Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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CHI VUOL FIABE, CHI VUOLE?

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Capuana, Luigi 1 occorrenze

- E che abbiano la punta aguzza, lunga così ... - Sarà obbedito! Saltacavalla aveva pensato alla divisa, ai calzoni, ai berretto, ai borzacchini, ma né a spada, né a lancia, né ad arma di sorta alcuna. L'esercito era pronto a partire. Saltacavalla aveva già calzato i borzacchini, indossato la divisa, si era messo in capo il berretto a spicchi. - Dove vai, Saltacavalla? - Maestà, vado in cucina. - Per far cosa, Saltacavaila? - Vado a prendere una padella per scudo e uno spiedo per spada. - Come ti piace, Saltacavalla. E si mise a capo dell'esercito con la padella e lo spiedo in ispalla. Cosa strana! Nessuno rideva vedendolo vestito ed armato a quel modo. Prima di mettersi in marcia, egli disse ai soldati: - Quando darò un colpo sul fondo della padella, voi dovete fermarvi; quando ne darò due, precipitatevi all'assalto; quando ne darò tre, cessate di combattere. Chi non mi obbedisce, peggio per lui. Cammina, cammina, arrivarono in faccia al nemico. Saltacavalla diè un colpo sul fondo della padella, e i suoi soldati si fermarono. Egli invece andò avanti con certe mosse così buffe, torcendo le labbra, sgranando gli occhi, cavando fuori la lingua, al suo solito, che i nemici cominciarono a ridere, a ridere, a ridere, contorcendosi, lasciando cascare giù le armi, tenendosi stretta la pancia, rotolandosi per terra ... Allora Saltacavalla dà due colpi sui fondo della padella tan! tan! - e i suoi soldati si precipitano all'assalto e fanno strage dei nemici, che si lasciano scannare ridendo, incapaci di opporre la minima resistenza. Quando Saltacavaila diè i tre colpi: tan! tan! tan! dei soldati nemici non ne rimaneva vivo neppure uno. Ma essi erano l'avanguardia. Saltacavalla ordinò di rimettersi in marcia, e, dopo poche ore di cammino, ecco il grosso dell'esercito nemico che non s'aspettava di vedersi arrivare addosso l'avversario. Tan! E i soldati di Saltacavalla si fermarono. E lui si fece avanti con mosse buffe, torcendo le labbra, sgranando gli occhi, cavando fuori la lingua a riprese. E i nemici lo guardano stupiti e poi cominciano a ridere a ridere, contorcendosi, lasciando cascare giù le armi, tenendosi stretta la pancia, rotolandosi per terra ... Tan! tan! I soldati di Saltacavalla si precipitano all'assalto, e fanno un'altra strage dei nemici, che si lasciano scannare ridendo, incapaci di opporre la minima resistenza. Tan! tan! tan! Rimanevano appena un centinaio di uomini che Saltacavalla voleva far prigionieri, e condurli, legati a due a due, al cospetto del suo Re. Ma parecchi dei suoi, inebriati dalla vittoria, non cessarono di combattere dopo i tre colpi, e n'ebbero la peggio. Quell'ultimo centinaio di uomini non rise più, si diè a menar le mani, e fece pagar cara la disobbedienza a coloro. Dovette intervenire Saltacavalla, e fece prodigi di valore. Accoppava con la padella, infilzava con lo spiedo, e in pochi minuti di quel centinaio di nemici non ne rimaneva in piedi neppure uno. Quando si sparse la notizia che Saltacavalla tornava vittorioso, il popolo si rovesciò per le vie, e migliaia di persone gli uscirono incontro fuori le porte della città. Il Re gongolava dalla gioia; ma i Ministri, diventati in viso più verdi di limoni, doverono fingere letizia. Se, col ritorno di Saltacavalla sano e salvo, Sua Maestà riprendeva a ridere e a star di buon umore, la loro cuccagna era finita! Affacciati a un balcone del palazzo reale, ai lati di Sua Maestà, essi si stupivano di non sentire applausi o gridi di evviva ma un rumore indefinibile che diveniva più forte, di mano in mano che pareva si venisse accostando. Erano risate. Alla vista di Saltacavalla, vestito e armato a quel modo, che, dall'alto del suo cavallo di generalissimo, faceva smorfie, stralunava gli occhi, allungava le labbra, cacciava fuori la lingua, e dondolava la testa come un burattino, per ringraziare della festosa accoglienza, il popolo aveva dovuto cessare di applaudire, e rideva, rideva, rideva; e l'onda della risata si propagava rumorosa di mano in mano che Saltacavalla si avanzava alla testa dell'esercito vittorioso. Al clamore delle risate del popolo sotto il palazzo reale si unì ben tosto lo scoppio di quelle del Re e dei Ministri. I Ministri, specialmente, si contorcevano, si davano gomitate e spintoni, si buttavano gli uni addosso agli altri, senza punto riguardo alla presenza del Re. Il Re rideva, si, ma non con quella violenza. I Ministri erano diventati paonazzi in viso, non ne potevano più, soffocavano, e, rientrati nel salone, si buttarono per terra, rotolandosi in convulsioni di risa, poi giacquero. Erano morti! Il Re, paventando che accadesse qualcosa di simile tra la folla, scese incontro a Saltacavalla, che saltò giù di sella, gli depose ai piedi la padella e lo spiedo, e piegò un ginocchio, ma con un gesto così buffo, che le risate della gente raddoppiarono. - Basta, Saltacavalla! Basta! - esclamò il Re. - Vuoi tu farli morire dalle risa, come sono morti i Ministri? - Ah! - fece Saltacavalla. - Poverini! Poverini! E finse di scoppiare in pianto dirotto. Allora, in un attimo, tutta la folla stipata davanti al palazzo reale passò dal riso al pianto. Si udivano singhiozzi ed esclamazioni: - Poverini! Poverini! - E le lacrime venivano giù a torrenti. Scoppiò a piangere anche il Re. Basta, Saltacavalla! Basta! - esclamò il Re. - Saltacavalla fece un gesto di stizza. - Basta, se faccio ridere! ... Basta, se faccio piangere! Il meglio è che me ne vada! - No, Saltacavalla! No! Ma il Re ebbe un bel gridare - No! No! - Saltacavalla, in quattro salti, era già sparito. Il Re capì troppo tardi che quel pianto era anche esso una specie di risata. Attese, attese che Saltacavalla ritornasse; ma Saltacavalla non si fece più vedere. Il Re mandò a chiamare i carbonai marito e moglie che vivevano tranquillamente nell'appartamento a pian terreno, loro assegnato: - Sapete niente di vostro figlio? Quei due credettero che Saltacavalla avesse fatto qualche cattiva azione e che il Re volesse prendersela con loro. - Maestà, perdono! ... - disse il marito. - Ma Saltacavalla non era nostro figlio! Io lo trovai un giorno tra l'erba su l'orlo di un fosso, e lo facemmo allattare da una capra! - Era involtato - soggiunse la moglie - in pannilini finissimi, orlati di trine. Il Re volle vederli. Non aveva mai visto niente di così fine e di così bello. Ma non poté capire altro. E nessuno ha mai saputo chi era Saltacavalla, e da quel giorno in poi non se n'è avuto più notizia! Peccato! Se tornasse ora che si ride tanto di rado! Stretta la foglia, larga la via, Dite la vostra, che ho detto la mia.

IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO

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Salgari, Emilio 12 occorrenze

Che i guasconi abbiano anche un fiuto meraviglioso? - Non manca nulla a noi, caro compare! Avete perduto il doblone. - Che vi pagherò quando saremo a bordo della fregata, se ci riusciremo. Il guascone fece una smorfia, poi alzò le spalle. - Bah, - disse - mi consolerò con questo deliziosissimo Alicante. Sentite che profumo, compare? La signora marchesa di Montelimar sa dove fare i suoi acquisti. Su, bevete e passate. Volete farmi morire di sete? - No, prima al vincitore! - rispose serio Mendoza, porgendo la brocca. Il guascone l'afferrò, allargò per bene le gambe e si mise a bere a garganella, senza nemmeno prendere respiro. - Carrai! - esclamò il filibustiere, facendo un gesto di spavento; - Volete ubriacarvi, don Barrejo? - Bah! ... Un guascone? ... - rispose l'avventuriero staccando per un momento le labbra. - Al diavolo tutti i guasconi! ... Io mi attaccherò alla botte e vedremo chi berrà piú a lungo. Il degno lupo di mare imboccò lo spinello e per parecchi minuti nella cantina non si udí altro rumore che quello prodotto dal gorgoglio del vino che passava attraverso le gole dei due formidabili bevitori. Chi sa quanto quel leggero rumore sarebbe continuato, se un improvviso sussurrio di voci, che proveniva dalle ampie cantine, non l'avesse interrotto. Il guascone aveva lasciato cadere il boccale senza averne veduto il fondo, mentre Mendoza chiudeva rapidamente la cannella della botte, dicendo precipitosamente al compagno: - Spegnete la fiaccola. Il guascone si affrettò ad obbedire. - Che stiano per scoprirci? - chiese il lupo di mare. - Della gente scende nelle cantine, - rispose don Barrejo, accostandosi alle botti che ostruivano l'entrata. - Vedo delle torcie brillare. - Sacco rotto! ... Che questa bevuta di Alicante ci porti sfortuna? ... Era proprio Alicante, è vero, don Barrejo? - Per Bacco! ... E del piú fino, - rispose l'avventuriero. - Peccato che siano venuti a guastarci la bevuta. Potevano aspettare un momento, diavolo! ... Svegliamo il conte? - Non credo che pel momento sia necessario, - rispose Mendoza. - Aspettiamo di vedere quello che succede. Forse avremo ancora l'occasione di riprendere la nostra bevuta senza incomodi testimoni. Ventre di foca! ... Sono proprio gli spagnuoli. Guardate, don Barrejo. S'avvicinarono entrambi alle botti che occupavano, anzi che nascondevano la porta e spinsero gli sguardi attraverso le fessure lasciate dai grossi recipienti che Marto aveva fatti rotolare. Quattro servi della marchesa, tutti schiavi negri, guidati da Marto in persona, erano entrati nella cantina, seguiti da una dozzina di archibugieri spagnuoli i quali portavano delle torcie. - Ohé, compare, - disse Barrejo, - va bene essere guasconi e baschi, ma mi pare che la faccenda diventi un po' seria. - Forse meno di quello che credete, - rispose Mendoza. - Non vedete che invece di frugare le cantine s'attaccano alle botti? Scommetterei un mezzo doblone contro cento che quei bravi armigeri sono piú assetati di noi! ... - E allora noi li imiteremo. - Adagio, signor guascone. Non scherziamo troppo con questo delizioso Alicante, specialmente in questi momenti. Potrebbero interrompere la loro bevuta e venire a scoprirci e non so che cosa succederebbe allora con troppo vino in corpo. Invece di bucare gli spagnuoli, potremmo bucare le botti. - E causare una inondazione. - È vero, signor guascone. - Ammiro la vostra prudenza. - State zitto e vediamo che cosa sta per succedere. Gli archibugieri del governatore di San Domingo pareva che avessero affatto dimenticato lo scopo principale della loro escursione nelle cantine della marchesa. I servi, guidati da Marto, avevano tratto di sotto le travi che reggevano le monumentali botti, dei grossi boccali e si erano affrettati a riempirli ed i soldati, che forse mai si erano trovati in mezzo a tanta abbondanza, vi avevano dato dentro, bevendo furiosamente Porto, Alicante, Xeres e Madera. Perfino il sergente che li guidava, afferrato un boccale e dopo essersi seduto su una trave, si era messo a trangugiare a lunghi sorsi il contenuto. - Compare, - disse don Barrejo, che da qualche istante si dimenava come avesse il diavolo in corpo. - E noi assisteremo come due statue ad una simile festa? - Avete ragione, signor guascone, - rispose Mendoza. - Quella gente non si occupa che delle botti e siccome noi non siamo botti da spillare non verranno di certo ad importunarci. - Voi continuate coll'Alicante, io darò l'assaggio a qualche altro recipiente. Vedremo chi sarà piú fortunato. - Io, di certo. - Un doblone che troverò di meglio io, invece. - Vada! - disse Mendoza. - Già non pagherò nemmeno questo. I due compari, che ormai erano legati da una profonda amicizia, stavano per riprendere la bevuta, quando una sorda imprecazione li arrestò. Buttafuoco che aveva un udito finissimo e che era abituato a dormire con un solo occhio, si era lasciato scivolare giú dalle botti, chiedendo con voce sommessa: - Che cosa succede? Perché avete spenta la fiaccola? - Gli spagnuoli ci cercano - aveva risposto Mendoza. - Sono già discesi? - Sí, ma pare che cerchino piú le botti che noi, - disse il guascone. - Potevate continuare il vostro sonno. E poi non vegliamo forse noi? - Parlavate di dar l'assalto anche voi al buon vino. - Tanto per scacciare la noia e l'umidità, signor Buttafuoco, - rispose Mendoza. - Per ora lasciate in pace le botti, - rispose il bucaniere. - Sono troppo pericolose in certi momenti. Vi rifarete piú tardi. - E questo è parlare da saggio, capitano, - disse quel volpone di guascone. Buttafuoco si accostò alla porticina e guardò a lungo, - La marchesa li ha giuocati, - disse finalmente. - Possiamo aspettare tranquillamente che quei soldati abbiano bevuto. La bevuta degli archibugieri del governatore di San Domingo durò una buona mezz'ora, poi tutti se ne andarono, piú o meno malfermi in gambe, e le cantine ridiventarono silenziose e tenebrose. - Possiamo attaccare? - chiese Mendoza. - Che cosa? - chiese Buttafuoco. - Le botti anche noi? - Andate al diavolo! ... Io riprendo il mio sonno. - E noi la guardia, - rispose il guascone. - Badate di non addormentarvi davvero di fronte al nemico. - Oh! ... Mai, signore. E mentre il bucaniere, ormai pienamente rassicurato di non rivedere piú gli spagnuoli nelle cantine, riprendeva il suo sonno, i due compari, non meno tranquilli di non correre piú alcun pericolo, ricominciavano i loro assaggi dei vini della marchesa di Montelimar.

