Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il talismano della felicità

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Boni, Ada 50 occorrenze

Si può essere d'accordo nel non abusarne, ma l'usarne ci toglierà spesso, e con una spesa insignificante, da qualche preoccupazione, quando, ad esempio, il brodo non sarà riuscito abbastanza sapido, o i sughi non abbiano raggiunto quel gusto che ci prefiggevamo, ecc. ecc. In questi, e in tanti altri casi consimili, un mezzo cucchiaino di estratto di carne salva magnificamente la situazione.

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I crostini vanno preparati prima affinchè abbiano il tempo di freddarsi; altrimenti adoperandoli caldi il burro si liquefarebbe. Spalmate su ogni crostino uno strato abbondante del burro preparato, disponete intorno intorno un cordoncino di torlo d'uovo sodo tritato, e finite i «canapés» mettendo in mezzo ad ognuno qualche fogliettina di crescione. Come facilmente comprenderete potrete utilizzare olive farcite, capperi, cetriolini, gamberetti, ecc., purché ricordiate l'avvertimento di montare i «canapés» con ogni cura.

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Mettete la teglia in forno piuttosto forte per un buon quarto d'ora, fino a che i gnocchetti abbiano fatto la crosticina croccante. Fateli servire così, nella stessa teglia. Questi gnocchetti debbono riuscire ben conditi. Non è male riservare una parte dell'intingolo per versarla bollente sulla polenta quando questa esce dal forno.

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Dividete questo maccherone in tanti pezzi della lunghezza di circa quattro centimetri, infarinate ogni pezzo, passatelo nell'uovo sbattuto, nel pane pesto, date alle crocchette una forma corretta e friggetene poche alla volta nell'olio o nello strutto bollente finchè abbiano preso un bel colore. È necessario che la padella sia molto calda, altrimenti le crocchette corrono il rischio di rompersi.

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Travasate le ostriche nella pastella con tutto il loro condimento, mescolatele con una forchetta affinchè si rivestano bene della pastella preparata e poi friggetele nell'olio ben caldo facendole cadere nella padella una ad una in modo che non abbiano ad attaccarsi fra loro. Fritte di bel color biondo accomodatele in un piatto con salviettina e contornatele con ciuffi di prezzemolo e spicchi di limone alternati.

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Pochi minuti prima di andare a tavola immergete queste fette di pomodoro in una pastella leggera e friggetele nell'olio, a fuoco piuttosto vivace, fino a che abbiano preso un bel colore d'oro e sieno divenute croccanti. È necessario che questi pomodori sieno mangiati appena fatti, altrimenti l'umidità che contengono rammollisce la pastella privandoli di quel croccante che deve essere la loro caratteristica.

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Panate accuratamente aiutandovi con la lama di un coltello affinchè gli stecchini prendano una forma corretta, e quando saranno tutti pronti friggeteli nell'olio o nello strutto a padella molto calda, fino a che abbiano preso un bel colore d'oro.

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Pigiate leggermente i tre lati intorno affinchè si attacchino, dorate le sfogliatine e cuocetele in forno ben caldo per circa un quarto d'ora, fino a che siano ben cresciute e abbiano preso un bel colore d'oro. Accomodate in un piatto con salvietta e mangiatele calde.

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Friggeteli, pochi alla volta, nello strutto o nell'olio, finché abbiano preso un bel colore biondo. In padella i fagottini cresceranno un poco e si gonfieranno. Disponeteli con garbo in un piatto guarnito con una salviettina e mangiateli ben caldi.

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Lasciate stare così per un'ora voltandole un paio di volte perchè tutte abbiano ad insaporirsi. Poi pochi minuti prima di andare in tavola tirate su le mele dalla marinata, lasciatele sgocciolare, immergetele in una pastella leggera e friggetele nell'olio o nello strutto finchè abbiano preso un bel colore dorato. Prima di mandarle in tavola, dato che voleste servirle come entremet zuccherato, spolverizzatele con un po' di zucchero.

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Prendete un pezzo alla volta, passatelo nella farina di polenta e friggete questi mostaccioli nell'olio bollente fino a che abbiano preso un bel colore e siano diventati croccanti all'esterno.

