, questo può significare la morte per il vostro bambino e per voi. Dovreste mettergli un morso molto piú pesante e permettermi di cambiarlo con un cavallo piú docile e con la bocca piú sensibile. Ella guardò il suo viso distratto e si sentí disarmata di fronte alla bontà e alla premura di lui. Provò un impeto di gratitudine e si chiese perché egli non era sempre cosí gentile. - Infatti, è un cavallo difficile da guidare - acconsentí debolmente. - A volte le braccia mi dolgono per tutta la notte. Fate quel che vi sembra meglio, Rhett. - Questo è molto gentile e femminile, signora Kennedy. Non è il vostro solito modo di parlare. Bisogna proprio sapervi trattare per rendervi flessibile come un virgulto. Ella s'impennò immediatamente. - Scendete subito, altrimenti vi picchio con la frusta. Non so perché cerco di essere gentile con voi. Siete malvagio. Privo di morale. Non siete altro che... Insomma andatevene. Egli discese, sciolse il suo cavallo legato dietro al calessino, e rimase fermo in mezzo alla strada nella semi oscurità del crepuscolo, con un sorriso irritante; a sua volta ella non fu capace di nascondere il proprio sorriso mentre si allontanava. Sí, era volgare, malizioso, malfido e non si poteva mai prevedere in che momento la spada smussata con la quale giocherellava si sarebbe tramutata in lama tagliente. Ma era divertente ed eccitante come... sicuro, come un bicchiere d'acquavite! In quegli ultimi mesi Rossella aveva imparato l'uso dell'acquavite. Quando tornava a casa nel tardo pomeriggio, bagnata di pioggia, intirizzita e indolenzita dalle lunghe ore passate nel carrozzino, la sola cosa che le dava forza era il pensiero della bottiglia chiusa nel primo cassetto del suo canterano, nascosta agli sguardi scrutatori di Mammy. Il dottor Meade non aveva pensato ad avvertirla che una donna nelle sue condizioni non doveva bere, perché non gli era mai venuto in mente che una signora per bene bevesse altro che qualche bicchierino di moscato. Eccetto, naturalmente, un bicchiere di champagne in occasione di un matrimonio, o di vino caldo quando era costretta a letto dal raffreddore. Senza dubbio vi erano delle disgraziate che bevevano, nello stesso modo come ve n'erano altre che erano pazze o divorziate; e questa era una sventura per le loro famiglie. Ma ad onta della sua disapprovazione per la condotta di Rossella, il dottore non aveva mai sospettato che ella bevesse. La giovane donna aveva scoperto che un bicchierino di acquavite prima di cena le faceva molto bene; poi faceva un gargarismo con l'acqua di Colonia o masticava qualche chicco di caffè per mascherare l'odore. E quando non riusciva a dormire e si rigirava nel letto tormentata dalla paura della povertà, dalla minaccia degli yankees, dalla nostalgia per Tara e dal desiderio di Ashley, sarebbe impazzita se non avesse avuto l'acquavite che spandeva nelle sue vene un calore benefico. Allora le sue preoccupazioni si attenuavano; dopo tre bicchierini ella poteva sempre dire a se stessa: «Penserò a queste cose domani, quando potrò sopportarle meglio». Ma alcune notti neppure l'acquavite calmava la pena del suo cuore, la pena che era piú forte perfino della paura di perdere gli stabilimenti: la nostalgia per Tara. Ella amava Atlanta, ma... Oh, la dolce pace e la tranquillità di Tara, i campi rossicci e i pini bruni che li circondavano! Tornare a Tara per quanto la vita potesse esser dura! Ed essere accanto ad Ashley, vederlo, udirlo parlare, essere sorretta dalla conoscenza del suo amore! «Andrò a casa in giugno. Qui non posso piú far nulla dopo quell'epoca. Vi andrò per un paio di mesi.» Pensava a questo con sollievo. E vi andò in giugno, ma non come desiderava; vi andò perché nei primi giorni del mese giunse un breve messaggio di Will che annunciava la morte di Geraldo.

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Desidero che non abbiate a rimproverare Súsele. Quello che è fatto è fatto, e anche se la scorticaste, non richiamereste in vita il signor O'Hara. Del resto, lei ha creduto onestamente di fare per il meglio. - Volevo appunto chiedervi... Che cos'è successo? Alex mi ha detto delle frasi confuse, accennandomi che bisognerebbe picchiarla... Che ha fatto? - In verità, sono tutti irritati contro di lei. Tutti quelli che ho visto oggi a Jonesboro mi hanno giurato che la faranno a pezzi la prima volta che la vedranno; ma vedrete che si calmeranno. Promettetemi che non le direte nulla. Non desidero che vi siano questioni stasera col cadavere del signor O'Hara nel salotto. «Parla come se fosse già il padrone di Tara!» pensò Rossella indignata. E quindi ebbe la visione di Geraldo morto, nel salotto, e cominciò a singhiozzare disperatamente. Will le passò un braccio intorno alla vita, la strinse affettuosamente e non le disse nulla. Mentre il carro sobbalzava nelle buche della strada, Rossella, col capo appoggiato sulla spalla di Will, non ricordava piú il Geraldo degli ultimi due anni, il vecchio smemorato che attendeva sempre una donna che non tornerebbe mai piú. Rivedeva il vecchio pieno di vivacità, con la sua criniera d'argento, la sua rumorosa gaiezza, i suoi scherzi, la sua generosità. Ricordava che quando era bimba, egli le era sembrato l'uomo piú meraviglioso del mondo: quel babbo impetuoso che la portava in sella con sé quando saltava le siepi, la sculacciava quando era cattiva, gridava quando ella gridava e la perdonava per farla tacere. E lo rivedeva quando tornava da Charleston o da Atlanta carico di doni che non erano mai appropriati; e ricordava anche, con un debole sorriso fra le lagrime, quando tornava a casa ubriaco cantando a squarciagola delle canzoni irlandesi. E com'era avvilito, l'indomani mattina, dinanzi ad Elena. Ecco, ora l'aveva finalmente raggiunta! - Perché non mi avete scritto che era ammalato? Sarei venuta subito... - Non è stato ammalato neanche un minuto. Tenete, cara, prendete il mio fazzoletto. Ora vi dirò tutto. Ella si soffiò il naso nel fazzoletto di lui; neanche un fazzolettino aveva portato con sé! E poi si rannicchiò nel cavo del suo braccio. Com'era buono Will! E sempre cosí calmo! - È stato cosí. Voi ci avete mandato il denaro ed io e Ashley abbiamo pagato le tasse, comprato le mule, le sementi e poi qualche maiale e dei polli. Miss Melly si occupa delle galline e fa molto bene. È una brava donna, miss Melly. Insomma, dopo aver comprato tutto quello che occorreva, era rimasto ben poco. Ma nessuno di noi si lamentava, eccetto Súsele. Miss Melania e Carolene stavano in casa e portavano i loro abiti vecchi con orgoglio; ma voi conoscete Súsele. Non si è mai abituata alle privazioni. Si seccava moltissimo di essere cosí mal vestita quando io la conducevo a Jonesboro o a Fayetteville; specialmente perché alcune di quelle signo... donne dei «Carpetbaggers» andavano in giro in gran lusso. E le mogli di quei maledetti yankees! Insomma, per le signore della Contea è un punto d'onore, il portare quello che hanno di peggio; ma per Súsele no. E si era anche messa in mente di avere un cavallo e una carrozza, dicendo che anche voi ne avete una. - Non è una carrozza: è un vecchio calessino - disse Rossella sdegnata. - Non ha importanza. Tanto vale che io vi dica anche che Súsele non ha mai digerito il fatto che voi avete sposato Franco Kennedy; e non le posso dare tutti i torti. Dovete convenire voi pure che non è stato un bello scherzo da fare a una sorella. Rossella si sollevò dalla sua spalla, furibonda come un serpente pronto a scattare. - Un bello scherzo? Vi prego di moderare i termini, Will Benteen! Potevo forse evitare che mi preferisse a lei? - Voi siete una ragazza coraggiosa, Rossella; e sono sicuro che avreste potuto evitarlo. Le ragazze vi riescono sempre, se vogliono. E invece dovete averlo lusingato. Ed era lo spasimante di Súsele. Una sua lettera scritta una settimana prima che voi giungeste ad Atlanta, era tutta zucchero e miele e diceva che pensava di sposarla appena avesse messo assieme un po' di denaro. Súsele mi ha fatto leggere la lettera. Rossella tacque perché sapeva che egli diceva la verità. Non si sarebbe mai aspettata di essere giudicata da Will. E la menzogna detta a Franco non le era mai pesata molto sulla coscienza. Se una ragazza non sapeva trattenere un corteggiatore, voleva dire che meritava di perderlo. - Non dite cattiverie, Will. Credete che se Súsele lo avesse sposato avrebbe speso un centesimo per Tara o per uno di noi? - No, non credo che avremmo mai visto un penny del vecchio Franco. Ma il vostro è stato lo stesso un brutto scherzo; e se volete dire che il fine giustifica i mezzi, la cosa non mi riguarda. Insomma, Súsele dopo di allora è diventata noiosa e pungente come una vespa. Non credo che gli volesse bene, ma era stata ferita nella sua vanità; e poi la tormentava il fatto che voi avevate abiti e carrozza e vivevate ad Atlanta mentre lei era sepolta a Tara. E a lei piace andare a ricevimenti e visite... Le donne sono cosí. Breve: un mese fa la condussi a Jonesboro e la lasciai andare a far delle visite mentre io mi occupavo di affari; quando tornammo a casa era silenziosa ma vidi che era cosí eccitata che stava per scoppiare. Credetti che avesse sentito qualche pettegolezzo interessante e non vi feci molta attenzione. Per circa una settimana la vidi girare per casa sempre eccitata ma senza dir nulla. Poi, andò a far visita a miss Catina Calvert... Oh, se la vedeste, Rossella! Povera figliuola, era meglio che morisse piuttosto che sposare quel pusillanime yankee, quell'Hilton. Sapevate che egli aveva ipotecato la casa e che ora l'ha perduta e debbono andar via? - Non lo so e non m'importa di saperlo. Voglio sapere del babbo. - Ora ci arrivo - continuò Will con pazienza. - Quando tornò a casa disse che tutti quanti avevamo mal giudicato Hilton. Disse che era una persona perbene, ma tutti noi ridemmo di questo. Allora cominciò a condurre a spasso vostro padre nel pomeriggio; e molte volte tornando a casa li vedevo seduti sul muricciolo attorno al cimitero, e vedevo che gli parlava con vivacità agitando le mani. E lui la guardava perplesso scuotendo la testa. Voi sapete com'era ridotto, Rossella. Sempre piú stordito, senza piú sapere dov'era e chi erano le persone attorno a lui. Una volta la vidi che indicava la tomba di vostra madre e il signor O'Hara cominciò a piangere. E quando tornò a casa tutta eccitata e felice, io le parlai molto aspramente. «Che cosa vi viene in mente» le dissi «di tormentare il vostro povero babbo parlandogli della mamma?» Lei si mise a ridere e mi rispose: «Occupatevi dei vostri affari. Un giorno sarete contento di quello che faccio.» Quella sera miss Melly mi disse che Súsele le aveva raccontato il suo progetto ma lei non credeva che avesse parlato sul serio. E non ne aveva accennato a nessuno di noi perché la sola idea la sconvolgeva. - Ma che idea? Volete spiegarmi una buona volta? A momenti siamo a casa. Ed io voglio sapere. - Sto cercando di dirvelo. E siamo cosí vicini che sarà meglio fermarci finché non ho finito. Tirò le redini e il cavallo si fermò. Erano presso la siepe di serenella che segnava il limite della proprietà dei MacIntosh. Attraverso gli alberi Rossella scorgeva i grandi comignoli spettrali ancora ritti sulle rovine silenziose. Avrebbe preferito che Will avesse scelto un altro luogo per fermarsi. - Insomma, la sua idea era questa: far ripagare agli yankees il cotone che hanno bruciato, la roba che hanno portato via e le barriere e le tettoie che hanno demolite. - Agli yankees? - Non ne avete sentito parlare? Il governo yankee indennizza tutti gli abitanti del Sud simpatizzanti con l'Unione che hanno avuto danni nelle loro proprietà. - Sí; l'ho sentito dire. Ma, noi che c'entriamo? - Secondo Súsele, c'entriamo moltissimo. Quel giorno che venne a Jonesboro incontrò la signora MacIntosh, e mentre discorrevano Súsele notò che la signora aveva un bel vestito e le chiese come mai... Allora la MacIntosh si diede molte arie dicendo che suo marito aveva reclamato presso il governo federale perché era stata distrutta la proprietà di un leale simpatizzante per l'Unione, il quale non aveva mai dato aiuto alla Confederazione in nessun modo. - Oh, non hanno mai dato niente a nessuno, quegli scozzesi! - interruppe Rossella con violenza. - Può darsi. Io non li conosco. Ad ogni modo, il governo ha dato loro non so piú quante migliaia di dollari. Una bella cifra. Questo impressionò Súsele, la quale vi pensò su tutta la settimana, senza dirci nulla perché sapeva che ne avremmo riso. Ma bisognava pure che parlasse con qualcuno; fu allora che andò da miss Catina e parlò con quel maledetto straccione di Hilton, il quale le diede una quantità di altre idee. Le disse che vostro padre non era nato in questo paese; non aveva combattuto, non aveva avuto figli in guerra e non aveva mai coperto nessun ufficio sotto la Confederazione. E dato tutto questo si poteva affermare che il signor O'Hara era simpatizzante per l'Unione. Le riempí la testa: sicché, venuta a casa, Súsele cominciò a parlare col signor O'Hara il quale, ci scommetterei, non sapeva neanche che cosa sua figlia gli dicesse. E certamente lei faceva assegnamento su questo per condurlo a fare il giuramento di fedeltà senza che egli se ne accorgesse neppure. - Papà pronunciare il giuramento! - Era cosí indebolito di mente che certamente lei vi contava. E nessuno di noi ha sospettato nulla di tutto questo. Vedevamo che stava combinando qualche cosa, ma non avremmo mai supposto che si sarebbe servita della vostra defunta mamma per rimproverargli di lasciare che le sue figlie fossero vestite di stracci mentre poteva avere dagli yankees centocinquantamila dollari. - Centocinquantamila dollari - mormorò Rossella sentendo diminuire il suo orrore per il giuramento. Quanto denaro! E per averlo bastava firmare un giuramento di fedeltà al governo degli Stati Uniti, un giuramento che stabiliva che il firmatario aveva sempre subíto il governo precedente, senza mai dargli aiuto. Centocinquantamila dollari! Per una piccola menzogna! Davvero, non poteva biasimare Súsele. E Alex aveva detto che si sarebbe dovuto frustarla?! Erano pazzi, tutti quanti. Quante cose farebbe, lei, con quel denaro! Quante cose farebbero tutti quei pazzi della Contea! Che importava una piccola menzogna? Dopo tutto, qualunque cosa si potesse togliere agli yankees, era denaro bene acquistato, in qualunque modo. - Ieri, verso mezzogiorno, mentre Ashley ed io eravamo a spaccar legna, Súsele prese questo carretto, vi mise sopra vostro padre e andò con lui in città senza dir nulla a nessuno. Miss Melly ebbe un sospetto, ma sperando che Súsele avrebbe mutato idea, non ci pose sull'avviso. Non credeva che Súsele sarebbe stata capace... Oggi ho saputo che cosa era successo. Quel pusillanime Hilton pare che sia in buoni rapporti con gli altri repubblicani della città e Súsele gli aveva promesso di dar loro una parte del denaro - non so quanto - se essi acconsentivano a riconoscere che il signor O'Hara, da buon irlandese era stato un leale simpatizzante per l'Unione, e non aveva appartenuto all'esercito, eccetera eccetera; e se avessero firmato delle raccomandazioni. Vostro padre non doveva fare altro che giurare e firmare la carta che sarebbe poi stata mandata a Washington. La faccenda del giuramento fu rapida; vostro padre non disse nulla e tutto andò bene fino al momento di firmare. Allora parve che tornasse in sé per un istante e crollò il capo. Non credo che sapesse di che si trattava; ma la cosa non gli piaceva. Súsele lo prendeva sempre al contrario, e l'esitazione di lui la irritò, dopo tutta la fatica che aveva fatta. Lo condusse via dall'ufficio e camminò con lui su e giú per la strada, dicendogli che vostra madre gridava contro di lui dalla tomba perché egli lasciava soffrire le sue figlie mentre avrebbe potuto provvedere a loro. Mi hanno detto che vostro padre piangeva come un bambino, come sempre quando udiva il nome di miss Elena. Tutti li videro, e Alex Fontaine si avvicinò a chiedere che cos'era successo; ma Súsele gli rispose male dicendogli di occuparsi dei fatti suoi, sicché egli se ne andò furibondo. Non so come le venne l'idea; ma so che nel pomeriggo si provvide di una bottiglia di acquavite, condusse il signor O'Hara nell'ufficio e cominciò a farlo bere. Da un anno, Rossella, non abbiamo alcool a Tara, eccetto un po' di vino di more che fa Dilcey; quindi vostro padre non c'è piú abituato. In breve fu ubriaco; e dopo che Súsele ebbe ancora discusso e argomentato per un pezzo, finalmente disse di sí e acconsentí a firmare. Ma mentre stava per metter la penna sulla carta, Súsele commise un errore. «Adesso» esclamò «gli Slattery e i Maclntosh la finiranno di darsi delle arie di superiorità con noi!» Dovete sapere che gli Slattery hanno fatto una richiesta di indennizzo molto elevata per quella catapecchia incendiata dagli yankees e il marito di Emma ha ottenuto il pagamento. Dunque, mi hanno detto che all'udire quei nomi il vostro babbo si è raddrizzato e l'ha guardata con occhio penetrante. Non era piú smarrito; e le chiese: «Gli Slattery e i MacIntosh hanno firmato una carta come questa?» Súsele cominciò a dire di sí e di no e a balbettare; e allora egli gridò ad alta voce: «Dimmi se quel maledetto orangista e quel maledetto straccione bianco hanno firmato una carta come questa!» E allora Hilton, credendo di calmarlo: «Sissignore, ed hanno avuto dei bei quattrini come li avrete voi.» Il vecchio signore emise un ruggito come un toro. Alex Fontaine dice che lo sentí dalla bettola dove si trovava. E poi gridò: «E voi credete che O'Hara di Tara voglia seguire il sudicio esempio di un maledetto orangista e di un maledetto straccione bianco?» Lacerò la carta in due pezzi e la gettò sul viso di Súsele urlando: «Tu non sei mia figlia!» e fu fuori dall'ufficio prima che i presenti potessero riaversi dalla sorpresa. Alex racconta che lo vide scendere in istrada come un toro infuriato; sembrava di nuovo quello di una volta e urlava e bestemmiava a piena voce, benché fosse ubriaco fradicio. Davanti alla bettola era il cavallo di Alex; vostro padre vi si arrampicò sopra in un batter d'occhio e scomparve in una nuvola di polvere continuando a bestemmiare con tutte le sue forze. Verso il crepuscolo Ashley ed io eravamo seduti in attesa, sui gradini del porticato, preoccupati di non vederlo tornare; miss Melania, al piano di sopra, piangeva gettata sul letto; non aveva voluto dirci nulla. A un tratto udimmo uno scalpitar di cavallo sulla strada e qualcuno che gridava come alla caccia della volpe; e Ashley disse: «Strano! Sembra il signor O'Hara quando veniva a trovarci prima della guerra.» Dopo un attimo lo vedemmo apparire all'estremità del pascolo. Doveva aver saltato la siepe proprio in quel punto. E venne di gran carriera su per l'altura, cantando con quanta voce aveva in gola. Non sapevo che vostro padre avesse una voce cosí forte. Cantava una vecchia canzone irlandese, come se fosse l'uomo piú contento del mondo, e batteva il cavallo col cappello; il cavallo andava di carriera. Avvicinandosi all'altro limite del pascolo non tirò le redini e comprendemmo che stava per saltare anche quell'altra barriera. Ci alzammo spaventatissimi e in quell'attimo lo udimmo gridare: «Guarda, Elena! Guarda come salto anche questa!» Ma il cavallo si fermò bruscamente senza saltare; e vostro padre gli passò fra le orecchie. Non sofferse affatto. Quando lo raccogliemmo era già morto. Doveva essersi rotto il collo.» Will attese per un momento che Rossella parlasse; quando vide che taceva, raccolse le redini. - Vai, Sherman - disse; e il cavallo si avviò verso casa.

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. - Credo che abbiate torto a proposito di Ashley - disse bruscamente. - Non sei abbastanza scaltra, Rossella. - Questa è la vostra opinione - ribatté Rossella seccamente, col desiderio di darle uno schiaffo. - Oh, sei scaltra per quel che riguarda dollari e centesimi. Questa è una scaltrezza maschile. Ma non hai la furberia delle donne. Non hai abilità nel giudicare le persone. Gli occhi di Rossella cominciarono a lanciare fiamme mentre le sue mani si aprivano e si chiudevano con movimento convulso. - Ti ho fatto arrabbiare, vero? - chiese la vecchia signora sorridendo. - È proprio quello che volevo. - Davvero? E perché, se è lecito? - Avevo le mie buone ragioni. La nonna si appoggiò alla spalliera della poltrona e Rossella ebbe improvvisamente l'impressione che fosse stanca e incredibilmente vecchia. Le piccole mani che stringevano il ventaglio, erano gialle e ceree come quelle di un morto. La collera svaní dal cuore della giovane, la quale si curvò in avanti e prese fra le sue una di quelle mani. - Siete una cara, vecchia bugiarda - disse. - Tutte queste storie le avete dette unicamente per, distogliermi dal pensiero del babbo, non è vero? - Non fare la sciocca! - esclamò burberamente la vecchia signora ritraendo la mano. - In parte è stato per questo, in parte perché ti ho detto la verità; e tu sei troppo stupida per capirlo. Ma sorrise un poco, sicché il cuore di Rossella si vuotò di ogni pensiero di collera. - Grazie lo stesso. Siete stata molto buona a parlare con me... e sono contenta che siate d'accordo meco per il matrimonio di Will con Súsele, anche se... molta altra gente lo disapprova. La signora Tarleton rientrò nel vestibolo portando due bicchieri di siero. Non era molto abile nelle faccende domestiche, quindi i bicchieri traboccavano. - Sono andata fino alla capanna del burro per prenderlo - disse. - Bevetelo subito, perché stanno tornando dalla sepoltura. Ma davvero, Rossella, permetti che Súsele sposi Will? Magari è anche troppo buono per lei; ma è un campagnolo e... Gli occhi di Rossella incontrarono quelli della nonna. In questi era una scintilla di malizia in risposta al suo sguardo.