. - Se ne sono andati, ma che abbiano lasciato i dintorni io ne dubito. - Che m'impediscano di partire? - chiese il conte. - La mia fregata mi aspetta e potrebbe, rimanendo ancora al capo Tiburon, attirarsi addosso qualche tremenda bufera. - Avete fretta di lasciarmi? - chiese la marchesa con voce triste. - Vorrei rimanere qui delle settimane e anche dei mesi, signora - rispose il conte con vivacità. - Disgraziatamente ho troppi impegni e devo difendere la vita dei miei duecento uomini. - Vi stimo, conte; io spero peraltro che non sia questa l'ultima volta che ci incontriamo nel golfo del Messico. - Sarò il piú felice degli uomini il giorno in cui vi potrò rivedere, marchesa - rispose il gentiluomo con voce grave. - I debiti di riconoscenza che ho con voi non li dimenticherò mai ... mi capite, signora? mai! - Voi mi scorterete fino ai bagni del capo Tiburon: ho laggiú, sulla spiaggia, un piccolo padiglione. - Scortarvi! - esclamò il conte, con sorpresa. - Sarà necessario, se vorrete passare attraverso le cinquantine e salvare la vostra nave. - Che cosa dite, marchesa? - Dai comandanti delle cinquantine ho appreso che si sa dove si trova la vostra fregata e che il governatore ha dato l'ordine di fare dei grandi preparativi per assalirla di sorpresa, se sarà possibile. Il conte era diventato pallidissimo. - Assalire la Nuova Castiglia, o meglio, la mia Folgore, perché questo è il suo vero nome! ... Vivaddio! ... La raggiungerò prima che l'attacco cominci, dovessi sfidare la morte cinquanta volte. - E perciò, conte, voi mi scorterete, ve lo ripeto. Dovrete però, al pari dei vostri compagni, indossare la divisa della mia casa e passare per un servo. - Se fosse necessario mi lascerei anche dipingere come un negro. - Non ve ne sarà bisogno ... Marto! L'africano, che in quel momento doveva sostituire l'intendente, fu pronto ad accorrere alla chiamata della marchesa. - È pronto tutto? - Sí, padrona. - L'amaca e gli schiavi? - Anche. - La scorta? - Già armata. - Numerosa? - Dodici uomini fra negri e bianchi. - Conduci questi signori a vestirsi. Poi, volgendosi verso il signor di Ventimiglia, il quale stava vuotando una tazza di cioccolata, - fate presto, conte - gli disse. - Temo che l'assalto alla vostra fregata sia fissato per il tramonto. - Forza, signor guascone! - disse Mendoza a don Barrejo. - Avremo bisogno della vostra terribile draghinassa. Mentre Marto guidava i quattro uomini in una stanza a pianterreno, per far loro scegliere dei vestiti con i colori della casa dei Montelimar, la marchesa si era voltata verso un uomo dalla pelle assai bruna, il quale fino allora si era sempre tenuto in disparte, appoggiato ad una colonna del porticato. - Hai fatto esplorare attentamente la via che conduce al capo Tiburon, Azevedo? - gli chiese. - Sí, padrona. - Le cinquantine la percorrono, non è vero? - Vi sono almeno duecento uomini al di là del villaggio di San Josè. - Sono gli stessi che sono venuti qui? - Li ho perfettamente riconosciuti. - Benissimo, Azevedo. Vedremo se oseranno fermare una Montelimar nipote di un grande ammiraglio e cognata d'un ex governatore! Si era alzata, gettandosi sulla capigliatura corvina una leggerissima mantiglia di seta, mentre scendevano nel cortile quattro robusti africani, sfarzosamente vestiti, i quali sorreggevano, per mezzo di un lunghissimo palo, un'amaca sormontata da un largo ombrello rosso e fornita d'un soffice cuscino per appoggiarvi il capo. Otto uomini, quattro bianchi e quattro negri, armati tutti di archibugi e di spadoni, li seguivano. Si erano appena fermati sotto il porticato, quando comparvero anche il conte, Buttafuoco, il guascone e Mendoza, i quali indossavano la divisa della casa, bianca ed azzurra a strisce alternate ed uno stemma ricamato in mezzo al petto che rappresentava una montagna sorgente dal mare con un leone rampante in alto. Vedendoli la marchesa non potè trattenere uno scoppio di risa. - Pare che facciamo una brutta figura - brontolò Mendoza. - Di servi - rispose sottovoce il guascone, arricciandosi i baffi e posando fieramente la sinistra sulla guardia della sua draghinassa, per far comprendere agli altri che era un uomo d'armi anche sotto quelle spoglie. - Siamo buffi, non è vero, marchesa? - chiese il conte. - Tutt'altro! ma avrei preferito di essere scortata da voi vestiti dei vostri abiti. - O entro il mio vestito rosso? - Meglio ancora - rispose la marchesa, con un sospiro represso. - Lo indosserò quando sarò sul ponte della mia fregata ed udrò a tuonare il cannone. La marchesa fissò sul fiero corsaro i suoi profondi occhi; poi, scuotendo il capo, disse bruscamente: - Partiamo. Aiutata dal conte, salí nell'amaca posando il capo sul cuscino di seta color rosa, ed il drappello si mise in marcia preceduto da Buttafuoco e dal conte, i quali non avevano lasciati i loro archibugi. Attraversata la piantagione di banani senza aver incontrato nessuna cinquantina, presero un sentiero aperto fra i boschi, evitando la borgatella di San Josè che si trovava a breve distanza dalla fattoria della marchesa. Marciavano da un paio d'ore, seguendo un sentieruzzo aperto fra le splendide palme, quando alcuni archibugieri, che si tenevano imboscati fra le macchie, balzarono fuori, gridando: - Ferma! Buttafuoco si fece avanti dicendo: - È la signora marchesa di Montelimar che si reca ai bagni del capo Tiburon. Che cosa volete? - Passate - rispose il capo del piccolo drappello, inchinandosi. Gli archibugieri proseguirono la loro marcia, mentre la marchesa salutava i soldati con un gesto grazioso. - Ecco un nome portentoso che ci aprirà la via fino sul ponte della fregata - disse Mendoza al Guascone. - Io preferirei che si riaprisse invece la via delle cantine - rispose don Barrejo, con un sospiro. - Ah, quell'Alicante! ... - Tacete, o mi farete venire una sete rabbiosa. - Io l'ho di già, basco! - E pensare che non metteremo mai piú i piedi là dentro, signor guascone! - Volete farmi piangere? - Siete crudele, basco! Un altro "alto là", piú minaccioso del primo, troncò bruscamente la loro chiacchierata. - Largo alla marchesa di Montelimar! - gridò nuovamente Buttafuoco con accento pure minaccioso. Altri archibugieri erano balzati fuori dai cespugli che costeggiavano il sentiero, puntando le armi. Udendo Buttafuoco, che scambiavano probabilmente per l'intendente della marchesa, rispondere su quel tono, si erano pure affrettati, dopo un cordiale saluto, a scomparire. - Marchesa, - disse il conte che camminava di fianco all'amaca - noi vi dobbiamo la vita. Senza la vostra bella trovata, noi non saremmo certamente mai riusciti a giungere al capo Tiburon. - Signor conte, dovevo ben pensare a condurre in salvo i miei ospiti! - rispose la marchesa. - E non è la prima volta che gioco qualche brutto tiro ai miei compatrioti. Non è già d'altronde la prima volta che giuoco qualche brutto tiro ai miei compatriotti. Che cosa volete? mi diverto a far arrabbiare il governatore di San Domingo! - Il quale sarà probabilmente un cannibale o poco meno - mormorò Mendoza che camminava dall'altro lato dell'amaca. La marcia continuò senza alcun incontro, ma nessuno era persuaso che nei boschi che costeggiavano il sentiero non si trovassero altri archibugieri ed altri alabardieri in agguato, con la speranza di sorprendere il figlio del Corsaro Rosso. A mezzodì il drappello, che aveva marciato sempre rapidamente, giungeva in vista del mare. Il capo Tiburon, che formava una specie di penisola coperta di boschi foltissimi fino quasi alla sua punta estrema, si allungava verso il sud, in un semicerchio che si spiegava verso la spiaggia, formando una darsena abbastanza sicura contro l'irrompere delle onde. Nel mezzo del bacino giganteggiava superbamente la Nuova Castiglia, trattenuta da due âncore gettate a prora ed a poppa e con le vele solamente semimbrogliate, per essere pronta a prendere il largo in brevissimo tempo, in caso di pericolo. - La mia fregata! - esclamò il conte. - Finalmente! Ritorno padrone del Golfo! - Tacete, signor di Ventimiglia, - disse la marchesa - voi non sapete dove sono imboscati gli spagnuoli che hanno ricevuto l'ordine di assalire la vostra nave. Non fidatevi di questa calma che deve essere piú apparente che reale ed agite con prudenza. Forse delle centinaia d'occhi spiano attentamente tutte le nostre mosse. Quindi, volgendosi verso i negri che reggevano il lungo palo a cui era appesa l'amaca, disse loro: - Nel mio padiglione dei bagni! Fate presto! I quattro portatori partirono di corsa e, dopo aver superato una piccola altura, scesero verso la spiaggia larga e sabbiosa, cosparsa d'un numero infinito di gusci d'ostriche e di testuggini. In mezzo ad un gruppo di alberi di cocco e di palme, a circa duecento passi dal mare, si alzava un grazioso padiglione costruito tutto in legno, anche quello di stile moresco, con una graziosa torricella sulla quale sventolava la bandiera di Montelimar, e circondato da un piccolo giardino. Due giovani meticce, udendo le voci dei portatori e della scorta, erano subito uscite per aiutare la marchesa a scendere; il conte di Ventimiglia fu però piú svelto e la trasse giú dall'amaca. - È giunto il mio corriere? - chiese la bella andalusa alle due donne. - Sí, padrona. - Entrate, amici. Io vi precedo. Attraversò il giardinetto e condusse il conte, Buttafuoco ed i due avventurieri in una saletta a pianterreno, adorna di pochi mobili leggeri e graziosi, quasi tutti di bambú, e di molti vasi di terracotta che reggevano enormi mazzi di fiori della passione che spandevano all'intorno un delizioso profumo. La marchesa si sedette dinanzi ad una tavola di acagiú, filettata in argento e scolpita con molto buon gusto, facendo cenno al conte ed ai suoi amici di fare altrettanto, poi, rivolgendosi alle due meticcie che l'avevano seguita, disse loro: - Fate venire il corriere. Un momento dopo un mulatto, alto, molto abbronzato, di forme muscolose e d'aspetto fiero, entrava facendo un profondo inchino. - Hai fatto quanto ti ho detto? - chiese la marchesa. - Sí, padrona. - Hai potuto accostare la fregata senza destare sospetti? - - Sono andato a bordo ad offrire i pesci che avevo pescato stamane. - Hai conferito col luogotenente? - Sí, padrona. - L'hai avvertito del pericolo che corre e che il conte sta per giungere? - Il luogotenente è pronto a tutto e aspetta l'imbarco. Ha preso tutte le sue misure per non lasciarsi sorprendere. - Puoi andare. - Signora, - disse il conte vivamente commosso - io non mi attendevo un simile servigio da parte d'una donna che dovrebbe essere acerrima nemica dei filibustieri. - Difendo e proteggo i miei ospiti! - rispose la marchesa sorridendo. - Nel mio caso voi avreste fatto certamente altrettanto. - Mi sarei fatto uccidere per voi - rispose il conte con un entusiasmo che fece nuovamente sorridere e anche sospirare la bella spagnuola. - Non ne dubito! - rispose la giovane vedova, passandosi una mano sulla fronte. Poi chiese: - Quando vi imbarcherete, conte? - Subito, se fosse possibile. - Ho una scialuppa sulla spiaggia. È a vostra disposizione. D'altronde comprendo la vostra impazienza. Fingete di recarvi alla pesca insieme con i miei negri e al momento opportuno abborderete la fregata. Cercate di non farvi notare dai miei compatrioti. Io sono piú che sicura che veglieranno attentamente, e che nelle foreste del capo Tiburon hanno già collocato delle artiglierie. Si era alzata in preda ad una visibile emozione, e mentre Mendoza, Buttafuoco ed il guascone vuotavano altre tazze di cioccolata, che le due meticce avevano portate, condusse il conte nel giardinetto che circondava la graziosa casetta. - Signor conte, - disse traendolo sotto l'ombra d'una gigantesca palma - non ci vedremo mai piú? La voce della marchesa era cosí alterata, che il signor di Ventimiglia ne fu profondamente colpito. - Io spero, signora, - le rispose - di trovarvi ancora, prima che io lasci il golfo del Messico. Non posso dimenticare una gentildonna alla quale per ben due volte devo la vita. - E quando? - Chi può dirlo, marchesa? Finché non avrò terminato la mia missione non ritornerò a San Domingo. - E dove andrete ora? - A trovare vostro cognato ed i filibustieri che ancora imperano di qua e di là dell'istmo di Panama. La marchesa rimase un momento silenziosa, guardando a terra; poi strappò con molto nervoso un'orchidea e la porse al conte, dicendogli: - Conservatela per mio ricordo. - Quando la morte mi minaccerà, marchesa, questo fiore, datomi da voi, si troverà sul mio cuore - rispose il corsaro. - Sarà per me come un prezioso talismano. La marchesa aveva alzato il capo, e il conte s'avvide subito che gli occhi bruni e profondi della bella andalusa erano umidi. In quel momento comparve Buttafuoco. - Signor conte, - disse - la scialuppa è pronta ed è giunto il momento di separarci. Io ritorno il bucaniere della savana. - Mi lasciate? - chiese il signor di Ventimiglia con doloroso stupore. - Credevo che mi avreste seguito. - Ho laggiú, nella mia povera dimora, il mio arruolato, il quale forse corre gravi pericoli - rispose il cacciatore. - Chissà forse un giorno in qualche città dell'America centrale non ci rivedremo. Come ho combattuto fra i filibustieri di vostro zio, il Corsaro Nero, non mi rincrescerebbe sfidare il fuoco a fianco del nipote. Uscirono dal giardino seguiti da Mendoza, dal guascone e da quattro negri, i quali erano carichi di reti per far credere alle cinquantine spagnuole, probabilmente imboscate, che si recavano a pescare per preparare alla marchesa la cena. Giunti presso il cancello, la bella andalusa si fermò, fissando il conte con gli occhi umidi. - Addio, signore - gli disse, porgendogli la mano. - Io pregherò Iddio che vi preservi dai cannoni e dagli archibugi dei miei compatrioti. Rammentatevi sempre di me, e non dimenticate che se avrete bisogno di una protezione da parte mia, sarò sempre pronta a salvarvi un'altra volta. Il conte, il quale appariva non meno commosso, le baciò galantemente la mano, mentre Buttafuoco si era appoggiato al suo archibugio e incrociava le mani sulla cima della canna. Anch'egli fissava intensamente il conte. - Amico, - gli disse il signor di Ventimiglia, porgendogli la destra - grazie di quanto avete fatto per me ... ed ora ditemi il vostro vero nome. Me l'avete promesso. Una rapida emozione alterò i lineamenti del bucaniere. - A quale scopo? - disse poi, con voce rauca. - L'ho lasciato cadere e per sempre in fondo ai baratri dell'Atlantico, nel momento in cui passavo la linea equatoriale ... Chi si ricorda ormai di me in Francia? Io sono morto per la mia patria ... e anche per mia sorella e per ... Un singhiozzo spense la sua voce, mentre due lacrime scendevano lentamente sulle sue brune gote. - Tutto deve essere finito! - disse poi. - No, signor ... - Barone de Rouvres - disse la marchesa. - Perché tradire il mio segreto, signora? - chiese Buttafuoco. - Io oggi non sono che un miserabile bucaniere; non ho piú il diritto di portare lo stemma della mia casa che ho disonorato. - Per me siete sempre un gentiluomo - disse il signor di Ventimiglia, commosso dall'intenso dolore che traspariva sul suo viso abbronzato. - Qua la mano, Barone de Rouvres. Il bucaniere della savana ebbe un'ultima esitazione, poi con un movimento rapido gliela porse, dicendo: - Quando voi, signor conte, avrete bisogno della vita d'un uomo, ricordatevi che quella del barone de Rouvres è sempre a vostra disposizione. - Non della vostra vita, bensí del vostro braccio e del vostro archibugio avrò bisogno - rispose il conte. - Non sarà questa l'ultima volta che ci siamo incontrati ... Addio, marchesa; addio, barone: vado a compiere la mia impresa. Scese rapidamente la spiaggia e balzò nella scialuppa. I quattro negri avevano subito dato dentro ai remi, mentre Mendoza aveva preso con mano salda la barra del timone. - Verso il capo, prima! - aveva detto il conte. - Cerchiamo d'ingannare gli spagnuoli per non compromettere maggiormente la marchesa, ormai troppo sospettata di proteggerci. Mentre la scialuppa partiva rapida come una freccia, sotto la spinta poderosa degli erculei africani, il conte si era alzato e guardava verso la spiaggia. Presso il cancello del padiglione stava la bellissima andalusa, appoggiata ad un pilastro, tenendo in mano un fazzoletto che di quando in quando agitava in segno di addio; a pochi passi si trovava il bucaniere, con le braccia incrociate ed appoggiate sulla canna del suo archibugio. - Li rivedrò? - si chiese il conte con un sospiro. - Certo, se le palle spagnuole non mi uccideranno. Fece con la destra un rapido saluto, poi si sedette accanto al guascone, il quale stava contando e ricontando i suoi dobloni. - Che cosa fate, don Barrejo? - chiese il conte. - Stavo calcolando quanta aguardiente avrebbero potuto comprare gli spagnuoli se mi avessero ucciso e si fossero impadroniti di questo piccolo tesoro - esclamò serio il guascone. - Al diavolo! esclamò il conte. - No, perché non mi ha voluto e credo che abbia fatto bene, perché i guasconi non si trovano bene nemmeno all'inferno e potrebbero tagliare le code ai figli di Belzebú. Diamine! Siamo gente pericolosa noi! - Ha fatto tre volte bene, - disse Mendoza, prorompendo in una risata, - perché saremo noi a bere quei dobloni. - Oh! Me ne dovete uno, compare, ricordatevelo. - Lo prenderete agli spagnuoli. - Fa lo stesso, - rispose il guascone, sempre serio. Il conte non si occupava più dei due burloni. Ora guardava il padiglione della marchesa che stava per scomparire e dinanzi al quale spiccavano ancora due macchie oscure, ed ora la sua superba fregata che si dondolava graziosamente nella rada, tendendo le catene delle due âncore, come se fosse impaziente di prendere il largo dopo tanto riposo. La scialuppa, giunta presso il capo Tiburon che era coperto di boscaglie, in mezzo alle quali probabilmente stavano sempre nascosti gli spagnuoli in attesa del segnale d'attacco, virò a ponente ed i quattro negri, deposti i remi, gettarono le reti. - Che ci prendano per pescatori autentici? - chiese Mendoza al conte. - Giriamo al largo, capitano, prima che nasca nell'animo degli spagnuoli qualche sospetto e che ci salutino con qualche colpo di cannone. Avete udito la marchesa dire che sospetta vi sia dell'artiglieria nemica nascosta in quelle boscaglie? - Sí - rispose il conte, il quale sembrava un po' inquieto. - Vi è anche altro, Mendoza. - Che cosa, capitano? - Scorgo alcune grosse scialuppe seminascoste fra i paletuvieri della costa. Non possono appartenere a pescatori, perché qui non v'è alcun villaggio. - Ventre di pescecane! - esclamò il lupo di mare. - Che abbiano intenzione d'abbordare la fregata? - Lo temo, Mendoza. - Li ricacceremo in mare! - disse il guascone, il quale non cessava di contare e ricontare i suoi dobloni. - Che il luogotenente si sia già accorto che stanno preparandogli un agguato? - chiese Mendoza. - Il signor Verra è un uomo che non dorme, quando sa di navigare in acque pericolose - rispose il conte. - Scommetterei cento piastre contro una che egli ha già fatto i suoi preparativi per il combattimento. - Quando l'abborderemo la fregata? - Aspettiamo che il sole sia tramontato. Non voglio compromettere maggiormente la marchesa. Peschiamo e fingiamo di non occuparci della mia nave, benché abbia sempre in alto il vessillo spagnuolo. I quattro negri ritiravano in quel momento le reti ben cariche di pesci. La scialuppa riprese poco dopo la corsa sotto la direzione di Mendoza, allontanandosi sempre piú dal capo Tiburon per evitare qualche brutta sorpresa e manovrando in modo da descrivere un ampio semicerchio dinanzi alla prora della fregata. Altre due volte le reti furono gettate e ritirate sempre ben provviste di pesci, poi, cominciando il sole a tuffarsi in mare, la scialuppa si diresse lentamente verso la fregata che aveva già acceso sull'altissimo cassero i suoi due grossi fanali. Mendoza, il quale teneva sempre il timone, la dirigeva in modo da far credere agli spagnuoli che volesse passare al largo della nave per tentare un'ultima pescata, prima di far ritorno al padiglione dei bagni della marchesa di Montelimar. Il figlio del Corsaro Rosso osservava attentamente il veliero che le prime ombre cominciavano ad avvolgere. Una calma assoluta pareva regnare a bordo. Si era udito solo il rullare del tamburo che chiamava gli uomini a cena nel frapponte, poi piú nulla. - Signor conte, - disse il guascone, quando l'ultimo sprazzo di luce scomparve - abbordiamo? - Aspettate un po', impaziente guascone - rispose il signor di Ventimiglia. - Avete tanta fretta di menare le mani? - Non sarei un avventuriero! E poi la mia draghinassa è stanca di rimanere inoperosa. Tutte le mattine mi domanda di sbudellare qualcuno e non trovo mai l'occasione di accontentarla. - Non vi mancheranno, ve l'assicuro. - Sapete che noi guasconi ... - Sí, uccidete sempre, - rispose il conte, con un sorriso un po' ironico. - Non sarei un guascone, diavolo! - disse don Barrejo. - Mendoza! - Capitano? - Punta diritto sulla fregata. Ormai gli spagnuoli non possono piú scorgerci. - Date dentro ai remi, pagani! - gridò il lupo di mare agli africani. L'oscurità era piombata quasi improvvisamente sulla piccola rada, avvolgendo lo specchio d'acqua ed il capo Tiburon. La scialuppa attraversò velocemente la distanza che la separava dalla fregata ed abbordò il legno a bordo, ossia verso l'opposta parte occupata dagli spagnuoli, per non essere colpiti da qualche cannonata, fosse pure sparata a casaccio. Con suo profondo stupore il conte non udí gli uomini di guardia dare l'allarme, quantunque la prora dell'imbarcazione avesse urtato sonoramente il fianco del veliero. - Che cosa fanno i miei uomini? - si chiese aggrottando la fronte. - Si lasciano abbordare senza accorgersene? - Io credo, capitano, che voi abbiate torto di lamentarvi - disse Mendoza. - Sono troppo furbi i vostri marinai. Se sulla nostra barca vi fossero degli spagnuoli, scommetto che a quest'ora le granate scoppierebbero sulle nostre teste come gragnuola. Il signor Verra non è un marinaio da lasciarsi sorprendere. La scala di corda toccava l'acqua, permettendo una facile ascensione. Il conte l'afferrò e si issò fino sul ponte della fregata, gridando: - Si dorme qui? - No, signor di Ventimiglia, anzi si veglia attentamente e vi si aspettava - rispose una voce. Un uomo era improvvisamente apparso dinanzi al conte, smascherando una lanterna che fino allora aveva tenuta coperta con un pezzo di velaccio. Era un bel giovane di non ancora trent'anni, dai lineamenti piuttosto duri, con baffi e barba nerissimi, di statura alta e slanciata. - Voi, luogotenente! - esclamò il conte stupito. - Vi aspettavo da parecchie ore, capitano - rispose il giovane. Vi avevo già veduto col cannocchiale e mi ero immaginato che non avreste tardato a raggiungere la vostra nave. E poi ero stato avvertito dal pescatore d'una certa marchesa di Montelimar che eravate già giunto nei dintorni del capo Tiburon e anche che gli spagnuoli ci hanno preparato un agguato. - Ed è purtroppo vero, signor Verra! - rispose il conte. - Aspettano che noi salpiamo le âncore per darci addosso attraverso il Capo. - E noi siamo pronti a riceverli! - rispose il luogotenente. - I vostri uomini sono tutti ai loro posti di combattimento e le artiglierie non chiedono che di sparare. - Bene! - disse il conte. - È uscito nessun galeone da San Domingo? - Ne è passato uno dinanzi a noi, quattro o cinque ore or sono. Martin mi ha assicurato che doveva essere la Santa Maria. - Dove andava? - Verso ponente. - Sapremo raggiungerla. Sono troppo pesanti quei galeoni per competere con le fregate e soprattutto con la nostra. Prima di domani mattina noi l'abborderemo e avremo nelle nostre mani il segretario dell'ex governatore di Maracaibo. - Devo far salpare le âncore e spingere le vele, conte? - Un momento ancora, luogotenente - rispose il signor di Ventimiglia, il quale rispondeva a scatti. Si curvò sulla murata e gridò ai negri della scialuppa: - Tornate subito al padiglione dei bagni, se vi preme la vita. Portate alla marchesa vostra padrona e al bucaniere i miei ultimi saluti ... Martin! Il meticcio, che stava seduto su un barile chiacchierando con Mendoza e col terribile guascone, fu pronto ad accorrere. - La mia divisa rossa - disse il conte. - Il figlio del Corsaro Rosso non si batte sotto le vesti d'un pescatore. La mia spada di combattimento e la mia corazza. Signor Verra, fate spiegare le vele e date ordine agli artiglieri di non fare risparmio di mitraglia. Vedremo se sapranno arrestarmi attraverso il capo Tiburon e se la Santa Maria riuscirà a fuggire alla nostra caccia. Fate presto! Mentre il fischietto di Mendoza chiamava i marinai agli argani per salpare le âncore ed i gabbieri per spiegare completamente le vele, ed il luogotenente dava le ultime disposizioni per il combattimento imminente, il corsaro scese nel quadro di poppa seguito dal guascone e da Martin. Quando ricomparve era tutto vestito di rosso, come era comparso negli splendidi saloni della marchesa di Montelimar, con una nuova spada al fianco e le pistole di grosso calibro alla cintola. Salí sul ponte di comando, situato sul davanti dell'altissimo quadro, ed imboccato il portavoce, gridò: - Alla vela! Tutti al posto di combattimento! Il figlio e nipote dei tre grandi corsari vi guida e vi guarda!

