Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Scritti giovanili 1912-1922

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Longhi, Roberto 13 occorrenze

Il fondo assai vicino formato di un edificio semifantastico di sobborgo diruto e sucido, in un cielo afato di poche nuvole biancastre, e che solo a sinistra si apre in un paesaggio trattato sommariamente, dove, scenetta di macchia rapidissima, una famiglia si denutre col latte di una capra, ha servito all'autore per dare alle persone proporzioni più grandi e solide che non abbiano nel quadro di Savona.

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Basterà dire che Battistello era una personalità smembrata da ricostruire per intero e che nessuno s'era preso per davvero la pena di farlo: o per incapacità o per la curiosa credenza ancora parecchio vigente nelle menti degli studiosi che le individualità artistiche del '600 non abbiano subito la stessa dispersione che gli artisti del '400, epperciò ànche nel caso di Battistello non ci fosse nulla da ricostruire e da raccogliere: o; infine, per qualcos'altro ancora di meno in colpevole, o di meno ingenuo.

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D'altronde non si potrebbe negare che le personalità più violente dei due artisti non abbiano un po' forzato la mano allo scrittore della storia d'ambiente e non gli abbiano imposto un accentramento maggiore, una partizione più chiara. E infatti «Bramante» e « Leonardo» sono anche i titoli dei due unici lunghissimi capitoli del volume.

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Ma quando la coltura media è a tal segno in Italia, che i direttori delle biblioteche di Stato - quegli stessi, naturalmente, che nel «Bollettino delle Pubblicazioni straniere» sotto la rubrica «Arte» inseriscono la «Chartreuse de Parme» di Stendhal - si affrettano a riporre in sala di consultazione il libro del Corna soltanto per aver letto sul dorso: «Dizionario della storia dell'arte in Italia»; tutto il resto viene da sé; che editori stampino, e incompetenti scrivano, e abbiano scritto.

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Tuttavia non ci sembra che né il Morelli né il Cavalcaselle, ad onta dei loro meriti particolari quasi infiniti nell'illuminazione della scuola bresciana abbiano condotto a risoluzione il problema. Il Cavalcaselle vide abbastanza giustamente l'orbita puramente veneziana di Romanino, ma quanto al Moretto fu guasto dalla credenza in certe tradizioni che davano a Moretto giovine opere che non si possono ritenere in nessun caso della sua mano 3. Il Morelli fu alquanto sviato dall'obbiettività, dalla sua compiacenza nel contraddire per partito preso il Cavalcaselle; ciò l'avrebbe ricondotto automaticamente sulla via giusta almeno per il Moretto, e ad ogni modo la sua sperienza di conoscitore gli fece correggere al proposito molte cose, o almeno parecchie attribuzioni; ma il suo contrasto con il Cavalcaselle e il Bode lo rinserrò in una meschineria provinciale, per cui s'ostinava a cercare le origini locali di Romanino e a combattere la teoria del «palmismo» di quell'artista. Sarebbe stato utile domandare al Morelli che se è vero che tra il 1510 e il 1515 Romanino trovò la caratteristica armonia cromatica della scuola bresciana 4, resta da rispondere in che cosa mai questa armonia cromatica differisca da quella dei veneti contemporanei che si equilibrano sul terzetto Giorgione-Palma-Tiziano Giovine; e d'altronde il Morelli stesso riconosce chiaramente altrove il carattere veneziano di Romanino 5. Più spiacevole si è ch'egli riduca a una pura questione di puntiglio la questione di Moretto; CavalcaseIle, egli dice, sbaglia nel credere che Moretto nel suo primo periodo abbia imitato Palma o Tiziano; e noi ci consoleremmo se non fosse che Morelli fa rientrare per la finestra quello che ha cacciato dalla porta: Moretto dal 1521 non ha fatto che sviluppare e se si vuole raffinare l'armonia cromatica trovata da Romanino nelle pale di Padova e di San Francesco a Brescia 6. Ma in questo caso poiché Romanino non è che un veneto noi siamo ancora al punto del Lanzi; i bresciani si nascondono ancora nello «stuolo dei Tizianeschi».