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. - Ritengo che ne abbiate. Miss Wilkes era sconvolta al pensiero che voleste andare in giro sola come una pazza; mi ha mandato qui per accompagnarvi. - Davvero? - E Rossella era indignata tanto della sgarbatezza dell'uomo quando dell'intromissione di Melania. Egli la guardò con animosità impersonale. - Sí. Una donna non deve creare preoccupazioni ai suoi uomini. Se non potete fare a meno di andare in giro, vi accompagnerò. Odio i negri... e anche gli yankees. Passò nell'altra guancia la cicca che stava masticando e, senza attendere di essere invitato, sedette sui gradini. - Non dirò che mi piaccia accompagnare le donne; ma miss Wilkes è stata buona con me, facendomi dormire nella sua cantina; e mi ha mandato perché io vi accompagni. - Ma... - cominciò Rossella incerta; ma si interruppe e lo guardò. Dopo un momento cominciò a sorridere. Non le piaceva quell'individuo; ma la sua presenza semplificherebbe le cose. Accompagnata da lui, potrebbe andare agli stabilimenti, recarsi in città, visitare i clienti. Nessuno poteva crederla in pericolo; e l'apparenza dell'uomo era tale da non dar luogo a pettegolezzi. - D'accordo - disse. - Purché mio marito acconsenta. Dopo una conversazione privata con Baldo, Franco diede con riluttanza la sua approvazione e mandò un biglietto alla stalla per autorizzare la consegna del cavallo e del calessino. Era offeso e deluso che la maternità non avesse mutato Rossella com'egli aveva sperato; ma se sua moglie era decisa a tornare a quei maledetti stabilimenti, Baldo era il benvenuto. Cosí ebbe inizio una specie di associazione che da principio sbalordí Atlanta. Baldo e Rossella erano una coppia stranamente assortita: il vecchio sporco e truculento con la sua gamba di legno, e la graziosa ed elegante donnina con la fronte aggrottata. Si vedevano a tutte le ore e dovunque; in città e fuori, scambiando raramente una parola, evidentemente non avendo alcuna simpatia reciproca ma legati da una reciproca necessità: lui di denaro, lei di protezione. Almeno - dissero le signore - è meglio che andare sfacciatamente in giro con quel tale Butler. Erano curiose di sapere dove fosse andato a finire Rhett, partito da tre mesi senza che nessuno, neanche Rossella, sapesse dove si era recato. Baldo era un tipo taciturno; non parlava se non gli veniva rivolta la parola; e anche in questo caso, rispondeva generalmente con dei grugniti. Ogni mattina usciva dalla cantina di Melania e veniva a sedere sui gradini di Rossella dove rimaneva ciccando e sputando finché Pietro portava il calessino attaccato, e Rossella usciva di casa. Zio Pietro temeva quell'uomo poco meno del demonio o del Ku Klux Klan; e perfino Mammy gli passava accanto silenziosa e intimorita. Egli odiava i negri ed essi lo sapevano e lo temevano. Aveva aggiunto alle sue armi un'altra pistola e la sua fama era corsa fra la popolazione negra. Non ebbe mai bisogno di trarre un'arma e neanche di portare la mano alla cintura. L'effetto morale era stato sufficiente. I negri non osavano neanche ridere quando egli era nelle vicinanze. Una volta Rossella gli chiese curiosamente perché odiava i negri e fu sorpresa di avere da lui una risposta, perché di solito egli si limitava a dire: «Ritengo che questo sia affar mio». Li odio come fanno tutti i montanari. Non abbiamo mai avuto simpatia per loro e non ne abbiamo mai posseduti. Sono stati loro che hanno cominciato la guerra. Li odio anche per questo. - Ma voi avete combattuto. - Ritengo che questo sia il privilegio di ogni uomo. Odio anche gli yankees, piú di quanto odio i negri. Quasi quanto odio le donne chiacchierone. Queste villanie irritavano Rossella oltre ogni dire. Ma come avrebbe fatto senza di lui? Come le sarebbe stato possibile girare liberamente? Egli era sgarbato e sudicio, e a volte poco profumato; ma le serviva. La conduceva agli stabilimenti e a visitare i clienti, sputando e guardando nel vuoto mentre lei parlava e dava ordini. Se ella scendeva dal calessino, scendeva dietro di lei e la seguiva a passo a passo. Quando Rossella si trovava fra braccianti negri o soldati yankee, raramente rimaneva a piú di un passo dal suo gomito. Atlanta si abituò ben presto a vedere Rossella con la sua guardia del corpo; e in breve le signore cominciarono a invidiare la sua libertà di movimenti. Da quando il Ku Klux aveva cominciato i linciaggi, esse vivevano praticamente murate; non si recavano neanche a fare spese in città, se non erano almeno in gruppo di mezza dozzina. Socievoli di natura, la reclusione forzata le rendeva inquiete; quindi esse cominciarono a chiedere Baldo in prestito a Rossella. E questa, quando non ne aveva bisogno, era tanto gentile da concederlo alle sue conoscenti. Cosí Baldo diventò un'istituzione ad Atlanta; e le signore si disputavano il suo tempo libero. Raramente passava una mattina senza che un bimbo o un servo negro giungesse con un biglietto che diceva: «Se nel pomeriggio non avete bisogno di Baldo, vi prego di mandarmelo. Vorrei andare a portare dei fiori al Camposanto». «Devo andare dalla modista.» «Sarei lieta se Baldo potesse accompagnare zia Nelly a prendere un po' d'aria.» «Debbo andare a fare una visita e il nonno non mi può accompagnare perché sta poco bene. Se Baldo potesse...» Le accompagnava tutte, ragazze, maritate e vedove, avendo per tutte lo stesso inflessibile disprezzo. Era evidente che, ad eccezione di Melania, detestava le donne come detestava i negri e gli yankees. Da principio esse furono urtate dalla sua scortesia, ma finirono con l'abituarsi a lui e a considerarlo come i cavalli che guidava. Infatti, la signora Merriwether raccontò alla signora Meade tutti i particolari del puerperio di sua nipote, senza neanche ricordarsi che Baldo poteva udire ogni parola. In nessun altro momento una simile situazione sarebbe stata possibile. Prima della guerra, egli non sarebbe stato ammesso neanche nelle cucine. Ma ora era il benvenuto. Rude, illetterato, sudicio, rappresentava un baluardo fra le signore e i terrori della Ricostruzione. Non era né un amico né un servo. Era una guardia del corpo che proteggeva le donne quando i loro mariti lavoravano di giorno, o erano assenti di notte. Rossella ebbe l'impressione che da quando c'era Baldo, Franco si assentasse spesso la sera. Diceva che bisognava mettere in ordine la contabilità del negozio e che di giorno vi era abbastanza da fare e quindi non aveva la possibilità di occuparsene. E vi erano degli amici ammalati che bisognava andare a visitare. Si era anche costituita un'associazione di democratici che si riunivano tutti i mercoledí per discutere sulla maniera di riacquistare i diritti politici, e Franco non mancava a nessuna riunione. Anche Ashley andava a visitare gli ammalati e frequentava le sedute dei democratici, era quindi assente le stesse sere in cui mancava Franco. In quelle occasioni Baldo scortava zia Pitty, Rossella e i bambini attraverso il cortile fino alla casa di Melania e le due famiglie passavano la serata insieme. Le signore cucivano mentre Baldo sdraiato sul divano del salotto russava sonoramente. Nessuno lo aveva invitato ad occupare il divano che era il miglior mobile della casa e le signore gemevano nascostamente ogni volta che egli vi si adagiava, posando lo stivalone sul grazioso arazzo. Ma nessuna di loro osava protestare. Specialmente dopo che egli ebbe osservato che, grazie al cielo, si addormentava con facilità, altrimenti le chiacchiere delle donne, che sembravano un branco di galline, lo avrebbero fatto impazzire. A volte Rossella si domandava da dove poteva esser venuto Baldo e quale era stata la sua vita prima di venire ad abitare nella cantina di Melly; ma non gli rivolse mai alcuna domanda. Vi era qualche cosa nel suo viso monocolo che disarmava ogni curiosità. Tutto ciò che sapeva era che il suo accento lo rivelava proveniente dalle montagne del nord; che aveva fatto la guerra ed aveva perduto l'occhio e la gamba poco tempo prima della resa. Furono certe parole pronunciate in uno scoppio di collera contro Ugo Elsing che portarono la luce sul passato di Baldo. Una mattina in cui il vecchio monco l'aveva accompagnata alla segheria di Ugo, Rossella aveva trovato lo stabilimento silenzioso; i negri se n'erano andati e Ugo sedeva sconsolato sotto un albero. Nessuno si era presentato quella mattina al lavoro ed egli non sapeva che fare. Rossella andò su tutte le furie e non si fece scrupolo di rovesciare la sua ira su Ugo: ella aveva per l'appunto ricevuto una forte ordinazione per strappare la quale le erano occorsi tutta la sua energia e tutto il suo fascino. Ed ora ecco che lo stabilimento era fermo. - Conducetemi all'altro stabilimento - disse a Baldo. - So che è lontano e che non riusciremo a pranzare; ma perché vi pago? Debbo dire al signor Wilkes che interrompa quello che sta facendo e prepari quest'altro legname. Purché i suoi operai non abbiano fatto lo stesso! Massa di fannulloni! Non ho mai visto un buono a nulla come Ugo Elsing! Me lo leverò di torno appena Johnnie Gallegher sarà libero. Che m'importa se ha servito nell'esercito yankee? Lavorerà. Non ho mai visto un irlandese pigro. E sono stufa di negri emancipati. Non ci si può fidare di loro. Dirò a Johnnie Gallegher che prenda dei galeotti. Sono sicura che li farà lavorare. Baldo volse verso di lei il suo occhio malevolo e parlò con una collera fredda nella voce aspra. - Il giorno in cui prenderete dei galeotti sarà il giorno in cui vi lascerò. Rossella fu sbalordita. - Dio mio! E perché? - So che cos'è far lavorare i galeotti. Significa ucciderli. Trattarli come muli; anzi peggio. Batterli, farli morire di fame, ammazzarli. Che importa? Lo Stato se ne infischia. Prende i soldi delle paghe. E a chi li assume, non importa nulla. Tutto quello che si cerca, è di nutrirli spendendo poco e ottenere il massimo di lavoro possibile. Accidenti, signora! Non ho mai pensato molto bene delle donne; ma ora penserò anche peggio! - E che c'entrate voi? - C'entro - rispose laconicamente Baldo. E dopo una pausa soggiunse: - Sono stato galeotto per quarant'anni. Rossella sussultò e per un attimo si appoggiò indietro sui cuscini. Questa era dunque la soluzione dell'enigma rappresentato da Baldo, la ragione per cui non aveva voluto dire il suo cognome, il suo luogo di nascita o altro che riguardasse la sua vita passata; questo il motivo per cui parlava con difficoltà e per cui odiava tutto il mondo. Quarant'anni! Doveva essere andato in prigione molto giovine. Quarant'anni! Perché... Doveva essere stato condannato a vita; e i condannati a vita erano... - È stato per... omicidio? - Sí - fu la breve risposta mentre Baldo percuoteva con le redini il dorso del cavallo. - Mia moglie. Le palpebre di Rossella batterono rapidamente. Parve che la bocca di lui nascosta tra la barba si muovesse, come se egli sorridesse del suo terrore. - Non ho l'intenzione di uccidervi, signora, se è di questo che avete paura. Non vi è che una ragione per uccidere una donna. - Avete ammazzato vostra moglie! - Andava a letto con mio fratello. Lui si salvò. Non sono affatto pentito di averla ammazzata. Le donnacce dovrebbero essere uccise. La legge non ha il diritto di mettere un uomo in prigione per questo; ma io fui condannato. - Ma... come siete uscito? Siete scappato? Avete avuto la grazia? - Chiamatela pure grazia! - Le folte sopracciglia si unirono come se il mettere assieme le parole fosse una difficoltà. - Nel '64, quando venne Sherman, ero nel carcere di Milledgeville, dove sono stato per quarant'anni. Il governatore ci chiamò tutti e ci disse che stavano venendo gli yankees, i quali incendiavano e uccidevano. Ora, se vi è una cosa che odio piú dei negri e delle donne, sono gli yankees. - Perché? Avevate... avete conosciuto degli yankees? - No, signora. Ma ho sentito parlare di loro. So che sono incapaci di pensare ai fatti loro. E io detesto le persone che non si occupano dei loro affari. Che cosa venivano a fare in Georgia, a liberare i negri, e bruciare le nostre case, a uccidere la nostra gente? Dunque, il governatore disse che l'esercito aveva molto bisogno di soldati e che chi di noi voleva andare, sarebbe libero alla fine della guerra... se ne usciva vivo. Ma il governatore disse che noialtri condannati a vita... noi omicidi, non eravamo desiderati. Dovevamo essere mandati altrove, in un altro carcere. Ma io dissi al governatore che io non ero come tutti gli altri galeotti. Ero dentro perché avevo ucciso mia moglie, e questo era ben fatto. E volevo combattere contro gli yankees. Il governatore comprese e mi fece uscire con gli altri detenuti. Fece una pausa e grugní. - Hum... Una cosa buffa. Mi avevano messo in prigione perché avevo ucciso e mi liberavano dandomi un fucile perché andassi ad uccidere. Tutti noi di Milledgeville siamo stati buoni soldati e abbiamo ucciso una quantità di yankees; e molti di noi furono uccisi. Non ne ho mai conosciuto nessuno che abbia disertato. Dopo la resa, siamo rimasti liberi. Io ho perduto questa gamba e quest'occhio. Ma non li rimpiango. - Oh - fece Rossella debolmente. Cercò di ricordarsi quello che aveva sentito dire a proposito della liberazione dei detenuti di Milledgeville nell'ultimo disperato sforzo di arginare l'invasione di Sherman. Ne aveva parlato Franco nel Natale del 1864. Che aveva detto? Ma i suoi ricordi di quel periodo erano troppo confusi. Sentí nuovamente lo spavento di quei giorni, udí il rombo dei cannoni, vide le file di carri che si lasciavano dietro una scia di sangue, la partenza della Guardia Nazionale, i cadetti e i ragazzi come Phil Meade e i vecchi come zio Enrico e il nonno Merriwether. E anche i galeotti avevano marciato, per morire nel tramonto della Confederazione, per basire dal freddo nella neve e nel gelo di quell'ultima campagna nel Tennessee. Per un momento pensò che quell'uomo era stato un imbecille, recandosi a combattere per uno Stato che gli aveva preso quarant'anni di vita. La Georgia lo aveva privato della giovinezza e della maturità a cagion di un delitto che per lui non era tale; eppure egli aveva liberamente dato una gamba e un occhio alla Georgia. Le tornarono in mente le amare parole di Rhett nei primi giorni della guerra, quando egli aveva detto che non combatterebbe mai per una società che lo aveva bandito. Ma poi che era stato necessario, anche lui era andato a combattere, come Baldo. E pensò che tutti i meridionali erano dei pazzi sentimentali che davano meno importanza alla loro pelle che a parole senza significato. Guardò le mani nocchiute di Baldo, le sue pistole e il suo pugnale e si sentí nuovamente presa dallo spavento. Dov'erano gli altri galeotti liberati, assassini, ladri, furfanti graziati per i loro delitti in nome della Confederazione? Chiunque si incontrava poteva essere un delinquente! Se Franco venisse a sapere la verità su Baldo, sarebbe l'inferno. E se zia Pitty... no; il colpo la ucciderebbe. Quanto a Melania... Rossella ebbe voglia di informarla. Vedrebbe cosí che cosa voleva dire raccogliere degli straccioni e poi introdurli presso i propri amici e parenti. - Sono... sono contenta che mi abbiate raccontato questo, Baldo. Non... non lo dirò a nessuno. Alla signora Wilkes e alle altre signore farebbe impressione se lo sapessero. - Hum... Miss Wilkes lo sa. Glielo dissi la notte in cui mi diede da dormire nella sua cantina. Non penserete mica che avrei permesso che una signora come lei mi accogliesse in casa senza sapere? - Madonna Santissima! - esclamò Rossella atterrita. Melania sapeva che quell'uomo era un omicida e non lo aveva messo alla porta! Gli aveva affidato suo figlio e poi sua zia, sua cognata e tutte le sue amiche. E lei, la piú timida delle donne, non aveva paura di stare sola in casa con lui! - Miss Wilkes è molto ragionevole, per essere una donna. Ha ammesso che avevo ragione. Ha capito che un ladro continua a rubare e che un bugiardo continua a mentire tutta la vita; ma non si commette piú di un omicidio nella vita. E ritiene che chi ha combattuto per la Confederazione ha spazzato con questo tutto il male che ha commesso prima. Benché io non creda di aver fatto male uccidendo mia moglie... Sí, miss Wilkes è molto ragionevole, per essere una donna... E vi ripeto che il giorno in cui assumerete dei galeotti, vi lascerò. Rossella non rispose, ma pensò: «Piú presto mi lascerete e piú sarò contenta. Un omicida!» Come aveva potuto Melania essere cosí... cosí... No, non vi era parola per definire il modo di agire di Melania nell'accogliere quel vecchio delinquente e nel non dire ai suoi amici che era un ex-galeotto! Dunque, il servizio nell'esercito lavava le antiche colpe! Era troppo sciocca Melania per tutto ciò che concerneva la Confederazione e i suoi veterani. Silenziosamente Rossella maledisse gli yankees e aggiunse un nuovo motivo al suo rancore verso di loro. Erano essi i responsabili della situazione che costringeva una donna a tenersi accanto, per proteggerla, un assassino.

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Oh, non abbiate quell'aria stupida, Rossella. Che cosa volete che faccia Ashley Wilkes, ora che la sua casa è scomparsa, la sua piantagione è stata sequestrata per via delle tasse e i gentiluomini vanno a venti per un penny? Può forse lavorare con la testa o con le mani? Scommetto che avete perduto una quantità di denaro da quando egli gestisce l'azienda. - Non è vero. - Siete molto carina. Posso venire a vedere i vostri libri qualche domenica sera quando non avete da fare? - Potete andare al diavolo. E anche adesso, per far piú presto. - Tesoro, sono stato dal diavolo ed è un compagno malinconico. Non ho affatto l'intenzione di tornarvi, neanche per voi... Dunque: voi avete preso il mio denaro perché ne avevate disperatamente bisogno. Abbiamo fatto un accordo per lo scopo a cui doveva servirvi e voi non avete mantenuto questo accordo. Ricordatevi, deliziosa creatura, che verrà il tempo in cui avrete ancora bisogno di farvi prestare da me del denaro. Mi chiederete di finanziarvi, ad interesse incredibilmente basso, per poter comprare altre aziende ed altre mule. E potete contarci poco su quei quattrini. - Quando avrò bisogno di denaro me lo farò prestare dalla banca, - ribatté Rossella freddamente, mentre dentro di sé ardeva di collera. - Davvero? Provateci. Io ho molti capitali in banca. - Proprio? - Sí; sono cointeressato in parecchie imprese. - Vi sono delle altre banche... - Oh, una quantità. E se vi riesco, farò in modo che non possiate avere un centesimo da nessuno. Se avete bisogno di denaro potrete andare dagli usurai «Carpetbaggers». - Vi andrò con piacere. - Vi andrete, ma con poco piacere quando sentirete il loro tasso d'interesse. Tesoro mio, nel mondo degli affari si paga il fio delle azioni poco oneste. Avreste dovuto giocare con me a carte scoperte. - Siete proprio un gentiluomo! Cosí ricco e potente andate a stuzzicare dei poveri diavoli come siamo Ashley ed io! - Non mettetevi al suo livello. Voi non siete ancora vinta. Nessuno può vincervi. Ma lui è completamente a terra e vi resterà finché non avrà dietro di sé una persona energica che lo guidi e lo protegga. E io non intendo che il mio denaro vada a beneficio di un simile individuo. - Eppure avete aiutato me, mentre anch'io ero a terra. - Ma voi, mia cara, eravate un rischio interessante. Perché non vi appoggiavate ai vostri parenti maschi singhiozzando nel rimpianto degli antichi tempi. Vi siete drizzata e vi siete fatta avanti a gomitate; la vostra fortuna è stata solidamente fondata sul denaro rubato dal portamonete di un morto e quello rubato alla Confederazione. Avete al vostro attivo un omicidio, il furto di un marito, un tentativo di prostituzione, e poi menzogne e durezze e altre cose che richiederebbero esame piú accurato. Tutto ciò mostra che voi siete una persona energica e risoluta; valeva la pena di arrischiare del denaro per voi, perché è divertente aiutare chi si aiuta. Presterei diecimila dollari senza neanche una ricevuta, a quella vecchia matrona romana che è la signora Merriwether. Ha cominciato con un cestello di focaccine, e guardatela adesso! Ha una pasticceria che dà lavoro a mezza dozzina di persone; il vecchio nonno è felice col suo carretto delle consegne e quel piccolo creolo indolente, Renato, lavora indefesso e con piacere... Guardate anche quel povero Tommy Wellburn, che fa il lavoro di due uomini, avendo il corpo di mezzo uomo e lo fa bene; oppure... ma non voglio continuare ad annoiarvi. - Sí, mi annoiate. Ma mi distraete - disse Rossella freddamente, sperando di irritarlo e di sviarlo dall'argomento di Ashley. Ma egli rise brevemente e rifiutò di raccogliere il guanto. - Gente come quella merita di essere aiutata. Ma Ashley Wilkes... Bah! La sua razza non ha utilità né valore in un mondo sconvolto come il nostro. In un mondo rinnovato, quelli come lui sarebbero i primi a morire. È gente che non merita di sopravvivere perché incapace di lottare. Questa non è la prima volta che il mondo è stato messo a soqquadro e non sarà l'ultima. E quando accadrà nuovamente, ciascuno perderà ogni cosa, e tutti saranno uguali: allora tutti ricominceranno dal principio senza aver nulla se non la loro scaltrezza e la forza delle loro mani. Ma vi sono di quelli, come Ashley, che non posseggono né astuzia né forza, o, se ne posseggono, hanno scrupolo ad adoperarla. E cosí vanno a fondo e meritano di andarvi. È una legge naturale e il mondo cammina meglio senza di loro. Ma vi sono sempre quei pochi che si salvano e col tempo ritornano ad essere ciò che erano prima che il mondo andasse sottosopra. - Anche voi siete stato povero; avete detto voi stesso che vostro padre vi ha messo fuori casa senza un centesimo! - disse Rossella furibonda. - Dovreste dunque comprendere Ashley e simpatizzare con lui! - Comprendo ma non simpatizzo. Dopo la resa, Ashley aveva molto di piú di quanto avevo io quando sono stato scacciato di casa. Per lo meno ha avuto molti amici che lo hanno aiutato, mentre io ero «Ismaele». Ma che cosa ha fatto Ashley? - E osate paragonarvi a lui, presuntuoso che non siete altro! Grazie a Dio, egli non vi somiglia! Non s'insudicerebbe le mani come voi, guadagnando denaro coi «Carpetbaggers» e con gli yankees! È scrupoloso e onesto. - Ma non tanto scrupoloso e onesto da non accettare denaro e aiuto da una donna. - Che altro avrebbe potuto fare? - Debbo dirlo io? Io so soltanto ciò. che ho fatto io, tanto quando sono stato scacciato da mio padre, quanto oggi. E so ciò che hanno fatto altri uomini. Nella rovina di una civiltà abbiamo visto l'opportunità di fare qualche cosa e ne abbiamo approfittato: alcuni onestamente, altri sott'acqua; e lo stiamo ancora facendo. Ma gli Ashley hanno avuto le stesse possibilità e non ne hanno approfittato. Non sono abili, Rossella, e solo chi è abile merita di sopravvivere. Ella udiva vagamente le sue parole perché ora le stava tornando preciso il ricordo che le era appena balenato, quando egli aveva cominciato a parlare. Rivide il frutteto di Tara battuto dal freddo vento invernale, e Ashley dinanzi a un mucchio di legna con lo sguardo fisso lontano. Aveva detto... che cosa? Qualche parola straniera che poi aveva spiegato e aveva parlato della fine del mondo. Allora non aveva compreso ciò che egli aveva voluto dire, ma ora cominciava a vederlo chiaramente, con un senso di sbalordimento e di stanchezza. - Eppure Ashley disse... - Che cosa? - Sí, una volta a Tara disse qualche cosa di... non so... tramonto di dèi e della fine del mondo e altre sciocchezze di questo genere. - Ah, il «Götterdämmerung!!» Gli occhi di Rhett brillarono d'interessamento. «E che altro?» - Oh, non ricordo bene. Non stavo molto attenta. Ma... sí, qualche cosa a proposito dei forti che rimangono in piedi e dei deboli che vengono stroncati. - Ah, dunque lo sa! Quindi la cosa è ancor piú penosa per lui. Molti di loro non lo sanno e non lo sapranno mai. E per tutta la vita si chiederanno come mai l'antico incanto è svanito. Lui invece sa di essere stato stroncato. - No, non lo è! E non lo sarà finché io avrò respiro! Rhett la guardò tranquillamente; il suo volto bruno era raddolcito. - Come avete fatto, Rossella, a fargli acconsentire a venire ad Atlanta a impiegarsi nella vostra azienda? Ha resistito molto? Come in un lampo ella rivide la scena dopo i funerali di Geraldo ma la ricacciò dalla sua mente. - No davvero - rispose indignata. - Gli spiegai che avevo bisogno del suo aiuto perché non mi fidavo di quel furfante che gestiva la segheria e Franco era troppo occupato... e io aspettavo Ella Lorena... Fu ben contento di venire in mio soccorso. - Com'è comoda la maternità! Vi siete dunque servita di questo... E cosí siete riuscita a condurlo, povero diavolo, dove volevate; ed eccolo lí legato a voi dalla gratitudine come i galeotti lo sono dalle loro catene. Tanti auguri a tutti e due. Ma, come vi ho detto al principio di questa discussione, non avrete mai piú un centesimo da me per nessuno dei vostri progettini cosí poco signorili, mia piccola ingannatrice. Ella si sentiva punta dalla collera e dalla delusione. Infatti, da qualche tempo. meditava di farsi prestare ancora del denaro da Rhett per comprare un terreno in città e installarvi un deposito di legname. - Non ho bisogno del vostro denaro - esclamò; - ne guadagno abbastanza con lo stabilimento gestito da Johnnie Gallegher, ora che non mi servo piú di operai negri. E poi ho dato del denaro contro ipoteche e anche il negozio rende bene, adesso. - Sicuro, l'ho sentito dire. Avete una bell'abilità nell'imbrogliare l'innocente, la vedova e l'orfano, e l'ignorante! Ma dal momento che dovete rubare, perché non derubate il ricco e forte anziché il povero e debole? Da Robin Hood in poi, questo è stato considerato altamente morale! - Perché è molto piú facile e sicuro derubare, come dite voi, i poveri. Egli rise silenziosamente, stringendosi nelle spalle. - Siete un'elegante delinquente, Rossella! Una delinquente! Strano che quel termine la offendesse. Non era una delinquente, disse fra sé con ira. Almeno, non aveva l'intenzione di esserlo. Voleva essere una gran signora. Per un attimo la sua mente tornò indietro negli anni ed ella rivide la madre col suo lieve ondeggiar di gonne e il soave profumo di verbena, le sue manine instancabili sempre occupate al servizio degli altri, amata e rispettata. E a un tratto sentí male al cuore. - È inutile che cerchiate di tormentarmi - disse stancamente. - So che non sono... scrupolosa come dovrei. E non sono buona e dolce come mi è stato insegnato ad essere. Ma non posso farne a meno, Rhett. Sinceramente, non posso. Che altro avrei potuto fare? Che sarebbe avvenuto di me, di Wade, di Tara, di tutti noi se io fossi stata... gentile quando quello yankee venne in casa? Avrei dovuto... non voglio neanche pensarlo! E se io fossi stata buona e scrupolosa quando... quando Giona Wilkerson voleva metterci in mezzo alla strada? Dove saremmo adesso? E se fossi stata semplice e tranquilla e non avessi tormentato Franco a proposito di tutti quei debitori... Beh, lasciamo andare. Può darsi che io sia una delinquente; però non lo sarò sempre, Rhett. Ma in questi ultimi anni... che avrei dovuto e potuto fare? Ho cercato di dirigere attraverso la burrasca un battello con un carico pesante. E ho avuto tanto da fare per tenerlo a galla che non potevo preoccuparmi di molte cose che non erano importanti, come buone maniere, signorilità e... sí, insomma cose di questo genere. Ho avuto troppa paura che la mia navicella andasse a fondo; quindi ho gettato a mare quello che mi sembrava peso inutile. - Cioè orgoglio, onorabilità, onestà, virtú e bontà - enumerò egli. - Avete ragione, Rossella. Non sono cose importanti quando una nave sta per affondare. Ma guardatevi attorno; osservate i vostri amici. O riescono a portare i loro battelli in porto col carico intatto, oppure preferiscono affondare con le bandiere al vento. - Sono una massa di imbecilli - replicò ella brevemente. - C'è tempo per tutto. Quando avrò messo assieme molto denaro, sarò gentile e dolce quanto vorrete. Allora me lo potrò permettere. - Vorrete permettervelo, ma non vi riuscirete. È difficile ripescare un carico gettato a mare; e quando vi si riesce, di solito lo si ritrova irreparabilmente danneggiato. E temo che quando potrete darvi il lusso di ripescare l'onore, la virtú e la bontà che avete gettato a mare, troverete che si sono mutati non precisamente in qualche cosa di bello e di strano... Si alzò improvvisamente e prese il suo cappello. - Ve ne andate? - Sí. Non siete contenta? Vi lascio coi rimasugli della vostra coscienza. Fece una pausa e guardò la bimba, tendendole un dito perché lo afferrasse. - Immagino che Franco sia gonfio di orgoglio. - Oh, senza dubbio! - Ed ha un sacco di progetti per la piccina, no? - Sapete bene come sono sciocchi gli uomini quando si tratta dei loro bimbi... - E allora ditegli... - Si interruppe bruscamente, con una strana espressione sul volto. -... ditegli che se vuole realizzare i suoi progetti per la bambina, farà bene a rimanere piú spesso a casa la sera. - Che volete dire? - Quello che ho detto. Ditegli di restare in casa. - Oh, infame creatura!... Vorreste insinuare che il povero Franco... - Oh Dio! - Rhett scoppiò in una risata clamorosa. - Non ho affatto voluto dire che va in giro con delle donne! Franco! Oh Dio! E scese i gradini continuando a ridere.