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Prendete pochi di questi anelli alla volta, infarinateli e friggeteli in abbondante olio o strutto finchè abbiano preso un leggiero colore d'oro pallido. All'uscita dalla padella spolverizzateli leggermente di sale. Questo fritto di cipolla ha il pregio di non tradire affatto la sua origine plebea; è squisito, e può rimpiazzare assai vantaggiosamente i filetti di zucchine, i quali forse perdono al confronto. Gli anelli di cipolla vanno fritti con una certa bravura e debbono risultare sostenuti, ricordando un po' una frittura di calamaretti. Due piccole piramidi di questi anelli dorati messi, ad esempio, alle due estremità di un piatto ovale contenente dell'arrosto, formeranno una guarnizione piena di vaporosità e — ciò che non è punto disprezzabile — gradevolissima al palato.

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Si scelgono dei fichi piccoli, e non troppo maturi, si sbucciano, si infarinano, si immergono in una pastella d'acqua e farina e si cuociono nell'olio o nello strutto finchè abbiano preso un bel colore d'oro. Questa è la frittura eseguita il più semplicemente possibile. Se poi volete avere un risultato anche migliore preparate i fichi un'oretta prima di mangiare, sbucciateli e metteteli a marinare in una scodella con qualche goccia di rhum. Si scelgono generalmente dei fichi piccoli per friggerli interi. Se fossero troppo grandi, divideteli in due.

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Occorrono dei pomodori piuttosto grossi e carnosi tagliati in pezzi grandi, e bisogna che la cottura sia fatta vivacemente affinchè i pomodori stessi non abbiano a disfarsi troppo. Quando il pomodoro sarà cotto, aromatizzatelo con un pizzico di origano e mettetelo da parte. Mentre le pizzette friggono riscaldate — se ce n'è bisogno — il pomodoro. Levate poi le pizzette dalla padella, accomodatele in un piatto largo mettendo sopra ognuna una abbondante cucchiaiata di pomodoro, e mandate in tavola immediatamente. Con mezzo chilogrammo di farina vengono circa venticinque pizzette. Per questa dose occorrono da un chilo e mezzo a due chilogrammi di pomodori.

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Prendete con garbo queste uova, infarinatele, immergetele nell'uovo sbattuto, passatele nel pane pesto, procurando con una lama di coltello di correggere bene la forma, e friggetele nell'olio o nello strutto, finchè abbiano preso un bel color d'oro. La padella dovrà essere ben calda. Accomodate queste uova su un piatto con salviettina e mangiatele calde.

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Lasciate così per almeno mezz'ora affinchè le sarde abbiano il tempo di insaporirsi. Pochi momenti prima di andare in tavola tirate su una sarda alla volta con tutta la marinata attaccata, passatele nella farina e poi nell'uovo sbattuto e friggetele di bel colore nell'olio bollente. Quando le avrete tutte fritte accomodatele nel piatto di servizio e guarnitele con spicchi di limone e qualche ciuffo di prezzemolo. Queste sarde, che debbono risultare assai piccanti, sono molto appetitose. Volendo, invece di passarle nell'uovo sbattuto, si possono passare in una pastella non molto densa.

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Deponete le sogliole così preparate in uno di quegli eleganti piatti di porcellana resistenti al fuoco, che avrete imburrato, sgocciolatevi sopra un pochino di burro fuso e mettetele nuovamente in forno ben caldo, finchè le sogliole abbiano preso un bel color d'oro. Levate il piatto dal forno, gettatevi dentro qualche dadino di mollica di pane, e innaffiate abbondantemente ogni cosa con burro, nel quale farete liquefare sul fuoco due o tre alici.

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Per sei persone vi sarà sufficiente un merluzzo, il cui peso sia di circa un chilogrammo — meglio più che meno — oppure due merluzzi piccoli che abbiano complessivamente lo stesso peso. Sfilettate il pesce, o fatelo sfilettare dallo stesso negoziante. Dividete in pezzi della gros[sezza]

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Aggiungere allora l'aragosta e far cuocere fino a che i pezzi abbiano preso un bel color rosso. Sgocciolar via una metà dell'olio, e bagnare con un bicchiere di vino bianco. Aggiungere una cucchiaiata o due di salsa di pomodoro, un pizzico di pepe e un po' di sale. Coprire e lasciar cuocere circa un quarto d'ora. Accomodare i pezzi di aragosta nel piatto, passare la salsa da un setaccino e finirla con qualche pezzetto di burro. Versare la salsa sull'aragosta e ultimare la vivanda con una cucchiaiata di prezzemolo trito. Per sei persone occorrono un paio di aragoste del peso di circa mezzo chilogrammo l'una.