. - Purché non abbiano con loro dei cani, - disse Mendoza. - Ecco quello che temo, - rispose il guascone. - Voi avete però quattro pistole. Datene una a me e vedrete che scapperanno come lepri, benché non manchino di coraggio, questo ve lo assicuro io. Lo spagnuolo è sempre stato un buon soldato e nemmeno io, se avessi in mano una spada contro un buon bucaniere armato d'archibugio volterei le spalle, eppure sono un guascone. - Ricco di guasconate! - disse Mendoza, un po' ironicamente. - Mi vedrete all'opera, camerata, - rispose il soldato, un po' piccato. - Silenzio, s'avanzano. Un grosso drappello era sbucato di fra le canne e le erbe e avanzava lungo la fronte della foresta. Si trattava veramente d'una di quelle famose cinquantine, armate esclusivamente d'alabarda e di spade, senza nessuna bocca da fuoco. Era composta tutta di alabardieri con elmetto e corazza, difese affatto insufficienti contro le grosse palle dei bucanieri. Era preceduta da un doz di Cuba. Questi cani ferocissimi sono molto grossi, molto robusti e d'un coraggio a tutta prova, e gli spagnuoli li usavano specialmente contro gli indiani, i quali avevano una paura terribile di quelle bestiacce. A quei doz cubani si deve piú che altro la conquista delle numerose colonie del golfo del Messico. Si può anzi dire che la Colombia fu conquistata piú da loro che dagli avventurieri. Il cane, giunto in vicinanza del grosso albero del cotone, si era fermato, aspirando fragorosamente l'aria, e la cinquantina, che era guidata da un ufficiale, si era subito disposta su quattro linee abbassando le alabarde. - Camerata, - sussurrò Barrejo, rivolgendosi a Mendoza - voi occupatevi di quel cagnaccio e badate di non sbagliare il colpo o vi salterà alla gola. - È un affare che sbrigherò io, - rispose il filibustiere. - Alla cinquantina penseremo io e il signor conte. Tutti e tre avevano armato le pistole e si tenevano l'uno presso l'altro, pronti a sguainare le spade. Il doz cubano fiutava sempre, volgendo la testa massiccia verso l'enorme albero e ringhiando sordamente. Doveva aver sentito che là si nascondeva il nemico. Un grido s'alzò fra gli uomini d'avanguardia della cinquantina - Ay, perrito! Il cagnaccio, udendo quel comando, si slanciò furiosamente, sperando di azzannare i misteriosi avversari che non osavano mostrarsi. Mendoza, che lo teneva d'occhio, fu pronto a sparare e gli fracassò il cranio, mentre il conte ed il guascone facevano fuoco contro la cinquantina, tirando a casaccio. Allora gli spagnuoli, credendo d'aver dinanzi qualche grosso drappello di quei terribili bucanieri che non sbagliavano mai la mira, in un lampo si dileguarono, gettandosi in mezzo ai canneti delle paludi. - Ecco la cinquantina sgominata! - disse il guascone ridendo. Lavoriamo tuttavia di gambe, perché domani mattina tornerà qui e se si accorgerà, dalle nostre tracce, d'aver avuto da fare con soli tre uomini, ci darà una caccia terribile. Corriamo, signor conte! - E queste sono le splendide passeggiate che si fanno a San Domingo - disse Mendoza. - Preferisco quelle che si fanno sulla tolda della Nuova Castiglia. Si erano messi a correre, come se avessero altri molossi alle calcagna. Il guascone, che aveva le gambe piú lunghe di tutti, marciava con una rapidità incredibile lungo la fronte della boscaglia, dietro però la prima linea degli alberi, per paura che la cinquantina, rimessasi dalla sorpresa, si fosse nuovamente ordinata e formata per la caccia. - Questo briccone ha giurato di farmi morire completamente sfiatato! - brontolava Mendoza, il quale sbuffava come un bufalo. - Quanto durerà questa storia? Pareva proprio che il guascone possedesse una resistenza incredibile e muscoli di acciaio, poiché non rallentava nemmeno un momento la sua corsa. Il figlio del Corsaro Rosso si mostrava non meno resistente, anzi, aveva maggiore slancio, come se fosse già abituato alle lunghe corse. Quella galoppata furiosa durò un'ora, poi il guascone si fermò. - Può bastare - disse. - La cinquantina ha avuto piú paura di noi e non ha osato darci la caccia. Prima che ne incontri altre o che si rifornisca di cane, passerà del tempo e noi potremo raggiungere la villa della marchesa, senza essere piú disturbati. - Se non sapete nemmeno dove si trovi! - disse Mendoza, il quale aspirava, come un mantice da fucina, la fresca brezza notturna. - Camminando sempre, si va anche a Parigi - rispose Barrejo. - Nel mio paese si dice che tutte le vie conducono a Roma - aggiunse il conte. - Ma non alla villa di Montelimar - ribattè Mendoza il quale sembrava di pessimo umore. - Voi, camerata, brontolate sempre contro il vostro capitano - disse il guascone. - Anche questo è un brutto vizio. - Mi correggerò col tempo. - Siete ormai troppo vecchio per farlo. - I filibustieri sono sempre giovani. Lo sanno gli spagnuoli. - Oh, non lo nego, amico! Avete sempre il fuoco nel petto. - E non le vostre gambe. - Orsú, che cosa facciamo ora, don Barrejo? - chiese il conte. - Io per conto mio, farei colazione - disse Mendoza. - Questa corsa mi ha messo un appetito da pescecane. - Contentati di accendere la tua pipa, per ora - rispose il conte. - Se non basta, stringi bene la cintura. - Ottimo consiglio! - sentenziò gravemente il guascone. - Che non farà bene a nessuno - brontolò Mendoza - Mettetelo in pratica voi. - Ne avete qualche altro da suggerirci don Barrejo? - chiese il conte. - Sí, quello di sdraiarci in mezzo a queste fresche erbe e di tirare il fiato fino all'alba. - E i caimani? - chiese Mendoza. - prima avevate una gran paura di quelle bestiacce. - Sono lontani da qui, e poi non chiuderemo gli occhi - Visto e considerato che non vi è di meglio da fare, lo metto in esecuzione - disse il conte, lasciandosi cadere fra le erbe e allungandosi con visibile soddisfazione. - Sono due giorni che io e questo eterno brontolone non ci riposiamo: è vero, Mendoza? - Saranno forse di piú - rispose il filibustiere imitandolo. Il guascone guardò attentamente in tutte le direzioni, si chinò, accostò un orecchio a terra, ascoltò attentamente e poi, a sua volta, si allungò fra le fresche erbe, dicendo: - Nulla: possiamo riposarci. Non era però troppo facile socchiudere gli occhi. I grossi rospi muggivano sempre, con un crescendo spaventoso; i caimani facevano del loro meglio per imitarli ed i batraci gareggiavano fra di loro per fischiare con maggior furore, come se si fossero messi d'accordo per impedire a Mendoza di schiacciare un sonnellino, fosse pure d'un quarto d'ora. Era però molto tardi, e l'alba non doveva tardar molto a spuntare. Nel Golfo del Messico il sole tramonta presto e si alza anche molto presto. Alle tre e mezzo, durante l'estate, il cielo si tinge dei primi riflessi dell'aurora e le stelle scompaiono. I tre filibustieri - poiché ormai anche il guascone si poteva considerare come tale - si riposavano da un paio d'ore, tendendo continuamente gli orecchi, per paura che i cani delle cinquantine, li sorprendessero, quando le tenebre cominciarono a diradarsi. - In marcia, signor conte - disse il guascone, alzandosi rapidamente. - Cercherò di orientarmi. - È stata accomodata la bussola piantata in mezzo al vostro cervello? - chiese Mendoza beffardamente. - S'incaricherà il sole di rettificarla - rispose l'avventuriero. - Speriamo che sia un abile meccanico. - Vedrete, camerata. Stavano per mettersi in cammino, quando udirono a breve distanza uno sparo. - La cinquantina! - gridò Mendoza facendo un salto. - Sí, che spara con le sue alabarde! - osservò il guascone sorridendo. - Io scommetto invece che è la colazione che giunge. Signor conte, siete conosciuto fra i bucanieri? - Se non io, erano troppo noti i tre corsari: il Rosso, il Nero e il Verde. - Questa archibugiata deve averla sparata un bucaniere. - Andiamo a trovarlo - rispose il signor di Ventimiglia. Attraversarono di corsa una folta macchia e, giunti sul margine, scorsero, in mezzo ad una radura erbosa, un uomo piuttosto attempato, vestito malamente. Aveva un grembiale di pelle ed un largo cappello di feltro in testa e stava ritto accanto ad un gigantesco bue selvaggio il quale stava spirando. Vedendo quegli stranieri, il cacciatore fece alcuni passi indietro, e gridò con voce minacciosa: - Chi siete? Rispondete, o vi uccido prima che possiate giungere fino a me! - Siamo filibustieri, camuffati da spagnuoli - rispose il conte in francese purissimo, perché l'intimazione era stata fatta in quella lingua. - Io sono il figlio del Corsaro Rosso e nipote del Verde e del Nero. - Del Corsaro Nero! - gridò il bucaniere, lasciando cadere l'archibugio e facendosi innanzi. - Di quello che con Grammont, Laurent e Wan Horn ha espugnato Vera-Cruz? Io ho combattuto con lui! Tonnerre de Brest! Signore, sono ai vostri ordini! Comandate!

- Da parecchie settimane corre qui voce che i filibustieri abbiano intenzione di tentare un audace colpo di mano sulla città e sapendo io, che mi trovavo a Panama quando la presero d'assalto, di quanto siano capaci quei terribili ladroni di mare, l'ho fatta condurre, sotto buona scorta, a Guayaquil, una città che non si può prendere facilmente. - E hai fatto bene, - rispose il marchese, - poiché un giorno quella fanciulla varrà milioni e milioni di piastre, che intendo d'intascare io. Se poi il figlio del Corsaro Rosso la vorrà, se la prenda pure senza piastre. - Che cosa mi narri tu, amico? - È l'unica crede delle favolose ricchezze del Gran Cacico e, quando il vecchio sarà morto, diventerà la padrona di montagne d'oro, che si dice siano nascoste in caverne note solamente agli intimi del selvaggio monarca. - È dunque ancora vivo il Gran Cacico? - E gode ottima salute, malgrado i suoi ottanta o novant'anni. - Tu dunque credi che quell'avventuriero? ... - Non sia altri che il signor di Ventimiglia, - rispose il marchese. - Un bell'uomo, giovane ancora, vero tipo d'italiano, coi capelli e baffi neri, la pelle leggiermente abbronzata ... - Sí, è lui! - esclamò il Consigliere. - Era accompagnato da tre uomini? - Sí, tre figure di spadaccini. - Le sue anime dannate. Tornerà qui? - Domani sera. - Al mio posto che cosa faresti, don Juan? - Lo farei arrestare ed appiccare al piú presto. Il marchese scosse il capo. - No, - disse poi. - Si verrebbe a sapere che la bella indiana che io ho adottata è la figlia del Corsaro Rosso; si potrebbe anche venire a sapere che io ho un motivo per tenerla presso di me e molte altre cose ancora. No; si può spacciarlo senza rumore. - Che cosa vuoi dire, amico? - Non avresti sottomano qualche terribile spadaccino? Uno famoso veh, perché si dice che il conte sia una lama terribile. Un agguato, una disputa, una buona stoccata ed eccomi sbarazzato da quell'importuno. Il Consigliere pensò un momento, poi disse: - L'ho trovato. - Chi è? - Lo chiamano: El Valiente, ma pare che sia un avventuriero dell'Europa centrale, poiché massacra orribilmente la nostra lingua. Mi sono servito di lui una volta, in una certa circostanza e non ho avuto da lagnarmi della sua abilità. - Una lama scelta? - Terribile. - Costosa? - Un cinquanta piastre. - Ne darei anche mille, purché riuscisse ad abbattere il figlio del Corsaro Rosso. - Tu dimentichi una cosa. - Quale. - Ed i tre avventurieri che accompagnano il conte? - Troveremo un pretesto qualunque per trattenerli qui. Si potrebbe vedere questo Valiente? Subito? Se fosse possibile sarebbe meglio. So dove abita: manderò un uomo a cavallo ad avvertirlo di venire subito. Guardò l'orologio appeso al muro, uno di quegli orologi altissimi, chiusi in una cassa. - Non sono che le nove, - disse. - Fra dieci minuti può essere qui, aspettami. Il Consigliere uscí per dare gli ordini, poi rientrò, dicendo: - Il messo è già a cavallo; intanto ceneremo, poiché m'immagino che avrai fame, caro amico. - È da ieri sera che non mangio, - rispose il marchese. Don Juan de Sasebo lo fece passare in un vicino salotto, ammobiliato con molto gusto e dove una tavola era pronta, con bellissimi piatti d'argento finemente cesellati. Erano già alle frutta, quando un servo negro entrò, dicendo al Consigliere: - Padrone, El Valiente è qui. - Sei riuscito a scovarlo? - In una taverna vicina alla sua catapecchia. - Conducilo qui subito. Il negro uscí rapidamente ed un momento dopo El Valiente si trovava dinanzi al marchese ed al Consigliere dell'Udienza Reale. Era quell'uomo il vero tipo dell'avventuriero e spadaccino. Era un uomo alto, grosso, forte come un giovane toro, con lunghi capelli biondastri ed una barba invece rossastra, un naso che somigliava al becco d'un pappagallo e due occhi grigiastri che avevano il lampo dell'acciaio. Alla cintura portava una spada francese, lunga e sottile ed uno di quei pugnali chiamati: misericordie. - Mi avete fatto chiamare, Eccellenza? - chiese, facendo un goffo inchino e levandosi il feltro adorno d'una lunga penna di struzzo, ormai rosa dal tempo e dalle intemperie. - Sí, perché ho ancora bisogno di voi, - rispose il Consigliere. - Qualche altra persona vi darebbe noia? - Precisamente. - Si manda allora all'inferno, - disse lo spadaccino. - Laggiú vi è posto per tutti. - Anche per voi, - disse il marchese. - Può darsi, Eccellenza, ma molto tardi, io spero. - Badate però che l'uomo che dovete spacciare è un gentiluomo che ha il pugno molto saldo. Un sorriso di sprezzo contorse le labbra del brigante. - Ho mandato all'altro mondo non pochi gentiluomini, Eccellenza, e piú facilmente di quello che credete. Si vantano tutti famosi spadaccini ed invece non sono che dei pessimi dilettanti, incapaci di fare una buona cartocciata o di parare il colpo delle cento pistole. - Un colpo famoso, a quanto si dice, - disse il marchese. - Terribilissimo, Eccellenza. Se non si para, e si para assai difficilmente, si va diritti all'altro mondo, senza un minuto di ritardo. Dov'è l'uomo che devo spacciare? - Correte troppo, Valiente, - disse il Consigliere. - Quando devo dare delle stoccate ho sempre fretta, - rispose il bandito. - Non ucciderete prima di domani sera, - disse il marchese. - Si può pazientare per venti ore: cosí avrò il tempo di esercitarmi pel colpo delle cento pistole. - Riuscirà? - Pochi lo conoscono, Eccellenza. Solo i famosi spadaccini ne sanno qualche cosa. - E quello è uno dei buoni. Il bandito alzò le spalle. - Bah! ... Avrà da fare con me. - Quanto il prezzo? - Cinquanta piastre per anima, è la mia tariffa. Non lavoro mai per meno. I tempi sono pessimi e si guadagna poco anche ad ammazzare delle persone" rispose El Valiente. - Ve ne offro invece mille, purché il gentiluomo domani sera sia morto. Il Valiente corrugò la fronte, come presentisse un terribile pericolo. - Che quel gentiluomo mi porti sventura? - si chiese. - Per pagarmi mille piastre, bisogna che quel signore sia veramente un formidabile spadaccino. - Ve l'ho già detto prima che non avrete da fare con un dilettante disse il marchese. - Ne ho ammazzati per lo meno venti. Che il ventunesimo deva mandarmi a tener compagnia a messer Diavolo? Io non lo credo. Quando devo venir qui? - Domani sera, prima dell'Ave-Maria. Vi daremo le istruzioni necessarie. - Sta bene, - rispose il bandito. Fece un nuovo e piú goffo inchino, si gettò sulle spalle uno sdruscito sèrapè, che fino allora aveva tenuto sul braccio sinistro, e se ne andò tranquillo, come se avesse fatto un semplice affare commerciale. - Quando lo farai appiccare? - chiese il marchese a don Juan de Sasebo. - Quel furfante meriterebbe almeno venti spanne di corda e molto solida. - Quando non si avrà piú bisogno di lui, lo manderemo a tener compagnia a tutti i disgraziati che ha spediti all'altro mondo, - rispose il consigliere. - Qualche volta anche questi briganti sono necessari. - Amico, possiamo andare a riposarci.