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. - Immagino che lo abbiate trovato di nuovo ubriaco. Portatelo dentro. Dal viale buio pieno di vento, il capitano parlò: - Mi dispiace, signora, ma vostro marito e il signor Elsing sono in arresto. - Arresto? Per cosa? Per ubriachezza? Se tutti gli ubriachi che sono in giro per Atlanta dovessero essere arrestati, tutta la guarnigione yankee sarebbe in prigione continuamente. Via, capitano Butler, portatelo dentro... se siete in grado di camminare, anche voi! Il cervello di Rossella non funzionava rapidamente; e per un attimo nulla di quanto stava accadendo ebbe per lei un senso qualsiasi. Sapeva benissimo che né Rhett né Ashley erano ubriachi, ed era certa che anche Melania lo sapeva. Eppure ecco Melania, sempre cosí fine e gentile, che gridava come una trecca, e per di piú dinanzi a uno yankee, accusando i due uomini di non essere in grado di camminare! Vi fu una breve discussione soffocata, punteggiata di bestemmie; dei passi incerti salirono i gradini. Sulla soglia apparve Ashley, pallidissimo, i biondi capelli scompigliati, la testa oscillante, il lungo corpo avvolto dal collo alle ginocchia nella cappa nera di Rhett. Ugo Elsing e Rhett, entrambi malfermi sulle gambe, lo sorreggevano uno per parte; era evidente che senza il loro aiuto sarebbe caduto a terra. Dietro a loro veniva il capitano yankee, il cui volto esprimeva un misto di sospetto e di divertimento. Rimase sulla soglia; dietro le sue spalle i suoi soldati occhieggiavano curiosamente mentre il vento freddo penetrava nella casa. Rossella, spaventata e perplessa, lanciò un'occhiata a Melania e poi ad Ashley; e un po' di luce cominciò a farsi nella sua mente. Aperse la bocca per gridare: «Ma non può essere ubriaco!» ma ringoiò le parole. Comprese che stava assistendo a una commedia disperata, da cui dipendevano alcune vite. Non vi era parte per lei né per zia Pitty, ma gli altri stavano recitando come attori in un dramma provato numerose volte. Comprese a metà; ma le bastò per capire che doveva tacere. - Mettetelo sulla poltrona - gridò Melania indignata. - E voi, capitano Butler, lasciate immediatamente questa casa! Come osate metter piede qui dentro, dopo averlo ridotto di nuovo in questo stato! I due uomini posarono Ashley in una poltrona e Rhett, barcollando, si afferrò alla spalliera per reggersi e si rivolse al capitano con voce dolente. - Vedete che bel ringraziamento? Per avere impedito che la polizia lo prendesse, e averlo riportato a casa; e per tutta la strada non ha fatto che urlare e tentare di graffiarmi! - E voi, Ugo, non vi vergognate? - riprese Melania. - Che cosa dirà la vostra povera mamma? Cosí ubriaco e... in compagnia di un rinnegato amico degli yankees come il capitano Butler! E tu, Ashley, come hai potuto fare una cosa simile? - Non sono mica tanto ubriaco, Melly! - borbottò Ashley; e nel dire queste parole si piegò in avanti e appoggiò il capo sulla tavola nascondendolo fra le braccia. - Baldo, portatelo in camera sua e mettetelo a letto.. come il solito - ordinò Melania. - Zia Pitty, ti prego, corri a rimboccare le lenzuola, e... oooh! - improvvisamente ruppe in lagrime. - Come ha potuto, dopo avermi promesso...? Baldo aveva già passato un braccio sotto la spalla di Ashley e zia Pitty, spaventata e incerta, si era alzata in piedi, quando il capitano intervenne. - Non lo toccate. È in stato di arresto. Sergente! Quando il sergente entrò nella stanza, col fucile a tracolla, Rhett cercando evidentemente di tenersi ritto, posò una mano sul braccio del capitano e riuscí, con una certa difficoltà, a fissarlo negli occhi. - Tom, perché lo arrestate? Non è molto ubriaco. L'ho visto piú ubriaco di cosí. - Accidenti agli ubriachi! - esclamò il capitano. - Per conto mio, potrebbero anche star coricati in mezzo alla strada. Io non faccio il poliziotto. Questo signore e il signor Elsing, sono arrestati per complicità in un'incursione del Klan stasera a Shantytown. Sono stati uccisi un negro e un bianco. Il signor Wilkes dirigeva la spedizione. - Stasera? - Rhett cominciò a ridere. Rideva cosí forte che dovette mettersi a sedere sul divano prendendosi la testa fra le mani. - Stasera no davvero, Tom - riprese quando poté parlare. - Questi due sono stati con me tutta la sera... dalle otto in poi, quando, secondo quello che hanno raccontato in famiglia, avrebbero dovuto recarsi a una riunione politica. - Con voi, Rhett? - Una ruga si incise sulla fronte del capitano, il quale guardò dubbiosamente Ashley che russava e sua moglie che piangeva. - Ma... dove siete stati? - Non ve lo posso dire - e Rhett lanciò verso Melania un'occhiata da ubriaco furbo. - Farete meglio a parlare! - Andiamo sotto al porticato e vi dirò dove siamo stati. - Ditemelo adesso. - Non mi piace dirlo davanti alle signore. Se le signore esco no dalla stanza... - Non voglio uscire! - gridò Melania incollerita, asciugandosi gli occhi. - Ho il diritto di sapere. Dov'è stato mio marito? - Nell'allegra casa di Bella Watling - e nel dir questo Rhett sembrò molto vergognoso. - È stato laggiú con Ugo, con Franco Kennedy e il dottor Meade e... molti altri di loro. Era tutta una comitiva. La cosa in grande. Champagne. Ragazze... - Da... da Bella Watling? La voce di Melania si levò rompendosi poi in un gemito cosí doloroso che tutti gli occhi si volsero a lei spaventati. Ella si portò la mano al petto, convulsa, e prima che Baldo facesse in tempo a sorreggerla, cadde svenuta. Seguí un momento di confusione mentre Baldo la sollevava, Lydia correva in cucina a prender dell'acqua, Pitty e Rossella la sventolavano e le percuotevano le palme; Ugo Elsing continuava a gridare: - Avete fatto un bell'affare! Un bell'affare! - Adesso tutta Atlanta sarà informata - proruppe Rhett con violenza. - Sarete contento, Tom. Domani non vi sarà piú una donna ad Atlanta che vorrà rivolgere la parola a suo marito. - Non immaginavo, Rhett... - Malgrado il vento freddo che attraverso la porta aperta lo investiva, il capitano era tutto in sudore. - Sentite... Siete disposto a giurare che erano a... uhm... da Bella? - Sicuro! - borbottò Rhett. - E se non mi credete, andate a domandarlo a Bella. Ora lasciatemi portare la signora Wilkes in camera sua. Datela a me, Baldo. Sí, posso portarla. Miss Pitty, precedetemi con la lampada. Tolse con facilità il corpicino di Melania dalle braccia di Baldo. - Voi, Baldo, andate a mettere a letto il signor Wilkes. Non voglio piú vederlo né toccarlo da stasera in poi! La mano di Pitty tremava talmente che la lampada rappresentava una vera minaccia per la sicurezza della casa; comunque, riuscí a tenerla e trotterellò verso la camera da letto. Baldo passò un braccio sotto ad Ashley, con un grugnito, e lo sollevò. - Ma... io debbo arrestare questi uomini! Rhett si volse dal corridoio semibuio. - Arrestateli domattina. Certo non possono seguirvi, in questo stato... e non ho mai saputo che ubriacarsi in una casa di piacere fosse illegale. Santo Dio, Tom! Ci sono cinquanta persone che possono attestare di averli visti in casa di Bella! - Vi sono sempre cinquanta persone pronte a testimoniare che un meridionale era in un luogo dove non era affatto - disse cupamente il capitano. - Voi verrete con me, signor Elsing. Lascerò qui il signor Wilkes dietro parola d'onore di... - Io sono la sorella del signor Wilkes e garantisco che domani si presenterà - disse Lydia freddamente. - Ora volete avere la cortesia di andarvene? Avete procurato abbastanza scompiglio per questa sera! - Me ne rammarico infinitamente. - Il capitano si inchinò con imbarazzo. - Spero soltanto che questi signori possano provare la loro presenza nella... hm... in casa della signorina... della signora Watling. Volete dire a vostro fratello che dovrà presentarsi domattina al Capo del Consiglio disciplinare per essere interrogato? Lydia si inchinò freddamente e, posando la mano sul pomo della porta, fece comprendere senza parlare che una sollecita partenza degli yankees sarebbe stata gradita. Il capitano e il sergente si ritirarono, conducendo seco Ugo Elsing; ed ella sbatté la porta dietro di loro. Senza neanche guardare Rossella, andò rapidamente alle finestre e chiuse le imposte. Rossella, cui le ginocchia tremavano, afferrò la spalliera della poltrona su cui era stato Ashley per sorreggersi. Abbassando gli occhi, si accorse che sul cuscino era una macchia scura e umida, grande come una mano. Stupita, la toccò e vide con orrore che il suo palmo era bagnato di rosso. - Lydia - mormorò. - Lydia! Ashley è... ferito. - Stupida! Avevi creduto davvero che fosse ubriaco? Lydia chiuse l'ultima imposta e corse in punta di piedi verso la camera da letto, seguita da Rossella che aveva il cuore in gola. Il corpo di Rhett sbarrava la porta; ma Rossella scorse Ashley, pallido e immobile, sdraiato sul letto. Melania, stranamente attiva per una persona appena rinvenuta da uno svenimento, gli stava rapidamente tagliando la camicia imbevuta di sangue con le forbicine da ricamo. Baldo sorreggeva la lampada in modo da darle luce e teneva un dito nodoso sul polso di Ashley. - È morto? - gridarono le due ragazze insieme. - No - rispose Rhett - è soltanto svenuto perché ha perduto molto sangue. È ferito alla spalla. - Perché lo avete portato qui, pazzo che siete? - gridò Lydia. - Lasciatemi passare! Voglio andargli vicino... Perché lo avete portato qui per farlo arrestare? - Era troppo debole per poter viaggiare. Non vi era nessun altro luogo dove portarlo. D'altronde... volete che vada in esilio come Toni Fontaine? Volete che una dozzina dei vostri amici siano costretti ad andarsene nel Texas sotto nomi falsi e vi rimangano tutta la vita? Vi è invece la possibilità di trarli d'impaccio se Bella... - Lasciatemi passare! - No, signorina Wilkes. C'è dell'altro da fare per voi. Dovete andare a chiamare un dottore... non il dottor Meade. È implicato anche lui nella faccenda e probabilmente in questo momento si starà giustificando con gli yankees. Cercate un altro medico. Avete paura di andar sola di notte? - No - rispose Lydia; e i suoi occhi chiari brillarono. - Non ho paura. - Prese il mantello di Melania che era appeso a un attaccapanni nel vestibolo. - Vado a chiamare il vecchio dottor Dean. - La sua voce ora era tranquilla; con uno sforzo prodigioso si era calmata. - Vi chiedo scusa di avervi dato della spia e del pazzo. Non avevo capito. Vi sono profondamente grata di ciò che avete fatto per Ashley... ma vi disprezzo ugualmente. - Apprezzo la sincerità... e vi ringrazio, - Rhett si inchinò e le sue labbra si piegarono a un sorriso divertito. - Ora sbrigatevi, prendendo le strade traverse; e non rientrate in casa se vedete dei soldati in giro. Lydia lanciò ancora uno sguardo angosciato verso Ashley e, avvolgendosi nel mantello, corse leggermente attraverso il vestibolo uscendo dalla porta posteriore, e dileguò nella notte. Rossella, sforzandosi a guardare al disotto del braccio di Rhett, si sentí battere il cuore vedendo che Ashley aveva aperto gli occhi. Melania afferrò un asciugamano piegato dal reggicatinella e lo premette sulla spalla grondante sangue; Ashley sorrise debolmente rassicurandola. Rossella sentí gli occhi duri e penetranti di Rhett posarsi sopra di lei e comprese che il suo volto rivelava ciò che aveva in cuore; ma non se ne curò. Ashley perdeva sangue, forse stava morendo, e lei che lo amava aveva cagionato quella ferita. Avrebbe voluto precipitarsi accanto al letto, piombare in ginocchio e stringere a sé quel corpo disteso; ma tremava talmente che non poté neppure entrare nella stanza. Con la mano sulla bocca, osservò Melania che aveva posto sulla spalla del marito un altro asciugamano, premendo con tutte le sue forze, come se avesse voluto respingere entro il corpo il sangue che tentava di uscirne. Ma l'asciugamani diventava rosso come per incanto. Come si poteva perdere tanto sangue e continuare a vivere? Ma, grazie a Dio, non vi erano bollicine di schiuma sanguigna sulle sue labbra... quelle tremende bollicine precorritrici di morte che ella conosceva cosí bene per aver visto tanti feriti morire con quella spuma rossa sulle labbra nel giardino di zia Pitty, il giorno della battaglia della Conca dell'Albero di Pesco. - Nervi a posto - disse Rhett; e nella sua voce era un vago barlume di canzonatura. - Ora andate voi a tenere la lampada alla signora Wilkes. Ho bisogno di mandare Baldo per delle commissioni. Baldo guardò Rhett attraverso la lampada. - Non accetto ordini da voi - disse brevemente passando nel cavo dell'altra guancia la sua cicca. - Voi farete ciò che egli vi dirà - impose Melania con severità. - E senza indugio. Tutto ciò che vi dirà il capitano Butler. Rossella, vieni a reggere la lampada. Rossella si avanzò e prese il lume tenendolo con due mani per tema che le cadesse. Gli occhi di Ashley si erano chiusi di nuovo. Il suo petto nudo si alzava lentamente e si riabbassava subito, e il flusso rosso continuava fra le dita disperate di Melania. Ella udí vagamente Baldo attraversare la stanza e sentí Rhett parlare rapidamente con voce sommessa. Era cosí intenta ad Ashley che delle prime parole mormorate da Rhett traudí soltanto: - Prendete il mio cavallo... legato fuori... Andate come il vento. Baldo borbottò qualche domanda e Rossella udí la risposta di Rhett: - La vecchia piantagione di Sullivan. Troverete le vesti nel comignolo piú alto. Bruciatele. - Hum... - brontolò Baldo. - E vi sono due... uomini nella cantina. Caricateli sul cavallo alla meglio e portateli in quel terreno deserto che è dietro alla dimora di Bella.. quello tra la sua casa e i binari della ferrovia. State attento. Se qualcuno vi vede, sarete impiccato come tutti noi. Deponeteli in quel luogo e collocate per bene le pistole nelle loro mani. Qui... prendete le mie. Rossella vide Rhett frugare sotto le falde del suo abito e trarne due pistole che porse a Baldo il quale le fece sparire nella fascia della cintura. - Sparate un colpo di ognuna. Deve sembrare una volgare rissa. Capito? Baldo annuí come se avesse perfettamente compreso e nel suo occhio freddo apparve un'involontaria espressione di rispetto. Ma Rossella era ben lungi dal comprendere. Quell'ultima mezz'ora era stata per lei come un incubo; sicché le pareva che nulla sarebbe mai piú stato chiaro e semplice. Però, Rhett sembrava dominare senza esitazione quella strana situazione; e questo la confortava alquanto. Baldo si volse per andare; ma si voltò nuovamente e il suo occhio guardò Rhett interrogativamente. - Lui? - Sí. Baldo grugní e sputò sul pavimento. - Bel compenso! - borbottò mentre attraversava zoppicando il vestibolo andando verso la porta posteriore. In quell'ultimo scambio di parole vi fu qualche cosa che destò il sospetto di Rossella: era come una bolla che ad ogni secondo si andava gonfiando e... se la bolla fosse scoppiata... - Dov'è Franco? Rhett si avvicinò rapidamente al letto; il suo corpo possente si muoveva leggero e senza strepito come quello di un gatto. - Tutto a suo tempo - disse e sorrise brevemente. - Tenete dritta quella lampada, Rossella. Non vorrete bruciare il signor Wilkes o miss Melly... Melania levò il capo come un bravo soldatino che attenda ordini; e la tensione era tale, che ella non si accorse neppure che Rhett l'aveva per la prima volta chiamata per nome, col nomignolo usato soltanto dalla famiglia e dagl'intimi. - Scusate... volevo dire la signora Wilkes... - Non chiedete scusa, capitano Butler! Sarei molto onorata se mi chiamaste «Melly» senza neanche «miss»! Mi pare che siate un fratello o... un cugino. Come siete buono e intelligente! Potrò mai ringraziarvi abbastanza? - Sono io che vi ringrazio - e per un attimo Rhett sembrò quasi imbarazzato. - Non mi permetterei mai una cosa simile; ma, miss Melly... - e la sua voce aveva un accento di scusa - mi dispiace di aver dovuto dire che il signor Wilkes è stato nella casa di Bella Wading. Mi duole di aver dovuto trascinare lui e gli altri in un simile... Ma ho dovuto pensare cosí in fretta quando sono andato via di qua... e non mi è venuto in mente nessun altro luogo. Sapevo che la mia parola sarebbe stata accettata, perché ho tanti amici fra gli ufficiali yankee. Mi fanno il dubbio onore di credermi quasi uno dei loro perché conoscono la mia... vogliamo dire «impopolarità»?... fra gli abitanti della città. Nelle prime ore della sera sono stato a giocare a poker nel «bar» di Bella. Vi era una dozzina di soldati yankee che possono affermarlo. Bella e le sue ragazze saranno liete di mentire spudoratamente affermando che il signor Wilkes e gli altri erano... disopra, con loro. Gli yankees crederanno. Non immaginano che donne di quella... professione sono capaci di profonda fedeltà e patriottismo. Essi non accetterebbero la parola di una sola dama di Atlanta per quanto concerne gli uomini che stasera dovevano essere a una riunione; ma accetteranno come vangelo le parole di... un pugno di ragazze allegre. E credo che fra la parola d'onore di un rinnegato e quella di una dozzina di donne di malaffare, avremo la possibilità di togliere d'impiccio questi uomini. A queste ultime parole sul suo viso apparve un ghigno sardonico che si dileguò subito quando Melania volse verso di lui il volto raggiante di gratitudine. - Capitano Butler, come siete pungente! Che cosa volete che m'importi, se aveste anche detto che erano stati all'inferno, poiché si trattava di salvarli! So benissimo, come sanno tutti quanti, che mio marito non è mai stato in un luogo orribile come quello! - Ma... - riprese Rhett impacciato - se devo dire la verità, stasera è stato veramente da Bella. Melania si drizzò freddamente. - Non crederò mai una simile menzogna! - Scusate, miss Melly! Lasciate che vi spieghi! Quando sono arrivato all'antica piantagione di Sullivan, ho trovato vostro marito ferito e con lui erano Ugo Elsing, il dottor Meade e il vecchio signor Merriwether... - Non il nonno, credo! - esclamò Rossella. - Gli uomini non sono mai troppo vecchi per essere pazzi. E vostro zio Enrico... - Per carità! - gemette Pitty. - Gli altri si erano dispersi dopo il tafferuglio con la truppa e quelli che erano rimasti si erano recati in quel luogo per nascondere le vesti nel camino e vedere se il signor Wilkes era ferito gravemente. Se non fosse stato ferito, a quest'ora sarebbe sulla via del Texas... lui e tutti quanti... ma non era possibile metterlo in cammino e gli altri non volevano lasciarlo. Era dunque necessario provare che erano stati in un luogo diverso da quello dov'erano stati; e cosí per strade poco frequentate li ho condotti da Bella Watling. - Ah... capisco. Scusate la mia scortesia, capitano. Capisco che è stato necessario condurli lí, ma... Oh, capitano, qualcuno vi avrà visti entrare! - Nessuno. Siamo passati da una porticina posteriore che apre sul terrapieno della ferrovia e che è sempre chiusa e buia. - E come...? - Ho la chiave - rispose Rhett laconicamente; e i suoi occhi incontrarono quelli di Melania con indifferenza. Dopo un istante, rendendosi finalmente conto di ciò che implicavano le ultime parole di Rhett, Melania si sentí tanto imbarazzata che cominciò a cincischiare l'asciugamano in modo da lasciare la ferita allo scoperto. - Non volevo essere indiscreta... - disse poi con voce soffocata e arrossendo mentre rimetteva a posto l'asciugamano. - Mi spiace di aver dovuto dire una cosa simile a una signora. «Allora è vero!» pensò Rossella con una strana puntura al cuore. «Allora egli abita con quell'orribile creatura! È padrone della sua casa!» - Ho visto Bella e le ho spiegato ogni cosa - riprese Rhett. - Le abbiamo dato una lista degli uomini che stasera erano fuori, e lei e le sue ragazze deporranno che tutti erano stasera in casa sua. Quindi, per rendere piú rumorosa la nostra uscita, ha chiamato i due «desperados» che hanno l'incarico di mantenere l'ordine in casa sua e ci ha fatti trascinare giú per le scale, e attraverso il «bar», scacciandoci tra vive proteste come ubriachi disturbatori. Sogghignò ricordando. - Il dottor Meade non era un ubriaco molto convincente. Si sentiva ferito nella sua dignità per il solo fatto di trovarsi in quel luogo. Ma vostro zio Enrico e il vecchio Merriwether sono stati bravissimi. La scena ha perduto in loro due grandi attori. Sembrava che si divertissero. Temo che vostro zio Enrico abbia un livido sotto gli occhi per il troppo zelo spiegato dal vecchio Merriwether nel recitare la sua parte... La porta si spalancò per lasciare entrare Lydia seguita dal vecchio dottor Dean, coi suoi lunghi capelli bianchi arruffati e la borsa di cuoio visibile sotto al mantello. Egli fece un cenno di saluto a tutti i presenti, senza una parola, e si affrettò a sollevare l'asciugamano dalla spalla di Ashley. - Troppo in alto per aver toccato il polmone - disse subito. - Se non gli ha fratturato la clavicola, non vi è nulla di serio. Datemi molti pannolini, signore, e dell'ovatta, se ne avete; e un po' di acquavite. Rhett tolse il lume dalle mani di Rossella e lo posò sulla tavola mentre Melania e Lydia si precipitavano per obbedire agli ordini del dottore. - Voi non siete piú di nessuna utilità qui. Venite in salotto accanto al fuoco. - Le prese un braccio e la spinse fuori della camera. Vi era nel suo gesto e nella sua voce una dolcezza insolita. - Avete avuto una giornata tremenda, non è vero? Ella si lasciò accompagnare nella stanza dov'erano prima; e benché fosse adesso dinanzi al fuoco, cominciò a tremare. La bolla del sospetto nel suo cuore cresceva di minuto in minuto. Era piú che un dubbio, adesso. Era quasi certezza, tremenda certezza. Guardò il volto immobile di Rhett e per un attimo non poté spiccicar parola. Poi: - Anche Franco è venuto... da Bella Watling? - No. La voce di Rhett era incolore. - Baldo lo sta trasportando nel terreno vuoto dietro alla casa di Bella. È morto. Una pallottola in testa.