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Prendete in seguito dodici fettine di vitello o anche di manzo, nel qual caso sarebbe bene adoperare del filetto; battetele per spianarle, conditele con un pochino di sale, pepe e spezie, stendetevi sopra un poco del pesto fatto, avvolgetele su se stesse, e infilzatele a due a due su uno stecchino, intramezzandole con una fettina di lardo, e magari avvolgendole con qualche passata di filo, affinchè non abbiano a sfarsi durante la cottura. Mettete un pezzo di burro in un tegame, adagiatevi gli involtini e fateli cuocere fino a che siano bene rosolati. Mentre cuociono preparate dei piccoli crostini di pane fritto, della grandezza, su per giù, di ognuno degli involtini. Quando gli involtini saranno cotti, spolverateli con un buon pizzico di farina, bagnateli con un dito di marsala o di vino, e quando il liquido sarà quasi evaporato, levate gli involtini dal tegame, liberateli dal filo e dagli stecchini, appoggiateli sui crostini, accomodandoli in un piatto. Rimettete il tegame sul fuoco, staccate il fondo della cottura, bagnandolo con un ramaiuolo di brodo o d'acqua, mescolate bene, e quando la salsa sarà leggermente addensata, fatela cadere sugli involtini e sui crostini.

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Sarà opportuno cuocerle in una teglia di rame stagnato a bordi bassi, affinchè la cottura possa riuscire perfetta e senza che le escaloppes abbiano ad annerire. Cotte che siano toglietele dalla teglia e in essa mettete una cucchiaiata o due di zucchero in polvere che farete liquefare, avvertendo che non prenda colore di sorta. Sullo zucchero liquefatto spremete del sugo di limone, mescolate con un cucchiaio di legno e in questa salsa di zucchero mettete nuovamente le escaloppes affinchè abbiano ad insaporirsi. Accomodatele in un piatto versandoci sopra il giulebbe. Potrete servire queste escaloppes con della mostarda di frutta all'uso di Cremona.

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Fateli rosolare così: condite con sale e pepe, e quando saranno coloriti da una parte, voltateli, continuando la cottura fino a che abbiano preso un bel colore biondo scuro. Bagnateli allora con un po' di vino bianco secco, e quando il vino si sarà asciugato aggiungete dell'acqua, coprite la teglia e lasciate finir di cuocere per un'ora abbondante, tenendo presente che gli ossobuchi non debbono sfarsi, ma rimanere piuttosto fermi di cottura. Cinque minuti prima di servire, mettete nella teglia un piccolo pesto, fatto con un ciuffetto di prezzemolo, un pezzettino di corteccia di limone, come un soldo, una puntina d'aglio e una mezza acciuga. Fate dare ancora un bollo agli ossobuchi, voltandoli con delicatezza affinchè possano insaporirsi nel pesto, e poi disponeteli in un piatto, sciogliete il fondo della cottura con qualche cucchiaiata di brodo o di acqua, mescolando con un cucchiaio di legno, aggiungete ancora qualche pezzettino di burro, versate questa salsa sugli ossobuchi e mandateli subito in tavola.

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Aggiungete un pezzo di burro come una noce e fate cuocere i legumi fino a che abbiano preso una tinta scura, senza tuttavia lasciarli bruciare. Otterrete questo risultato bagnando di quando in quando con un cucchiaio d'acqua. Quando i legumi saranno ridotti in poltiglia, mettete nella casseruola due cucchiaini da caffè di farina, e, mescolando con un cucchiaio di legno, fatela cuocere per due o tre minuti, dopo i quali bagnerete la salsa con un bicchiere di acqua o di brodo, e la condirete con sale e pepe. Se avrete in casa un vasetto di estratto di carne, aggiungetene mezzo cucchiaino. Lasciate che la salsa bolla piano piano per una diecina di minuti, addensandosi un poco. Poi passatela attraverso un colabrodo raccogliendola in un'altra casseruolina, e pigiando i legumi con un cucchiaio di legno per estrarne tutto il sugo. Dovrete ottenere una salsa nè troppo densa nè troppo liquida. Se non fosse sufficientemente legata fatela ancora bollire un poco. Prendete poi un altro pezzo di burro come una grossa noce, mettetelo in un tegamino, fatelo leggermente imbiondire e poi bagnatelo con due cucchiaiate di buon marsala. Versate burro e marsala nella casseruolina della salsa, che avrete tirato via dal fuoco, mescolate, e ricoprite con la salsa le fette di prosciutto che avrete allineato in un tegame largo e basso. Coprite il tegame, e lasciatelo vicino al fuoco per cinque minuti. Poi accomodate il prosciutto in un piatto, versateci su la salsa ben calda e mandatelo sollecitamente in tavola, facendo servire insieme una guarnizione di spinaci.