È un bel po' che i filibustieri di Grogner e di Raveneau de Lussan minacciano Panama, quindi credo benissimo che abbiano mandata mia sorella in quella città, per sottrarla ai pericoli d'un saccheggio. - E allora che cosa temete? - Che quel meticcio, per vendicarsi del brutto tiro giuocatogli abbia narrato ogni cosa al marchese ed a don Juan. - Tonnerre! ... Voi mi avete cacciato una pulce in un orecchio, signor conte. Non avevo pensato a questo. In tal caso un inseguimento sarebbe probabile. Abbiamo però un buon vantaggio e dei buonissimi cavalli, che ho scelto con molta cura. Quello stupido, con tutto quel vino che aveva bevuto, non può essersi svegliato tanto presto. Forse dorme ancora, mentre noi invece galoppiamo. - E spingeremo sempre piú forte. Mi preme giungere a Guayaquil prima che possa giungervi il marchese. - Quando vi saremo? - Domani sera, mi ha detto Mendoza. - Fors'anche prima, signor conte, - disse il basco, che si teneva sempre dinanzi, mentre don Ercole formava la retroguardia. - Affretta piú che puoi. - E la vostra ferita non s'inasprirà? - Non occupartene, - rispose il corsaro. - Si rimarginerà piú tardi. I quattro cavalli continuavano intanto la loro rapidissima corsa, essendo la strada in ottimo stato e anche molto ampia. Lungo i margini magnifici, i filari di enormi palme si stendevano senza interruzione, mentre al di là apparivano delle splendide piantagioni d'indaco e di zucchero. A mezzanotte il conte fece mettere i cavalli al passo, per non stancarli troppo, poi verso il tocco ripresero il galoppo, mentre la luna appariva dietro le piante che coronavano una collina. Avevano percorso cosí un paio di leghe, senza aver incontrato anima viva, quando Mendoza che aveva l'udito piú acuto di tutti, arrestò bruscamente il suo andaluso, dicendo: - Fermi tutti! ... - Avete veduto qualche gattaccio? - chiese il guascone. - Non scherzate, don Barrejo: questo non è il momento. Stettero in ascolto e parve loro di udire un lontano fragore. - Il galoppo di parecchi cavalli? - chiese il conte, con una certa inquietudine. - O è invece il rombo d'una cascata? - disse don Barrejo. - A me sembrano cavalli - rispose Mendoza. - Che il marchese ci dia la caccia? - domandò il conte. - Cosí presto? - disse il guascone. - Poteva aspettare almeno l'alba e starsene comodamente a letto. Che sia un nottambulo costui? Tornarono ad ascoltare e ben presto si convinsero che non si trattava d'una cascata, bensí d'un buon numero di cavalli galoppanti sulla strada di Guayaquil. - Dobbiamo dare battaglia signor conte? - chiese il guascone, il quale era sempre pronto a menare le mani od a sparare archibugiate. - Preferirei cercare un rifugio e lasciar passare il marchese, - rispose il signor di Ventimiglia. - E dopo? Se entra in Guayaquil prima di noi, non so se noi potremo poi fare altrettanto. Io vi proporrei di tendergli una imboscata e di fucilare per bene i suoi uomini. - E farci prendere? - disse Mendoza. - Non avrà già con sé quattro o cinque uomini di scorta. Si direbbe dal fragore che giunge fino a noi, che è un intero squadrone quello che galoppa. - Gettiamoci in mezzo alle piantagioni, - propose don Ercole. - Non sono le canne abbastanza alte per nasconderci e poi la luna sorge, - rispose il conte. - Se vi fossero delle macchie! - Ah! ... Il ponte del diavolo! - esclamò in quel momento Mendoza. - Signor conte, a gran carriera. Senza chiedere nessuna spiegazione lanciarono i cavalli ventre a terra, divorando lo spazio con fantastica rapidità. Quella corsa furiosa durò una buona mezz'ora, poi Mendoza la rallentò, dicendo: - Ci siamo. Cinquanta passi piú innanzi vi era un ponte in muratura; assai largo, gettato su un fiume poverissimo d'acqua. Mendoza balzò a terra, prese il cavallo per le briglie e s'avanzò rapidamente verso la riva, dicendo: - Seguitemi, signor conte. - Perché vuoi farci guadare il fiume? - chiese il corsaro. Nemmeno sull'altra riva vedo delle macchie bastanti per nasconderci. - E la vôlta del ponte, non la contate? ... I cavalieri che c'inseguono ci passeranno sopra, senza minimamente sospettare che quelli che cercano si trovano invece sotto. - Ohé, compare, diventate molto furbo, a quanto pare, - disse il guascone. - Sono anch'io del mar di Biscaglia. Affrettiamoci, signori, anche gli spagnuoli avranno udito il nostro galoppo e avranno precipitata la corsa. Scesero la riva e condussero i cavalli sotto il ponte, immergendosi nell'acqua fino alle ginocchia. - Avvolgete le teste dei nostri corsieri nelle gualdrappe, - disse il conte. - Potrebbero nitrire e tradirci. I tre spadaccini furono lesti ad obbedire. Il galoppo dei cavalli intanto diventava di momento in momento piú fragoroso. Gli spagnuoli dovevano aver udito anche quello prodotto dai cavalli dei fuggiaschi e si erano pure lanciati ventre a terra. Il conte e Mendoza si erano nascosti dietro la pila del ponte, per meglio accertarsi con chi avevano da fare, mentre il guascone ed il fiammingo trattenevano con mano salda i quattro corsieri. - Non devono essere lontani piú di mezzo miglio, - disse il signor di Ventimiglia al fedele basco. Credi tu che sia proprio il marchese? - Scommetterei dieci dobloni contro una piastra, signore. Don Barrejo ha fatto male a lasciare libero quel meticcio. - Volevi tu che lo scannasse in pieno giorno? - Poteva aspettare la sera e portarlo via. - A tutto non si pensa sempre ... eccoli ... non ti far vedere. Il mezzo squadrone del marchese di Montelimar, perché era proprio quello che don Juan de Sasebo gli aveva affidato, giungeva a corsa sfrenata, con un fracasso indiavolato. Il conte udí distintamente il marchese a gridare: - Spronate sempre: non devono essere lontani. I cinquanta cavalieri passarono come un uragano sul ponte e scomparvero in mezzo ad un fitto nuvolone di polvere. - Grazie, Mendoza, - disse il conte, battendo sulle spalle del basco. - Tu ci hai salvati. - Senza dare un colpo di spada né sparare una pistolettata - rispose il filibustiere. - La vostra e anche la mia salvezza non mi è costata troppe fatiche. - Ma senza la tua idea a quest'ora saremmo nelle mani del marchese ed avrei forse fatta la fine di mio padre. Per quanto valorosi si possa essere, non si può sostenere l'urto di un mezzo squadrone. - Signor conte, - disse il guascone avvicinandosi coi cavalli. - Rimontiamo in sella? - Preferisco rimanere qui per qualche ora, cosí i cavalli si riposeranno pienamente. Lasciamo che il marchese corra dietro alle nostre ombre. - Temete che ritorni? - Chi può dirlo? Non trovandoci su questa via, potrebbe distaccare un manipolo dei suoi cavalieri e rimandarli indietro a perlustrate le piantagioni. - Pure io non perderò inutilmente il mio tempo signore. Vi piacciono i gamberi? - Diventate pazzo, don Barrejo? - Niente affatto, signor conte. Ne ho sorpreso uno attaccato ai miei stivali ed era grosso, chiedetelo a don Ercole che se l'è mangiato vivo, senza dividerlo con me. Il fiammingo si limitò a scoppiare in una risata. - Ecco che anche i taciturni figli della Fiandra in nostra compagnia diventano allegri e burloni, - disse don Barrejo. - Che cosa avete voi nelle vostre vene? - chiese il conte. - Siamo appena sfuggiti a un cosi grave pericolo e scherzate. - Che cosa volete, signor conte? Il sangue guascone è cosí. Don Ercole legate i cavalli e cerchiamoci una deliziosa colazione per domani mattina. Io adoro i gamberi, quando però sono dentro il mio ventre. L'indiavolato avventuriero, senza pensare che gli spagnuoli potevano tornate da un momento all'altro, accese un pezzo di miccia ed aiutato dal fiammingo si mise a rovistare le pietre che si trovavano sotto il ponte, tuffando le braccia nell'acqua fresca del fiumiciattolo. Dovevano abbondare davvero in quel luogo i gamberi, poiché i due compari in meno di mezz'ora empirono le fonde dei quattro cavalli, dopo di averle vuotate di quanto contenevano. Alle due del mattino il conte, non udendo piú alcun rumore nei dintorni del corso d'acqua, diede il segnale della partenza. Rimontarono la riva non senza qualche fatica e spinsero i cavalli a piccolo trotto sempre pel timore di veder ricomparire da un momento all'altro i cavalieri del marchese. La notte era sempre splendidissima, e la luna irradiava le piantagioni sterminate di raggi azzurrini, permettendo cosí ai quattro avventurieri di poter scorgere da lontano i loro nemici. Sorvegliavano però attentamente i margini della strada, i quali s'affondavano in certi fossati molto propizi per una imboscata. Alle quattro del mattino intrapresero la salita di alcune colline boscose dietro le quali, alla distanza di tre o quattro leghe, doveva trovarsi la salda fortezza di Guayaquil. Del marchese e dei suoi cavalieri fino allora nessuna nuova. Avevano continuata la loro corsa verso la città o si erano fermati in qualche luogo per perlustrare le piantagioni? Qualche ora piú tardi, raggiunta la cima della prima altura e trovato un piccolo bosco, si accamparono. Base della colazione, non importa dirlo, furono i gamberi raccolti dal guascone e dal fiammingo, appena abbrustoliti sulla fiamma e tuttavia trovati da tutti squisitissimi. Stavano per cercare un torrente per dissetarsi, quando i quattro cavalli mandarono dei sonori nitriti e si diedero a scalpitare. - Amici, in guardia! - gridò il conte, correndo verso il suo destriero e staccando rapidamente l'archibugio. - I nostri andalusi hanno fiutato qualche cosa. - Che i cavalli spagnuoli siano come i cani da guardia! - disse il guascone. - In arcione! - comandò in quel momento il basco. Balzarono in sella e riguadagnarono rapidamente la via, lanciando i cavalli a corsa sfrenata. - Che cos'hai veduto dunque, Mendoza, per farci scappare? chiese il conte, quando furono lontani dal boschetto un tiro d'archibugio. - Ho veduto degli uomini che salivano nascostamente il fianco della collina. Cercavano di sorprenderci, signore. - Erano molti? - Non ho avuto il tempo di contarli. Ho scorto degli elmetti e delle canne d'archibugio e nient'altro. - Soldati erano di certo, - rispose il conte. - Amici, armatevi e tenetevi pronti. - Che i gamberi ci portino sfortuna? - si chiese il guascone. - Se sarà vero, non ne mangerò piú in tutta la mia vita. Cavalcavano da dieci minuti, quando un colpo d'archibugio partí dal fossato di destra. Il cavallo di Mendoza spiccò un salto, s'inalberò, poi stramazzò al suolo. Quasi nell'istesso tempo una scarica nutrita partiva dall'altro lato della via, atterrando i cavalli del conte e di don Ercole. Solo quello del guascone era sfuggito miracolosamente a quella tempesta di palle. - Don Barrejo, salvatevi! - gridò il conte il quale era subito balzato in piedi impugnando le pistole. - Ve l'ordino! ... Siamo presi! Il guascone fece fare al suo cavallo un volteggio fulmineo e quantunque il suo cuore sanguinasse pel dispiacere di non poter aiutare i suoi compagni, fuggí a corsa sfrenata verso Panama, pensando, e con ragione, che avrebbe potuto essere a loro piú utile libero che prigioniero. Il brav'uomo in un lampo aveva fatto subito il suo progetto. Correre a Panama, raggiungere Taroga ed avvertire Grogner e Raveneau de Lussan. Il conte aveva aspettato a piè fermo gli spagnuoli, mentre Mendoza e don Ercole, rimessisi subito in gambe anche essi, sguainavano le spade. Un uomo era sorto dal fossato di destra, mentre una trentina di cavalleggieri apparivano sul margine di sinistra, tenendo gli archibugi montati. - Pare che siate preso, signor conte, - disse, con ironia. - La resistenza sarebbe impossibile e vi costerebbe probabilmente la vita. - Ah ... Voi, signor marchese! - rispose il corsaro, con voce alterata. - Una volta per uno: prima io prigioniero dei filibustieri ed ora voi prigioniero degli spagnuoli. Gettate la spada e le pistole. Il conte esitava. Se avesse avuto ancora i cavalli vivi, non avrebbe certo tardato a gettarsi furiosamente contro i cavalleggieri spagnuoli, spalleggiato certo vigorosamente dal basco e dal fiammingo. - Prima di arrendermi, - disse, - voglio sapere da voi, signor marchese, che cosa intendete fare di me e dei miei compagni. Se avete l'intenzione di appiccarmi, come avete impiccato mio padre, vi avverto che vi darò battaglia, checché debba succedere e che il primo uomo che cadrà sarete voi, poiché vi tengo sotto il tiro delle mie pistole. - Io non ho alcuna intenzione di farvi del male, signor conte, - rispose il marchese, il quale temeva quei terribili corsari, non meno dei suoi compatriotti. - Io vi condurrò prigioniero a Guayaquil e là attenderete le decisioni che prenderà il presidente dell'Udienza Reale. - Il quale decreterà indubbiamente la mia morte e quella dei miei compagni, - rispose il signor di Ventimiglia, con voce beffarda. - No, perché la mia autorità pesa sulle decisioni dell'Udienza ed io farò il possibile per ottenere per voi un decreto di espulsione dalle colonie spagnuole dell'America centrale. - Voi però dimenticate per quale motivo io ho lasciato l'Europa. Non già per sete di guadagni, avendo terre e castella nella mia patria da non saperne quasi che cosa fare. Io ho attraversato l'Atlantico per ritrovare mia sorella, la figlia del Corsaro Rosso e nipote del Gran Cacico del Darien. La fronte del marchese di Montelimar si era oscurata. - Sapete voi dove si trova? - chiese dopo qualche istante di silenzio. - Sí, a Guayaquil. - Perché v'interessate tanto di quella giovane meticcia? - Per Bacco! ... È mia sorella! - gridò il conte. - Sapete che io l'ho sempre tenuta come mia figlia e che ella mi ama come se fossi suo padre? - Perché ignora forse che suo padre era un conte di Ventimiglia e che aveva in Europa un fratello. - Questo è vero, - rispose il marchese. - Che cosa risolvete dunque? - Preferirei di non farvela vedere. - Allora vi darò battaglia e vi ucciderò, - rispose il conte, con voce risoluta. - Non abbiate tanta fretta, signor conte. In questo affare noi potremo benissimo intenderci. Lasceremo alla fanciulla la scelta fra me e voi. - Impegnate la vostra parola di gentiluomo? - Sull'onore dei Montelimar. - Basta cosí, - disse il conte. Gettò la spada e le pistole, subito imitato dal fiammingo e da Mendoza. Il marchese si era voltato verso i suoi uomini. - Date tre cavalli a questi signori, - disse. Tre bellissimi morelli andalusi furono condotti. Il conte ed i suoi due spadaccini montarono in arcione, mentre dal margine opposto sbucavano una ventina di cavalleggieri, tutti bene montati e bene armati. - Signor conte, - disse il marchese, salendo pure a cavallo. - Vi prego di seguirmi. - Badate che conto sulla vostra parola - rispose il signor di Ventimiglia. - Vi mostrerò la lealtà dei gentiluomini spagnuoli. D'altronde io non vi odio affatto. - Ciò però non vi ha impedito di tentare d'assassinarmi, - rispose il conte, con ironia. - Avevo i miei motivi per fare ciò, allora. - Avreste ora cambiata idea? - Non ve lo posso dire. L'avete conciato bene quello spadaccino che si vantava di essere invulnerabile. .È bensí vero che i Ventimiglia hanno sempre goduto fama d'essere maestri nelle armi. In quel momento in lontananza si udirono echeggiare degli spari. - Chi fa fuoco? - chiese il corsaro, con apprensione. - Saranno cacciatori, - rispose il marchese. Mentiva. Era una partita dei suoi cavalleggieri che davano la caccia al bravo guascone. Il marchese spronò il suo cavallo ed il mezzo squadrone, diminuito d'una mezza dozzina di cavalieri, riprese, al piccolo trotto, la corsa verso Guayaquil, sorvegliando attentamente i prigionieri. Dopo quattro ore la truppa faceva la sua entrata nella città e andava a fermarsi dinanzi ad un palazzotto di bell'aspetto, circondato da un pittoresco giardino ricco di palme altissime e di banani meravigliosi, le cui immense foglie spandevano intorno un'ombra fresca e deliziosa. Guayaquil si trovava a circa dieci leghe dall'Oceano Pacifico ed era allora famosa per la singolare sua costruzione, poiché le sue case erano per la maggior parte erette sopra una specie di ponti per salvarle dalle frequenti inondazioni. Per le sue ricchezze, era stimata una delle piú ricche dell'America centrale, essendo essa a capo d'una vasta contrada che possedeva preziose miniere d'oro, d'argento e soprattutto di smeraldi. Non contava che qualche decina di migliaia d'abitanti, però era difesa da tre forti giudicati inespugnabili, con una guarnigione di cinquanta uomini ciascuno. Il marchese giunto dinanzi al palazzotto balzò a terra invitando il conte a fare altrettanto, poi entrò nel giardino. - Dove mi conducete? - chiese il signor di Ventimiglia. - A vedere vostra sorella, - rispose il marchese, - giacché desiderate conoscerla. Sarà di certo nel giardino amando l'aria libera. Il dolcissimo suono d'una chitarra giunse in quel momento ai loro orecchi. - Deve essere Neala, - disse il marchese. - È mia sorella che porta questo nome? - chiese il conte il quale appariva assai commosso. - Sí, conte. Il marchese si diresse verso un piccolo padiglione di stile moresco che occupava un angolo del giardino e che era ombreggiato da tre o quattro immense palme a ventaglio e mostrò al conte una giovane di sedici o diciassette anni, che indossava un semplice accappatoio di piccole trine intessute con pagliuzze d'argento e che stava sonando una piccola chitarra. Era una bellissima creatura, alta, slanciata, colla pelle un po' abbronzata, gli occhi nerissimi dal lampo cupo e selvaggio, coi capelli lunghissimi e pure nerissimi intrecciati graziosamente con fiori rossi. Vedendo il marchese si era alzata deponendo la chitarra e atteggiando le labbra ad un grazioso sorriso. - Figlia mia - disse il marchese - non mi aspettavi di certo cosí presto. - No, - rispose la giovane fissando subito sul figlio del Corsaro Rosso i suoi sguardi. - Ti conduco qui un signore che pretende essere tuo fratello e che ... Il conte lo interruppe bruscamente. - Non dite che pretendo, marchese, poiché voi sapete quanto me che mio padre ha sposato la figlia del Gran Cacico del Darien e che questa fanciulla è realmente mia sorella. Io sono nato da padre e da madre bianchi: la seconda moglie di mio padre fu invece una principessa indiana. La giovane meticcia continuava a fissare il corsaro con crescente intensità ed aveva fatto un passo innanzi, come attratta da una irresistibile simpatia. Era certamente il sangue che segretamente parlava. - Figlia mia - riprese il marchese - questo signore che è il Conte di Ventimiglia, vorrebbe strapparti a me e condurti lontano, lontano, in Europa ... - Nei miei castelli, su un mare piú azzurro dell'Oceano Pacifico, dove l'aria è piú balsamica e piú pura che qui - disse il corsaro. - Io sono bianco e voi siete bruna eppure siete mia sorella perché abbiamo avuto lo stesso padre: il Corsaro Rosso, Conte di Ventimiglia signore di Roccabruna e di Valpenta. Che cosa dice il vostro cuore, Neala? Che cosa dice il vostro sangue? Che cosa pensa il vostro cervello? Io ho lasciato l'Europa per venirvi a cercare, ho sfidato mille pericoli, ho combattuto al di là ed al di qua dell'istmo di Panama per venirvi a dire che siete mia sorella. Chi preferite? Il marchese di Montelimar che vi ha adottata come figlia o vostro fratello? Scegliete. Neala rimase per qualche istante ancora silenziosa, poi con uno scatto improvviso si fece addosso al corsaro e gli gettò le braccia al collo, dicendo: - Il cuore ed il sangue hanno parlato: io sono vostra sorella e voi siete mio fratello!