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. - Temo che non abbiate compreso la mia idea. - La vostra idea? Non ci tengo. - Ella lottò per svincolarsi. - Lasciatemi e uscite. Non ho mai visto una simile mancanza di tatto! - Zitta! - ribatté Rhett. - Vi sto chiedendo di sposarmi. O volete che mi metta in ginocchio? - Oh... - fece Rossella ansimando; e piombò a sedere sul divano. Lo fissò a bocca aperta, chiedendosi se forse era l'acquavite che le faceva uno scherzo, poiché ricordava la dichiarazione di Rhett: «Mia cara, io sono di quegli uomini che non si ammogliano». O lei era ubriaca o lui era pazzo. Ma non ne aveva l'aspetto. Sembrava calmo come se avesse parlato del sole e della pioggia e la sua cadenza strascicata colpí le sue orecchie senza un'enfasi particolare. - Vi ho sempre desiderata, Rossella, da quel giorno che vi vidi alle Dodici Querce, quando scagliaste il portafiori, dimostrando cosí che non eravate una signora. Ho sempre avuto l'intenzione di farvi mia, in un modo o in un altro. Ma poiché voi e Franco avete messo assieme un po' di denaro, capisco che non verrete piú a farmi qualche interessante proposta di prestiti e garanzie. Quindi vedo che mi tocca sposarvi. - È uno dei vostri soliti scherzi, Rhett? - Ma come: io vi apro l'anima mia e voi fate delle insinuazioni! No, Rossella: questa è una vera e propria dichiarazione, in debita forma. Riconosco che non è di buon gusto farla in questo momento, ma ho una buona giustificazione per la mia sconvenienza. Parto domani per una lunga assenza e temo che se aspetto il mio ritorno, vi troverò sposata con qualcuno che ha un po' di denaro. E allora ho pensato: perché non io, e il mio denaro? Veramente, Rossella: non posso passar la vita a cercare di afferrarvi fra un marito e l'altro. Parlava sul serio. Non vi era dubbio. Nel rendersi conto di questo ella si sentí la bocca arida e inghiottí. Lo guardò negli occhi per potergli rispondere e li vide ridenti, ma con qualche cosa di profondo che non vi aveva mai visto prima; una strana lucentezza che sfidava ogni analisi. Sedeva con aria indifferente; ma ella comprese che la sorvegliava attentamente come un gatto sorveglia la tana di un sorcio. Nella sua calma era un senso di forza rattenuta che la fece indietreggiare un po' sgomenta. Le chiedeva di sposarlo: commetteva un gesto incredibile. Una volta Rossella si era proposta di tormentarlo se le avesse rivolto quella richiesta; si era proposta di umiliarlo e di fargli sentire il proprio potere, assaporando una gioia maligna nel far questo. Ora egli aveva detto quelle parole, ed ella si sentiva piú che mai in suo potere; e non le veniva neanche in mente ciò che aveva avuto in animo di fare. Come una ragazza a cui fosse stata rivolta per la prima volta una parola d'amore, arrossí e mormorò: - Non... non mi sposerò mai piú. - Ma sí, vi sposerete. Siete nata per essere moglie. Perché non mi sposereste? - Perché... non vi amo, Rhett. - Questo non è un ostacolo. Non mi pare che nelle vostre due esperienze matrimoniali l'amore abbia avuto gran parte. - Come potete dir questo? Sapete che a Franco volevo bene! Egli non rispose. - Sí, gli volevo bene! - Va bene; non discutiamo. Volete riflettere sulla mia proposta mentre io sarò lontano? - Rhett, non mi piacciono le cose che si trascinano. Preferisco rispondervi subito. Penso di tornare a Tara, lasciando Lydia Wilkes con zia Pitty. Desidero andare a casa per molto tempo e... non desidero rimaritarmi. - Storie. Perché? - Cosí... Non mi piace essere maritata. - Ma, mia povera figliuola, voi non siete mai stata veramente maritata. Che cosa volete sapere...? Ammetto che siete stata disgraziata... una volta per dispetto e un'altra volta per denaro... Avete mai pensato a sposarvi... per il piacere di farlo? - Piacere! Non dite sciocchezze. Non vi è nessun piacere nel matrimonio. - No? Perché no? Ella aveva ripreso una certa calma e insieme a questa l'acquavite riportava a galla la naturale schiettezza. - Sarà un piacere per gli uomini... E Dio sa perché! Non l'ho mai capito. Ma la donna non ne ricava altro che il proprio mantenimento e un sacco di lavoro; e poi bisogna accontentare la pazzia del marito... e un bambino all'anno. La risata di Rhett fu cosí sonora che echeggiò nel silenzio della casa e Rossella udí aprire la porta della cucina. - Zitto! Mammy ha delle orecchie di lince; e non sta bene ridere cosí forte dopo... Smettetela di ridere! Sapete che quello che dico è la verità. Piacere! Storie! - Ho detto che siete stata disgraziata; e quello che dite ne è la prova. Avete sposato un ragazzo e un vecchio. E per soprammercato, scommetto che vostra madre vi ha detto che bisogna sopportare «quelle cose» perché poi si ha il compenso della maternità. Beh, tutto questo non è esatto. Perché non provate a sposare un uomo giovine che ha una cattiva reputazione e che sa fare con le donne? Vi assicuro che è piacevole. - Siete grossolano e presuntuoso; e mi pare che questa conversazione stia andando troppo in là. E sia... assolutamente volgare. - Ma è anche divertente, no? Scommetto che non avete mai discusso sulle relazioni coniugali, neanche con Carlo e con Franco. Ella lo guardò aggrottando le ciglia. Decisamente Rhett sapeva troppe cose, Dove diamine aveva imparato tutto quello che sapeva sulle donne? Era proprio sconveniente. - Non fate il cipiglio. Fissate l'epoca, Rossella. Non vi chiedo un matrimonio immediato a causa della vostra reputazione. Lasceremo un intervallo conveniente. A proposito: quanto è un «intervallo conveniente»? - Non ho detto affatto che vi sposerò. E non è conveniente neanche parlarne in questi momenti. - Vi ho detto la ragione che mi spinge a parlarvene. Parto domani e sono un innamorato troppo ardente per reprimere piú a lungo la mia passione. Ma forse sono stato troppo precipitoso nella mia richiesta. Con una subitaneità che la sbalordí, egli scivolò dal divano in ginocchio e, con una mano sul cuore, recitò rapidamente: - Perdonatemi se vi ho sbigottita con l'impeto del mio sentimento, mia cara Rossella... volevo dire, signora Kennedy. Ma non può esservi sfuggito che da un pezzo l'amicizia che nutrivo per voi si è trasformata in un sentimento assai piú profondo, molto piú bello, piú puro, piú sacro. Oserò nominarvelo? Ah! È l'amore che mi rende cosí temerario! - Alzatevi! - minacciò Rossella. - Non fate lo sciocco... Se Mammy entrasse e vi vedesse?! - Sarebbe stupita e incredula vedendomi per la prima volta cosí gentile - replicò Rhett alzandosi con leggerezza. - Andiamo, Rossella: non siete una bambina né una scolaretta che cerca la scusa delle convenienze o altro del genere. Dite che mi sposerete al mio ritorno, o, dinanzi a Dio, non partirò. Rimarrò qui e tutte le sere verrò a suonare la chitarra sotto le vostre finestre e a cantare con quanta voce ho in gola; vi comprometterò, sicché dovrete sposarmi per salvare la vostra reputazione. - Siate ragionevole, Rhett. Non mi voglio rimaritare. - No? Ditemi la ragione. Non può essere timidezza di ragazzina. Che cos'è? Improvvisamente ella pensò ad Ashley, lo vide chiaramente come se le fosse accanto, coi suoi capelli d'oro, gli occhi sonnolenti, pieno di dignità, cosí straordinariamene diverso da Rhett. Ecco la vera ragione per cui non voleva rimaritarsi, benché non avesse una particolare obiezione contro Rhett che a volte le era anche simpatico. Ella apparteneva ad Ashley, da sempre e per sempre. Non aveva mai appartenuto a Carlo né a Franco, non potrebbe mai appartenere veramente a Rhett. Tutto ciò che ella aveva fatto, lo aveva fatto soltanto perché amava Ashley. Ashley e Tara: ella apparteneva a loro. I sorrisi, i baci, il riso che aveva dato a Carlo e a Franco erano di Ashley, anche se egli non li aveva mai chiesti e non li avrebbe chiesti mai. E nella profondità del suo essere era il desiderio di conservarsi per lui, benché sapesse che mai egli la prenderebbe. Non sapeva che il suo viso era mutato, assumendo, attraverso quei pensieri una dolcezza che Rhett non aveva mai visto prima. Egli fissava gli occhi verdi un po' obliqui, la tenera curva delle labbra rosse, e per un attimo si sentí mancare il respiro. Quindi egli torse la bocca con violenza e bestemmiò, spazientato. - Siete una stupida, Rossella O'Hara! Prima che ella fosse tornata presente col pensiero, egli l'aveva circondata con le sue braccia dure e forti, come quella notte, tanto tempo fa, sulla buia strada di Tara. Ella provò nuovamente quello smarrimento, quel senso di condiscendenza, quel calore che la indebolivano. E il volto serio di Ashley Wilkes si confuse e dileguò nel nulla. Egli le ripiegò la testa sul proprio braccio e la baciò, dapprima dolcemente e poi con un crescendo d'intensità che la costrinse ad aggrapparsi a lui come alla sola cosa ferma in un mondo che le girava a attorno. La bocca insistente di lui le scostò le labbra tremanti, facendole correre attraverso i nervi dei brividi violenti, svegliando in lei sensazioni che non aveva mai conosciute. E prima che lo stordimento la vincesse completamente, Rossella si accorse di ricambiare il suo bacio. - Basta, vi prego... svengo! - sussurrò cercando fiaccamente di volgere il capo altrove. Egli le strinse la testa piú fortemente contro la sua spalla e Rossella intravide confusamente il volto bruno di lui, i suoi occhi spalancati e che avevano una strana lucentezza. Il tremito del suo braccio la spaventò. - Voglio farvi svenire. Voglio farvi svenire. Sono anni che siete in attesa di questo... Nessuno degli imbecilli che avete conosciuto vi ha mai baciata cosí... Non è vero? Né il vostro prezioso Carlo né Franco né quell'idiota del vostro Ashley... - Vi prego...! - Ho detto quell'idiota del vostro Ashley. Tutti signori... Che cosa sapevano delle donne? Che cosa capivano di voi? Io vi conosco. La sua bocca fu nuovamente su quella di Rossella ed ella si arrese senza lottare, troppo debole per volgere il capo e senza neppur desiderio di volgerlo; il corpo scosso dai battiti violenti del cuore, mentre la paura della forza di lui e della propria debolezza le dava il capogiro. Se non smetteva, certo ella perderebbe i sensi. Se smettesse... non smetterebbe mai?! - Dite di sí! - Le labbra di Rhett erano incollate alle sue ed ella vedeva i suoi occhi cosí vicini che le sembravano enormi, come se riempissero il mondo intero. - Ditemi di sí, maledizione o... Ella mormorò «sí» senza neanche accorgersene. Come se, per suggestione, il monosillabo le fosse uscito dalle labbra senza sua volontà. Ma appena lo ebbe pronunciato, si sentí improvvisamente calma; il capo cessò di girarle e anche l'ebbrezza dell'acquavite diminuí di botto. Gli aveva promesso di sposarlo senza averne affatto l'intenzione. Non sapeva come tutto ciò fosse accaduto, ma non le dispiaceva. Ora le sembrava naturale di aver detto «sí», quasi come se, per divino intervento, una mano piú forte, della sua si fosse impadronita delle sue faccende per risolverle. Egli respirò profondamente e si chinò come per baciarla di nuovo; ella piegò il capo indietro e chiuse gli occhi. Ma Rhett si ritrasse senza baciarla e ciò le diede una leggera delusione. Essere baciata in quel modo le dava una sensazione strana ma eccitante. Egli rimase un po' di tempo a sedere tenendo ancora la testolina di lei appoggiata alla propria spalla; e come se si fosse imposto uno sforzo, il tremore delle sue braccia cessò. Si scostò un momento e la guardò. Ella aperse gli occhi e vide che quell'ardore che l'aveva spaventata era scomparso dal volto di Rhett. Si sentí incapace di sostenere il suo sguardo e chinò gli occhi confusa e fremente. Quando egli parlò, la sua voce era calmissima. - Avete detto sul serio? Non avete l'intenzione di ritirare la vostra parola? - No. - Non è stato perché... hm... come si dice?... vi ho fatto « perdere il lume degli occhi» col mio ardore? Ella non rispose, perché non sapeva che cosa dire; era tuttora incapace di guardarlo. Rhett le pose una mano sotto il mento e le sollevò il volto. - Vi ho detto una volta che avrei sopportato da voi qualunque cosa, eccetto una menzogna. E ora voglio la verità. Perché avete detto di sí? Rossella si sentí ancora impossibilitata a rispondergli; ma avendo riacquistata un po' di padronanza di sé, continuò a tenere gli occhi pudicamente abbassati ma sollevò un poco gli angoli delle labbra in un piccolo sorriso. - Guardatemi. È per il mio denaro? - Oh, Rhett! Che domanda! - Guardatemi e non cercate di imbrogliarmi. Io non sono Carlo né Franco ne uno di quei giovinotti della Contea che si sono lasciati prendere alla pania delle vostre ciglia palpitanti. È per il mio denaro? - Ma..., in parte, sí. - In parte? Sembrò che la risposta non lo irritasse. Respirò ancora rapidamente, e fece uno sforzo per spegnere nei propri occhi l'ardore che le parole di lei vi avevano acceso; un ardore che a lei la confusione impediva di scorgere. - Ecco - cominciò Rossella imbrogliandosi e confondendosi nelle parole - il denaro è necessario... Lo sapete benissimo, Rhett; E Franco non ne ha lasciato molto. Ma poi... noi siamo adatti uno all'altro... E voi siete il solo, fra quanti uomini ho conosciuti, che sopporta la verità da una donna; è piacevole avere un marito che non vi crede una stupida e al quale non occorra raccontare delle frottole... e... sí, Rhett, vi voglio bene. - Mi volete bene? - Oh Dio - ribatte ella stizzosamente - se dicessi che vi amo pazzamente, mentirei; e per di piú, voi non lo credereste. - A volte, gioia mia, ho l'impressione che esageriate nel dire la verità. Non credete che sarebbe piú carino da parte vostra dire: «Rhett, vi amo», anche se non fosse vero? Ella rimase anche piú confusa, non comprendendo dove egli volesse arrivare. Sembrava cosí strano, agitato, irritato, beffardo; lo vide ritrarre le mani da quelle di lei e ficcarle nelle tasche dei calzoni, e si accorse che stringeva i pugni. «Se anche dovessi perdere il marito, voglio dire la verità» pensò allora torva, col sangue in tumulto come sempre quando egli la tormentava. - Sarebbe una menzogna, Rhett; e a che scopo dovremmo dire delle sciocchezze? Vi voglio bene, ve l'ho detto. E voi mi capite. Una volta mi avete detto che non mi amavate perché avevamo troppi punti in comune. Tutti e due furfanti; questa fu la vostra... - Dio mio! - sussurrò Rhett rapidamente volgendo il capo altrove. - Preso nella mia stessa trappola! - Che avete detto? - Nulla. - La guardò e rise; ma non era un riso cordiale. - Fissate l'epoca, cara - e rise di nuovo, chinandosi a baciarle le mani. Ella provò sollievo nel vedere che il malumore era passato, e sorrise a sua volta. Rhett giocherellò per un istante con la sua mano rispondendo al suo sorriso. - Vi è mai capitato, fra i romanzi che leggete, di trovare la vecchia situazione della moglie indifferente che si innamora del proprio marito? - Sapete che non leggo romanzi - rispose Rossella; e cercando di mettersi all'unisono col suo tono scherzoso continuò: - Del resto, una volta mi avete detto che è il colmo del cattivo gusto, marito e moglie che si amano. - Quante cose maledettamente idiote ho detto! - ritorse egli bruscamente e si alzò in piedi. - Non imprecate. - Dovreste abituarvici, e imparare a imprecare anche voi. Dovreste assuefarvi a tutte le mie cattive abitudini. Questo fa parte del prezzo per... volermi bene e mettere i vostri graziosi artigli sul mio denaro. - Sentite: non mettete le cose in questi termini, soltanto perché io non ho voluto mentire allo scopo di farvi diventare presuntuoso. Voi non siete innamorato di me, non è vero? Perché io dovrei esserlo di voi? - No, cara, non vi amo, come voi non mi amate; e se vi amassi, sareste l'ultima persona a cui lo direi. Dio protegga l'uomo che vi ama davvero. Perché voi spezzereste il suo cuore, tesoro, da quella gattina perversa e crudele che siete, cosí incurante e sicura che non si prende neanche il disturbo di nascondere i suoi artigli. La trasse in piedi e la baciò di nuovo; ma questa volta la sua bocca era diversa; sembrava che egli cercasse di irritarla, offenderla, insultarla. Le sue labbra scivolarono sulla sua gola e infine premettero il taffettà sul suo seno, cosí a lungo e con tanta forza che ella si sentí bruciare la pelle. Alzò le mani a respingerlo, con verecondia oltraggiata. - Non dovete! Come osate...?! - Avete il cuore che batte come quello di un coniglio - motteggiò Rhett. - Se fossi presuntuoso, penserei che quei battiti son troppo veloci per un semplice affetto. Lisciatevi le penne arruffate. E smettete quell'aria di verginella. Ditemi che cosa debbo portarvi dall'Inghilterra. Un anello? Come lo volete? Ella ondeggiò un momento fra l'interesse destato da queste ultime parole e il desiderio femminile di prolungare la scena di collera e di indignazione. - Oh... un anello di brillanti, Rhett... molto grosso! - Cosí potrete farlo scintillare dinanzi agli occhi delle vostre amiche povere dicendo: «Vedete che cosa ho ghermito!» Benissimo; avrete un grosso anello, tanto grosso che le vostre amiche meno fortunate potranno consolarsi sussurrando che portare delle gemme cosí grandi non è da signora. Improvvisamente attraversò la stanza ed ella lo seguí stupita fino alla porta chiusa. - Che c'è? Dove andate? - A casa mia, a finire il bagaglio. - Ma... - Che cosa? - Niente. Vi auguro buon viaggio. - Grazie. Aperse l'uscio e attraversò il vestibolo; Rossella lo seguiva, un po' sconcertata come per un mutamento inatteso dell'atmosfera. Egli infilò il soprabito e prese guanti e cappello. - Vi scriverò. Fatemi sapere se cambiate idea. - Non volete... - Che cosa? - Sembrava impaziente di andar via. - Baciarmi come saluto? - Fu un bisbiglio, come se ella avesse temuto le orecchie della casa. - Non vi pare di avere avuto abbastanza baci per una sera? - ritorse egli sorridendole. - Pensare che una giovine donna pudica e bene allevata... Ma non ve lo avevo detto che vi sarebbe piaciuto? - Siete un individuo impossibile! - gridò lei incollerita, senza piú curarsi di essere udita da Mammy. - E se non tornate piú, non me ne importa nulla! Si voltò e corse a precipizio su per le scale, aspettando di sentire la sua calda mano sul braccio per fermarla. Invece egli aperse tranquillamente la porta d'ingresso; una corrente fredda penetrò nel vestibolo. - Ma tornerò - disse soltanto; ed uscí, lasciandola in cima alle scale con gli occhi fissi sulla porta chiusa.