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Appoggiate bene l'impanatura con una lama di coltello, e non trascurate di passare la lama anche intorno intorno per evitare che friggendo le costolette abbiano ad aprirsi. Friggetele nell'olio o nello strutto a fuoco moderato, affinchè le costolette abbiano il tempo di cuocersi bene nell'interno e di colorirsi.

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Mescolate con cura affinchè i chicchi d'uva non abbiano a disfarsi e versate le allodole nel piatto contornandole di crostini di pane fritto.

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Per poterlo tagliare bene senza che i vari pezzi abbiano a rovinarsi si ricorre ad un piccolo espediente. Cotto che sia si mette in un piatto e si lascia freddare. Allora essendo la carne fredda più compatta, si taglia il tacchino in pezzi regolari, che poi si rimettono vicino al fuoco in una teglia e coperti di brodo, lasciandoli in caldo fino al momento di mandarli in tavola.

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Appena cotti fateli servire senza che abbiano ad attendere ed insieme potrete far servire anche una salsiera con burro d'alici ciò che renderà ancor più gustosa la preparazione.

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Immergete ogni pezzo in una salsa, chaudfroid, fredda ma non rappresa, e disponete man mano i pezzi su una teglia, senza che abbiano a toccarsi. Decorateli, se credete, con qualche fettina di tartufo nero e innaffiateli con della gelatina di carne appena liquefatta che farete cadere sui pezzi di gallina per mezzo di un cucchiaio. Portate la teglia in luogo fresco o mettetela un momento sul ghiaccio, affinchè la salsa e la gelatina possano rapprendersi e quest'ultima possa dare il lucido ai vari pezzi di gallina. Prendete ora una piccola stampa da bordura di una ventina di centimetri di diametro, riempitela di gelatina fusa e mettetela a gelare. Giunta l'ora del pranzo sformate la bordura di gelatina su un piatto rotondo preferibilmente d'argento, e nella bordura disponete con garbo i pezzi di gallina sovrapponendoli in piramide. Finite con una asticciola d'argento e fate servire.

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Ma è preferibile servirsi del tegame per impedire che, nel travasarli, i cervelli abbiano a sfarsi.

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Poco prima dell'ora di pranzo, asciugate questi pezzi in un pannolino, infarinateli, passateli nell'uovo sbattuto e friggeteli nell'olio o nello strutto, fino a che abbiano preso una bella colorazione bionda. Accomodate la frittura in un piatto con salviettina e guarnitela con spicchi di limone. Preparata così la trippa ricorda moltissimo la testina di vitello.

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Per sei persone scegliete una dozzina di carciofi grossissimi, che abbiano il fondo molto sviluppato. Privateli di tutte le foglie, e con un coltellino tornite accuratamente il fondo che dovrà rimanere bene netto, e come una scodellina. Man mano che preparate i fondi li stropiccerete con del limone per impedire che anneriscano, e poi li getterete in acqua fresca. Quando avrete torniti tutti e dodici i fondi, gettateli in un tegame con acqua bollente leggermente salata e lasciateli cuocere per circa cinque minuti in modo che risultino quasi cotti. Estraeteli allora dall'acqua e metteteli ad asciugare su uno strofinaccio. Preparate intanto una purè di cipolle nel modo seguente. Mondate quattro o cinque cipolle di media grandezza, tagliatele sottilmente e gettatele in una casseruola o in un tegame con acqua in ebollizione. Lasciatele bollire un paio di minuti, poi scolatele e passatele in una casseruolina con un pezzo di burro come una noce. Fate stufare per due o tre minuti, poi coprite le cipolle con brodo o acqua, conditele con sale, pepe e un nonnulla di noce moscata e lasciatelo cuocere, coperto, e su fuoco moderato fino a completa cottura delle cipolle. A questo punto passatele dal setaccio, raccogliendo la purè in una scodella. È un'operazione che si fa facilissimamente, senza nessuna fatica. Mentre la purè è ancora calda uniteci un rosso d'uovo. Con questa purè riempite per mezzo di un cucchiaio, i dodici fondi di carciofi, lisciando il ripieno con una lama di coltello. Spolverate su tutto del pane pesto finissimo, e su ogni carciofo mettete un pezzettino di burro. Imburrate abbondantemente una teglia, accomodate in un solo strato i carciofi, e passate la teglia in forno per circa un quarto d'ora, affinchè i carciofi abbiano il tempo di gratinarsi. Invece di far gratinare i carciofi in forno, potrete ottenere lo stesso risultato mediante fuoco sotto e sopra.