Mi pare già che gli spagnuoli non abbiano, almeno per il momento, alcuna intenzione di cacciarsi in acqua. Diavolo! Le sabbie mobili fanno troppa paura a tutti! Tastando sempre il terreno ed avanzando con grande precauzione, il bucaniere raggiunse l'isolotto e salí sulla riva, aggrappandosi a certe erbacce dure e coriacee, chiamate olgochloa e che sono cosí cattive che perfino le capre le rifiutano. Una massa di passiflore rampicanti si parò dinanzi al bucaniere. Sono piante che crescono molto rapidamente formando dei bellissimi festoni e che producono dei fiori purpurei con pistilli e stami bianchi con martello, chiodi, il ferro della lancia e tutti gl'istrumenti della Passione, che poi si tramutano in frutta gialle, ovoidali, grosse come poponcelli, assai apprezzate dagli abitanti, specialmente se cucinate con vino e molto zucchero. - Questo deve essere un piccolo paradiso! - mormorò Buttafuoco. - Probabilmente gli spagnuoli ci assedieranno ora, ma io credo che non riusciranno ad affamarci, come forse sperano. Conosco la ricchezza di questi isolotti. - Siamo giunti finalmente a casa? - chiese Mendoza. - Parrebbe - rispose Buttafuoco. - Che i nostri creditori vengano a romperci le tasche anche qui? - Mi sembra che abbiano rinunciato, per oggi o meglio per questa notte, ad importunarci. - Sono gente educata, - disse il guascone. - Se avessero però potuto mettervi le mani addosso, non so, mio caro signor soldato, se avreste ancora tanto spirito, - rispose il bucaniere, ridendo. - E lo dite a me? Oh li conosco io, quei signorini. Diavolo! Ci tengono poco a scherzare coi bucanieri. - E nemmeno i bucanieri con loro, - ribatté Buttafuoco. Noi siamo ancora in quattro e dubito molto che essi siano ancora in cento. Signor conte, volete dormire qualche ora? Pel momento nessun pericolo ci minaccia. - La gente di mare è abituata alle lunghe veglie e non sento affatto il desiderio di riposarmi, - rispose il signor di Ventimiglia. - Io preferirei una buona cena, - disse Mendoza. - La lingua di bufalo e anche l'arrosto di maiale non so piú dove si trovino. Probabilmente si sono affondati nei miei talloni, dopo tante corse furiose. - Io credo di averli sulle punte dei piedi, - disse il guascone con comica gravità. - Io non ho meno fame di voi, - disse il bucaniere. - Però sarete costretti, al pari di me, ad aspettare l'alba. Non posso già prendere degli uccelli di notte e qui noi non troveremo altro che uccelli. - E sarà già molto, - disse il conte, sorridendo. - Le paludi di San Domingo sono di solito molto frequentate dai pennuti, signore, ed una buona colazione non ci mancherà, purché gli spagnuoli ci lascino tranquilli. - Credete che tentino un nuovo attacco? - Ora che non hanno piú i cani, i quali costituiscono la vera forza delle cinquantine, non oseranno forse assalirci. È probabile però che mandino degli uomini a cercare dei rinforzi per assediarci. Di ciò però mi preoccupo ben poco. - E se circondassero la savana? - chiese il signor di Ventimiglia. - Eh! Ci vorrebbero almeno cento cinquantine ed il governatore di San Domingo non ne troverà mai tante. Se io ho un passaggio, non dispero di trovarne un altro e, prima che i rinforzi giungano, noi saremo a S. José, nella fattoria della marchesa. Là non correremo alcun pericolo, essendo io molto conosciuto dall'intendente. - Quest'uomo è veramente meraviglioso, - disse Mendoza. - Decisamente i filibustieri hanno una fortuna straordinaria. È bensí vero che gli spagnuoli ci credono figli o nipoti o pronipoti di compare Belzebú! È già qualche cosa anche questo. Il bucaniere ed il conte si erano coricati sotto una passiflora, sorvegliando attentamente le mosse degli spagnuoli, mosse assolutamente inoffensive, poiché non avevano osato abbandonare la penisoletta che s'avanzava nella savana. Sorvegliavano anche le acque, soprattutto quelle ingombre di erbe, per paura che qualche caimano tentasse di giungere di soppiatto fino all'isolotto per fare qualche buon colpo. Quelle brutte bestiacce non dovevano mancare in quella palude, però non si mostrarono. Probabilmente non si erano ancora accorte della presenza di quel gruppo d'uomini. Quando le tenebre cominciarono ad alzarsi, il bucaniere ed il conte, dopo essersi assicurati che gli spagnuoli erano sempre fermi sulla penisoletta, fecero una rapida escursione attraverso all'isolotto, onde cercare un passaggio che permettesse loro di sfuggire alla sorveglianza dei loro avversarii. Quel pezzo di terra era ingombro di ponted eire, bellissimi cespi di foglie d'un verde lucente e di fiori azzurri e di aristolochie dalle foglie ovali, i fiori lividi in forma di sifoni, col tronco grosso come una botte e radici gigantesche le quali s'alzavano fuori dalla terra come serpenti smisurati. Non mancavano però le piante d'alto fusto. Qua e là s'ergevano, a gruppi, delle quercie, delle magnolie acuminate cariche di certe frutta somiglianti ai cetriuoli, d'un bel rosso lucente, e che si adoperano con successo per guarire le febbri intermittenti, e anche dei noci neri, di dimensioni gigantesche e molto frondosi. Numerosi volatili fuggivano dinanzi al corsaro ed al bucaniere. Erano corvi di mare, piú grossi dei galli, ferocissimi perché osano assalire perfino le persone ferite impotenti a difendersi; fenicotteri, tantali verdi, ibis bianche e botauri, bellissimi volatili alti quasi due piedi, colle penne brune rigate, il ventre grigiastro, il becco acutissimo e gli occhi gialli e molto delicati. - Occupiamoci prima del passaggio, - disse il bucaniere al conte, il quale si preparava a sparare qualche colpo onde procurarsi una buona colazione. - Avremo tempo per massacrare questi volatili, i quali non mi sembrano molto spaventati per la nostra presenza. - Sperate di trovarlo? - Eh! ... Le savane di quest'ísola sono molto difficili ad attraversarsi in causa delle sabbie mobili che costituiscono il fondo. Ma io non dispero di trovare qualche costa che ci permetterà di farla agli spagnuoli. Voi siete sicuro che la vostra nave vi aspetta sempre al capo Tiburon? - Non scioglierà le vele senza mio ordine, - rispose il conte. - Allora possiamo andare alla fattoria della marchesa. Senza il suo appoggio sarà un po' difficile che voi possiate lasciare San Domingo. A quest'ora tutte le cinquantine saranno in movimento per catturarvi. I tre famosi corsari non sono stati dimenticati e gli spagnuoli devono essere molto spaventati nell'apprendere che ve n'era un quarto che batte ancora le acque del gran golfo e che non si sa che cosa voglia fare. - Forse è questo che farà venir loro la febbre, - disse il conte. - Che cosa io sia venuto a fare qui tutti lo ignorano. Certamente io non ho varcato l'Atlantico per continuare le gesta di mio padre e dei miei zii. Il bucaniere si era voltato vivamente, guardando fisso il figlio del Corsaro Rosso. - Delle vendette? - chiese. - Quelle verranno piú tardi, - rispose il signor di Ventimiglia, con voce grave. - Ho prima altro da fare. Si era fermato, guardando a sua volta fisso fisso il bucaniere. - Siete stato nel Darien, voi? - gli disse ad un tratto. - Sí; con Wan Horn, - rispose Buttafuoco. - Conoscete dunque quel paese? - Abbastanza bene: si trattava allora di attraversarlo con l'aiuto di un grande cacico, nemico terribile degli spagnuoli, per andare ad assalire Granata. - Come si chiamava quel grande cacico? - Hara. - Aveva delle figlie, non è vero? - Sí, signor conte. - Date spose a dei famosi filibustieri? - Questo lo ignoro - rispose Buttafuoco. - È lui. - Chi? Il conte, invece di rispondere, si mise a guardare la savana che si estendeva dinanzi a lui a perdita d'occhio, interrotta qua e là da isolotti e da altifondi coperti da una vegetazione superba. - Saremo costretti ad attraversarla? - chiese dopo un lungo silenzio. - Sí, signor conte - rispose Buttafuoco. - Non possiamo tornare indietro: perderemmo la vita, poiché sono certo che gli spagnuoli hanno mandato dei corrieri per aver degli aiuti e le cinquantine che giungeranno non saranno solamente armate di alabarde. - Quando partiremo? - Questa sera stessa, perché i nostri nemici non s'accorgano della direzione che prenderemo. - È lontana la fattoria della marchesa? - È piú vicina di quello che supponete - rispose Buttafuoco. Con una rapida marcia vi potremo giungere in cinque o sei ore. - Cerchiamo la colazione, allora. - Un momento, signor conte; è la costa che mi occorre trovare. Se non riesco a scoprirla, non potremo allontanarci dall'isolotto. Spezzò una canna, armò l'archibugio per essere piú pronto a far fuoco sui caimani e avanzò nell'acqua tastando il fondo. Aveva percorso una quindicina di passi, quando il conte lo vide ritornare. - Abbiamo una fortuna meravigliosa, - disse - il fondo è ottimo e non vi sono sabbie. Signori spagnuoli, ci aspetterete un bel po' e quando vi metterete in marcia non troverete che dei caimani ... Signor conte, guadagniamoci ora la colazione. Non sarà una faccenda lunga. Getteremo giú una mezza dozzina di scoiattoli e ci procureremo un arrosto squisito. Rifecero il cammino percorso, costeggiando specialmente i noci neri, ed aprirono quasi subito il fuoco. Fra gli enormi rami delle grosse piante saltavano disperatamente o meglio volavano dei graziosi animaletti, un po' piú grossi dei topi, col pelame grigio perla sopra e bianco argenteo sotto, con gli orecchi piccoli e neri, il muso roseo ed una splendida coda che pareva una magnifica piuma di struzzo. Erano degli scoiattoli volanti i quali, spaventati dalla presenza di quei due sconosciuti, cercavano di mettersi in salvo, come se avessero già indovinate le malevole intenzioni del bucaniere. Quantunque rassomiglino un po' a quelli che si trovano nelle foreste d'Europa, ne differiscono per una membrana pelosa che unisce le gambe posteriori a quelle anteriori, permettendo loro di spiccare delle vere volate che si prolungano talvolta perfino di cinquanta e più passi. Avevano però da fare con un tiratore meraviglioso; cosicché, in meno di cinque minuti, sette od otto di quei graziosi roditori, mitragliati dal bucaniere, caddero al suolo insieme ad un gran numero di noci che potevano servire benissimo come ottima frutta. Mendoza ed il guascone, che già s'immaginavano di avere una buona colazione con un cacciatore cosí famoso, avevano nel frattempo acceso un allegro fuoco e raccolte delle erbe aromatiche per rendere l'arrosto piú gustoso. I quattro uomini scuoiarono in pochi istanti le bestiole, le infilarono nella bacchetta di ferro d'uno degli archibugi e le misero sopra i carboni, girando quello spiedo primitivo su due forchettoni di legno piantati nel suolo. Mendoza si era improvvisato cuoco, dopo che il guascone gli aveva solennemente dichiarato di saper divorare anche sei beccaccini l'uno dietro l'altro, ma di non saperseli cucinare. Il buon marinaio non aveva né protestato, né brontolato; anzi, aveva guardato con ammirazione quel formidabile mangiatore, chiedendogli solamente per quale motivo i guasconi, pur essendo divoratori, non ingrassavano. Non occorre dire che la domanda era rimasta senza risposta, perché anche don Barrejo non avrebbe saputo dare su quello strano caso nessuna spiegazione plausibile. Il fatto sta che gli scoiattoli scomparvero tutti e la maggior parte passò nel ventre del guascone. Finita la colazione, i quattro uomini si occuparono subito degli spagnuoli, temendo sempre un improvviso colpo di mano. Quelli invece pareva che per il momento non si occupassero affatto di loro. Avevano acceso dei fuochi all'estremità della penisoletta e divoravano la loro colazione tranquillamente, composta forse di testuggini, poiché quei preziosi rettili abbondano intorno alle savane sandominghesi.. - Attendono dei rinforzi - disse Buttafuoco al conte. - Se noi non ci affrettiamo a scappare, circonderanno la palude, e allora sarà bravo chi potrà sfuggire all'accerchiamento. Le cinquantine non si trovano però lí per lí, e possono passare parecchi giorni prima che arrivino. Certo che noi non aspetteremo il momento terribile e fileremo attraverso le acque e anche fra le sabbie mobili. Penserà poi la marchesa a farvi scappare, signor conte. - Sarà la seconda volta - rispose il conte. - A lei tutto è facile - disse Buttafuoco. Aprí una tasca di cuoio che portava al fianco e offrí al conte un grosso sigaro dicendogli: - Potrete con questo ingannare il tempo. È tabacco cubano che ho potuto avere dai filibustieri della Tortue, e non ne troverete del migliore, ve lo assicuro io. Il conte stava per prendere il sigaro, quando un colpo d'archibugio rimbombò e una palla fischiò sopra di loro. Il basco si alzò precipitosamente, afferrando il suo fucile. - Signor conte - disse con la voce un po' alterata - sono giunti dei rinforzi agli spagnuoli e si preparano a prenderci a fucilate. Poi, alzando la voce, disse a Mendoza ed al guascone: - S'impegna battaglia: attenti alle palle!

- Un migliaio di passi e mi è parso che non abbiano molta fretta da avanzarsi. - Perdinci! ... Che occhi che hanno i fiamminghi! - esclamò don Barrejo. - Vincono quelli dei guasconi. - Fuori la vostra idea, don Barrejo, - disse il conte. - Non abbiamo tempo da perdere. - Voi, Mendoza, andate a vedere se la porta del pianterreno è ben chiusa; voi, signor conte, rimanete pure qui, anzi fareste bene a coricarvi un po', e voi, don Ercole, venite sulla lanterna. Io rispondo di tutto. Uscirono e salirono rapidamente la scaletta esterna che girava in forma di spirale intorno alla torre, giungendo ben presto sotto la cupoletta dove brillava una grossissima lanterna con vetri. Il fanalista stava seduto in un angolo della terrazza, occupato a fumare la sua grossa pipa. - Dove sono? - chiese il guascone a don Ercole. - Eccolo laggiú, il primo drappello. Il guascone guardò nella direzione indicata e vide infatti, a circa ottocento passi dal faro, avanzarsi una minuscola colonna, composta da non meno di due dozzine d'uomini. Seguiva la spiaggia lungo le dune. Brillando sempre la luna, non era possibile ingannarsi, poiché le corazze, gli elmetti, gli archibugi e le alabarde scintillavano vivamente. - Segue le dune di settentrione. - Vogliono proprio prenderci in mezzo. Ah! ... La vedremo. Quando si è un po' furbi, si può sempre sfuggire ai pericoli. Armò una pistola, si levò da una tasca una manata di piastre e s'avvicinò al guardiano, il quale, tutto immerso nel gustare il suo tabacco, non si era nemmeno degnato di voltarsi, pur avendoli uditi a salire. - Vecchio mio, scegli, gli disse il guascone, mostrandogli l'arma da fuoco ed il denaro. Vuoi piombo o argento? ... - Che cosa volete? - chiese il guardiano, balzando in piedi e lasciando cadere la pipa. - Assassinarmi forse? - Niente affatto, anzi vi offro un buon gruzzolo di piastre, però voi dovete ubbidirmi senza perdere un solo istante. Se rifiutate, allora non rispondo della vostra vita. - Dite, - rispose il vecchio, spaventato. - Innanzi tutto spogliatevi del vostro vestito bigio, che mi è assolutamente necessario. - E poi? - Lasciatevi legare sotto il vostro letto. - Volete portar via o guastare la lanterna? - Non sapremmo che cosa farne di questo grosso fanale. Sbrigatevi, o invece delle piastre vi caccio una palla nel cervello. - Scelgo le piastre, - disse il guardiano, dopo una breve esitazione. - D'altronde una resistenza da parte mia sarebbe impossibile. - Voi siete un uomo ragionevole, - rispose il guascone. - Ecco le piastre e giú il vestito. Il fanalaio, che ci teneva piú all'argento che al piombo, fu lesto a obbedire. Il guascone infilò i calzoni, indossò la grossa casacca di panno bigio con bottoni di metallo giallo, e si mise in testa il berrettone di tela cerata. - Somiglio ad un fanalista? - chiese a don Ercole, il quale stava legando ed imbavagliando il disgraziato sorvegliante. - Potreste lasciare la spada per la lanterna, - rispose il fiammingo, sorridendo. - Quando sarò vecchio, amico. Ora conducete, o, se vi piace meglio, portate quest'uomo nella camera del conte e cacciatelo sotto il letto. - Preferisco portarlo. - Ed ora a noi, signori soldati, - mormorò il guascone, quando fu solo. Raccolse la pipa del sorvegliante la quale fumava ancora e si sedette su un gradino della scala esterna, mettendosi a sua volta in osservazione.

Che abbiano voluto solamente spaventarci? Oh, siamo troppo abituati a quella musica, non è vero, signor Verra? - Non produce piú alcun effetto su di noi - rispose il luogotenente, il quale stava caricando tranquillamente la sua pipa. - Prima che quelle palle giungano fino a noi, io avrò terminata la mia fumata. Intanto Mendoza, aiutato da alcuni filibustieri aveva ricaricato il pezzo non potendo per il momento servirsi dell'altro, a motivo della posizione che occupava il galeone. Per la seconda volta aveva corretto la mira. Gli spagnuoli avevano subito approfittato di quella sosta per rialzare la loro vela e fissare un lembo alla coffa, non potendo pensare a sostituire il pennone. - Compare, - disse il guascone al basco - badate di non perdere i dobloni, altrimenti non potrete piú restituire quello che avete perduto con me nelle cantine della marchesa. Mendoza non rispose; continuava a mirare attentamente, spostando lentamente la bocca del pezzo per mantenerlo sulla linea del galeone. Il colpo partí, seguito, dopo qualche istante, da un urrà fragoroso e dalle grida di: - Bravo, Mendoza! Non era un'altra penna che il basco aveva strappato alla nave avversaria. L'albero maestro, spaccato un po' sotto la coffa, era caduto attraverso il galeone, spezzando, col proprio peso, le sartie ed i paterazzi e facendo inclinare fortemente la nave sul babordo. La grande vela latina e quella quadrata soprastante erano pure cadute, ingombrando la tolda e coprendo buona parte dell'equipaggio. - Ecco un tiro meraviglioso! - esclamò il guascone. - Il mio doblone è al sicuro. - Siete soddisfatto, signor conte? - chiese Mendoza trionfante. Il signor di Ventimiglia, invece di rispondere, sguainò la spada, gridando con voce tonante: - All'abbordaggio, miei bravi! ... Fra dieci minuti il galeone sarà nelle nostre mani!