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Peccato che abbiate dovuto ungere troppe ruote per ottenerlo.» Le signore lo trovavano odioso e insopportabilmente volgare. Gli uomini dicevano dietro alle sue spalle che era un porco e un pendaglio da forca. La nuova Atlanta non amava Rhett piú di quanto lo avesse amato la vecchia; ed egli non faceva alcun tentativo per conquistare le simpatie. Continuava per la sua strada, divertito e sprezzante, infischiandosi dell'opinione altrui. Per Rossella era ancora un enigma, ma un enigma intorno al quale non si scervellava piú. Era convinta che nulla gli piaceva né gli sarebbe mai piaciuto; che o desiderava qualche cosa senza averla, o non desiderava nulla. Egli rideva di tutto ciò che ella faceva, incoraggiava le sue stravaganze e le sue insolenze, prendeva in giro le sue pretensioni... e pagava i suoi conti.

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. - Che fortuna me lo abbiate detto, Baldo! Come fare? Bisogna sospenderle agli alberi e fra i cespugli e accendere le candeline perché tutto sia illuminato quando arrivano gl'invitati... Rossella, potresti mandare Pork a fare questo servizio mentre noi ceniamo? - Voi avete molto giudizio, miss Wilkes, ma vi agitate facilmente - disse Baldo. - Quanto a quello stupido negro, meglio non farlo maneggiare quegli arnesi. Darebbe fuoco a tutto. Sono... molto carini - concesse. - Li sistemerò io mentre voi e il signor Wilkes mangiate. - Come siete gentile, Baldo! - E Melania volse i suoi occhi infantili pieni di gratitudine sul mutilato. - Non so che farei senza di voi. Non sarà meglio che intanto mettiate dentro le candeline, cosí ve le trovate pronte? - Sí, forse, - ammise Baldo con poco garbo, e si avviò zoppicando per la scala che conduceva in cantina. - Cosí bisogna fare! - esclamò Melania ridendo quando Baldo fu scomparso. - Volevo proprio che lo facesse lui, questo lavoro... Ma se glielo avessi chiesto, non lo avrebbe fatto. E ce lo siamo anche levato dai piedi per un po' di tempo. I negri hanno tanta paura di lui che sono incapaci di far nulla quando se lo sentono alle spalle. - A me non piacerebbe avere in casa quel vecchio «desperado» - fece Rossella sgarbatamente. Detestava Baldo come questi detestava lei; ed era raro che scambiassero una parola. La casa di Melania era la sola in cui egli rimaneva anche quando Rossella era presente. E la guardava sempre sospettoso e con freddo disprezzo. - Ti procurerà qualche noia, ricordati quello che ti dico. - Macché! Basta saperlo prendere... Ed è cosí affezionato ad Ashley e a Beau che io mi sento assolutamente tranquilla sotto la sua protezione. - Vorrai dire che è affezionato a te, Melania! - interloquí Lydia con un lieve sorriso, guardando affettuosamente sua cognata. - Credo che tu sia la prima persona che quel vecchio briccone ha amato dopo... dopo sua moglie. E probabilmente sarebbe contento se qualcuno ti insultasse, perché cosí potrebbe ucciderlo per dimostrarti il suo rispetto. - Come corri, Lydia! - E Melania arrossí. - Sai benissimo che mi ritiene un'oca perfetta. - Non vedo che importanza possa avere il modo di pensare di quel vecchio furfante - rimbeccò bruscamente Rossella. Il ricordo di come Baldo l'aveva giudicata a proposito dei forzati la irritava sempre. - Ma ora me ne debbo andare. Vado a pranzo; e poi debbo passare al negozio per pagare i commessi e al deposito per pagare i carrettieri e Ugo Elsing. - Vai al deposito? - chiese Melania. - Ashley deve andare a parlare con Ugo. Mi fai il favore di trattenerlo fino alle cinque? Se torna a casa prima, ci sorprenderà certamente a terminare una torta o qualche altra cosa e allora la sorpresa andrà a monte. Rossella rise internamente; il suo buon umore era tornato. - Va bene; cercherò di trattenerlo. Mentre ella parlava i pallidi occhi senza ciglia di Lydia la fissavano scrutandola. «Mi guarda sempre in un modo tanto curioso quando parlo di Ashley» pensò Rossella. - Trattienilo piú che puoi dopo le cinque - riprese Melania. - Poi verrà Lydia con la carrozza a prenderlo... Vieni presto stasera, Rossella; non voglio che tu perda un minuto del ricevimento. Nel tornare verso casa Rossella pensò malinconicamente: «Non vuole che io perda un minuto del ricevimento... e allora perché non mi ha invitata ad aiutarla a ricevere come Lydia e zia Pitty?» Di solito a Rossella non importava nulla dei ricevimenti di Melania. Ma questa era la riunione piú numerosa che Melania avesse mai organizzata; e per di piú era il compleanno di Ashley; sarebbe stato per lei una gioia trovarsi accanto a lui a ricevere gli ospiti. Ma sapeva benissimo perché non era stata invitata. E se non lo avesse saputo, il commento di Rhett era stato abbastanza schietto. - Una rinnegata ricevere tutti gli eminenti ex-confederati e democratici che interverranno? Sei troppo ingenua. E pensa che se non fosse per la bontà di Melania, tu non saresti invitata affatto. Rossella si vestí piú accuratamente del solito quel pomeriggio, indossando il nuovo vestito di taffetà cangiante verde scuro che sembrava viola secondo i riflessi; e il nuovo cappello verde chiaro guarnito di piume. Come le sarebbe stato meglio quel cappello, se Rhett le avesse permesso di tagliarsi i capelli davanti e arricciarli sulla fronte! Ma egli aveva dichiarato che se le avesse visto i ricciolini, le avrebbe passato il rasoio su tutto il capo. Ed era cosí cattivo in quei giorni, che senza dubbio lo avrebbe fatto. Era un bel pomeriggio di sole non troppo caldo; il venticello tepido che frusciava tra gli alberi faceva ondeggiare le piume del cappello di Rossella, la quale si sentiva il cuore pieno di gioia come sempre quando doveva vedere Ashley. Forse se si sbrigava a pagare i carrettieri e Ugo, costoro se ne andrebbero lasciandola sola con Ashley nel piccolo studio che sorgeva al centro del deposito. Le occasioni di vedere Ashley a quattr'occhi erano poco frequenti. E dire che Melania l'aveva pregata di trattenerlo! Che cosa buffa! - Giunta al negozio pagò Willy e gli altri impiegati senza neanche chieder contezza degli affari della giornata. Era sabato, la giornata laboriosa della settimana, perché tutti i coltivatori venivano in città per fare acquisti, ma ella non chiese nulla. Nel tratto fra il negozio e il magazzino si fermò parecchie volte parlare con delle signore «Carpetbaggers» in splendidi equipaggi (non cosí belli come il suo, però) e con parecchi uomini che attraversavano la strada polverosa per venirla a salutare. A causa di questi indugi arrivò al deposito piú tardi di quanto sperava e trovò Ugo e i carrettieri che l'attendevano seduti su una bassa catasta di legname. - C'è Ashley? - Sí, è in ufficio - rispose Ugo. - Sta cercando di... insomma sta esaminando i conti. - Oh, oggi non occorre che se ne preoccupi! - E abbassando la voce soggiunse: - Melly mi ha mandato qui per trattenerlo in modo che essa possa terminare di preparare ogni cosa per il ricevimento. Ugo sorrise, poiché anch'egli era a parte del complotto. Rossella pagò lui e i carrettieri e, lasciandoli bruscamente, andò verso l'ufficio mostrando chiaramente che non desiderava essere accompagnata. Ashley venne ad incontrarla sulla soglia e rimase nel sole pomeridiano coi suoi capelli dorati e sulle labbra un sorriso che era quasi una smorfia. - Come mai, Rossella, siete in città a quest'ora? Perché non siete a casa mia ad aiutare Melly nei preparativi per il ricevimento di stasera? - Oh, Ashley! - esclamò ella indignata. - Ma voi non dovete saperne nulla! Melly sarà molto delusa se voi non sarete sorpreso. - Ma io sarò l'uomo piú sorpreso di Atlanta - rispose Ashley con gli occhi ridenti. - E chi ha avuto la cattiva idea di informarvi? - Praticamente tutti gli uomini che sono invitati da Melania. Il primo è stato il generale Gordon. Mi ha raccontato che sa per esperienza che quando le donne preparano delle sorprese di questo genere, scelgono di solito le serate in cui gli uomini hanno deciso di pulire tutte le armi che sono in casa. Poi sono stato avvertito dal nonno Merriwether; mi ha raccontato che una volta sua nuora organizzò una riunione per lui senza dirglielo; e fu lei la piú sorpresa di tutti, perché il nonno aveva pensato bene di curare i suoi reumatismi con un'abbondante razione di whisky, ed era troppo ubriaco per partecipare al ricevimento... Insomma, tutti gli uomini per i quali è stato dato un ricevimento a sorpresa, mi hanno prevenuto. - Che infamia! - esclamò Rossella senza poter trattenere un sorriso. Quando egli sorrideva in quel modo le ricordava il vecchio Ashley delle Dodici Querce. Ma sorrideva cosí di rado! A un tratto ella si sentí come se avesse sedici anni: un po' ansimante ed eccitata. Provò un folle impulso di togliersi il cappello e gettarlo in aria gridando «Urrà». Ma pensò che Ashley sarebbe stato molto stupito e si mise a ridere; e rise fino alle lagrime. Anche Ashley rise gettando indietro la testa, credendo che la gaiezza di lei provenisse dall'amichevole tradimento degli uomini che avevano rivelato il segreto di Melly. - Entrate, Rossella. Sto riguardando i conti. Ella passò nella piccola stanza piena di sole e sedette sulla sedia dinanzi alla scrivania a coperchio scorrevole. Ashley la seguí e sedette sull'angolo della tavola lasciando ciondolare le gambe. - Oh, lasciamo perdere i conti oggi! Non voglio seccature. Quando porto un cappello nuovo, mi pare che tutte le cifre mi sfuggano dalla testa. - E quando il cappello è cosí grazioso immagino che le cifre sfuggano di gran corsa! Diventate ogni giorno piú carina, Rossella. Scivolò giú dalla tavola e, ridendo, le prese le mani e allargò le braccia per poter ammirare il vestito. - Come siete graziosa! Credo che non invecchierete mai! Al suo contatto ella si rese conto di avere sperato proprio quello, pur senza averne coscienza. Durante quel pomeriggio cosí felice, ella aveva anelato al calore delle sue mani, alla tenerezza dei suoi occhi, a una parola affettuosa detta da lui. Questa era la prima volta che essi si trovavano veramente soli dal giorno del frutteto; la prima volta che le loro mani s'incontravano in un gesto non soltanto formale; e durante quei lunghi mesi ella aveva desiderato quel contatto. Ma ora... Strano che il tocco delle sue mani non la eccitasse! Una volta la sola vicinanza l'avrebbe fatta tremare. Ora provava solo un senso di cordialità e di contentezza. Nessuna febbre si trasmetteva dalle mani di lui alle sue; e il cuore non accelerava i suoi battiti. Questo la sconcertava alquanto. Eppure era sempre il suo Ashley, che ella amava piú della vita. E allora perché...? Ma respinse questo pensiero. Le bastava essere con lui e che egli tenesse le sue mani sorridendo cordialmente, senza agitazione e senza febbre. Le sembrava un miracolo se pensava a tutte le cose inespresse che erano fra loro. Gli occhi di lui la fissarono chiari e brillanti, sorridenti come un tempo, e come se fra lei ed Ashley non vi fosse mai stato altro che felicità. Pareva che nessuna barriera piú li separasse. Rossella rise. - Oh, Ashley! Divento vecchia e decrepita. - No, Rossella; anche a sessant'anni sarete sempre la stessa. Vi ricorderò sempre come eravate nel giorno dell'ultimo banchetto, seduta sotto una quercia, con una dozzina di giovinotti attorno a voi. Potrei anche dirvi come eravate vestita: un abito bianco stampato a fiori verde scuro ed uno scialle di pizzo bianco sulle spalle. Portavate degli scarpini verdi con allacciature nere e un enorme cappello di paglia di Firenze con lunghi nastri verdi pendenti sulle spalle. Ricordo quest'abito perché quando ero in prigione e sentivo che le mie condizioni peggioravano, cercavo di raccogliere tutti i miei ricordi e sfogliarli come delle immagini, rivedendo ogni particolare... S'interruppe bruscamente e il suo volto si oscurò. Lasciò cadere dolcemente le sue mani ed ella rimase in attesa di altre parole. - Abbiamo fatto molta strada da quel giorno tutti e due, non è vero, Rossella? Abbiamo percorso sentieri che non credevamo di dover percorrere. Voi siete arrivata in fretta, direttamente; io con lentezza e riluttanza. Sedette nuovamente sulla tavola e la guardò; sul suo volto apparve ancora una volta un piccolo sorriso. Ma non era il sorriso che l'aveva resa cosí felice pochi minuti prima: era un sorriso pallido e triste. - Sí, siete giunta rapidamente, trascinandomi dietro a voi. A volte mi chiedo che cosa sarebbe accaduto di me senza il vostro aiuto. Rossella si affrettò a difenderlo contro se stesso con tanta maggior vivacità in quanto le tornarono in mente le parole di Rhett su questo argomento. - Ma io non ho mai fatto nulla per voi, Ashley. Vi sareste messo a posto ugualmente senza di me. Un giorno o l'altro sareste diventato ricco, come certamente state per diventare. - No, Rossella: il germe della grandezza non è mai stato in me. Credo che se non ci foste stata voi, io sarei stato annientato, come la povera Catina Calvert, e tante altre persone che una volta avevano dei grandi nomi. - Non parlate cosí, Ashley. Mi sembrate triste. - No, non sono triste. Non piú. Una volta... una volta lo ero. Adesso sono soltanto... S'interruppe ed improvvisamente Rossella comprese ciò che egli stava pensando. Per la prima volta si rese conto di ciò che Ashley pensava quando i suoi occhi guardavano lontano, assenti, chiari come cristallo. Finché la passione le aveva colmato il cuore, lo spirito di lui le era rimasto precluso. Ora, nella tranquilla cordialità che era tra loro, Rossella cominciava a comprenderlo. Ashley non era piú triste. Era stato triste dopo la resa, triste quando ella lo aveva pregato di venire ad Atlanta. Adesso era soltanto rassegnato. - Non voglio sentirvi parlare cosí, Ashley - esclamò con veemenza. - Parlate come Rhett. Anche lui non fa che ripetere cose di questo genere, e parla di ciò che chiama la sopravvivenza... non so di che e m'infastidisce tanto che mi metterei a urlare. Ashley sorrise. - Avete mai pensato che Rhett ed io siamo fondamentalmente simili? - Oh, no! Voi siete fine, onesto, mentre lui... - s'interruppe confusa. - Eppure lo siamo. Proveniamo da gente della stessa razza, siamo stati educati alla stessa maniera, abituati allo stesso genere di pensieri. Ma, abbiamo preso vie diverse. Pensiamo ancora nello stesso modo, ma le nostre reazioni sono differenti. Per esempio, nessuno di noi credeva alla guerra, ma io mi arruolai per combattere ed egli ne rimase fuori quasi sino alla fine. Tutti e due sapevamo che la guerra era un errore. Tutti e due sapevamo che si sarebbe perduta. Ma io ho voluto combattere in questa lotta inutile, e lui no. A volte penso che aveva ragione lui; e allora... - Ma quando smetterete di guardare i due lati di ogni questione? - Il tono di Rossella non era impaziente come sarebbe stato in altri tempi. - Non si arriva mai a nulla in questo modo. - È vero, ma... dove volete arrivare? Me lo sono chiesto molte volte. Io, per conto mio, non ho mai desiderato di giungere in nessun luogo. Ho solo desiderato di essere me stesso. A che cosa voleva arrivare? Era una domanda stupida. Voleva denaro e sicurezza. Eppure... Il denaro lo aveva; e anche tanta sicurezza quanta era possibile averne in un mondo cosí incerto. Ma ora che ci pensava, questo non le bastava. Tutto ciò non l'aveva resa felice benché l'avesse liberata dall'angoscia dell'indomani. «Se avessi avuto questo, e te per soprappiú» pensò guardandolo «allora sarei giunta all'apice dei miei desideri.» Ma non parlò temendo di sciupare l'atmosfera che si era creata fra loro. - Desiderate soltanto essere voi stesso? -. rise compassionevole. - Invece io ho sempre cercato di non essere me stessa. E quanto a ciò che voglio raggiungere, credo di esservi arrivata. Volevo essere ricca e sicura e... - Ma non avete mai pensato, Rossella, che a me non importa affatto di essere ricco? No; non aveva mai pensato che qualcuno potesse non desiderare la ricchezza. - E allora, che cosa desiderate? - Ora non lo so. Una volta lo sapevo, ma l'ho quasi dimenticato. Piú di tutto desidero essere lasciato solo, non essere tormentato da gente che non mi piace, trascinato a fare cose che non vorrei fare. Forse... desidero il ritorno degli antichi tempi che non torneranno mai, e sono ossessionato dal loro ricordo e dal ricordo di un mondo finito, scomparso. Il tono della sua voce richiamò alla memoria di Rossella i bei giorni di Tara, facendole dolere il cuore. Ma dopo quell'epoca era venuto il giorno in cui ella si era coricata triste e desolata sul terreno delle Dodici Querce e si era detta: «Non voglio piú guardarmi indietro»; e si era drizzata contro il passato. - Preferisco i tempi attuali - disse. Ma non lo guardò. - Accade sempre qualche cosa di eccitante, oggi, di brillante, di divertente. Gli antichi tempi erano scialbi e uggiosi. - (Oh, giornate serene e pigre, calmi crepuscoli sulla campagna! Risate gioconde e acute che provenivano dal quartiere dei negri! Vita piena di calore, piena del conforto di sapere che cosa porterà l'indomani, come posso rinnegarti?) - Preferisco l'epoca attuale - ripeté; ma la sua voce era tremante. Egli scivolò dalla tavola, ridendo dolcemente, incredulo. Mettendole la mano sotto il mento, volse il viso di lei verso il suo. - Come mentite male, Rossella! Sí, la vita è brillante adesso... E questo è il male. Gli antichi tempi non erano eccitanti, ma in essi c'era un fascino, una bellezza, uno splendore lento e tranquillo. Rossella abbassò gli occhi. Il tono della voce di lui, il contatto della sua mano riaprivano dolcemente delle porte che ella aveva chiuse per sempre. Dietro a quelle porte era la bellezza degli antichi giorni; ed ella sentí nascere in sé una struggente nostalgia. Ma qualunque fosse quella bellezza, bisognava lasciarla dov'era. Non si poteva procedere nel proprio cammino portando seco un fardello di ricordi dolorosi. Egli abbassò la mano che le carezzava il mento, prese una mano di Rossella, la trattenne fra le sue. - Vi ricordate... - cominciò; e nello spirito di lei un campanello ammonitore suonò: «Non guardare indietro! Non guardare indietro!» Ma lo trascurò, sentendosi trascinare in un gorgo di felicità. Finalmente lo comprendeva, finalmente i loro spiriti si incontravano. Era un momento troppo prezioso per perderlo, qualunque fosse il dolore che poteva venire dopo. - Ricordate... - e sotto l'incanto della sua voce le pareti nude del piccolo ufficio scomparvero, gli anni tornarono indietro ed ella si trovò insieme con lui, cavalcando in un viale di campagna, in primavera. Egli parlava stringendole lievemente la mano, e nella sua voce era il fascino triste di vecchie canzoni a metà dimenticate. Udiva il gaio tintinnare dei finimenti mentre essi cavalcavano sotto agli alberi di corniolo nella proprietà dei Tarleton; udiva il proprio riso spensierato, vedeva il sole che faceva brillare i capelli chiari di lui, osservava la grazia altera con la quale egli stava in sella. Nella sua voce era la musica dei violini e dei banjos al cui suono essi avevano danzato nella casa bianca che non esisteva piú. Vi era il lontano squittire dei cani da caccia nella palude, sotto la luna fredda e pura delle notti d'autunno, e il profumo di zabaglione servito nelle grandi ciotole ornate di agrifoglio nelle sere di Natale, fra i sorrisi dei volti neri e bianchi. E vecchi amici tornavano in massa ridendo come se non fossero morti da tanti anni: Stuart e Brent con le loro lunghe gambe e i capelli rossi, scherzosi e rumorosi, Tom e Boyd impetuosi come puledri, Joe Fontaine coi suoi occhi neri e ardenti, e Cade e Raifort Calvert che si muovevano con languida grazia. Vi era anche John Wilkes; e Geraldo, rosso per la grappa bevuta; e un sussurro e una fragranza che era Elena. Su tutto questo era un senso di sicurezza, la certezza che domani porterebbe la stessa felicità goduta oggi. La voce di lui tacque; per un istante essi si fissarono negli occhi; e fra loro giacque la gioventú piena di sole che avevano spensieratamente condiviso e che ora non era piú. «Ora so perché non può esser felice» pensò Rossella con tristezza. «Non lo avevo mai compreso prima, come non avevo mai compreso perché neanch'io potevo essere felice. Ma... Dio mio, parliamo come parlano i vecchi!» disse fra sé con dolorosa sorpresa. «I vecchi guardano indietro. E noi non siamo vecchi. Ma sono accadute tante cose e tutto è cosí mutato che sembra siano passati cinquant'anni. Ma non siamo vecchi!» Guardò Ashley; ma egli non era piú giovine e brillante. La sua testa era curva ed egli guardava distrattamente la mano che teneva ancora fra le sue; Rossella vide che i suoi capelli erano grigi, di un grigio argenteo come il chiaro di luna su un'acqua tranquilla. La bellezza del pomeriggio d'aprile era scomparsa anche dal suo cuore e la triste dolcezza dei ricordi era amara come il fiele. «Non avrei dovuto acconsentire a guardare indietro» pensò disperata. «Avevo ragione nel dire che non volevo mai piú voltarmi verso il passato. Fa troppo male e scava nel cuore profondamente finché non si può piú fare altro che rimpiangere. Questo è il male per Ashley. Egli è incapace di guardare in avanti. Non vede il presente; ha timore dell'avvenire e perciò guarda il passato. Non lo avevo mai compreso. Oh Ashley, amor mio, non dovete guardare indietro! A che scopo? Non avrei dovuto lasciarmi tentare da voi a parlare degli antichi giorni. Ecco che cosa succede quando si ricorda l'antica felicità: si prova dolore, crepacuore, scontentezza.» Si alzò in piedi, lasciando ancora la mano in quella di lui. Doveva andare. Non poteva piú rimanere e pensare al tempo di una volta vedendo il suo volto stanco, triste e malinconico. - Abbiamo percorso molta strada da quel tempo, Ashley - disse cercando di parlare con voce ferma. - Avevamo delle belle idee allora, eh? - E poi, con impeto: - Oh Ashley, nulla è accaduto secondo i nostri desideri! - È sempre cosí. La vita non è obbligata a darci quello che desideriamo. Dobbiamo prendere quello che ci càpita e ringraziare che non sia peggio. Ella si sentí improvvisamente il cuore pieno di stanchezza e di pena al pensiero della lunga strada percorsa. Rivide la graziosa Rossella O'Hara che amava i corteggiatori e i bei vestiti e che aveva l'intenzione di diventare, un giorno, quando ne avesse tempo, una gran dama come Elena. Improvvisamente, gli occhi le si riempirono di lagrime che le scorsero lentamente giú per le guance, mentre ella lo guardava muta, come una bimba stupita e addolorata. Egli non disse nulla, ma la prese dolcemente fra le braccia, le fece posare il capo sulla sua spalla e premette la sua guancia contro quella di lei. Ella si abbandonò e gli circondò il corpo con le braccia. La dolcezza di quella stretta le fece asciugare le lagrime. Com'era bello abbandonarsi senza passione, senz'ansia, come nelle braccia di un amico diletto. Solo Ashley che condivideva i suoi ricordi e la sua giovinezza, che conosceva il suo passato e il suo presente, poteva comprenderlo. Udí rumore di passi fuori, ma non vi badò, credendo che fossero i carrettieri che andavano a casa. Rimase un istante ad ascoltare il lento battito del cuore di Ashley. Improvvisamente egli si sciolse da lei ed ella fu sorpresa dalla sua violenza. Alzò gli occhi stupita, ma egli non la guardava; al disopra della sua spalla, Ashley fissava la porta. Si volse: sulla soglia erano Lydia, pallida, coi suoi chiari occhi fiammeggianti, e Baldo, malevolo come un pappagallo guercio. Dietro a loro era la signora Elsing.