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Il problema artistico dei bresciani passa immediatamente dalle mani di Foppa a quelle di Moretto; e che Civerchio e Ferramola non abbiano nel frattempo servito a nulla è dimostrato dal fatto incontrastabile che essi si lasciano nel loro periodo tardo trascinare a rimorchio dai tentativi dei più giovani di loro. Essi non riescono a liberarsi dalle superficialità delle mode milanesi, altro che per provarsi, Civerchio nello studio delle stampe nordiche, ch'era corrente nell'Italia settentrionale nei primi decenni del Cinquecento, e nelle nuove applicazioni di Romanino; Ferramola nelle nuove vastità cromatiche ad uso d'affresco che Romanino e il giovine Calisto stendevano nei cori della Valle Camonica; poiché noi non dubitiamo che un più acuto studio di quella serie d'affreschi rivelerà qualche volta le ultime «cartucce» del vecchio Ferramola, che si rjeducava alle nuove tendenze dei suoi giovani discepoli. Per esempio negli affreschi di San Giovanni in Edolo, e in un frammento di Mu, comunemente attribuiti a Romanino o a Calisto 10 sebbene già il Cavalcaselle avesse riconosciuto ch'essi erano di altro artista ed esitasse tra Calisto e «Foppa il giovine» 11.

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Ora non è improbabile che simili ricerche abbiano stimolato Moretto verso il 1521 ad escire dal venezianismo, per una forma corsiva più rapida, più adatta a un trattamento pittorico. Ed anche qui il problema non si può ben risolvere per insufficienza di prove. Ma ad ogni modo anche più tardi corrono analogie continue e secrete fra i modi di Moretto e di Savoldo nell'intendere la figura e nel trattare il paese. Se la veduta di Venezia che Savoldo pone in calce alla grande pala di Brera è più simile a un olandese del '600 che a un Bellini, ciò non si deve soltanto alle innovazioni giorgionesche, ma ai lieviti provinciali lombardi. E talora basta uno scorcio rappreso di mano, per accomunare nelle stesse ricerche di forma «corsiva» Moretto e Savoldo.

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Se questi superbissimi tentativi abbiano creato qualcosa essenzialmente generativo di nuove forme è cosa che non ci tocca discutere qui; dove basta ricordare apertamente che, sebbene per intelletto più modesti, furono senza dubbio sommamente risolutivi e pieni di avvenire gli studi novissimi di Lotto, che già nel 1516 poteva lasciare in Bergamo quella pala di S. Bartolomeo, la quale si stacca completamente dall'arte veneziana contemporanea, e gli studi di forma corsiva ed espressa non plasticamente ma quasi « pittoricamente», di che ci dànno esempi chiari ed aperti Girolamo Savoldo e Alessandro Moretto, pittori di Brescia.

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Ma possibile che non abbiano mai letto costoro le vecchie vite dei pittori di Spagna? Dal tempo del Palomino la verità ha velato sempre più la sua faccia così che oggi è quasi dimenticata, salvo che da un savio autentico: Menendez y Pelayo.

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Nuovi preraffaelliti si appellano a Giotto, invece che a Botticelli, ma non intendono dell'eccellenza plastica, spaziale, e prospettica di certi nostri antichi, più di quello che dell'eccellenza lineare di alcuni altri vecchi maestri abbiano inteso Rossetti e Burne-Jones. S'illudono di poter controllare le ideazioni di queste novelle mitologie coi lumi dei trecentisti, e si giurerebbe li conoscessero soltanto attraverso i pallidi neoclassici del 1830, come sarebbero Francesco Coghetti o il barone Camuccini.

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L'idea che i Lombardi avessero usato la volta dalla prima metà dell'XI secolo (che il Porter riprende dal Rivoira) non incontra grazie presso il Mâle; e tanto meno l'altra che dal 1040 a San Nazzaro Sesia (che lo pregheremmo di non scrivere Sanazzaro Sessia) essi abbiano usato la volta a crocera d'ogive, ciò che sarebbe quanto lasciarle il merito di aver trovato il principio generatore dell'architettura gotica. Noi veramente non ci affanneremo troppo a prender partito per questo problema che, se appartiene alla storia, non riguarda tuttavia la storia dell'arte architettonica, ma solo dell'ingegneria.

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Che ricerche siffatte non abbiano alcun valore per la storia dell'arte, è dimostrato dalla soave confusione che vi regna fra opere certe e opere spurie, sicché non si può dare alcun peso agli specchietti, alle serie d'indizi, eccetera, che sono indifferentemente tratti dalle prime come dalle seconde e sia pure con grande parvenza positiva.

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Non so se abbiano lo stesso significato, nelle opere di indole più complessa, la calata laterale degli angeli nella Natività Crespi, il procedere sbieco dei Magi nell'Adorazione di Brera, il grande gesto inchinevole del San Francesco nella pala di Dresda, col quale forse Correggio vorrebbe negare la discendenza troppo palese dalla Madonna di Fornovo, o la strana costruzione, per me alquanto difficile, del Congedo della Collezione Benson.

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