. - Io credo che abbiano piú palle che bottiglie, - disse il basco. - Non escludo però che posseggano una piccola cantina. - Non voglio sapere altro, - rispose il guascone. - Andremo ad assaggiare quel vino e vedremo se è piú squisito quello che si trova sepolto nelle cantine o quello navigato. Un grido, che scese in quel momento dalla coffa dell'albero maestro, interruppe la loro conversazione. - Fregata in vista! ... - Ve lo dicevo io? - disse Mendoza. Altro che le navi cariche di farina e di denaro provenienti da Lima. Troveremo ferro e piombo. - Ma anche una cantina, - aggiunse il guascone. Per la terza volta la voce del gabbiere di guardia si fece udire. - E due barconi di appoggio! ... - Quelle non hanno di certo delle bottiglie, - disse il basco. - Conteranno probabilmente un bel numero di corde per appiccarci. - Appiccare noi! - gridò il guascone, trinciando l'aria colla sua draghinassa. - Ah! ... Ci vuole ben altro per appiccare della gente come noi! ... - Già, - disse il fiammingo. - Gente come noi. I filibustieri si preparavano animosamente alla battaglia, cercando di raggiungere la fregata prima che le barcaccie, pessime veliere, potessero accorrere per appoggiarla. Il conte di Ventimiglia, dall'alto del cassero, impartiva con voce squillante gli ordini, mentre Grogner faceva altrettanto sul secondo vascello. La fregata, che era di forte tonnellaggio ed armata di una trentina di cannoni, muoveva pure risolutamente contro i corsari, sicurissima di sgominarli con poche bordate. Il signor di Ventimiglia, accortosi a tempo che gli spagnuoli muovevano all'arrembaggio con animo risoluto, aveva dato l'ordine alle due navi di scostarsi, per prenderli in mezzo, prima che giungessero le barcaccie, le quali contenevano numerosi combattenti e anche dei grossi pezzi d'artiglieria. A mille passi, il combattimento s'impegnò ferocissimo da ambe le parti. La fregata tuonava ed avanzava, tentando di disalberare i due legni corsari; questi rispondevano come potevano, non disponendo che di pochissimi pezzi. A cinquecento passi, gli spagnuoli i quali si tenevano sicurissimi di aver ben presto ragione di quell'accozzaglia di ladroni di mare, imbrogliano le vele di parrocchetto e di pappafico, per essere piú liberi nella manovra e filare sulla nave del conte di Ventimiglia, la quale era piú vicina, per abbordarla. I tamburi rullano fragorosamente sui suoi altissimi ponti ed il grande stendardo di Spagna sventola orgogliosamente al vento. I suoi archibugieri ed i suoi alabardieri sono schierati dietro i bastingaggi, pronti a montare all'abbordaggio, mentre dalle due barcaccie partono scariche violentissime, quantunque quasi inefficaci, in causa della distanza. - Fra poco qui farà molto caldo, - disse Mendoza, il quale non perdeva di vista la fregata. - Se gli spagnuoli muovono su di noi cosí risolutamente, è segno che sono ben decisi a sterminarci. Don Barrejo, temo che le bottiglie del capitano siano un po' dure da guadagnare. - Io ho l'abitudine di rispettare tutte le opinioni, però vi dico che il conte monterà all'abbordaggio prima degli spagnuoli. Ho sete: perché non dovrei bere? - Ben detto, - disse il fiammingo. - Noi berremo il vino di Panama. Le due navi corsare, con una manovra fulminea, avevano ripreso il largo, rispondendo vigorosamente coi loro pezzi. Subivano gravi danni per quel continuo cannoneggiamento, tuttavia non disperavano di dare ai loro nemici un'altra formidabile battuta. La fregata, che precedeva sempre le due barcaccie di parecchie gomene, si getta improvvisamente fra i due legni corsari, alternando scariche di mitraglia e palle. Era il momento atteso dai quattro capi della filibusteria, per tentare un attacco disperato. I due velieri in pochi istanti si stringono addosso al vascello nemico e, come era loro abitudine, scagliano sui ponti un numero cosí enorme di granate, da mettere, in pochi minuti, fuori di combattimento la maggior parte degli archibugieri e degli alabardieri e poi, approfittando della Grande confusione prodotta da tutti quegli scoppi, montano arditamente all'abbordaggio, con un urlio assordante. Bucanieri e artiglieri, tutti si precipitano all'assalto con una ferocia inaudita. Il conte di Ventimiglia e Raveneau de Lussan, insieme ai tre avventurieri, sono i primi che montano sulla fregata. Un combattimento omerico s'impegna. Anche gli uomini di Tusley e di Grogner hanno abbordata la nave e si rovesciano, con impeto irresistibile, attraverso ai ponti, battagliando come leoni scatenati. Gli spagnuoli, già respinti a prora, attraversano a corsa sfrenata la tolda e si rifugiano sul cassero dove hanno un pezzo da caccia in batteria, ma la pioggia di bombe, scagliate dai filibustieri e dai gabbieri che sono rimasti sulle coffe e sulle crocette dei due vascelli, li raggiungono anche là, causando un panico indescrivibile. Il loro valore nulla può contro quella pioggia di fuoco e contro l'urto formidabile dei corsari, troppo abituati alle strepitose vittorie, ed il grande stendardo di Spagna viene calato fra gli urrah degli assalitori, ai quali la fortuna, ancora una volta, ha arriso. Di cento e venti uomini che si trovavano sulla fregata, ben ottanta erano caduti morti o gravemente feriti. Sbarazzatisi del nemico piú pericoloso, i filibustieri, lasciati alcuni uomini sulla fregata, tornano ad imbarcarsi sui loro legni, i quali durante quel formidabile cannoneggiamento non avevano riportati che pochissimi danni, e si mettono nuovamente in caccia per catturare le due barcaccie che erano montate da numerosi equipaggi. Un nuovo combattimento, non meno feroce e sanguinoso, s'impegna, ma i due legni corsari non tardano ad avere anche questa volta il sopravvento. Con un attacco fulmineo s'impadroniscono della barcaccia maggiore, nonostante la terribile resistenza che oppone l'equipaggio, forte di settanta uomini, dei quali soli diciannove sfuggono alla morte; l'altra, vedendosi perduta, alza tutte le sue vele e cerca di raggiungere la costa. Invece urta contro una scogliera, si spezza a metà e perde la maggior parte della sua gente. Non era però ancora finita e la stella che proteggeva quei formidabili scorridori dei mari non si era ancora offuscata. Erano intenti a liberare la fregata dai morti che la ingombravano ed a rattoppare alla meglio le attrezzature delle loro navi, alquanto malmenate dalle grosse artiglierie nemiche, quand'ecco che altre due barcaccie, montate pure da equipaggi numerosi, compariscono all'orizzonte. I filibustieri, inquieti, interrogano i superstiti della fregata e con minacce di morte riescono a sapere che quelle navicelle avevano ricevuto l'ordine di muovere al piú presto in soccorso della flottiglia. I filibustieri, quantunque esausti per tante ore di combattimento, non si perdono d'animo. Comprendendo che a Panama si ignorava ancora la sconfitta subita dalle navi spagnuole, s'imbarcano sulla fregata e sulla barcaccia catturata, alzano ai corni d'artimone lo stendardo di Spagna e muovono verso quei nuovi nemici che s'accostano fiduciosi, credendo avere da fare coi loro compatriotti. - Don Barrejo, - disse Mendoza, il quale essendo, come abbiamo già detto, uno dei migliori artiglieri della filibusteria, era stato incaricato del servizio del pezzo da caccia del cassero. - Spero che non vi lamenterete piú di non menare abbastanza le mani. - Perdinci, - rispose il guascone, il quale stava accomodandosi alla meglio la sua casacca squarciata da un colpo d'alabarda. - Non credevo d'aver tanto lavoro. La mia draghinassa, a forza di picchiare sugli elmi e sulle corazze, è diventata una vera sega. Sarà necessario che io scovi in qualche luogo un arrotino o finirà per non tagliare piú nemmeno il collo d'una bottiglia. - Cambiatela: ne abbiamo prese un buon numero sulla fregata. - Oibò! ... Io lasciare la spada di mio padre! ... Non sapete che questa lama ha preso parte a piú di venti combattimenti? È una lama storica nella famiglia dei de Lussac. - Mi rincresce che tagli poco ora. - Perché? - Non vi hanno detto che quelle barcaccie sono montate da biscaglini, i migliori marinai che abbia la Spagna? - Basterà per oggi anche contro di loro. - Badate che lavori bene, perché si dice che in quelle navicelle vi sia una grossa provvista di corde. - Che dovranno servire? - Ad appiccarci, se ci prendono vivi. - Dite sul serio? - Lo hanno confessato i prigionieri della fregata, - rispose Mendoza. - Oh! ... I bricconi! ... - Il viceré di Panama è stanco di noi ed ha giurato di farci fare l'ultima danza, appesi ai pennoni. - Brutto ballo, - disse il fiammingo, il quale si trovava presente. - Infatti non deve essere molto piacevole, - rispose il guascone. Mi raccomanderò alla mia draghinassa. - Sapete però che cosa hanno deciso i filibustieri? - Di adoperarle per legare come salami i prigionieri. - Niente affatto: di servirsene per far danzare sui pennoni, o meglio sotto i pennoni, gli equipaggi delle barcaccie. - Non li abbiamo ancora presi. - Eh! ... aspettate un po'. La fregata era giunta allora a buon tiro. Le due barcaccie, ingannate dallo stendardo che sventolava sempre sul corno dell'artimone, non avevano cessato di avanzarsi. Un comando breve, secco, echeggiò sul ponte della nave predata. - Fuoco di bordata! In un lampo la bandiera di Spagna viene ammainata e sostituita dagli stendardi di Francia e d'Inghilterra, e una tempesta di palle prende d'infilata le due barcaccie, disalberandole e rasandole come due pontoni. Una barcaccia s'incendia e brucia come un pezzo di legno secco e le polveri scoppiano con fracasso orrendo, scaraventando in alto la coperta, sventrando la poppa e sfondando le murate di babordo e di tribordo. L'altra però tiene vigorosamente testa all'attacco, cannoneggiando furiosamente coi due soli pezzi che aveva a bordo. La lotta non dura che pochi minuti, poiché in aiuto dei filibustieri accorrono anche i due vascelli, i quali fanno un fuoco infernale sulle due disgraziate navicelle. Quella che brucia va a fondo e nessuno degli uomini che la montano sfugge al disastro, l'altra viene abbordata e presa dopo un brevissimo combattimento. Ventidue filibustieri però cadono gravemente feriti e fra di loro Tusley, il quale doveva morire qualche giorno dopo avendo ricevuto una palla avvelenata. I filibustieri, furiosi per le gravi perdite subite e per aver trovato tante funi destinate ad impiccarli, non ostante le proteste del conte di Ventimiglia, non lasciano vivo nemmeno uno dei prigionieri che montavano la seconda barcaccia. Superbi di tanta fortuna, lo stesso giorno si ritirarono a Taroga per deliberarvi sul da farsi, avendo saputo che non uno bensí cinque dei loro compagni si trovavano prigionieri a Panama, soggetti a durissima schiavitú. Era loro intenzione di muovere audacemente sulla ricca città e di tentarne l'assalto. Ma avendo appreso che una forte squadra aveva lasciato i porti del Perú e che moveva in cerca di loro per finirla una buona volta, decisero di mandare un messo a Panama e d'intimare al Presidente dcll'Udienza Reale la pronta restituzione dei cinque prigionieri e della figlia del Corsaro Rosso, minacciando, in caso di rifiuto, di uccidere, per ognuno di essi, quattro spagnuoli dei tanti che tenevano nelle loro mani. Il Presidente manda ai filibustieri un ufficiale per dire loro a voce che nulla poteva fare e nel medesimo tempo ricorre al vescovo di Panama per tentare se il suo carattere potesse avere qualche efficacia, almeno sui francesi che si piccavano di mostrarsi sempre cattolici. Il vescovo scrisse infatti dicendo che il rifiuto del Presidente da non altro dipendeva che dalla obbedienza che egli doveva agli ordini sovrani, i quali gli proibivano una tale sorta di scambi ed avvertendoli nell'istesso tempo che quattro prigionieri inglesi si erano ormai convertiti al cattolicismo e che erano decisi a rimanere cogli spagnuolí. Quelle risposte, come si può ben comprendere, non erano sufficienti per persuadere quei formidabili corsari. In un altro consiglio decisero di rimandare un altro prigioniero a Panama affinché avvertisse anche a voce il Presidente che erano piú che mai risoluti a massacrare i trecento spagnuoli che tenevano nelle loro mani, anche per vendicarsi delle palle avvelenate usate dagli archibugieri della fregata, le quali avevano causata la morte di Tusley e dei ventidue feriti. Per fare maggior impressione, decapitarono venti prigionieri estratti a sorte e mandarono le teste a Panama. Un tale atroce fatto indusse il Presidente a non piú tardare a mettere in libertà quei prigionieri ed a pagare diecimila piastre. Nel numero mancava però la figlia del Corsaro Rosso. Fu un'esplosione di collera terribile, poiché i filibustieri ci tenevano soprattutto ad avere la fanciulla, perché ormai riguardavano il conte di Ventimiglia come il loro vero capo. Il progetto di trucidare tutti i prigionieri spagnuoli, compreso il marchese di Montelimar, per un momento trionfò ... - Mandate la testa dell'ex-governatore di Maracaibo al Presidente dell'Udienza Reale di Panama, - avevano detto Grogner e Raveneau de Lussan, che parevano i piú inferociti. - Diamo una terribile lezione a quegli uomini che usano contro di noi palle avvelenate, cosa contraria a tutte le leggi della guerra! ... - No, - aveva risposto fermamente il conte. - Io vi lascio liberi e mi risolvo ad andare a Panama a cercare mia sorella. Se avrò bisogno di voi, non dubito che voi accorrerete tutti in mio aiuto. Mettete a mia disposizione una barcaccia, affinché possa avviarmi alla costa ed uno schifo per entrare inosservato in porto. La testa del marchese di Montelimar risponderà della mia vita.

Si dice che abbiano con loro non meno di ottocento uomini e che si propongono di mettere a sacco tutta l'America centrale. - Eh, con una simile forza non mi stupirei! So quanto valgono quegli uomini. E dove lasceremo noi la fregata? - La rimanderemo alla Tortue, signore - disse il luogotenente. Voi sapete bene che mai gli spagnuoli oserebbero assalire la rocca dei filibustieri. Volete affidare a me l'incarico? Lasciatemi una trentina di uomini ed io m'impegno di sfuggire alle crociere dei galeoni e delle caravelle spagnuole. - E poi, non avete vostro cugino? - chiese Mendoza. - La Giamaica ha porti sicuri, ed il signor Morgan è un uomo da difendere la vostra fregata contro tutti gli attacchi. - E sarà meglio! - disse il signor di Ventimiglia. - Signor Verra, date la rotta ai vostri piloti e andiamo a scovare, prima di tutto, il marchese di Montelimar a Pueblo-Viejo. Se non mi dirà dove si trova mia sorella, guai a lui! ... Sarò implacabile come mio zio, il Corsaro Nero!