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Per cinque persone prendete cinque o sei zucchine del peso complessivo di un chilogrammo, tagliatele in fette dello spessore di una moneta di due soldi, e friggetele poche alla volta nell'olio finchè abbiano preso un bel color d'oro. Quando avrete fritto tutte le zucchine mettete in una piccola casseruola qualche cucchiaiata d'olio o una buona cucchiaiata di strutto; fate scaldare e poi unite una scatoletta comune di salsa di pomodoro, condite con sale e pepe, bagnate con un pochino d'acqua, e lasciate cuocere fino ad avere una salsa densa, ma non troppo, e piuttosto abbondante. Prendete una piccola tortiera di rame, o un tegame di porcellana resistente al fuoco. Versate nel fondo dell'utensile qualche cucchiaiata di salsa, su questa disponete uno strato di zucchine fritte che condirete con qualche altra cucchiaiata di sugo, del parmigiano grattato e qualche foglia di basilico tagliuzzato. Continuate così facendo tre o quattro strati, alternando zucchine e condimento, per terminare con uno strato di sugo e formaggio. Mettete qua e là qualche pezzettino di burro e infornate la tortiera per una mezz'ora abbondante. Invece di mettere le zucchine in forno potrete ultimare la pietanza mediante fuoco sotto e sopra. In questo caso si copre la tortiera con un coperchio, mettendo poca brace sotto la tortiera e più abbondante sopra il coperchio. Si lasciano stufare così le zucchine per una mezz'ora affinchè possano bene insaporirsi ed impregnarsi del condimento.

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Coprite la casseruola con il suo coperchio e mettetela su fuoco debole per circa un'ora, affinchè le indivie abbiano il tempo di insaporirsi e cuocere. Sono veramente buone e possono venire servite da sole, o con il bollito e con l'arrosto.

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Se avete il controllo della bilancia, guardate che questi pezzi abbiano dai 18 ai 20 grammi di peso Dopo aver tagliato i venti pezzi, vi avanzerà ancora un pochino di pasta. Assottigliatela rotolandola con le mani in modo da avere come un grosso maccherone, che ritaglierete in venti pezzetti della grossezza di una nocciola, pezzetti che costituiranno la testa delle «brioches». Allineate sul tavolo venti stampine da «brioches» — le quali sono piccole stampe scanalate di ferro stagnato, — e ungetele leggerissimamente di burro. Avremo dunque venti pezzi di pasta più grandi e venti più piccini. Prendete un pezzo di pasta grande alla volta, rotolatelo in palla e mettetene uno per ogni stampina. Fatto questo, col dito indice leggermente bagnato d'acqua, fate un buco nel mezzo di ogni palla di pasta messa nelle stampine. Arrotolate poi i pezzetti di pasta piccoli, dando loro la forma di minuscole pere e introducete le punte di queste pere nel buco fatto, di modo che la parte rotonda rimanga di fuori. Accendete intanto il forno e procurate che sia bruciante. Mentre il forno si riscalda tenete le stampine preparate al caldo per dar modo alle «brioches» di lievitare, di raggiungere i bordi delle stampine e di diventare ben rigonfie: ciò che avverrà in una mezz'ora circa. A questo punto, con un pennello bagnato nell'uovo sbattuto, dorate le «brioches» ma eseguite l'operazione con molta leggerezza affinchè la pasta non abbia a sgonfiarsi. La doratura si esegue benissimo girando la stampina nella mano. Quando avrete dorato tutte le «brioches», mettetele in forno e date loro cinque o sei minuti di cottura, finchè abbiano preso un bel colore d'oro scuro. Ripetiamo: tutta la difficoltà della riuscita delle «brioches», consiste nel forno. La «brioche» deve riuscire morbidissima, leggera e saporita. Se il forno non è buono, o è freddo, la cottura stenta e le «brioches» fanno la crosta; e voi otterrete dei dolci duri, pesanti e scipiti, che di «brioches» non avranno neanche il più lontano ricordo.