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Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222703
Misteri del chiostro napoletano 4 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
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spero che non abbiate l'ardire di burlarvi di me!" "Vi sovrasta una tremenda, e, temo, irreparabile sciagura." "Parlate, per carità!" "Un pericolo orrendo, spaventevole!....." "Mi si ghiaccia il sangue nelle vene!" "Poveretta! la perdita del badessato sarebbe un nulla dinanzi agli altri mali che vi aspettano. Chi sa che non siate trascinata da birri in carcere: che vi pongano a sedere sul banco dei rei....." "Gesù! Gesù!" "Che non veniate condannata alla galera, od almeno alla reclusione perpetua, con un’enorme catena al piede....." "Gesù! Gesù!" "Messa forse a pane e acqua, forzata a spazzare il locale, a spolverare il palco colla granata, a mondare....." L'avrei tormentata più a lungo, se non l'avessi veduta vicina a svenire. Tremava l'infelice da capo a piedi: il respiro le andava mancando: aveva fatto un viso di cadavere. Quando l’ebbi veduta un pocolino riavuta, proseguii: "Non ignorate, buona madre, l'immenso bene che vi vogliono le monache francesi." "Si tengano per sè quel bene!" rispose la maligna vecchia con voce fiacca, sprofondata dall'apice dell’orgoglio all'imo dello scoraggiamento. "Dice proprio bene l'antica tradizione:

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M. abbiate tentato di denigrare la reputazione delle vostre rivali di San Vincenzo. Il re ne prese argomento per farsi pubblicamente beffe e di loro e di voi stessa. Se non che le Francesi, avuto sentore della calunnia, sono pronte e risolute a rendervi colpo per colpo. Già il piano d’attacco è concertato, l'accusa è stesa; il ministro francese, tutti i sudditi della repubblica in movimento, la gente della polizia in piedi, la capitale in subbuglio..... E frattanto voi vi occupate di queste inezie!" La superiora, puntò le mani sul tavolino per balzare in piedi, ma la forza essendole mancata, ricadde di tutto peso sulla poltrona. "Posso almeno sapere di qual delitto m'accusano quelle scellerate!" domandò più morta che viva dallo spavento, e con parole semispente fra' denti. "Di cospirazione, di liberalismo, di lesa Maestà..... Congiura nel vostro conservatorio: monache liberali..... voi il loro Masaniello..... testimonianze prese dall'ispettore..... lettere intercettate, documenti parlanti..... prove e indizi irrefragabili. Poveretta! in qual cattivo passo vi trovate!" "Miserere mei Deus! Io Masaniello! Io rea di alto tradimento! quale esecranda macchinazione!" gridò esterrefatta la sfegatata borbonica. "C'è l'ambasciatore di mezzo, e la vincerà." "Mi credete dunque irreparabilmente perduta?" "Ahimè! lo temo." "E le suore del conservatorio?" "Vostre nemiche la maggior parte." "E voi, cara e buona.... E voi, fedele e generosa Enrichetta?" A questo punto corsi verso la finestra, e dalla finestra alla porta: l'aprii per metà, vi tesi l'orecchio, poi, d'un salto ritornata presso l'abbadessa. "I birri! i birri!" gridai da spiritata: "entrano in questo momento: i birri nella porteria!" "La polizia, reverenda, entra colle baionette in canna nel conservatorio!" gridò con voce strepitosa Maria Giuseppa, che tutto aveva sentito, spalancando la porta e precipitandosi nella stanza. La vecchia, rinvigorita dal terrore dell'imminente catastrofe, fece l'estremo di sua possa per rizzarsi in piedi, e vi riuscì; mosse un passo innanzi, e buttatasi a' miei piedi, e stringendomi le ginocchia con braccia convulse, "A te, fidata amica, a te sola mi raccomando! salvami almeno tu!" esclamò in tuono supplichevole, interrotto da singhiozzi. "Non sei tu stessa che salvasti questo conservatorio dall'invasione delle prepotenti Francesi? Deh, prestami una volta ancora il tuo magnanimo soccorso! in te sola ripongo la speranza della mia salvezza, angelo di bontà!" I miei sforzi per sollevarla da quell'umile positura tornarono vani; ella continuò a stringermi le gambe sempre più forte. "Mi rincresce, reverenda," le dissi allora, "di non potervi soccorrere questa volta. Essendo stata poc'anzi da voi congedata, e dovendo andarmene, sono costretta ad abbandonarvi all'orrendo destino che v'aspetta." "No; non partire, non m'abbandonare, ti supplico! restaci, e suona e canta pure quanto vuoi!" "Oh, no, no: io debbo partire!" "Non ti lascerò, no: resta, per carità!" Allora io finii la commedia con una potentissima risata; presala per le braccia, la rialzai da terra. "Da ora in poi," le dissi, ripigliando il tuono serio, e rimettendola a sedere sulla poltrona, "da ora in poi, non alzerete troppo superba la fronte, se non volete abbassarla poco dopo nella polvere. Questo spavento vi serva di lezione! Quanto a me, sarò di parola: sono determinata di lasciare il conservatorio, ma lo lascierò quando piacerà a me, e non quando piacerà a voi." A ristorare le smarrite forze, chiese la superiora un bicchier d'acqua, e glielo porsi; indi con occhio pieno di carezzevole sommissione, sogguardatami, e stretta tenendomi la mano, "Sono sicura," disse, "che questa commedia non andrà per i giornali! a questo patto resteremo amiche.... Un altro bicchier d'acqua, vi prego!" D'allora in poi me la passai, non felice, ma libera da molestie, nè più ebbi a lagnarmi delle fantasticaggini della superiora. In quanto a' birri, la sorte li riservava, non a lei, ma a me. A me, pur troppo: perchè le cose d'Italia precipitavano a ruina fatale. Carlo Alberto, sconfitto presso Novara dall'Austriaco, era costretto ad abdicare ed abbandonare l'Italia. La corte pontificia, da tale disfatta incoraggita, invocava da Gaeta, per essere ristaurata in Roma, le armi degli Stati cattolici, e già si accingevano in suo soccorso l'Austria, la Spagna e la repubblica francese. In Toscana veniva ristabilito il dominio granducale per una sollevazione popolare in favor dell'antico regime, mentre Venezia, abbandonata a sè sola, e Roma strettamente assediata, lottavano: questa contro i Francesi, quella contro gli Austriaci, con sforzi eroici di prodezza. Benchè profondamente afflitta dalle infelici condizioni dell'Italia, non perdetti di vista la speranza di finirla coll'Ordine benedettino. Da me pregata, mia madre portossi a Gaeta all'incontro di Pio IX, con una supplica, nella quale io chiedeva al pontefice l'atto di secolarizzazione, coll'impegno di rimanere vincolata a' voti, non altrimenti che come semplice canonichessa. E perchè le monache di San Gregorio avevano mosso lite per indennizzazione a quel mio parente, che simulato aveva nel tempo della professione d'essermi debitore di ducati mille, io implorava inoltre dal pontefice d'esser dichiarata immune da tale ingiusta esigenza. Pio IX parve commosso alle istanze di mia madre, alle preci delle mie sorelline. Si volse attorno per vedere se nella stanza vi fosse l'occorrente da scrivere, e non avendovelo trovato, disse alla mia famiglia di ritornare dopo due giorni. Intanto il mio acerrimo persecutore, l'arcivescovo e cardinale, informatosi di queste pratiche, partiva premurosamente da Napoli alla volta di Gaeta, e vi giungeva l'indomani dell'arrivo di mia madre, latore di quella lettera famosa, da me indirizzata al papa sotto la salvaguardia della confessione, e da lui intercettata e aperta. Mia madre tornando dal pontefice lo trovò cambiato. "Signora," le disse con gravità, "fate che vostra figlia si contenti di quello che ha ottenuto finora; chi troppo vuole, niente ha. Ella vorrebbe mutar abito e condizione: non possiamo consentirvi. Che direbbero, che farebbero le altre monache, vincolate nella medesima sua condizione? Avevamo dimenticato il suo nome l'altr'ieri: ce l'ha rammentato il cardinale Riario, ed oggi stesso abbiamo letta una carta, ch'essa cindirizzava due anni fa." Era evidente, che, come quelle della povera Italia, le mie sorti andavano in rovina. Un mese dopo mi veniva dal Riario partecipato un Breve pontificio, per cui Pio IX mi concedeva la grazia di starmene stabilmente in conservatorio, sotto condizione di clausura: potendo però uscirne l'estate per i bagni di mare, purchè i medici li avessero ordinati, e di più che fosse piaciuto all'arcivescovo di permetterli. Quanto poi alla lite mossa dalle monache, ordinava ch'io dovessi versare alla cassa di San Gregorio ducati mille, e che da quel monastero percepissi, vita durante, un assegnamento mensile, proporzionato alla somma da me versata. Insino allora aveva ricevuto pel mio mantenimento ducati 14 e mezzo; da quel momento non mi vidi più consegnare che una polizzetta mensile di ducati sei, a titolo d'alimento mio, e della conversa. - Carità e munificenza fratesca! Alla necessità non resistono neanche gli Dei. Giuocoforza mi fu ristringere il vitto ad una sola pietanza, ed assuefare il palato al pane nero. Ciò dovei fare, mentre, di porpora decorato, l'autore della mia indigenza dava pranzi sontuosi a' parassiti papassi, suoi colleghi, che, da Roma trafugati, rifluivano presso i Borboni, affine di seco loro consultarsi intorno a' mezzi di ribadire più sicuramente i ferri al popolo d'Italia. Venne Pio IX in Napoli, tramutato di luogo, come di colore e di sentimenti. Sebbene uscissi spesso, reputai superfluo, anzi pericoloso, il disegno di ricorrere nuovamente alla sua misericordia. Egli, che chiudeva l'orecchio a' gemiti della sua patria, per quale supremo privilegio l'avrebbe aperto alle lamentazioni d'una povera monaca? E fiancheggiato qual era da un Ferdinando II, da un Riario, come poteva, poniamo pure che avesse voluto, dar ascolto ai miei lamenti? Il solo fanatismo della infima plebe napoletana sorreggeva ancora nel vacillante seggio que' due volgari nemici di ogni bene. E il re di Roma, debole di cuore, più debole di mente, assetato di popolarità, incapace di acquistarla durevolmente, metteva la barca sdrucita della povera Chiesa a rimorchio della loro galera. Una sera, mentre sull'imbrunire io mi ritirava, la Polizia vietò alla carrozza ov'io era di traversare la piazza delle Pigne. Ritrovandosi il Santo Padre nel Museo delle antichità pagane, Ove il principe reale gli faceva da cicerone, non sarebbesi potuto aprire un varco nella folla, senza far calpestare dai cavalli la gente. Mi convenne, voltando strada, fare un lunghissimo giro, scendere per la Vicaria e risalire per San Pietro a Majella. Quest'involontario ritardo eccitò la rabbia dell'idrofoba portinaia del conservatorio, la quale con quegli occhi biechi e sanguigni, che mi facevano rizzare i capelli in capo dalla paura, mi disse: "Se un altr'anno avremo la disgrazia di tenervi con noi, affè di Dio che non metterete più il piede fuori di questa porta!" E così dicendo, alzava minaccioso l'indice in aria, a guisa di maestro di cappella. Prima di partir da Napoli, volle il papa visitare uno ad uno tutti i monasteri di clausura. Quando toccò al monastero di San Giovanni, le suore di Costantinopoli manifestarono a quelle religiose il desiderio di vedere la persona del pontefice in un luogo, che, per la vicinanza dei due monasteri, a ciò si prestava. Salito adunque il papa sopra una certa terrazza, benedisse complessivamente tutto il gregge a lui dintorno. Non so chi m'accennasse all'attenzione sua. Fissò egli lo sguardo sopra di me, e disse: "Una benedizione particolare alla monaca claustrale!" Ed alzata la destra, mise la parola in effetto. Quell'atto non mi recò alcun conforto. Io m'augurava salute, tranquillità, ed emancipazione dall'ignobile servaggio. - Ora, quali di questi beni mi recava quella benedizione? Da lì a pochi giorni Pio IX ritornava in Roma, lieto quanto quel suo predecessore, che alla caduta di Rienzo ritornava vescovo e signore nell'Eterna Città. Il cardinale colse il momento per infierire contro di me. Mi giunse all'orecchio allora che tutti i rigori della clausura stavano per essermi scaricati addosso; per lo che mi veniva proposto di restituirmi presto al primiero carcere, di rinunziare una volta per sempre a qualsiasi speranza d'affrancamento, di rassegnarmi alla sorte delle altre monache, senza più ruminare ulteriori tentativi: e in compenso di tale atto d'abdicazione, mi si lasciava travedere l'onore d'un badessato, che per un Breve di speciale condonamento, nonostante l'età giovanile, avrei ottenuto. Quanto più attraente di tale prospetto era il pan nero che divideva colla mia buona e fidata Maria Giuseppa! Feci rispondere al porporato, ch'io preferiva soggiornare libera in una capanna, anzichè badessa in un carcere. Come rispose Sua Eminenza? - Mi tolse anche quel magrissimo assegnamento mensile di sei ducati! Me ne rimasi dunque, come i Toscani dicono, nelle secche di Barbería. Di lavori donneschi io ne sapeva un po', e l'Onnipotente, che tempera i venti per l'agnello tosato, non m'aveva privata d'operosità e d'industria. Per non viver d'accatto nel conservatorio, per non essere a carico altrui, avrei dunque preferito di guadagnarmi la vita colle proprie mani. - Ma come si fa ad industriarsi dimorando in casa di nemici, e brancolando nel buio che cuopre l'avvenire? Ad un mio parente che rinfacciava al cardinale quell'accanimento codardo contro una donna, duro come un macigno, costui rispondeva: "La madre è ricca: ci penserà lei." Distesa in quel letto di Procuste; stretta, per meglio dire, fra l'uscio e il muro; destituita al fine dei mezzi di sussistenza, feci ricorso all'energia dell'animo per cercare scampo in una disperata uscita. A mali estremi, rimedi estremi. Una sera, invece di ritirarmi secondo il solito al conservatorio, avvertii per lettera la badessa di voler chiudere la porteria tra vespro e nona, perchè, non volendo mangiare il pane altrui, sarei rimasta in casa mia.

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"Abbiate," dissi, "la bontà di procurarmi l'occorrente per iscrivere." Essa storse il viso, a modo di persona che ha da comunicare uno spiacevole annunzio. Poi, biascicando le parole: "Debbo," disse, "con mio dolore farvi sapere, che il leggere e lo scrivere vi sono proibiti da' superiori fino a nuov'ordine." "Non potrò dunque corrispondere per iscritto neppure co' miei parenti?" "Questo sì, purchè io legga le lettere vostre, prima che sieno sigillate, e che prenda notizia di ciò che conterranno le risposte, innanzi che siano consegnate a voi." "Proibito qualunque libro, Senza eccezione?" "Abbiamo qui parecchi libri devoti: ne potrete leggere quanti vorrete." Il cerchio della mia vita si ristringeva sempre di più. Le domandai quali fossero gli ordini precisi sul conto mio. "Ordini rigorosi," rispose. "Proibito di vedere, o di parlare con chicchessia; non potete ricevere nè i parenti, nè gli amici, nè i conoscenti vostri, nè tanto meno gli estranei che venissero per avventura a cercar di voi; anzi, per tôrre il caso d'un'intelligenza clandestina, vi sarà assolutamente proibito d'affacciarvi alle finestre, di salire al terrazzo, di passare pel parlatorio. E per colmo di severità...." "Vediamo quando la finirete!" interruppi. "Non vi sarà permesso d'avere persona alcuna al vostro particolare servizio." "Di grazia," le dissi, "come si chiama questo vostro locale?" "Il ritiro di Mondragone." "Sarebbe meglio chiamato il carcere del Santo Uffizio! Sapreste dirmi ancora, se vi sarò ritenuta per lungo tempo?" "Chi lo sa! Potreste starci e due e tre e cinque e dieci anni, a volontà de' superiori; per avvezzarvi più presto alla pazienza, dovreste smettere la speranza d'uscirne presto" "Non mi nascondete la verità vi prego! Sono forse condannata a vita?" "Raccomandatevi a Dio, e pensate all'anima vostra!" "Basta...!" gridai. E a queste parole caddi priva di sentimento sul mattonato. Riaperti gli occhi, mi trovai sdraiata sul letto, e nuovamente sola. Notai allora con raccapriccio un disordine nelle idee, un intorpidimento della ragione, di cui, volendolo pure, non poteva indagar la causa. Ch'io fossi smarrita di mente, ne aveva chiara coscienza; - ma quell'aberrazione donde mai proveniva? Era essa l'effetto del deliquio? era dell'eccessivo cordoglio? Oppure derivava essa dalla contusione riportata alla testa, cadendo sopra i mattoni? Quanto più mi sforzava di riafferrare il timone della ragione che di mano mi sfuggiva, tanto m'avvedeva ch'io non ne era più padrona come prima: fiacco il discernimento, confuse le rimembranze, perturbati i sensi, tutte le facoltà scombussolate. E nel centro di quel caos un'idea fissa, sovraneggiante, una immagine molestissima come un martello tormentoso: l'uomo ch'io aveva amato tanto passionatamente, Domenico, fattosi prete e vestito da prete, parevami che stesse in atto di leggermi la sentenza di morte. Comincia da questo momento, e continua per qualche tempo non facile a determinare, un periodo della mia esistenza, oscillante ad intervalli fra il senno e lo sconcerto delle facoltà mentali. Risparmierò al lettore la noia che il racconto de' miei delirii gli recherebbe; ma nel continuare il filo della narrazione con uguale esattezza e pel solo dovere di non interporvi nel mezzo una lacuna, siami lecito di premettere qui una preghiera; e questa è, ch'io non sia aggravata della responsabilità d'alcuni atti commessi negli intervalli di quella forsennatezza, atti, che citerò per dovere di fedeltà, ma la cui riprovevole natura sono io la prima a deplorare. .............................................................................................. .............................................................................................. Sullìimbrunire entrò col lume una conversa, e le tenne dietro la priora, munita di sali e di caraffini, che volle farmi odorare. Le dissi aver immaginato, e voler mettere in esecuzione un mezzo, che deluderebbe la pubblicità del mio supplizio. Il tuono serio e cupo con che espressi quest'intendimento la fece ridere. Era una donna sotto i quaranta, fresca e vegeta ancora, ed affabile anzi che no. Il mio stato la muoveva a pietà, poichè non si riguardava di rivolgermi parole di compassione; ma, non meno tenera della sua carica, aspirava all'approvazione de' superiori eseguendo pedantescamente i loro oidini. Tale ingrata incombenza, io, nel suo caso, non l'avrei accettata. Più tardi mi fece portare una scodella di brodo: la rifiutai. La notte che seguitò fu la più angosciosa della mia vita: vera agonia di morte. M'alzai più volte per rinnovare la preghiera a Dio di conservarmi sana la ragione. Fatto giorno, mi portarono il caffè: lo rimandai non tocco, e così fu rimandato anche il pranzo! Due ore dopo vennero i miei bagagli. La priora mi consegnò una lettera di mia sorella, già aperta da lei. Quanto blandite furono le pene mie dalla notizia che Maria Giuseppa era stata, dopo l'interrogatorio, consegnata a suo zio! Aggiungeva mia sorella d'aver già scritto a nostra madre, la quale, informata dell'avvenimento, non avrebbe mancato di chiedere una udienza dal re. - Il capo mi girava, la mano rifiutavasi a scrivere. Cionondimeno con poche righe l'avvertii, che, per timore ch'io non reclamassi al papa o ad altra autorità superiore, le mie lettere venivano aperte e lette: badasse dunque a ciò che scriverebbe. Il giorno appresso ricomparve all'uscio l'antipatice figura del superiore ecclesiastico. A quella vista mi sentii ribollire il sangue, ed incapace di frenare il traboccante sdegno, proruppi in imprecazioni contro il cardinale e contro il re: strana accoglienza ad un direttore della censura pubblica! Don Pietro Calandrelli credette di poter imporre silenzio a me, come lo faceva ogni giorno agli autori di grammatiche e di dizionari: ben lo sa egli se lo feci chetare, io! "Ritengo," gli dissi, "per insulto la visita di preti censori ed inquisitori. Liberatemi dunque della vostra presenza se non volete ch'io ricambi insulto per insulto." "L'ingiusta collera," rispos'egli, "non vi permette di vedere che oltraggiate i vostri benefattori; quando sarete calmata da questo stato d'irritazione, verrà a trovarvi anche Sua Eminenza." Indietreggiai d'un passo, e puntando l'indice, "Ditegli che non ardisca, perchè diverrei una tigre!" esclamai. Il prete si volse alla priora: "La è pazza davvero," disse: "andiamo via!" Quest'epifonema del prete diede il tracollo al disordine delle mie idee. - Sono dunque realmente pazza! - andai dicendo fra me. Erano scorsi intanto quattro giorni, dacchè perseverava a rifiutare ogni alimento. Una lunga malattia di languore non mi avrebbe più profondamente incavate le gote; il volto era divenuto del colore del bronzo; il bianco degli occhi, di quello dello zafferano. Se mi coricava, in cerca d'una tregua all'orrenda fissazione che mi perseguitava, eccomi di bel nuovo innanzi l'immagine di Domenico prete, nell'atto di spedirmi al patibolo. Insomma, priva d'un solo barlume di speranza, inferma di corpo e di spirito, io invocava ad ogni istante o una morte immediata o la restituzione della libertà. Al sesto giorno le forze per alzarmi di letto mi mancavano, nè per questo condiscesi a pigliare i rimedi che la priora mi suggeriva. L'indomani fu mandato per il medico; era il dottor Sabini, cuore aperto, e, come seppi dipoi, caldo di generoso amor di patria. Udito dalla priora il racconto de' miei mali, e come io m'ostinava a ricusare qualunque nutrimento: "Tanto meglio," osservò: "più giovevole, che dannoso riuscirà il digiuno alla sua salute; appena sarà cessata la febbre, la forzeremo a cibarsi." Chiese il calamaio per una ricetta; lo trattenni colla mano per impedirglielo. "Perdereste il tempo," gli dissi; "sono fermamente risoluta di non prendere alcun rimedio. Voi siate pure il ben venuto, se vi conduce l'umanità; ma se venite a prestarmi i soccorsi della vostra professione, io vi congedo al momento!" Non aveva finito di parlare, quando riapparve all'uscio la testa del prete superiore. "Signor Sabini," disse, senza oltrepassare la soglia, "il cardinale vuol sapere da voi lo stato dell'inferma." A quella voce agitandomi convulsa nel letto, gridai quanto n'aveva in gola: "Via di qua, papasso mascherato!" "Calmatevi, per carità!" mi disse il Sabini. - "Signor cavaliere," soggiuuse rivolto al messo del cardinale, "l'inferma è affetta da una febbre nervosobiliosa, febbre complicata con qualche sintomo di congestione cerebrale. Se ella sarà docile alle mie prescrizioni, e soprattutto se vorrà rinunziare al pensiero d'attentare a' propri giorni per mezzo dell'inedia, spero che potremo superare l'infermità." A questi detti il prete varcò la soglia, ed entrato nella camera, che a rapidi passi prese a misurare, "Come!" esclamava, "come! vorrebbe ella dunque cessar di vivere! Signora priora," soggiunse in un tuono rauco ed imperioso, che richiamava la memoria di Torquemada "levate subito da questa stanza ogni oggetto pericoloso!" Il regio revisore aveva adocchiato i miei bauli, e mirava ai libri, ch'erano, a suo credere, ben più pericolosi dell'arsenico, e mettevano in pericolo cosa più preziosa della mia vita. Per evitare un violento conflitto, volli passare in altra stanza, mentre la priora e il prete assistiti da altre persone si preparavano alla visita dei bagagli. Si cominciò