. - Che abbiano già scoperte le nostre tracce? - si chiese don Barrejo. - Lesti, raggiungiamo la cima e vediamo chi avrà ragione. Allentarono le briglie e strinsero le ginocchia, non avendo speroni. I tre andalusi si misero al trotto, quantunque la collina fosse molto ripida ed in pochi minuti raggiunsero la cima, fermandosi dinanzi ad un ampio vallone cosparso di cespugli e di macigni e che scendeva verso il Chagres. Di lassú i tre avventurieri potevano dominare un immenso tratto di paese, era quindi facile per loro scoprire dei cavalieri. - Non vedo che il fiume, - disse il guascone. - E questo lo udite? - chiese il basco, curvando rapidamente il capo. Un colpo d'archibugio era rimbombato ed una palla era passata su di loro, fischiando sinistramente. - Ci assassinano a tradimento! - urlò il guascone. In quel momento una mezza dozzina d'uomini, montati anch'essi su bellissimi cavalli, si mostrò sul margine d'un palmeto. Erano cavalleggieri spagnuoli, mandati certamente dietro ai tre audaci avventurieri dal marchese di Montelimar. - Al galoppo! - gridò il guascone, nel mentre una seconda detonazione rintronava. - Non mi aspettavo una simile sorpresa, - brontolò Mendoza. - Dovevano aspettare che noi fossimo giunti almeno in vista del campo. I tre andalusi si erano lanciati nel vallone, saltando agilmente i cespugli ed i massi, senza che i cavalieri avessero bisogno di aizzarli. Il terreno era tutt'altro che favorevole per una corsa furiosa, essendo cosparso d'ostacoli e anche di crepacci, tuttavia i tre avventurierí che sapevano d'aver sotto dei saltatori meravigliosi e resistentissimi, erano certi di tenere gli assalitori a grande distanza. Gli spagnuoli, superata la cima, si erano a loro volta slanciati nel vallone, urlando e sparando, di quando in quando, un colpo d'archibugio, piú per intimorire i fuggiaschi che colla speranza di colpirli. Se sudavano gli andalusi dei tre avventurieri, non faticavano meno quelli degli spagnuoli: i quali forse non erano migliori di quelli del governatore. La corsa diventava sempre piú furiosa e anche sempre piú pericolosa. Il basco, il guascone ed il fiammingo, tutti buoni cavalieri per loro fortuna, poiché il marinaio, prima di diventare filibustiere, aveva servito in un reggimento di cavalleria, avevano un gran da fare per evitare gli ostacoli. Ogni dieci o quindici passi erano costretti a trattenere bruscamente i cavalli e ad allargare le gambe per permettere loro di varcare dei profondi crepacci. - Tenete bene strette le briglie - gridava di quando in quando don Barrejo, il quale era sempre il primo. - Chi cade è un uomo perduto! ... Reggete bene i cavalli! Gli spagnuoli facevano sforzi prodigiosi per guadagnare via e giungere a tiro d'archibugio, essendo rimasti indietro durante l'ultima salita del colle. Spronavano senza misericordia e gridavano a squarciagola, per aizzare sempre piú i loro magri cavalli, senza riuscire però a guadagnare un metro sui fuggiaschi. La corsa durava da una buona mezz'ora, sempre attraverso a quell'aspro e selvaggio vallone il quale pareva che non dovesse finire mai, quando il guascone mandò un urlo di rabbia. - Che cosa avete, don Barrejo? - chiese Mendoza, spaventato. Cede, il vostro andaluso? - C'è che la via è tagliata, - rispose il guascone. - Non è possibile! ... Siamo passati per di qua sette giorni or sono. - Ed ora non si può passare piú, sangue di Belzebú! ... Alto, amici! ... Fermate i cavalli prima che si spezzino il cranio. Erano giunti ad una svolta della valle e dinanzi a loro si ergeva una roccia colossale, la quale ostruiva completamente il passaggio. Dietro era franata una quantità enorme di terra e di massi i quali avevano formato una specie di collinetta. - Siamo presi, - disse il fiammingo. - No, signore, - rispose il guascone, il quale non si perdeva mai d'animo. - Avete un archibugio appeso alla sella e delle pistole, nelle fonde. Prendiamo posizione e difendiamoci. - Di dove passiamo? - chiese Mendoza. Non vedete che la roccia è tagliata a picco? - Fate coricare i cavalli e nascondiamoci dietro i loro corpi. Badate di non alzare la testa. Presto: gli spagnuoli giungono! In un lampo balzarono di sella, levarono gli archibugi e le pistole, poi fecero coricare i cavalli sull'orlo d'un crepaccio. I sei cavalleggieri giungevano a gran galoppo, rossi di collera, colle spade in pugno. Vedendo i tre cavalli stesi a terra, fermarono i propri e ringuainarono le spade, staccando invece dalle selle gli archibugi. Si erano fermati a soli duecento passi dai fuggiaschi, quindi avevano subito indovinato il motivo di quella improvvisa sosta. Il capo squadrone che li comandava s'avanzò solo, per vedere dove si nascondevano i tre avventurieri, i quali si guardavano bene dal mostrarsi. - Olà! - gridò, vedendo brillare la canna d'un archibugio dietro uno dei tre andalusi. - Siete presi, a quanto pare. Spero che non avrete nessuna voglia d'impegnare la lotta con noi, che siamo piú numerosi e anche ben risoluti a ricondurvi da S. E. il governatore di Pueblo-Viejo. Vi arrendete sí o no? - Il signor conte d'Alcalà non si arrende mai e si batte invece sempre! - gridò il guascone, mostrandosi. - Ah! ... Ah! ... Siete voi quello che si era spacciato per l'amico di S. E. il governatore! ... - In persona, caballeros. - Non ne dubitavo. Dunque vi arrendete? - Il conte d'Alcalà non ha mai risposto di sí a questa domanda. Però si potrebbe forse intenderci, senza sprecare inutilmente della polvere e delle palle e massacrarci a vicenda. - Che cosa volete dire, señor? - Che con un po' di dobloni si potrebbe accomodare questa faccenda. Il capo squadrone fece un gesto di collera. - I soldati spagnuoli non si vendono, bandito! - gridò. - E poi S. E. il governatore pagherà la vostra cattura a un prezzo ben piú caro. - Si capisce che non vi hanno detto che io sono diretto a Panama, dove vado a raccogliere una eredità di cento mila dobloni. Invece di attaccare briga con noi, serviteci di scorta e vi pagherò tutti da vero principe, - disse il guascone. - Preferisco fucilarvi sul posto, señor. - Vi faccio un'altra proposta allora. - Sembra che vi piaccia troppo di chiacchierare, bandito. - No: sono conte d'Alcalà, signore d'Aramejo, de Mendoza y Alicante y Bermejo de los Angelos. - E grande di Spagna, lo sappiamo, - disse il capo squadrone ironicamente. - Sí, anche grande di Spagna, - rispose il guascone, sempre calmo. - Finitela! ... - Vi propongo un duello. - A chi? - A voi, caballero. - Siete pazzo? - Niente affatto, perché vi offro delle splendide condizioni. Se voi mi ucciderete, vi do la mia parola d'onore che i miei due compagni si arrenderanno, se io avrò la fortuna di fare invece la pelle a voi, ci lascierete andare tranquillamente. - Dopo morto? ... - Ci lascieranno andare i vostri cavalleggieri. - Preferisco fucilarvi, se non vi arrendete. - Provatevi, dunque! ... Vi avverto però che ho con me un terribile filibustiere che non sbaglia mai il bersaglio. Figuratevi che a duecento metri spacca una nocciuola e spegne con una palla la fiamma d'una torcia. - Spaccone! ... Va' a raccontarlo a tuo nonno, se l'hai ancora vivo. - È morto vent'anni fa. Il capo squadrone, che doveva averne fin sopra i capelli di quella chiacchierata, volse le spalle e raggiunse i suoi uomini, i quali erano nel frattempo balzati a terra, nascondendosi dietro ai loro cavalli. - Signor basco, - disse il guascone, volgendosi verso Mendoza. Io non sono un cattivo archibugiere, e spero pure che il fiammingo non sia uomo da sprecare inutilmente del piombo, però conto specialmente su di voi. M avete detto di essere stato bucaniere, prima di diventare filibustiere. - Credo d'aver ammazzato un migliaio di bufali nelle foreste di San Domingo e di Cuba. - Smontatemi dunque quei soldati. Quando non avranno piú cavalli, se ne andranno di certo. A voi il primo colpo. Il filibustiere che si era steso nel crepaccio per mettersi completamente al coperto dalle palle, si rizzò sulle ginocchia, tenendosi sempre riparato dietro all'andaluso che gli stava dinanzi, e puntò risolutamente l'archibugio. I cavalleggieri stavano in quel momento rimontando a cavallo, per tentare una carica disperata a colpi di spada e di pistola. Mendoza mirò l'animale che montava il capo squadrone, un bellissimo destriero tutto bianco, e fece subito fuoco. Un urlo di collera, seguito da una salva di bestemmie, accompagnò lo sparo. Il cavallo bianco era caduto, sbalzando di sella il capo squadrone. Colpito in direzione del cuore aveva fatto, prima di stramazzare, uno scarto cosí fulmineo, rizzandosi poscia sulle zampe di dietro, da non lasciate il tempo al suo padrone di abbandonate le staffe e di saltare da una parte. I cinque cavalleggieri, vedendo il loro capo a terra, caricarono ventre a terra, quantunque la discesa che conduceva verso la frana fosse coperta di massi enormi staccatisi dalla colossale roccia piombata dall'alto. - A noi, fiammingo - gridò il guascone. Due spari rimbombarono, uno dietro l'altro, destando l'eco della vallata, seguiti da due sonori nitriti e da due altre imprecazioni. Altri due cavalli erano caduti in mezzo alle roccie, trascinando con loro i cavalieri. Gli altri tre si erano fermati, facendo un fulmineo volteggio, poi erano fuggiti verso lo svolto del vallone, presso cui si trovava il caposquadrone, piú furibondo che mai. - Se siamo terribili spadaccini, siamo pure formidabili archibugieri, - disse don Barrejo. - Signor fiammingo, siete veramente un uomo prezioso, malgrado la vostra immensa barba. - Non sono forse io del Brabante? - disse il fiammingo, con solenne gravità. - Per le centomila code del diavolo, io non avevo saputo, prima d'oggi, che i brabantini fossero anche abilissimi archibugieri! ... - E questo non è nulla! ... - Allora siamo sicuri di smontare tutti! I due cavalieri che erano stati scavalcati, approfittando dei crepacci e delle rocce, si erano rapidamente allontanati, strisciando come serpenti ed abbandonando i loro cavalli moribondi. I loro compagni, trovandosi nell'impossibilità di riprendere la carica e per paura di venire a loro volta smontati, si erano trincerati dietro una roccia, sparando alcuni colpi d'archibugio. Non dovevano essere cattivi bersaglieri, poiché al terzo sparo il bel l'andaluso del fiammingo si rizzò di colpo, mandando un lungo nitrito, sferrò alcuni calci e poi cadde di quarto, tre metri piú innanzi della spaccatura. - Ecco una vera disgrazia, - disse il guascone. - Quell'animale valeva almeno duecento piastre e non potrò piú rimandarlo a S. E. il marchese di Montelimar. È vero che non avevo proprio quest'intenzione. Le sue scuderie sono piú ben fornite delle mie, diamine. Ohé, signor Mendoza, dormite sui vostri allori? - Aspettate un po' e vedrete che cosa sanno fare i filibustieri. Cerco di gettare a terra un uomo ed un cavallo insieme. - E quel cavalleggiero cerca di spaccare la mia testa, - rispose il guascone, gettandosi precipitosamente a terra, mentre il suo feltro, forato da una palla, balzava lontano parecchi passi. - Questa è una vera battaglia! ... - I guasconi sono sempre stati battaglieri, quindi non vi dispiacerà, - disse il fiammingo, colla sua solita calma. - Preferiscono sempre però un corpo a corpo, a colpi di spada. - Fate per ora un corpo a corpo a palle di piombo. - Sono troppo traditrici, perché ammazzano senza nemmeno dire: ohé, guardatevi che vi mando a visitare l'altro mondo. - Già, è un brutto affare. Un colpo d'archibugio aveva interrotto il loro discorso. Il filibustiere aveva fatto fuoco e, come aveva promesso, aveva ammazzato un altro cavallo e l'uomo che gli stava dietro. - Signor Mendoza, - disse l'incorreggibile chiacchierone. Voi siete un tiratore veramente tremendo. - Come il fiammingo è un brabantino, io sono un filibustiere, rispose Mendoza. - Avete ancora delle munizioni? - Tre colpi soli: S. E. il governatore ci ha forniti poco bene. - Forse presentiva che noi li avremmo adoperati contro i suoi armigeri, - rispose il guascone. Una scarica in quel momento partí ed un altro cavallo del governatore, dopo d'aver spiccato un salto, cadde fulminato. - È il mio, - disse il guascone, bestemmiando. - Non valeva la pena di regalarci dei cavalli cosí splendidi, per farli poi massacrare dai suoi cavalleggieri. - Se ci avesse dati dei muli sfiniti, sarebbe stata la medesima cosa. - Signor fiammingo, guardate troppo il vostro archibugio. Sono tutti cosí lenti i brabantini quando devono sparare? - Anch'io aspetto la mia occasione, - rispose l'avventuriero. - Tiriamo insieme dunque: scommetto un doblone, da bersi alla taverna d'El Moro, che io abbatterò un cavallo e due uomini. - Bum! - fece Mendoza. - Altro che bucaniere! ... - Accettato, - rispose il fiammingo. Fecero fuoco contemporaneamente e fu il brabantino che gettò giú un altro cavallo. - Per centomila code del diavolo! - esclamò don Barrejo. - Si vede che i guasconi non sanno tirare che gran colpi di spada. Signor fiammingo, terrò in serbo il doblone per berlo alla vostra salute. Corpo di Belzebú! ... Ecco che la faccenda diventa proprio seria. Gli spagnuoli, furibondi di essere tenuti in iscacco da quei tre terribili avventurieri, sparavano senza posa, tenendosi coricati dietro le sporgenze del terreno. Rispondevano colpo per colpo alle archibugiate del basco, del fiammingo e del guascone, cercando di avanzarsi. Non avevano però fortuna. Sia che un certo panico si fosse manifestato fra di loro; sia che i loro archibugi avessero una portata assai minore, le loro palle passavano sopra le teste degli avventurieri, senza causare alcun danno. Il guascone ed i suoi compagni, ben nascosti dietro ai cavalli, dei quali due non davano piú segno di vita, resistevano con tenacia ammirabile. Ma dopo un quarto d'ora si trovarono tutti tre senza munizioni. Non avevano che le pistole e le spade. - Ladro d'un governatore! - borbottò don Barrejo. - Poteva essere piú generoso. Non ha badato a darmi dei cavalli di valore ed ha economizzato sulle munizioni. Ora verrà il buono. Poi, volgendosi verso i suoi due compagni, disse: - Non usate le pistole che all'ultimo momento e tenetevi pronti a caricare colle spade. - lo non ne ho, - disse il fiammingo. - Caricherete colla sella del vostro cavallo, - disse il guascone. Gli spagnuoli non avevano cessato di avanzarsi. Ben risoluti ad impadronirsi dei tre avventurieri, prendevano però le loro precauzioni, non ignorando ormai d'aver da fare con persone risolute e pronte a qualunque sbaraglio. Strisciavano fra i massi, cercando di non esporsi e scivolavano fra i crepacci. Anche essi dovevano aver lasciati gli archibugi presso i cavalli. Erano cosí pervenuti ad una distanza di una ventina di metri, quando si udirono in aria due sibili acuti. Tutti avevano alzata la testa. - Delle freccie! - aveva esclamato il guascone. - Benissimo! ... Gli spagnuoli dinanzi e gl'indiani in alto. Si stava meglio a Pueblo-Viejo. Sette od otto uomini dalla pelle ramigna, quasi interamente nudi, colle teste adorne di piume variopinte e che tenevano in mano dei lunghi archi, erano comparsi fra le alte rocce del vallone. Non correvano però in aiuto né degli spagnuoli, né degli avventurieri, perché lanciavano i loro pericolosi dardi tanto contro gli uni che contro gli altri. Per essi l'uomo bianco rappresentava il nemico, a qualunque nazione appartenesse. - Don Barrejo, che cosa facciamo? - chiese Mendoza, il quale si era prontamente riparato dietro una sporgenza dell'enorme roccia, insieme al fiammingo. - Carichiamo gli spagnuoli, che sono per ora i piú pericolosi, rispose il guascone. I cavalleggieri, che si trovavano maggiormente esposti alla pioggia di dardi, non avanzavano piú, anzi balzavano a destra ed a sinistra per evitare d'essere colpiti. - Approfittiamone, amici, - disse il guascone. I tre avventurieri balzarono innanzi, scaricando un colpo di pistola ognuno, non volendo rimanere affatto senza munizioni, poi il guascone ed il basco caricarono colle loro draghinasse, urlando ferocemente. Gli spagnuoli che già si trovavano a mal partito in causa delle freccie e che avevano perduto un altro uomo, colpito in pieno petto da una palla di pistola, fuggirono precipitosamente su pel vallone, traendosi dietro i cavalli rimasti vivi. - Io spero di non rivederli piú, - disse il guascone, rifugiandosi precipitosamente dietro la roccia, per non prendersi qualche freccia attraverso il corpo. - Non sono però scappati gl'indiani, - disse il fiammingo. - Non sarà facile a loro di colpirci. Bisognerebbe che girassero il vallone e noi sappiamo quanto è lungo. - Mi pare che si siano divisi, - disse Mendoza. - Alcuni di loro inseguono i cavalleggieri: vedo infatti lassú volare dei dardi. - Cosí affretteranno la loro ritirata, signor basco. - E gli altri assedieranno noi, don Barrejo. - Aspetteremo la notte. - Ed intanto ci ammazzano l'ultimo andaluso! - gridò il fiammingo. Infatti l'ultimo andaluso, colpito da cinque o sei freccie, era caduto addosso agli altri due, nitrendo lamentosamente. - Ah! ... furfanti! ... - gridò il guascone. - Non ne avevano abbastanza della carne qui, senza ammazzarci anche quella povera bestia. - Ci impediscono di fuggire, - disse Mendoza. - Quante piastre perdute! ... - Un migliaio per lo meno, don Barrejo. - Ci rifaremo al saccheggio di Pueblo-Viejo. Per bacco! ... Mi viene una superba idea. - Dite. - Di far pagare questi tre cavalli a quel furfante di taverniere. Se riesco a scovarlo, lo farò urlare come una coyota. Mentre si scambiavano quelle parole, tranquilli come se fossero al sicuro dentro un castello, gl'indiani non cessavano di scagliare freccie e di mandare, di quando in quando, il loro acutissimo urlo di guerra. Sprecavano però inutilmente i loro dardi, poiché i tre avventurieri si guardavano bene dal lasciare l'angolo della roccia. - Suppongo che non avranno delle migliaia di freccie, - riprese il guascone, dopo un breve silenzio. - Ne hanno già scagliate parecchie dozzine. Ah! ... Se avessi un po' di polvere! ... - Non abbiamo che tre cariche, - disse Mendoza. - E di pistola ... - Tiro troppo breve. - Lo so, signor basco. Io continuo a tormentarmi il cervello per trovare un mezzo qualunque che ci permetta di andarcene, e non trovo nulla. Ciò m'inquieta. - Qui non corriamo alcun pericolo, - disse il fiammingo, il quale masticava l'ultimo pezzo del suo sigaro. - Non sono gl'indiani che m'inquietano, - rispose il guascone. - Il sole, forse? - Me ne infischio del caldo. Sono gli spagnuoli. - Se sono scappati! ... - E se ritornassero con dei rinforzi e ci trovassero ancora qui? ... - Che frittata! - esclamò Mendoza. - Fortunatamente Pueblo-Viejo non è tanto vicina ed i cavalleggieri sono quasi tutti smontati. - E quelli montati possono correre innanzi e tornare alla testa di qualche squadrone. - Ah diavolo! - brontolò Mendoza, grattandosi furiosamente la testa. - Voi mi avete messo una pulce terribile in un orecchio. È necessario prendere una risoluzione eroica. Credete che questa roccia sia proprio inaccessibile? - Io non l'ho ancora osservata attentamente, - rispose il guascone. - Si può provare. - Non ci colpiranno gl'indiani? - chiese il fiammingo. - Non credo, perché l'angolo della roccia si prolunga. - Tentiamo, - disse Mendoza, risolutamente. - State attenti alle freccie; non sono già molto pericolose in pieno giorno. Presero gli archibugi, armi troppo preziose, anche se pel momento scariche, per lasciarle agli altri, impugnarono le tre pistole cariche e scivolarono lungo la parete dell'enorme roccia, girandola verso l'opposta parte del vallone. Gl'indiani non potevano accorgersi di quella ritirata, impedendo la frana di osservare ciò che succedeva in basso. I tre avventurieri, procedendo cauti e nel piú profondo silenzio, riuscirono finalmente a raggiungere l'altro angolo, il quale si appoggiava contro la parete rocciosa del vallone. Per un caso assolutamente straordinario, l'enorme rupe, nel precipitare, si era per cosí dire smussata verso la base, lasciando un passaggio fra il proprio angolo e la parete che scendeva a picco. - L'ho sempre detto io, che tutti gli avventi hanno la loro stella! - esclamò il guascone, trionfante. - Un cavallo non potrebbe passare, ma un uomo sí. Prenderemo quei signori indiani alle spalle! ... - Infatti noi abbiamo una fortuna veramente straordinaria, disse Mendoza. - Chi avrebbe potuto supporre che qui esistesse un passaggio? - Dentro, amici, - comandò don Barrejo. - Spicciamoci, giacché gl'indiani non si sono ancora accorti della nostra scomparsa. Odo sempre le freccie fischiare dall'altra parte della frana. Si curvò e si mise a strisciare sotto la rupe, seguito tosto da Mendoza e dal fiammingo. Quella specie di galleria si prolungava per una quindicina di metri, ingombra di terriccio e di macigni. I tre avventurieri l'attraversarono rapidamente e giunsero dietro la frana. - Laggiú mugge il Chagres, - disse il guascone. - Dobbiamo attaccare alle spalle gl'indiani o scappare? I"Veramente ad un guascone ripugna di mostrare i talloni al nemico. - Io direi di dare l'attacco, - rispose Mendoza. - Se si accorgono della nostra fuga non cesseranno di perseguitarci. Io so quanto sono testardi quei maledetti uomini rossi. - Voi meritereste di essere promosso generale. - Perché, don Barrejo? - Gli uomini si conoscono nei momenti difficili. Scappano almeno gl'indiani quando odono dei colpi di fuoco? - Come conigli. - Allora cerchiamo di sorprenderli. Che cosa dite voi, signor fiammingo? - Conosco anch'io quella gente che ha la pelle color rame e vi posso dire che è sempre meglio dare l'assalto. - Riusciremo noi a sorprenderli? - Basta arrampicarsi sulla roccia, - rispose Mendoza. - Qui è piú accessibile che dall'altra parte. - Noi siamo gente sempre straordinariamente fortunata, - disse il guascone. - Se gl'indiani non si accorgono della nostra scalata, faremo una carica a fondo. Compare Mendoza, insegnateci la via. Non siete piú giovane, questo è vero, però potete competere con un gatto selvaggio. Questi filibustieri sono veramente meravigliosi! ... - Ora vi darò una prova di che cosa sono capaci i figli della Tortue, - rispose il basco. - Se non faccio fuggire gl'indiani, che un giaguaro mi divori. - Brutta scommessa, - disse il guascone, scuotendo la testa. Il filibustiere osservò attentamente l'enorme frana, poi, avendo scoperto una specie di gradinata, si mise a salirla. Non era già una gradinata regolare, tuttavia il lupo di mare aveva dato arditamente l'assalto, ansioso di piombare alle spalle degl'indiani, i quali non cessavano di scagliare freccie nel vallone, per impedire la fuga agli assediati. Il guascone ed il fiammingo gli si erano messi dietro, pronti ad aiutarlo nella temeraria impresa. Puntando i piedi sulle sporgenze ed aggrappandosi agli sterpi, il lupo di mare raggiunse senza troppa fatica la cima e scivolò inosservato verso gli alberi che coprivano il margine del vallone. - Ecco il momento di mostrare a quel terribile guascone che anche i baschi valgono qualche cosa, - brontolò. - Che tutta la gloria spetti a lui, perché abita dall'altra parte del mar di Biscaglia, comincia un po' a seccarmi. Canarios! ... Anche noi siamo famosi per menare le mani e per uccidere, sia pure a colpi di navaja. Don Barrejo ed il flemmatico fiammingo lo avevano raggiunto, senza che le pelli-rosse se ne fossero accorte. - Signor Mendoza, - disse don Barrejo, - non sarebbe questo il momento di dare una prova della vostra abilità? - Che cosa volete dire? - chiese il filibustiere. - Abbiamo gl'indiani a soli venti passi da noi e ci voltano le spalle ed io ho udito vantare la straordinaria abilità dei baschi. - A giuocare di spada? - Le spade sono le armi dei guasconi, - disse don Barrejo. È il colpo della navaja che io vorrei vedere. Si risparmierebbe una carica di polvere. - Ho capito, - rispose il basco, sorridendo. - L'avete sempre la vostra navaja? - Preferirei lasciare la spada per la mia arma nazionale. - Fate un buon colpo dunque! Vedremo se la pelle degl'indiani è piú dura di quella degli uomini di razza bianca. Una cosí tremenda stoccata, data a distanza, potrebbe produrre un effetto straordinario. - Vi contenterò, - rispose Mendoza. - Sarà una palla risparmiata. Fermatevi qui e non fate rumore! GI'indiani si trovavano a trenta o quaranta passi, nascosti dietro gli enormi massi della frana. Credendo che gli avventurieri si trovassero sempre riparati dietro l'angolo dell'enorme roccia, non cessavano di lanciare delle freccie, senza guardarsi alle spalle. - Sotto, Mendoza, - disse il guascone. - Lasciate fare a me, - rispose il basco. - Tenetevi pronti a caricare a colpi di spada, se non volete consumare le nostre ultime munizioni. Silenzio! Si era allontanato, strisciando, dopo essersi sbarazzato dell'archibugio il quale non poteva essergli piú di nessuna utilità. Sulla mano allargata teneva la terribile navaja basca, colla punta rivolta verso il polso ed il manico al di fuori. Strisciava come un serpente, senza produrre il menomo rumore. Il guascone ed il fiammingo lo seguivano a breve distanza, tenendo pronte le pistole, pronti a portargli aiuto nel caso che il colpo fosse mancato. Ad un tratto Mendoza si fermò dietro il tronco d'una grossa palma. GI'indiani non erano che a dieci o dodici passi e gli volgevano le spalle, intenti a lanciare, senza interruzione, delle freccie. Si udí un leggiero sibilo e qualche cosa scintillò in alto. La navaja era stata lanciata, piantandosi fra le spalle d'un selvaggio e con tanta violenza da troncargli di colpo la colonna vertebrale. I suoi compagni, vedendolo cadere, avevano fatto tre o quattro salti innanzi, urlando spaventosamente. Il guascone sparò un colpo di pistola, poi caricò colla sua terribile draghinassa. Era una carica affatto inutile, perché i figli delle foreste, spaventati di vedersi dinanzi quei tre uomini bianchi, si erano precipitati sotto la vicina boscaglia, correndo come lepri. Quasi nel medesimo istante si udirono rimbombare nel vallone parecchi colpi d'archibugio. - Gli spagnuoli! - gridò il guascone, mentre il basco s'impadroniva della navaja. - Gambe, amici!