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Mescolatela sempre affinchè non abbiano a formarsi grumi, avvertendo di passare bene il cucchiaio sul fondo e sulle pareti della casseruola. Dopo cinque o sei minuti, quando la crema sarà bene addensata e avrà perduto il sapore di farina, travasatela in una terrinetta, aggiungeteci, se credete, un pezzetto di burro — ciò che le dà una maggiore delicatezza — togliete via la corteccia del limone e lasciate freddare, ricordando di mescolare di quando in quando la crema per impedirle di fare la pellicola alla superficie. Invece del limone potrete usare un pizzico di vainiglina, ed otterrete in questo caso la crema alla vainiglia.

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Col solito procedimento, togliete la pellicola a 150 grammi di mandorle, e lasciatele poi asciugare in forno leggerissimo senza che abbiano menomamente a colorirsi. Preparate le mandorle, pestatele in un mortaio con 150 grammi di zucchero, meglio se sarà zucchero in pezzi.

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Mettete poche mandorle e poco zucchero alla volta facendo attenzione che nel pestare le mandorle non abbiano a cavar l'olio. Man mano passate la farina di mandorle ottenuta da un setaccio e continuate a pestare fino ad aver esaurito tutte le mandorle e tutto lo zucchero. Mettete questa farina di mandorle sulla tavola di cucina e impastatela con un ettogrammo di burro, 25 grammi di farina di buona qualità e la raschiatura di un arancio. Impastate sollecitamente senza troppo lavorare, e poi spianate la pasta sulla tavola spolverizzata di zucchero in polvere molto fine, dandole lo spessore di mezzo centimetro. Dalla pasta tagliate tanti dischi del diametro di quattro centimetri che allineerete man mano su un foglio di carta paglia, non unto, che a sua volta appoggerete su una placca da forno. Rimpastate i ritagli e stendeteli nuovamente fino ad esaurimento. Questa delicata biscotteria va cotta in forno di moderato calore e dopo cotta si spolverizza con zucchero vainigliato. Con questa dose verranno circa una cinquantina di biscotti, di una eccezionale finezza.

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Aspettate ancora una paio di minuti e poi mettete i biscotti in forno brillante per una diecina di minuti finchè abbiano preso una bella tinta color d'oro chiarissimo. Staccateli dalla carta senza romperli, e lasciateli freddare su una griglia o su un setaccio.

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Friggete questi pezzi nell'olio o nello strutto finchè abbiano preso un bel colore d'oro pallido e siano divenuti leggeri e croccanti. Sgocciolate le frittelline, e quando saranno fredde accomodatele in un vassoio con salvietta spolverizzandole di zucchero. A Roma si chiamano «frappe» e si usa, anzichè ritagliare le striscie in pezzi, conservarle lunghe dando ad esse la forma di ampi nodi.

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Con un coltello incidete leggermente in croce queste ciambelline e friggetele nell'olio o nello strutto, a padella leggera, affinchè abbiano il tempo di gonfiarsi un pochino. Accomodatele in un piatto e spolverizzatele di zucchero.

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Guardate che non abbiano a sfarsi, estraetele e lasciatele sgocciolare. Avrete preparato una cinquantina di grammi di riso cotto con un bicchiere di latte, e che ultimerete con un nonnulla di sale e una cucchiaiata di zucchero. Aprite delicatamente le albicocche e nel mezzo di ognuna, al posto dell'osso, mettete un cucchiaino da caffè di riso dolce. Richiudete le albicocche, infarinatele, passatele nell'uovo sbattuto e quindi nella mollica di pane grattata e per ultimo friggetele di color biondo. Accomodatele in piramide nel piatto, e, prima di mandarle in tavola, versateci sopra una salsetta che otterrete facendo restringere lo sciroppo in cui cossero le albicocche, nel quale stempererete una cucchiaiata di marmellata a vostro piacere, meglio se di albicocca o di pesca o di fragola. Nel caso voleste presentare il dolce in modo ancor più elegante, potrete cuocere una maggior quantità di riso, su per giù 150 grammi, e dopo aver riempito le albicocche, passare il rimanente riso in una piccola bordura liscia, unta di burro. Battete la bordura, lasciate riposare un momento il riso e poi sformatelo nel mezzo del piatto. Potrete mettere allora le albicocche nel centro e ai lati della bordura e innaffiare il tutto colla salsa.