dalla camera, che fu esplorata per ogni buco e bucolino; impadronitisi poi delle chiavi, nella speranza di sorprendere qualche documento relativo a segrete società, m'aprirono le casse, esaminarono i sacchi, visitarono le cassette, spinsero l'esame per fino ne' penetrali della biancheria. I soli oggetti che attirarono l'attenzione loro furono alcuni volumi di stampa forestiera, fra' quali, mi rammento, il libro sopra Dante di Ozanam, l'altro sull'educazione di Tommasèo, gl'Inni Sacri del Manzoni, ed un carme alla Libertà di Dionisio Salomos, eminente poeta della Grecia moderna. Fatta questa cattura, l'odiosità della ricerca fu adonestata col sequestro di coltelli, forchette, forbici, d'un temperino, e di altre cose consimili. Il nemico del vocabolo eziandio scendeva le scale quand'io rientrava nella mia camera. Voltosi con un amaro sogghigno, in cui balenò tutta l'ingenita sua malvagità, "Con vostro buon permesso," disse, "riporterò a Sua Eminenza, vostro e mio benefattore, che tolti vi sono i mezzi di attentare alla preziosa vostra esistenza." E detto questo, scese la scala. Sfuggì per altro alle loro indagini un fascio di carte ben altrimenti pericoloso. Io era sicura che senza la mano d'un uomo del mestiere non avrebbero scoperto il ripostiglio contenuto in uno dei bauli. Ma di ciò a suo tempo. Sabini ogni mattina presto veniva a trovarmi. La forte complessione m'aiutava a superare quella lotta fisica e morale, cui ogni altra donna avrebbe forse dovuto soccombere. Nondimeno m'astenni tenacemente da ogni qualsiasi alimento, ed il medico si avvide che la mancanza di cibo andava scemando le mie forze con sempre maggiore rapidità. La mattina dell'undecimo giorno mi ritrovò in uno stato d'estrema depressione; io non poteva più alzare il braccio smunto, e solamente a sollevare il cape dall'origliere sveniva. Tanto inoltrata era l'estenuazione, che divenuta incapace di scendere dal letto, io non poteva, com'era solita, mettere la sera il chiavistello all'uscio di quel tugurio. Sabini per salvarmi immaginò un pietoso ripiego. Governatore del ritiro era un Caracciolo, principe di Cellamare, di cui egli era ugualmente il medico. Più d'una volta ei mi aveva detto che aveva tenuto parola di me col principe. Una mattina, adunque, ridendo e stropicciandosi le mani, "Allegra, signorina," mi disse: "vi porto buone nuove!" Fatto uno sforzo, mi volsi a lui. "Ieri sera," soggiunse, "il principe vi raccomandò caldamente alle autorità, le quali condiscendono, appena convalescente, di farvi uscire." Il cuore mi cominciò a battere tanto forte, che non so come non rimanessi colpita da sincope. "Dunque sarò scarcereta!" dissi, sforzandomi di riprendere la lena che mi mancava, e di stendergli la destra. "Di certo," riprese egli: "e però bisogna rimettersi in forze, poichè non voglio che, uscita di qui, facciate paura alla gente. Presto, signora priora, fatele portare del brodo." Un momento dopo la conversa ne portava un poco, che il medico stesso, sorreggendomi sul capezzale, con carità paterna mi faceva prendere a cucchiaiate. Alla terza cucchiaiata la vista mi si offuscò, e prima di potermi rimettere sul guanciale rigettai quella magra e scarsissima sostanza. "Lasciamola in calma," disse Sabini: "troppo avanzata è la spossatezza. Ora le scrivo un calmante che le somministrerete ogni mezz’ora." Io m'era lasciata prendere all'esca; più del brodo e della ricetta m'avevano rianimata le parole del medico. Il giorno appresso stava meglio: continuavano tuttavia a funestarmi le apparizioni, effetto dello sconcerto mentale: ma la speranza, supremo specifico, qual sollievo mai non reca al disperato? Dopo quattro giorni il miglioramento era grande; il sesto Sabini chiese al parlatorio le mie nuove, ma non salì. Sul finire della settimama io ricominciava pian piano a cibarmi..... ma frattanto Sabini non si faceva rivedere. Mossane qualche lagnanza alla priora, ottenni che fosse richiamato. Ei venne alfine. Com'ebbe avuto contezza della mia salute, gli domandai del giorno in cui mi sarebbe stato comunicato il permesso d'uscita. Ei mi rispose in termini evasivi: non mi tolse la speranza della redenzione per non farmi ricadere, ma disse non potermene precisare il momento..... Ohimè! Ivi a poco acquistava l'amara certezza d'essere stata pietosamente ingannata. Piansi come donna non ha pianto mai; nuovamente mi diedi alla più smoderata disperazione, non seppi a qual estremo partito appigliarmi, ma non ebbi più il coraggio o la pusillanimità di troncare i miserandi miei giorni per mezzo del digiuno. In questo mentre mia madre era tornata da Gaeta. Informata dalla sorella che le lettere mie subivano al parlatorio una sorte pari a quella che in tutti gli uffici postali del Regno subiva la corrispondenza del pubblico, mi rese conto del suo operato in termini del tutto inintelligibili. Ma l'inciampo non mi scoraggì. - Ben conoscendo l'altiera e risoluta indole di lei, poteva io dubitare che dopo l'affronto ricevuto fosse ella donna da starsene colle mani alla cintola? In uno de' miei lucidi intervalli (e ne aveva allora di più frequenti) concepii un ingegnoso sotterfugio. Domandato alla priora chi avrebbe preso cura della mia biancheria, ed avuto in risposta che le sue converse non avevano il tempo, ne feci un fagotto per mandarla in casa di mia madre, e nella cocca annodata di una pezzuola avvolsi un biglietto, col quale chiesi contezza di ciò ch'ella aveva operato per me. La biancheria mi veniva restituita tre giorni dopo; e nello stesso nodo trovai la risposta. Scriveva mia madre: «Avere parlato col re ed anche colla regina: entrambi aver detto doversi la faccenda trattar piuttosto coll'arcivescovo, non essendo use le Loro Maestà d'immischiarsi in affari di Chiesa: credere del rimanente le medesime, che il suonare l'organo o il cantare i vespri fosse occupazione più confacevole ad una monaca, che non il cospirare all'aria aperta coi nemici del trono e dell'altare.» Verun dubbio dunque restava; non più un solo, ma due poteri locali mi tenevan dietro: la polizia e l'arcivescovado. A dire il vero, i sospetti della polizia borbonica non erano ingiusti. Sortito avendo dalla natura bollenti passioni, immaginazione mobile, volontà forte abbastanza da lottare contro le seduzioni del sentimento e contro la corrente delle abitudini, io ho mirato alla reintegrazione della libertà nella terra nativa, prima ancora che la storia romana e gli annali delle nostre repubbliche mi avessero ammaestrato sui destini di essa. I libri, i giornali, il consorzio degli uomini di tempera vigorosa, soprattutto l'ammirando esempio degli altri popoli più di noi inoltrati nella carriera della civiltà, fecero divampare nell'animo mio quel fuoco sacro dell'amor patrio. Da quel punto presi ad esecrare l'aquila imperiale, e i principotti suoi satelliti, e la depravazione del nostro sacerdozio e la strisciante cortigianeria dei nostri baroni con quell'odio stesso, odio inesorabile, con che i Saraceni furono detestati dagli Spagnuoli e i Turchi da' Greci e i Russi da' Polacchi e la pirateria barbaresca da tutta quanta la cristianità. Nè, ambiziosa d'aggregarmi pur io all'apostolato di sì nobile missione, cessai d'allora in poi di cercare all'ombra della cocolla quel centro occulto di operazioni, che metter potesse in esercizio la mia operosità. Picchiai lungamente senz'aver risposta, ma finalmente mi venne aperto. Scorsero allora per me momenti d'esaltazione e d'entusiasmo, nei quali ebbi l'arroganza di credere, che se tutte le donne pensassero e sentissero a modo mio, neppure una sola oste barbarica sarebbe mai calata in Italia, od almeno l'Italia l'avrebbe da lungo tempo finita coll'opera devastatrice dei tiranni. Non erano dunque privi di fondamento i sospetti della polizia; ma chi l'aveva messa sulle mie traccie? Io non lo so, nè m'importa saperlo. Comunque siasi, io perdeva l'ultima speranza di riveder la luce. A questi motivi di sconforto un altro e più irritante mi sopravvenne. Reluttando agli ordini replicati della curia di rindossare l'abito monastico, io ricevei l'ordne perentorio di riprendere lo scapolare entro tre giorni, sotto l'alternativa di vedermi confinata in un ritiro di provincia, e passare il resto della mia vita nella separazione illimitata da' parenti e dal mondo. Rindossare quell'odiata insegna dell'inerzia, dell'ignoranza, dell'egoismo inalzato a dignità di dottrina! Ricadere per sempre, e senza speranza di riscatto, sotto la verga d'un'ignorante, fanatica badessa! Seppellire nel marciume d'un chiostro murato e ferrato la voce della ragione, del cuore e della volontà! A questa orribile idea la mia povera mente, già sconcertata, subì l'ultimo crollo. Ho detto che in un ripostiglio del mio baule stava nascosta qualche cosa, che sfuggì alla perquisizione de' preti. Quel segreto conteneva un fascio di carte rivoluzionarie in cifra, un pugnale ed una pistola, oggetti appartenenti ad un mio cognato, e da lui a me dati in deposito sin da quando io dimorava nel conservatorio di Costantinopoli. Era la notte del 16 luglio, un'ora prima della mezzanotte. Dopo d'aver piegato il ginocchio appiè del letto e innalzata la preghiera de' moribondi al Dio della misericordia, scrissi l'ultima lettera a mia madre, lettera palpitante di affetti e tutta bagnata di lagrime. Io le diceva: ..................................................................................................... «Ah, all'enormità delle mie pene non presterà fede, se non chi ne abbia provata una parte! Esistere e credere di sognare: quel perpetuo affannarsi a sormontare il cavallone che v'incalza, e sta per ingoiarvi, senza speranza alcuna di riguadagnar la riva: quell'essere sepolto vivo e risvegliarsi inchiodato nel buio della bara, ah, mamma, credetemi, sono tormenti atroci! » Cara mamma, questa vita che voi mi deste, altro non è più per me che un supplizio. Che vale l'esistenza, se è cieca di libertà e di coscienza, se è condannata all'atrofia, mentre le altre creature di Dio respirano il nativo elemento, libere, prospere e sane quanto gli uccelli dell'aria? Siate perciò la prima a perdonarmi, e vogliate difendere la mia memoria, quando l'unica traccia, che lascerò al mondo di me, sarà la vostra commiserazione!» Terminata la lettera, che, tutta bagnata di lagrime, deposi aperta sul tavolino, aprii il baule, e tratto dal segreto lo stile, mi ferii il fianco.... - Oh, tu che leggi, non mi condannare! compiangimi; rianda colla mente tutti i miei patimenti, mettiti nel mio miserissimo stato, e piangi con me, che pure scrivendo di questo orribile momento, mi sento profondamente commossa. Ah sì, io avevo tanto patito e patito, che il lume della ragione era spento! Perdonami, lettore, come spero m'abbia perdonato Iddio! Il polso debole e tremante diede poca forza al colpo: una stecca di balena fece scivolare il ferro, che strisciando sulla pelle, la sfiorò. Avrei forse rinnovato il colpo, ma l'orrore e il ribrezzo che mi fece il freddo della lama, mi risvegliò da quel delirio. Non fa parte della legge divina anche l'istinto della propria conservazione? La voce interna che al disperato grida: Consèrvati! - non è forse quella d'un angelo custode, che il cielo invia? Lo stile mi cadde di mano: io mi posi tutta tremante a sedere. Non era scritto che dovessi morire, in un accesso di demenza, omicida di me medesima. Vissi, piansi, patii ancora; e ne sia lode alla divina Provvidenza, io sopravvissi a quell'èra d'ignominia e di servaggio! Nuovi tormenti m'aspettavano. Non paghi i preti d'avermi costretta ad incapperucciarmi nuovamente, vollero pur menarmi per confessore un religioso di loro fiducia, il padre Quaranta, Agostiniano. Trattandosi d'un'anima dannata, la cui conversione non avrebbe forse mancato d'essere ascritta a miracolo, scelsero quel religioso, come colui che, salito in grido d'ineluttabile facondia e in odore di santità, di leggieri avrebbe vinta qualunque resistenza. Risolvei di non portarmi al confessionale. Quaranta mi fu condotto in camera tutti i giorni, a mio dispetto, e ad ore indeterminate. Era egli un vecchierello smemorato, navigante a gonfie vele alla volta dell'imbecillità, il quale, troppo occupato del fervorino che recitava tutto d'un fiato e a modo di scatola musicale, dimenticava da un momento all'altro le mie obiezioni. Il cicaleccio di quel rimbambito distruggeva i beneci effetti dell'ultima crisi nella mia ragione. Protestai contro quella quotidiana molestia; mi fu risposto che io non poteva stare senza il catechismo giornaliero del confessore: mi avrebbero però mandato un tal Cutillo, che in Napoli godeva la stessa riputazione di Quaranta. "Poichè tanto lo decantate, tenetevelo per voi," risposi al prete superiore; "se mi debbo confessare, voglio una persona di mia, e non di vostra scelta." La priora m'aveva tenuto parole d'un vecchio canonico del vicinato, il quale spesso veniva a dir Messa nella chiesa del ritiro, ed informavasi ogni volta sì della mia salute, che del mio stato morale, e pietosamente a mio favore le raccomandava i riguardi che il dovere di priora e le mie peripezie richiedevano. Io lo conosceva di fama, per uomo dotto, prudente e d'illibata probità. Pregai dunque la priora di chiamarlo per confessore da parte mia; mandò in risposta che accettava l'incombenza, purchè non intendessi di valermi della sua mediazione presso il capo della Chiesa napoletana. Gli feci sapere ch'io era ben lungi dal pensiero di umiliarmi a costui. Egli venne. Ma la scelta di quell'egregia persona fu disapprovata da Sua Eminenza, non meno che dal superiore ecclesiastico dello stabilimento. E la ragione fu questa: il canonico era cristiano di cuore e di coscienza, non per ispirito di partito o per orgoglio; era ministro al servizio della sofferente umanità, e non istrumento di casta feroce. Eglino, al contrario, stavano molto al disotto di lui, e per condotta morale e per ingegno e per dottrina. Ne conseguiva che diametralmente opposta a' sentimenti del subalterno essendo la condotta de' superiori, indarno avrebbero questi tentato di penetrare per mezzo del confessore nell'anima della penitente. Senonchè, vergognosi essi stessi d'una disapprovazione che nulla poteva giustificare, furono più tardi costretti a rivocarla; e per tal modo, ne' sinceri conforti profusimi da quel buon vecchio, ebbi la prova consolante che il Cielo non mi aveva del tutto ritirata la sua clemenza. Ma lo ripeto, un malanno porta l'altro. Il generale Salluzzi, che in tante e tante occasioni mi aveva dato prove di paterno affetto, fu, dopo gli ultimi avvenimenti, sì severamente redarguito per la protezione che accordava ad una monaca cospirante contro il principe e ribelle ai voleri della Chiesa, ch'ei non osò più chiamarsi amico mio. Oltre questa perdita, che m'arrecò non piccola mortificazione, il re mi sospese ancora un assegno di annui ducati 60, ultimo mezzo del mio sostentamento. Di lì in poi, nonostante i sussidi della famiglia, furono molte le mie ristrettezze. Obbligata a farmi tutto da me stessa, benchè non assuefatta, per un'estate intera mi ristrinsi al solo pane, e per companatico a qualche frutta, serbando la carne alle domeniche. In quanto alla mia sequestrazione, essa fu completa nei primi sei mesi. Ad eccezione del medico che in sul principio mi visitò, non mi venne fatto vedere per quel tratto di tempo altra figura umana, fuorchè quella sgradevole di preti, di monaci e di monache; cosa che mi costrinse a carcerarmi nella propria stanza, e mi ridusse al compiuto isolamento. Un solo filo di comunicazione mi conservava ancora in relazione col mondo di fuori: era l'involto della biancheria, prezioso messaggiero e confidente, che mi tratteneva in sicuro carteggio con la madre. Coll'aiuto di pochi e scelti libri quale noia non si rompe, quale tristezza non si dissipa, qual muto orrore non è rianimato? Defraudata di quest'innocuo sollievo, mi fu giuocoforza ricorrere alla lettura che fornirmi poteva Mondragone. Nè mi pento d'averla accettata, anzi conserverò particolare memoria della Vita delle sante Martiri che vi trovai: libro interessante che ho letto riletto più volte con edificazione e diletto grande. La casta poesia, il puro e santo zelo di quell'èra cristiana mi serviva di calmante nella lotta interna che m'agitava. Ammirabile secolo di riscatto, in cui la donna, da ardente fede, da speranza, da carità sublimata, non solamente contese all'uomo il privilegio dell'eroismo, ma col sagrifizio della giovinezza, della beltà, degli averi, e della stessa esistenza, colla pratica d'ogni virtù seppe ancora eclissare e modestia di gerarchi, e dottrine di scuola, ed elucubrazioni di teologi. Chi può negare che uno fra i più maravigliosi prodigi della rivelazione sia questa novella devozione della donna alla riforma della società, al rinnovamento del genere umano? E questa fede, quest'abnegazione, che trae la femmina dal gineceo, per menarla gloriosa sul rogo, non è ella già degna di ammirazione, più che non lo sia l'eroismo, in grazia del quale sono i nomi d'Epaminonda e di Scipione celebrati nelle pagine di Plutarco? Questi e non altri esemplari vorrei che con mano diurna e notturna svolgessero le nostre giovinette! Che non oserebbe, a che non riuscirebbe anche la donna de' nostri giorni se quella fede pigliando per modello, deponesse, quasi offerta di primizie, il fiore degli affetti sull'altare della patria? Invece di scrivere romanzi, che con effimere commozioni mi snervano il cuore, che con effeminati affetti mi sbaldanziscono l'animo, m'isteriliscono le aspirazioni, provatevi piuttosto a ritemprarmi, se potete, il cuore a fecondi concetti, a sentimenti virili! Ecco come mi rialzerete dall'inerzia in cui giaccio, ecco come mi preparerete a secondarvi nella grande opera dell'incivilimento! Nelle ore d'ozio (e quante non ne dovetti passare in più di tre anni d'assoluto sequestramento!) materia di grata distrazione mi somministrarono gl'insetti, soli viventi compagni del mio deserto. Quante ore non passai assorta all'isocrono rosicchiare del tarlo nel fracido tavolato delle porte e del soffitto! Quante volte non tesi lungamente l'orecchio a' gorgheggi d'un canarino, la cui prigione, per quanto facessi, non m'era dato di discernere, ma la pazienza e la giubilante superiorità del quale io invidiava dal fondo del cuore! In tempo d'estate e d'autunno una porzione del mio scarso pane era religiosamente riservata alle formiche. Adescate dalla mia ospitalità, esse affluivano in differenti repubbliche e sotto capi differenti nella mia stanza, ne prendevano imperturbato possesso, si aprivano ingressi ed uscite a piacimento, montavano in lunga schiera su per le pareti, o in diverse tribù affollandosi a me d'intorno, facevano a gara l'una coll'altra per la briciola che porgeva loro. Altra volta mi divertiva, a guisa di Silvio Pellico, a contemplare la lotta della mosca caduta nelle granfie del ragno, e a quella vista ricordava la massima di Anacarsi: «che la giustizia d el principe è tale di ragno: i piccoli insetti vi restano avviluppati e catturati, i grossi la squarciano e se ne vanno.» - In tempo d'inverno poi, quello che più d'ogni altro m'aiutò a passare le lunghe ed insonni nottate fu l'esercizio mnemotecnico. A forza di moltiplicare a mente de'numeri determinati, corroborai talmente la memoria che pervenni a trovare il prodotto di due fattori di cinque cifre ciascuno. Ma riprendiamo il filo del racconto. Era già molto tempo che procedeva regolarmente il carteggio clandestino, quando m'accade di trovare nel nodo della pezzuola un dispaccio del seguente tenore: «Cerca d'ottenere un abboccamento dal nunzio apostolico: è persona dabbene. Lo potrai fare per lettera, che manderai a me.» L'abboccamento fu domandato, e prestamente ottenuto. Il nunzio venne a Mondragone non sì tosto ebbe ricevuta la mia lettera. All'annunzio della visita d'un funzionario tanto eminente della Santa Sede tutto il ritiro andò in trambusto. La priora, propensa ad arrogarsi l'onore della visita, corse precipitosa al parlatorio. Ma quale fu il suo stupore sentendo che il ministro del Sommo Pontefice domandava della sua prigioniera! Nell'incertezza se dovesse farmi scendere al parlatorio, o piuttosto rispettare la proibizione, la povera donna rimase di sasso, nè seppe che rispondere al funzionario. Io, che stava sempre in aspettazione di quella visita, appena udito un insolito andirivieni pei corridoi, uscíi ratta della mia stanza, mi precipitai per le scale urtando le monache, che sbalordite mi guardavano, e lanciandomi nel parlatorio, dissi con tuono altiero alla priora: "Le vostre faccende vi richiamano altrove: lasciatemi sola, vi prego." Essa, confusa, licenziossi dal nunzio chiamandolo signor dottore, e volte le spalle, disse a mezza voce: "E se fosse pazza un'altra volta?" Il nunzio era un uomo nel fiore degli anni e garbatissimo. Fece le più alte maraviglie al racconto della mia Odissea, ma non avendo giurisdizione diretta sul ritiro, si dolse con cortese sincerità di non potermi porgere l'aiuto, che i miei tormenti reclamavano. Ciò nonostante non prese congedo senza prima assicurarmi che avrebbe messo in opera ogni mezzo, affine di ottenere a mio favore, se non l'immediata uscita, almeno una diminuzione di rigore. Nel risalir le scale vidi la priora costernata e in parlamento colle sue monache. Approssimatami al crocchio: "Non vi date pena dell'avvenuto," dissi sorridendo alla prepositessa: "mandate pure a dire al cardinale che gli arresti li ho rotti io." Non riusciva nuova alla priora quest'aria di canzonatura. Io aveva preso da qualche tempo l'abito di burlarmi di loro, o di farle arrabbiare con ogni sorta di dispettuzzi, memore del motto di quella briccona di Capua: «per pigliar marito bisogna fare l'impertinente.» La priora fece nota al prete superiore l'avvenuta infrazione, e costui fu il primo che salì da me sbruffando fuoco e fiamme. Lo ricevei seduta ridendo, guardandolo a traverso, e dondolando una gamba sull'altra: "Chi vi ha dato l'ardire di scendere al parlatorio, nonostante gli ordini dell'arcivescovo?" "Ardire fa rima con dormire," risposi. "Sapete, mannaggia! che avendo fatto i voti, dovete prestare cieca ubbidienza a' superiori che Dio vi ha dato?" "Presso quale Evangelista si trova scritto che il Nostro Signore m'abbia dato per superiore il reverendo cavaliere Don Pietro Calandrelli?" "Io sono vostro superiore in nome della santa Chiesa cattolica." "Che cosa intendete per Chiesa cattolica?" "Intendo, signora mia, la padrona dei re, la rappresentante di Dio sulla terra: dico la Santa Sede, e l'intero cattolicismo che le ubbidisce." "Non credo nella Santa Sede, con vostro buon permesso." "Dunque voi non siete cattolica?" "Se quello che voi chiamate cattolicismo in mano al papa, ai cardinali, ad altri vescovi e preti non dovesse essere altro che un mezzo d'industria, una macchina d'ignoranza e di servaggio, per fermo, io non sarei cattolica!" "Che cosa dunque sareste?" "Cristiana; e ci guadagnerei un tanto." "Uh, che orrore, che orrore!" gridò: "Sareste voi protestante?" "Scismatica?" soggiunse la priora. "Nè l'uno, nè l'altro," ripresi io; "sarò cristiana di quel rito che favorirà la civiltà, il benessere, la libertà de' popoli. Ecco la fede mia, che pur sarà la fede dell'avvenire." "Voi siete una religiosa empia e sacrilega! - Signora priora, vi raccomando di badare bene, che il contagio di tali opinioni sataniche non infetti le giovanette innocenti del ritiro." "Non temete," soggiunsi io: "qualche anno ancora, e queste giovinette avranno scoperto e detesteranno le vostre imposture al par di me." Ben lontano però eravamo ancora da tale meta. Il ritiro componevasi quasi per intero di giovani, siffattamente allevate nel bigottismo e digiune di buona istruzione, che mal appena sapevano scrivere. E come poteva essere altrimenti, poichè Calandrelli era il collega del famigerato monsignore Francesco Saverio Apuzzo? Quelle adolescenti ogni volta che passavano davanti alla mia porta, sospirando, esclamavano: "Maronna delle Grazie, salva l'anima sua! Dio mio, convertila!" Il superiore andava intanto ghiribizzando per iscoprire con qual mezzo avessi potuto trasmettere al nunzio la mia lettera. Furono interrogate una per una tutte le converse, ma nulla si potè sapere. Avuto alfine qualche sospetto sul fagotto della biancheria, l'inquisitore, mettendo in non cale ogni riguardo di decenza, ordinò alla priora di volerlo avvertire la prima volta che i miei panni dovevano esser mandati a casa. E così fu: posto il ginocchio a terra, ebbe quel cavaliere dell'ordine di Francesco I la birresca impudenza di sciogliere il fagotto di propria mano, e sventolare partitamente tutti, senza eccezione, i miei panni. Ma io che m'aspettavo la perquisizione, gli aveva teso un bel laccio. Nella piega d'un asciugamano il reverendo trovò una lettera diretta a mia madre. Rizzatosi gongolante in piedi, e con mano tremante dall'impazienza, schiuse il corpo del delitto. "Finalmente," disse alla priora, "il topo è nella trappola!" E senza mettere tempo in mezzo, cominciò a leggere ad alta voce.... Alla quarta linea divenne pallido; a mezza lettera gli morì la voce fra i denti: e seguitò a leggere solamente cogli occhi; In quel foglio io aveva scritto di lui ogni ben di Dio: gli davo dell'impudente, dell'ubriacone, del seduttore, del tanghero; eravi, fra le altre cose, ricordato un fatto vero: cioè, che venendo ogni dopo pranzo avvinazzato, egli chiamava ora l'una ora l'altra delle monacelle nella propria stanza, e vi rimaneva lungo tempo da solo a solo col pretesto di farsi aiutare a recitare l'uffizio. La lista del bucato terminava col seguente epigramma:

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Poi, piegando l'una gamba sull'altra e stropicciandosi le mani, mi disse: "Suppongo, signorina, che abbiate deliberato di farvi monaca." "No, reverendo." "E perchè?" "Perchè la clausura m'opprimerebbe soverchiamente." "Coll'andar del tempo vi abituerete a questa dolce prigionia per modo da non potervene più separare. Non siete dunque entrata di vostro piacere nel convento?" "No; forzata da mia madre." "Ah, forzata dalla mamma! (breve pausa, durante la quale il prete sembrò immerso in profonda meditazione). Ditemi un po', signorina, avete mai fatto all'amore?" "Due volte." "Qual era il vostro fine nell'amoreggiare?" "Sposare l'oggetto amato." "Questo, e null'altro? Vogliate aprirmi senza riserva il vostro cuore." "Non ho avuto per mira che il solo matrimonio." "Avete inviate o ricevute lettere da' vostri amanti?" "Mai." (mi ricordai del viglietto di Domenico) "Avete avuto ambasciate verbali?" "Neppure." (oziose interrogazioni!) "Come dunque hanno avuto termine i vostri amori?" "Sono stata abbandonata dagli amanti." "E la mamma?" "La mamma s'indispettì nel vedermi serbar la fede al secondo amante." "Ecco, figlia mia," sclamò allora, " ecco la differenza che passa fra lo sposo mondano e lo sposo Celeste! Quelli vi hanno abbandonata, benchè li amaste: questi vi ha seguíta, e fedelmente vi seguita, mentre di lui non vi cale, e tuttavia persistete a respingerlo. I primi hanno amareggiato il calice puro della vostra giovinezza: il secondo vuol colmarvi d'ineffabili e sempiterne voluttà. Egli vi apre la sua casa, v'introduce in questa sua famiglia, vi schiude le braccia con tenerezza, ed ansiosamente vi aspetta, per farvi dimenticare nei sublimi conforti dell'amor suo, i dissapori di che gli uomini vi abbeverarono." Continuò per lunga pezza su questa solfa mediocremente edificante. Alfine, io, presa alla mia volta la parola, "È o non è vero," dissi, "che l'uomo è stato creato per l'umanità? Se, come dite, la famiglia di Cristo, fosse questa ristretta comunità, perchè dunque il figlio di Dio sarebbesi fatto crocifiggere a salvamento dell'intero genere umano? Dice la santa Scrittura che, per compiacersi nella solitudine, fa d'uopo essere o Dio, o bruto: Quis solitudinem delectatur, aut Deus, aut fera est. Ora, reverendo mio, io non sono nè all'altezza della Divinità, nè nella condizione delle belve: amo il mondo, e mi compiaccio nella società dei miei simili. Nè credo, d'altronde, che voi stesso abbiate in orrore l'umano consorzio; poichè, se così fosse, non sareste pur voi monaco confesso almeno, se non anacoreta della Tebaide?" "A questi quesiti," disse il canonico, alzandosi e pigliando il cappello "darò risposta alla prossima nostra conferenza. Mi promettete di ritornare un'altra volta da me?" Dovetti acconsentire. Era d'altronde vaga di sperimentare la famigerata persuasiva di quell'alto ingegno. Di lì a due giorni mi richiamò a sè per annunziarmi avergli il Crocifisso ispirato nelle sue preci, ch'egli stesso, e non altri, dovea confessarmi. M'intimava pertanto d'indirizzare al mio vecchio confessore una lettera nelle quale, ringraziandolo della carità (nel glossario monastico far la carità significa confessare), gli avessi dichiarato di essermene provveduta d'un altro confessore. Mostrai qualche renitenza a tale intimazione; ma il canonico, dicendo la virtù più cara a Dio essere l'ubbidienza al Crocifisso, mi vietò l'uscita, prima d'avergli promesso l'invio della lettera propostami, non sì tosto salita sulla mia stanza. - La lettera fu scritta, benchè con mio dolore. Ora, se il cambiamento di confessore spiacque a me, cagione di non minor dispetto fu a suor Maddalena, la quale, se bramava di far spiccare la facondia portentosa del suo confessore, era peraltro ben lungi dall'immaginare che l'atto della mia conversione avrebbe richiesto più d'una conferenza. La incontrai, e nel guardarmi divenne livida in volto, inurbanamente mi voltò le spalle, e, borbottando non so che, andossene via. "È curiosa davvero Maddalena!" venne a dirmi un'altra monaca, che pur dicevasi amica di costei. "Non è essa stessa che ti ha condotta forzatamente dal suo confessore? Eppure adesso piange e si dispera per gelosia." "Gelosia!" esclamai io, sbruffando dalle risa.... "gelosia, di che?" "Il canonico dal canto suo mostra meno affetto per lei che per te, e tu del resto, congedato il primo confessore, divieni la penitente del canonico." Ne rimasi stupefatta. Non potendo più richiamare il vecchio prete, dopo la lettera speditagli, ne scrissi un'altra al canonico, ove gli diceva che, non avendo intenzione di procurarmi nemiche nel chiostro, avrei cercato d'un altro confessore. Un'ora dopo io udiva, sei tócchi alla campana della porteria: era la mia chiamata. - Trovai il canonico nel parlatorio. "Mi avete mandato una lettera di licenziamento?" Disse ridendo nel vedermi. "Sì," risposi; "non sarò per certo motivo di discordia nel chiostro durante il breve tempo che vi soggiornerò; e come non sono scortese con nessuno, così, non darò ad altri il diritto di usarmi degli sgarbi." "Per me, tanto," soggiunse egli, sempre ridendo, "non farò conto alcuno della vostra lettera, anzi per affrancarvi da ogni soggetto di molestía, annunzierò oggi stesso a Maddalena che non la voglio confessar più; per tal modo essa non avrà più motivo di esplorare se sento o non sento affetto per voi. Ho il cómpito sacrosanto di condurre all'ovile la pecorella smarrita da Dio consegnatami, e non mi è lecito abbandonarvi." "Non so," risposi con sostenutezza, "come la gelosia possa insinuarsi nel sacramento della confessione, nè a me tocca di esaminare la causa di sì inqualificabile associamento. Devo però dirvi, che se lascerete Maddalena, mi susciterete una persecuzione più forte. Fatemi questo favore: tenete lei, e lasciate me! Da questo punto vi dichiaro che al confessionale non mi ritroverete più." "Allora," disse, deponendo l'ilarità, ed assumendo un tuono contenuto, "allora impiegherò un altro spediente." Ciò detto, se ne partì, lasciandomi nel dubbio di quello che proponevasi di fare. Avendo frattanto deliberate di non cedere sopra questo argomento, pregai mia zia la badessa di trovarmi un altro confessore badando ch'egli fosse un vecchio, e che non avesse altra penitente nel monastero. Ella ne prese l'incarico, tanto più ch'era pur essa lei dispiacente di vedermi involontariamente caduta in quell'impiccio. Verso le tre intesi nel corridoio un gran fracasso. Mi affacciai dalla loggia, e vidi Maddalena nel mezzo d'un crocchio di monache e di converse, nell'atto di giungere e presentare alle sue compagne un foglio piegato in forma di lettera. Parlavano, o per meglio dire strillavano tutte insieme, con gesticolazioni esagerate, che ricordavano la scena delle streghe di Macbeth. Un affare di confessore per le monache è affar di Stato, è un casus belli. Compresi non poter esser altro che una lettera del canonico, e dal fondo del cuore maledissi il momento che m'avevano portata in quel santo pandemonio. Il fracasso andava crescendo; era in piedi tutta quanta la comunità: dalle confuse strida della rivolta non distinguevasi che una sola parola, mille volte ripetuta, la parola canonico. Intanto la vecchia badessa appoggiata ad un'educanda accorreva al tafferuglio, e cercava di calmar Maddalena, promettendo che sua nipote non si sarebbe più confessata dal canonico, e ch'essa stessa m'avrebbe trovato un altro confessore. "Me ne date la vostra parola?" gridò Maddalena da spiritata, mentre settanta bocche le stavano chiuse d'intorno in atto di silenziosa aspettativa. "Tenetemi per impegnata," soggiunse la badessa. "Brava! brava!" esclamarono in coro le monache. "Era insopportabile, era troppo doloroso vederlo chiuso nel confessionale con un'altra." E congratulandosi con Maddalena della rivendicata proprietà, le andavano dicendo: "Giustizia è fatta! stattene omai tranquilla!" Da quella scene singolare, che non sarà mai cancellata dalla mia memoria, incominciai a convincermi che la premura delle penitenti pei confessori e quella dei confessori per le penitenti aveva la sua ragione d'essere in un certo tale sentimento, non troppo conforme al precetto evangelico, ama il tuo prossimo come te stesso. Ma non doveva la scena terminate lì. Stava scritto che l'argomento della mia confessione trovasse la soluzione presso eminenti autorità della Chiesa apostolica romana. Il mattino seguente fui chiamata al parlatorio: indovinate chi cercava di me! Monsignor vicario; - che voleva da me? Voleva dirmi che il canonico era stato da lui: avevagli raccontato il fatto successo fra Maddalena e me; ed egli, nella sua qualità di capo della Chiesa napoletana, aveva deliberato dovere rimanere a me, e non a Maddalena, la contesa confessione. A completare la commedia, non ci mancava che l'autorità del papa. Non valsero nè le mie proteste nè il mio pianto. La zia mi sgridò, affermando, che al vicario bisognava ubbidire senza replica. Salii piangendo nella mia stanza, ove scrissi una lunga lettera a mia madre, raccontandole tutto, e rammentandole, che, prossimo essendo a spirare il secondo mese, io desiderava di lasciare il convento al più presto possibile. Troppo lungo sarebbe il racconto delle mie sofferenze, per causa di questa ridicola gelosia. Ebbe termine soltanto le persecuzione, allorchè Maddalena trovò un altro confessore, e dimenticò il primo. Avendo intitolato questo capitolo Scene e Costumi, riunirò in esso tutto ciò che relativamente alle monache ed ai preti ho io stessa veduto nei quattro monasteri da me abitati, o che mi giunse all'orecchio di altri chiostri napoletani; come pur farò laddove discorrerò de' tre voti d'umiltà, di castità e di povertà delle monache. Seguirò questo metodo d'esposizione, per non aver a ritornare più volte sullo stesso argomento, troncando il racconto. La frenetica passione delle monache pei preti e pei monaci supera ogni credere. Ciò che specialmente le rende affezionate al loro carcere si è l'illimitata libertà che godono di vedere e di scrivere alle persone amate. Questa libertà le localizza, le incorpora, le identifica al chiostro sì fortemente, che sono infelici allorchè per causa di grave malattia, o prima di prendere il velo, debbono passare qualche mese in seno alla loro famiglia, accanto del padre, della madre, dei fratelli, non essendo presumibile che questi parenti permettano ad una giovinetta di passare più ore al giorno in misteriosi colloqui con un prete od un monaco, e di mantenere seco lui continua corrispondenza. Havvi delle Eloise che più ore spendono nel confessionale in soave trattenimento col loro Abelardo in sottana. - Peccato che non capiscano un iota di latino! Altre, avendolo vecchio, hanno di soprassello un direttore spirituale con cui si trattengono lungo tempo da solo a sola nel parlatorio. Quando questo non basta, trovano il mezzo d'una malattia simulata, per averselo più ore da solo nella propria stanza. V'ha delle monache che, senza l'intervento del confessore, non ardiscono fare neppure la lista del bucato. Una di queste penitenti vedeva il suo tre volte al giorno; la mattina le portava le pietanze pel pranzo, più tardi, venendo egli a dir messa in chiesa, la penitente lo serviva di biscottini e di caffè, e il dopo pranzo poi ritrattenevasi con lui fino ad ora tarda, per fare (diceva essa) il conto di quanto aveva speso la mattina. Non contenti, del resto, di tante conferenze, si scriveano due volte negl'intervalli delle visite. Un'altra monaca aveva amato un prete fin dal tempo che questi serviva in chiesa da chierico. Pervenuto al sacerdozio, fu fatto sacrestano; ma da' suoi compagni denunziata la tresca che da diversi anni manteneva colla monaca, gli fu dai superiori proibito finanche di passare per la via dove il monastero era posto. La monaca ebbe la romanzesca virtù di restargli fedele per sedici anni, nel corso dei quali si scrissero ogni giorno, si scambiarono regali, e di tratto in tratto si videro di soppiatto al parlatorio. Cambiato finalmente il personale dei superiori, ottenne la monaca, benchè ormai giunta all'età matura, di averselo per confessore. Allora, riconoscente alla Santa sua protettrice della grazia ricevuta, le fece dono di numerose candele e di fiori, dispensò confetti a tutta la comunità, siccome in occasione di sposalizio, gradì le felicitazioni delle compagne, non ricusando anche qualche madrigaletto congratulatorio, e finalmente costruì a proprie spese un confessionale distinto, onde aversi le pratiche spirituali libere a tutte le ore della giornata. Un personaggio, altamente collocato, fece un mattino chiamare la badessa del monastero, e consegnolle una lettera, da lui stesso trovata per la via. Quel foglio, mandato da una delle spose di Cristo al suo prete, era stato smarrito dalla domestica. Le espressioni materiali che in esso leggevansi avevano scandalizzata la coscienza del gentiluomo. Una cortigiana avrebbe fatto uso di più modeste frasi. Un giovedì santo, a notte avanzata, trovandomi nel coro, vidi svolazzare, girando per aria, un foglio, che andò a cadere ai piedi del santo sepolcro: era il viglietto che un’educanda del luogo indirizzava al chierico. Una giovine novizia, non avendo di che fare le spese della professione, pensò di ricorrere alla carità d'un confessore vecchio, ma ricchissimo, coll'intenzione di fargli delle moine, sino a che le avesse fornito il denaro occorrente, ma colla riserva però di surrogargliene poscia un giovine, con cui già trovavasi in recondita intrinsechezza. Il vecchio era di cuor tenero, ma circospetto per propria esperienza; le presentò molti regaletti, ma fu restío a somministrarle il denaro richiesto, essendosi avveduto ch'essa confabulava nel parlatorio con un rivale più giovine di lui. La novizia, indispettita, congedò allora lo spilorcio vecchio, e si prese per confessore il prediletto; perlochè, montato in furia e consumato da gelosia il ripudiato, appostossi presso la porta della chiesa il primo giorno che andò il rivale a confessare la sua penitente: "Prosit," vedendolo, gli disse col fiele in bocca. "Vobis," rispose l'altro sogghignando. Di là a poco il vecchio morì di crepacuore, ed il giovine, perchè povero, fu supplantato da un altro confessore, di meno fresca età, ma fratello d'un ricco funzionario. Essendo inferma una monaca, il prete la confessò nella cella. Indi a non molto l'ammalata si trovò in uno stato interessante, ragion per cui il medico, dichiaratala idropica, la fece uscire del monastero. Una giovanetta educanda scendeva tutte le notti al luogo delle sepolture, ove da un finestrino, che comunicava colla sagrestia, entrava in colloquio con un pretino della chiesa. Consumata dall'amorosa impazienza, non era in quelle escursioni impedita nè dal cattivo tempo nè dal timore d'essere scoperta. Udì una volta un forte strepito vicino a sè: nel fitto buio che la circondava credette scorgere un vampiro nell'atto di aggraticciarsi ai suoi piedi. Erano i topi. Ne fu talmente percossa di spavento, che di là a pochi mesi morì di consunzione. I confessori di comunità sono scelti dai superiori per un triennio, ad uso di quelle monache e di quelle converse che non ne hanno uno particolare, per essere pervenute ad un'età disadatta agli intrighi amorosi. Ora, un confessore di comunità aveva prima della sua nomina una penitente giovane. Ogni volta che veniva per assistere una moribonda, e quindi pernottava nel monastero, la giovane monaca, scavalcando le logge che separavano la sua dalla stanza del prete, si recava presso il maestro e direttore dell'anima sua. Un'altra fu assalita dal tifo; durante il delirio, altro non fece che inviar baci al confessore, assiso accanto al letto. Egli, coperto di rossore, per la presenza di persone estranee, portava innanzi agli occhi della sua inferma un Crocifisso, lamentevolmente esclamando: "Poveretta, bacia il suo sposo!" Sotto vincolo di segretezza mi confidò un'educanda tanto bella di forme e candida di costumi, quanto nobilissima di prosapia, d'aver avuto nel confessionale, e per mano del suo confessore, una lettura (come diceva) interessantissima, perchè relativa allo stato monastico. Spiegai il desiderio di saperne il titolo, ed ella, per farmi vedere lo stesso libro, anticipò la precauzione di mettere all'uscio il chiavistello. Era la Monaca di Didérot, libro, come tutti sanno, pieno di disgustose laidezze, e però nelle mani di un'innocente giovinetta più che libro al mondo perniciosissimo. Dalla conversazione dell'educanda avendo raccapezzato di che in quello scritto trattavasi, le suggerii d'interromperne la lettura, e restituire immantinente lo sconcio prestito. Ma qual fu la mia sorpresa nell'udire dalla tenera zittella non esser essa nuova in letture di simile natura! Per favore del confessore medesimo aveva anteriormente divorato, e per ben quattro volte, un altro libro scandaloso, la Cronaca del monastero di Sant’Arcangelo a Bajano: libro allora proibito dalla polizia borbonica. Io stessa ricevetti da un monaco impertinente, lettera in cui mi significava, che non appena mi aveva, veduta, concepita aveva la dolcissima speranza di divenir mio confessore. Un attillato vagheggino, un muschiato bellimbusto non avrebbe impiegato frasi più melodrammatiche, per domandare se nutrire o soffocar doveva la detta speranza. Un prete (che del resto godeva presso tutti una riputazione d'integerrimo sacerdote), ogniqual volta mi vedeva passare dal parlatorio, soleva farmi: "Ps, cara, vien qua...! Ps, ps, vien qua!" La parola cara in bocca di un prete mi moveva non meno nausea, che raccapriccio. Un prete infine, il più fastidioso di tutti per l'ostinatissima sua assiduità, voleva esser amato da me ad ogni costo. Non ha immagini la poesia profana, non sofismi la rettorica, non scaltre interpretazioni la parola di Dio, ch'egli non abbia adoperate per convertirmi alle sue voglie. Dare un saggio succinto della sua dialettica: "Bella figliuola," mi disse un dì, "sai tu quello che veramente sia Iddio?" "È il Creatore dell’universo," risposi io seccamente. "No, no, no, no! non basta questo," riprese egli, ridendosi della mia ignoranza. "Dio è amore, ma amore astratto, che riceve la sua incarnazione nel mutuo affetto di due cuori che s'idolatrano. Tu, adunque, non puoi nè devi amare Iddio nell'esistenza astratta: devi altresì amarlo nella sua incarnazione, ossia nell'esclusivo amore di un uomo che ti adori, quod Deus est amor.... nec colitur, nisi amanda." "Dunque, nell'atto di adorare il proprio amante, la donna nubile adorerebbe la stessa Divinità!" diss'io. "Sicuramente!" ripetè dieci volte il prete, ripigliando coraggio della mia conclusione, e lieto pel felice effetto del suo catechismo. "In tal caso," ripresi io prestamente, "mi sceglierei per amante un uomo del mondo, piuttosto che un prete...." "Dio ti liberi! figlia mia: Dio ti liberi da quella peste!" soggiunse inorridito il mio interlocutore...... "Amare un uomo del mondo, un profano, un empio, un miscredente, un infedele! Ma, tu andresti inevitabilmente all'inferno! L'amore del sacerdote è amore sacro; quello del profano è vituperio; la fede del prete emana dalla stessa fede prestata alla santa Chiesa: quella, del profano è menzognera, quanto è falsa la vanità del secolo; il prete purifica giornalmente l'affetto suo nella comunione della santissima sostanza: l'uomo del mondo (seppur sente amore) spazza dì e notte coll'amor suo tutti i fangosi ruscelli del trivio." "Ma tanto il cuore, che la coscienza mia rifuggono dal prete," rispos'io. "Ebbene, se non volete amarmi, perchè sono vostro confessore, avrò il mezzo di togliervene gli scrupoli. Alle nostre amorose espansioni premetteremo sempre il nome di Gesù Cristo; così l'amore nostro sarà un'offerta gratissima al Signore, e monterà pregno di profumi al Cielo, siccome fumo d'incenso nel santuario. Ditemi, per esempio: - Vi amo in Gesù Cristo; - questa notte ho sognato di voi, in Gesù Cristo: avrete la coscienza tranquillissima, poichè, così facendo, santificherete qualunque trasporto." Talune circostanze, non indicate qui che alla sfuggita, m'obbligavano a ritrovarmi in frequente contatto con questo prete, di cui taccio il nome. Se non che, ad un monaco, rispettabile per l'età e per la morale, avendo io domandato che mai significasse quel premettere il nome di Gesiù Cristo alle amorose apostrofi, "È," mi disse, "una setta orrenda, e sfortunatamente troppo estesa, la quale, abusando del nome di Cristo, si fa lecite le maggiori nefandità."

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