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Tenetele così vicino al fuoco per un po' di tempo senza che abbiano a sfarsi. Preparate tanti dischetti di pan di Spagna per quante sono le pesche. Questi dischetti dovranno essere alti un dito e avere un diametro di circa cinque centimetri. Metteteli in corona su un piatto, possibilmente di cristallo, spruzzateli con lo sciroppo delle pesche e disponete su ognuno di essi una mezza pesca, entro la cui cavità porrete una ciliegia candita. Avrete intanto preparato un zabaione leggero. Versate su ogni mezza pesca un po' di questo zabaione, e fate portare subito in tavola. I dischetti di pan di Spagna si ottengono regolari tagliandoli con un tagliapaste rotondo, di cinque centimetri.

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Allineateli in un solo strato in un piatto grande, poi sbattete un uovo con mezzo bicchiere di latte e un cucchiaino di zucchero e ricopritene le fette di pane che lascerete stare così per un poco affinchè abbiano il tempo di imbeversi perfettamente. Prendete queste fette con garbo, senza romperle, e friggetele nell'olio o nello strutto. Intanto avrete sbucciato e diviso in due sei pesche, e le avrete messe in una casseruolina con un pochino d'acqua e qualche cucchiaiata di zucchero. Fate alzare il bollo alle pesche e poi tenetele sull'angolo del fornello per una ventina di minuti. Fritto tutto il pane, accomodatelo in un piatto e su ogni crostone appoggiate una mezza pesca. Fate restringere lo sciroppo delle pesche su fuoco vivace e quando si sarà sufficientemente addensato versatene un po' su ogni pesca, in modo che anche il pane ne rimanga intriso. Questa preparazione si può fare anche con le albicocche.

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Lasciate star così circa un'ora affinchè il pane possa ben impregnarsi d'uovo; poi prendete una fetta di pane alla volta, e badando di non romperle, friggetele nello strutto ben caldo finchè abbiano preso un bel color d'oro da ambo le parti. Queste «croûtes dorées», che possono anche mangiarsi così, spolverizzate da zucchero vainigliato, servono inoltre come base a diversi dolci composti. Infatti voi potrete disporre le fette di pane fritte in corona in un patto e ricoprirle, sia con marmellata calda, sia con zabaione, sia con una composta calda di frutta. La fantasia di chi cucina potrà sbizzarrirsi in più modi, tenendo anche calcolo delle risorse della dispensa. Per la marmellata calda non occorre che prenderne un paio di cucchiaiate, diluirla con un pochino d'acqua e versarla sulle fette di pane.

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Battete leggermente la stampa su uno strofinaccio ripiegato affinchè nell'interno non abbiano a rimanere vuoti, coprite con un grande disco di carta bianca che sopravanzi dal bordo della stampa, mettete il coperchio e con le forbici portate via la carta che uscirà fuori. Finalmente con un pochino di burro di qualità ordinaria, o di grasso, stuccate l'apertura del coperchio. In un recipiente grande mettete del ghiaccio pesto misto a sale grosso, collocate nel mezzo la stampa con lo spumone, ricoprite di ghiaccio e sale e finalmente ricoprite il recipiente con uno strofinaccio ripiegato in quattro. Lasciate così per un paio d'ore; dopo di che estraete la stampa dal ghiaccio, lavatela sotto la fontanella, aprite il coperchio, levate via il disco di carta, e rovesciate lo spumone sul piatto.

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Badate che il colabrodo e la casseruola non abbiano la più piccola traccia di grasso che comunicherebbe alla preparazione un detestabile sapore. Aggiungete nel sugo lo zucchero preparato e mettete il recipiente sul fuoco mescolando con un cucchiaio di legno per facilitare la fusione dello zucchero. È buona norma tenere un cucchiaio di legno esclusivamente per i composti dolci, per evitare l'inconveniente al quale abbiamo accennato più sopra: che cioè le creme o le marmellate acquistino sapore di grasso. Togliete accuratamente la schiuma giallastra che si formerà non appena la gelatina avrà raggiunto l'ebollizione: schiuma che nuocerebbe alla limpidità della gelatina stessa. Fate cuocere a fuoco brillante. Il sugo d'arancio contiene una buona parte acquosa che deve evaporare per giungere alla necessaria condensazione. Vi raccomandiamo di sorvegliare la casseruola e di tenervi pronte ad alzarla od a toglierla momentaneamente dal fuoco perchè il sugo d'arancio, bollendo, tenta spesso di traboccare dal recipiente e andare a passeggio per il camino. Pian piano l'ebollizione si farà più calma e la cottura si avvicinerà al punto preciso. Questo punto si riconosce facilmente quando la gelatina non scorrerà più come se fosse acqua, ma avrà acquistato un po' di consistenza e lascerà sul cucchiaio un leggero velo. Potrete anche lasciarne cadere qualche goccia su un piatto e osservare se queste goccie freddandosi si rapprendono. Cotta a punto, togliete la casseruola dal fuoco e versate con attenzione la gelatina nei vasetti di vetro. Lasciatela freddare così, e il giorno dopo mettete sulla bocca di ogni vasetto un disco di carta bagnata d'alcool e poi chiudete i vasetti col loro coperchio o con carta pergamenata e spago.

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Questo strato si ricopre con altro sale e si continua così fino a riempire il barattolo, procurando di disporre le alici in modo che non abbiano da restare vuoti. Trattandosi di piccole quantità converrà usare del sale grossolanamente pestato. Potrete disporre qua e là sui vari strati qualche foglia di alloro, che dà profumo alle alici. Riempito il barattolo, poneteci sopra una tavoletta di legno circolare, grande come l'apertura del vaso e su questa ponete un grosso ciottolo. Vedrete che man mano il livello delle alici si abbasserà, per effetto della pressione, e la tavoletta rimarrà sommersa nella salamoia. Lasciate così per circa un mese affinchè questa salamoia possa evaporare in gran parte e le alici abbiano il tempo di conciarsi. Se la salamoia evaporasse troppo presto aggiungetene un'altra piccola quantità. Essa dovrà essere molto densa, e tale che un uovo immerso nel liquido possa galleggiarvi, ciò che si ottiene adoperando pochissima quantità d'acqua per far sciogliere il sale. Trascorso il mese, togliete la tavoletta e il peso, e incominciate ad adoperare le alici. Volendone preparare delle grandi quantità si usano dei bariletti di legno.

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Mettete la casseruolina sul fuoco e lasciate cuocere su fuoco debolissimo rinfondendo di quando in quando un po' d'acqua in modo che i legumi non abbiano mai a soffriggere. Converrà tenerli sul fuoco per circa mezz'ora, e debbono risultare sfatti. A questo punto ravvivate un po' il fuoco e mescolando fate perdere a questi legumi un po' di umidità così da ottenere una poltiglia piuttosto asciutta. Rovesciate questa poltiglia sul setaccio dove metterete anche altre tre acciughe lavate spinate e fatte a pezzi. Passate il tutto raccogliendo la purè di alici e legumi in una scodella. Sciogliete questa purè, che deve essere molto densa, con tre o quattro cucchiaiate d'olio, mescolando bene per amalgamare ogni cosa. Versate questa specie di salsa sui filetti di alici già preparati e lasciateli insaporire per qualche ora. Volendo, si può aromatizzare la salsa con poche goccie di buonissimo aceto.

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Si innaffiano ancora le patate con altra acqua, stemperandole sempre tra le mani finchè abbiano perduto tutta la farina. Esaurite le patate si toglie il setaccio e si lascia in riposo l'acqua lattiginosa della catinella. Quando la farina sarà tutta precipitata in fondo si decanta l'acqua e si stende il pastone farinoso su delle teglie basse, e si lascia asciugare in forno di moderatissimo calore. Quando la fecola sarà bene asciutta si pesta nel mortaio, si passa dal setaccio e si conserva.

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Disponetele sopra una placca da forno o su una teglia di ferro e fatele cuocere a forno ben caldo per un quarto d'ora, finchè la crema si sia rappresa e le tartelette abbiano acquistato un bel color d'oro. Con attenzione, aiutandovi con la punta di un coltellino, togliete questi pasticcini dalle stampe, disponeteli su un piatto con salvietta e mangiateli caldi.

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