Vengono chiamati le tigri dell'America e possono rivaleggiare con le tigri reali dell'India, quantunque non ne abbiano la mole. Posseggono però una tale forza da trascinare un toro. Il guascone, un po' impressionato dai miagolii feroci della fiera, si era fermato. - E dunque, don Barrejo, che cosa facciamo? - chiese Mendoza, il quale rideva sotto i baffi. - Non è un gattone guascone quello lí? - Mi pare che soffi un po' troppo, - rispose l'avventuriero. - Dategli un calcio. - Ah! ... Diamine! ... Mi pare che la cosa sia un po' difficile! - Infilatelo. - È quello che stavo appunto studiando. - Giú un colpo di spada! . Aspetto che mi assalga. Aveva puntata la pistola e allungata la draghinassa. La belva soffiava sempre e ruggiva sordamente, senza muoversi. Don Barrejo, seccato di non vederla avanzarsi, fece qualche passo innanzi, gridando: - Su, gattaccio, assaggia un po' la mia draghinassa! Il giaguaro si era accovacciato, pronto a slanciarsi. Mendoza si era messo a fianco del guascone, temendo che gli toccasse qualche grave disgrazia, mentre il fiammingo impugnava la pistola. - Il gattaccio ha paura, - disse don Barrejo. - Diavolo! ... Sente l'odore d'un uccisore di gatti. Aveva appena pronunciato quelle parole, quando il coguaro spiccò un salto cosí impetuoso da farlo cadere a gambe alzate. Mendoza, che gli stava presso, allungò rapidamente la spada, affondandola nelle carni della bestiaccia, mentre il fiammingo, che aveva ancora una pistola carica, sparava a bruciapelo. Il coguaro, doppiamente ferito, saltò sopra la testa dei suoi feritori e scomparve nella foresta, ruggendo. - Corpo di bacco! - esclamò il guascone, il quale si era prontamente alzato. e, per sua fortuna, incolume. - Che gattacci vivono in questo paese? Non sono di quelli che ammazzavo io quando ero ragazzo. L'avete ucciso voi, signor Mendoza? - Non lo so, - rispose il basco. - La mia spada è però insanguinata. - E la mia palla deve averla ben cacciata nel corpo, - aggiunse il fiammingo. - Scommetterei che l'ho acciecato. - Ecco un uomo meraviglioso, - disse don Barrejo. - Io non vedevo quasi piú quel gattaccio, e lui l'ha proprio preso in un occhio. Speriamo allora che essendo cieco non ci secchi piú. - Un fiammingo, - disse Mendoza. - Che cosa volete dire voi? - chiese il brabantino. - Che è un mezzo guascone, se non lo è per intero. Don Barrejo ed il brabantino proruppero in una clamorosa risata. - E Mendoza è un basco, - disse il primo. - Sí, un basco, - ripeté il secondo, con voce grave. - Che lavora di gambe per non farsi nuovamente sorprendere dal gattone cieco, - rispose Mendoza, riprendendo la corsa. I due fracassoni credettero bene di seguirlo, non essendo veramente sicuri se il coguaro avesse ancora o no i suoi occhiacci a riflessi giallastri. Quella seconda galoppata durò un'altra ventina di minuti, poi Mendoza, che da qualche po' osservava attentamente la riva del Chagres, si fermò additando ai suoi compagni alcuni fuochi che brillavano sotto gli alberi. - Ancora gl'indiani? - chiese il guascone, vedendolo arrestarsi. - È l'accampamento del conte, - rispose il basco. - Sono certo di non ingannarmi. In quel momento una voce rauca gridò minacciosamente: - Chi vive? Rispondi o faccio fuoco. - Mendoza, - rispose il basco. - Avanti allora, compare. Quattro uomini armati d'archibugi e di pistole si erano slanciati fuori da un cespuglio, seguiti da un quinto il quale portava una torcia. - Il lupo di mare! - esclamò il capo delle sentinelle. - Hai tardato molto a farti vivo, compare. Si beve bene dunque a Pueblo-Viejo? - Benissimo, - disse don Barrejo. - Vi faremo assaggiare un certo Alicante che abbiamo scoperto, che non si beve nemmeno nella vecchia Spagna. - Quando? - Quando prenderemo d'assalto la città, - rispose il guascone. - È vero, compare? - chiese il filibustiere a Mendoza. - Chi vivrà vedrà, - si limitò a rispondere il basco, allontanandosi rapidamente per recarsi dal conte di Ventimiglia. Nell'attraversare l'accampamento, s'accorse che i filibustieri erano ben piú numerosi di prima. Gruppi d'uomini che prima non aveva mai veduti, chiacchieravano o fumavano attorno ai fuochi, tenendo i loro archibugi fra le gambe. - Il signor conte ha ricevuto degli aiuti, - mormorò. - Prendere Pueblo-Viejo sarà per noi un giuoco. La tenda del conte s'innalzava in mezzo all'accampamento ed era illuminata anche internamente. Mendoza entrò risolutamente, dicendo: - Eccomi, capitano. - Finalmente! - esclamò il signor di Ventimiglia, il quale stava seduto su un vecchio tronco d'albero, intento ad osservare, alla luce d'una torcia, una specie di carta geografica dei dintorni. - Cominciavo a temere che ti avessero preso od appiccato. - Niente affatto, signor conte, - rispose il lupo di mare. Quando vi è con me quel demonio di guascone non correrò mai alcun pericolo. - Vi è dunque? - Sí, il marchese si trova a Pueblo-Viejo. Don Barrejo ha parlato con lui, anzi ha bevuto insieme la cioccolata. Vi spiegherà come, lui stesso piú tardi ... - E mia sorella si trova presso di lui? - Questo non abbiamo potuto saperlo, signor conte. Abbiamo però saputo che fino a poco tempo fa si trovava presso il marchese una bellissima meticcia, giunta non si sa da dove e poi misteriosamente scomparsa. Il conte aveva alzato vivamente la testa, mentre una profonda emozione alterava il suo viso. - Mia sorella è la nipote del Gran Cacico del Darien? - Può darsi che sia quella. - Bisogna che abbia il marchese nelle mie mani. - Lo credo anch'io, signor conte. - Sai quanti soldati vi sono in città? - Due o trecento cavalleggieri e qualche compagnia d'archibugieri. - E l'artiglieria? - Pochi pezzi. - La prenderemo d'assalto prima di mezzodí, - rispose il conte, risolutamente. - Sai che ho ricevuto dei rinforzi? - Mi sono accorto della presenza di altri uomini, che qui prima non c'erano. - I miei corrieri che ho mandati verso le sponde del Pacifico per avvertire Grogner e Tusley di mandarmi dei rinforzi, hanno incontrato una partita di filibustieri, forte di settantacinque uomini, guidata da un gentiluomo francese, il signor Raveneau de Lussan. - E cinquanta ne avete voi, siamo dunque in buon numero, - disse Mendoza. - Tu conosci ormai la via? - Sí, signor conte. - Potremo giungere prima dell'alba sotto le mura di Pueblo-Viejo? - Anche piú presto. Il conte uscí dalla tenda, estrasse le sue pistole e le scaricò in aria. Era quello il segnale della riunione. Gli uomini che stavano seduti intorno ai fuochi o di guardia ai quattro angoli dell'accampamento si alzarono frettolosamente e si portarono in massa dinanzi alla tenda, preceduti da un uomo di bassa statura, che indossava una corazza d'acciaio in mezzo alla quale campeggiava uno stemma dorato: era Raveneau de Lussan. - Partiamo, conte? - disse il gentiluomo francese, con voce nasale. - Sí, signor de Lussan, - rispose il figlio del Corsaro Rosso. Si tratta d'assalire Pueblo-Viejo. - E noi la prenderemo, - rispose tranquillamente il filibustiere. I miei uomini cominciavano ad annoiarsi. - Spegnete i fuochi ed in marcia, senza perdere tempo. Cerchiamo di sorprendere il marchese nel suo palazzo. Dieci minuti dopo, i filibustieri levavano il campo inoltrandosi sotto la grande foresta, preceduti da Mendoza, dal guascone e dal fiammingo. Il conte di Ventimiglia veniva subito dopo i tre avventurieri, con Raveneau de Lussan. La truppa raggiunse felicemente le rive del Chagres e verso le due del mattino s'inoltrava nel vallone dove aveva avuto luogo lo scontro fra i tre avventurieri ed i cavalleggieri spagnuoli. Temendo una sorpresa, il conte mandò innanzi una grossa avanguardia. Se gli spagnuoli si fossero trovati ancora là e avessero occupate le due falde della valle, avrebbero certo dato molto da fare ai filibustieri. Fortunatamente, dopo d'aver cacciati gl'indiani, erano ritornati a Pueblo-Viejo, ben lungi dal sospettare la vicinanza d'un cosí grosso numero di nemici. Mezz'ora prima che sorgesse il sole, i filibustieri, senza essere stati segnalati dalle cinquantine incaricate di battere ogni notte le foreste vicine alla città, giungevano a pochi tiri d'archibugio da Pueblo-Viejo. Come la maggior parte delle piccole città dell'istmo di Panama, anche quel centro, non molto popoloso e piuttosto discosto dai due oceani, non aveva che qualche vecchio bastione ed un fossato facilissimo a varcarsi coll'aiuto di pochi fasci di legna. Per filibustieri abituati a dare la scalata perfino alle altissime muraglie dei forti difese da formidabili artiglierie, almeno per quell'epoca, ci voleva ben altro! ... Il figlio del Corsaro Rosso divise i suoi uomini in due colonne, affidando il comando della meno numerosa al gentiluomo francese e, appena il primo raggio di sole comparve, si spinse risolutamente all'attacco. Le sentinelle spagnuole che vegliavano sul bastione, scorgendo quei gruppi d'uomini che s'avanzavano attraverso alle piantagioni di zucchero e di caffè, non avevano indugiato a dare l'allarme ed a sparare parecchi colpi d'archibugio. I filibustieri non si erano nemmeno curati di rispondere. Guidati dal conte, da Mendoza, dal guascone, avevano rapidamente attraversato il fossato, ricoprendolo di fascine, poi avevano aperto il fuoco contro le prime case, facendo scappare gli abitanti seminudi. Nessuno si era opposto all'assalto, tanto era stato fulmineo. sicché i filibustieri irruppero attraverso le vie della città a passo di corsa, mentre Raveneau de Lussan s'impadroniva, con non meno fortuna, del vecchio bastione, facendo subito inchiodare i pochi pezzi che lo guarnivano, piú utili del resto a spaventare i tica-tica che saccheggiavano le piantagioni, che uomini cosí risoluti e formidabili, come erano i corsari del golfo del Messico e dell'oceano Pacifico. Gli abitanti, svegliati di soprassalto da quelle scariche, scappavano verso la piazza maggiore, dove si ergevano la chiesa che poteva servire da fortezza, e il palazzo del governatore. Uomini, donne e fanciulli si spingevano gli uni gli altri carichi delle loro cose piú preziose trovate sotto mano. I filibustieri credevano già di avere in loro mano la cittaduzza, quando scorsero dinanzi alla chiesa due squadroni di cavalleggieri colle spade in pugno. Erano circa cento cinquanta uomini, ben montati e bene armati e che avrebbero potuto dare del filo da torcere agli assalitori, se questi non fossero stati ritenuti come uomini invincibili perché creduti figli dell'inferno. Il figlio del Corsaro Rosso si slanciò risolutamente verso la chiesa, gridando ai suoi uomini: - Sotto, amici! I filibustieri, i quali già molto contavano sul terrore che ispiravano, dopo le loro strepitose vittorie riportate al di là ed al di qua dell'istmo, fecero una scarica generale. I cavalleggieri tentarono una carica disperata, poi volsero i cavalli, fuggendo disordinatamente attraverso le vie della città. Parecchi avevano già vuotato l'arcione e giacevano morti o moribondi dinanzi ai gradini della chiesa. - Ora quel dannato taverniere farà i conti con me, - disse il guascone. - Se lo trovo, guai a lui! Il conte di Ventimiglia prese con sé una dozzina di uomini e si slanciò verso il palazzo del governo, dalle cui finestre non era partito nemmeno un colpo d'archibugio; mentre gli altri, provvedutisi di alcune travi, sfondavano la porta della chiesa per far uscire gli abitanti della città che vi si erano rifugiati cogli oggetti piú preziosi. Il guascone, Mendoza ed il fiammingo avevano accompagnato il conte, pronti a sacrificarsi per difenderlo. - Per centomila demoni! - esclamò don Barrejo, quando ebbero salito lo scalone. - I colombi sono scappati assieme al falco. Signor conte, non sarà qui che voi scoverete il marchese di Montelimar, il mio carissimo amico. Scommetto che non avrete l'onore di assaggiare la sua squisita cioccolata. E conte ed i suoi uomini si erano precipitati attraverso le sale, sfondando i mobili e le porte. Non furono trovati che sette alabardieri nascosti in un bugigattolo, sotto un ammasso di fasci di canne da zucchero. Vi era però fra di loro un uomo già conosciuto da Mendoza e dal guascone. - Corpo d'un trombone sfiatato! - esclamò don Barrejo. - Il capo della scorta! Ehi, camerata, il conte d'Alcalà vi prega di far udire la vostra voce armoniosa. Ve l'avevo già detto, se non m'inganno, che mi avreste riveduto e molto presto. Il capo-ronda, molto avvilito di vedersi ancora dinanzi l'ex-prigioniero, era uscito dal bugigattolo, borbottando e stringendo minacciosamente una specie di misericordia. - Interroghiamo quest'uomo, signor conte, - disse don Barrejo. È una vecchia nostra conoscenza. - Dov'è il marchese? - gridò il signor di Ventimiglia, il quale appariva esasperato. - Da ieri sera, caballeros, egli galoppa sulla via che conduce a Nuova Granata, - rispose il capo-ronda. - I vostri compagni, che si spacciavano per conti e grandi di Spagna, non sono stati troppo furbi e si sono traditi. - Burlone! - esclamò il guascone. - Quando è partito? - chiese il conte. - Prima della mezzanotte. S. E. non è un uomo da cadere facilmente nel laccio e si è messo in salvo per tempo. Nuova Granata non è Pueblo-Viejo e non la prenderete con poche scariche d'archibugi, signor mio. - Con chi se n'è andato? Parla, se vuoi salvare la pelle. Sai che i filibustieri non sono molto generosi. - Aveva una scorta di otto uomini. - Ed una fanciulla? - Sí, caballero. - Una meticcia, è vero? - Come lo sapete voi? - Rispondi e non interrogare, - disse il signor di Ventimiglia con voce minacciosa. - Sí, una meticcia, - rispose il capo-ronda. - Quale posizione occupava quella meticcia nella casa del governatore? - Veniva trattata come fosse una parente di S. E. - Quanti anni potrà avere? - Dai quindici ai sedici. Il conte fece mentalmente un rapido calcolo. - Non può essere che lei, - mormorò. Poi, alzando la voce, rispose: - È dunque molto fortificata Nuova Granata? - Cosí si dice. - Ci sei stato tu? - Mai, caballero. Il figlio del Corsaro Rosso fece un gesto di dispetto. - Poche ore prima e cadevano l'uno e l'altra nelle mie mani, disse. Poi volgendosi verso uno dei suoi ufficiali: - Incaricatevi della custodia di questi uomini. Possono essermi molto utili piú tardi. Lasciò la sala e ridiscese sulla piazza, seguito da Mendoza, dal guascone, dal fiammingo e da una mezza dozzina di filibustieri. I corsari del signor di Lussan non erano ancora riusciti a entrare nella chiesa. Gli abitanti che stavano dentro difendevano accanitamente le loro ricchezze, che avevano frettolosamente raccolte, e ad ogni intimazione di resa, rispondevano con scariche d'archibugi. - Signor di Ventimiglia, - disse il gentiluomo francese, vedendolo comparire. - Questi spagnuoli non intendono di uscire. Volete che faccia saltare la chiesa con una mezza dozzina di barili di polvere? - Sarebbe un massacro inutile, - rispose il conte. - E se rimangono lí dentro noi non avremo nemmeno una piastra. - Io rinuncio alla mia parte. - Non rinunceranno però né i miei, né i vostri uomini. - Avete fatto dei prigionieri? - Appena due dozzine. - Mandatene uno nella chiesa ad annunciare agli assalitori che, se non capitolano, ammazzeremo per ora quelli che teniamo nelle nostre mani. Mentre il signor di Lussan si preparava a obbedire, Mendoza si avvicinò al guascone ed al fiammingo. - Amici, - disse. - Finché questa gente se la sbriga colla chiesa, approfittiamone per andare ad assaggiare il buon vino di quel furfante di taverniere. Se comincia il saccheggio generale della città, noi non troveremo che le botti vuote. Io ne so qualche cosa della sete dei filibustieri ... poi la nostra presenza qui non è necessaria. Il conte ed il francese hanno uomini piú che sufficienti per forzare gli assediati alla resa. - Tonnerre! - esclamò don Barrejo. - Mi ero dimenticato di quell'amico! ... Che sia nascosto nelle sue cantine? - Ho qualche speranza di scovarlo in mezzo alle sue botti, - rispose Mendoza. - Ed anch'io, - disse il fiammingo. - Andiamo, compari, - conchiuse il guascone. Approfittando della confusione che regnava sulla piazza, i tre avventurieri presero il largo e, inosservati, si cacciarono entro una viuzza a loro ben nota, che doveva condurli in breve dinanzi alla taverna d'El Moro. Come avevano supposto, la porta era chiusa e regnava un silenzio da tomba. - Che l'amico si sia rifugiato in chiesa coi suoi sguatteri? - si chiese il guascone, dopo d'aver appoggiato un orecchio alla toppa. Non odo nemmeno quel gattaccio nero miagolare. - Buttiamo giú la porta, - disse il fiammingo, il quale, avendo scorto a breve distanza un ammasso di legnami che dovevano servire alla costruzione di una casa, si era impadronito d'una trave. - Ecco l'uomo forte della compagnia, - disse don Barrejo, vedendo che il fiammingo non piegava sotto il peso. - D'ora innanzi, giacché non ha mai voluto dirci il suo nome, lo chiameremo don Ercole. Afferrarono solidamente la trave, presero la rincorsa e con un colpo solo sventrarono alla lettera la porta della taverna, con un tale rimbombo che parve avessero sparato là dentro una cannonata. - Don Ercole! ... Voi siete l'eroe della giornata ... il re della taverna, - disse il guascone. - Perdinci! Che muscoli! ... Sareste capace di buttar giú anche una fortezza! ... - Sono un fiammingo, - rispose serio serio l'avventuriero. Sguainarono le draghinasse, temendo un assalto a colpi di spiedo o di casseruole, ed entrarono. Non videro scappare che un grosso gatto nero, quello che già il guascone aveva notato. La povera bestia, spaventata da quel colpo di tuono, balzava attraverso le tavole e sui banchi, come se fosse impazzita, rovesciando bicchieri e bottiglie. - Quella bestia lí deve avere l'anima di quel brutto gattaccio che abbiamo incontrato sulle rive del Chagres, - disse don Barrejo. - Sapete dove si trova la cantina? - chiese Mendoza al fiammingo. - La porta è dietro al banco. - Prendiamo prima qualche torcia, - disse il guascone. - Non occorre, - rispose Mendoza. Salí su un tavolo e staccò il lanternone che serviva ad illuminare la sala. L'accese non senza qualche difficoltà, poi si diressero verso la porta che doveva mettere nella cantina. Bastò una pedata del guascone per sgangherarla e farla rotolare giú per la scala. - Ci sono! ... - esclamò Mendoza, alzando il lanternone. - Chi? - chiese don Barrejo. - Ho udito un grido dalla cantina. - Che fortuna! ... Ah! ... Povero taverniere! ... In quali mani stai per cadere! ... - disse il guascone. Fate luce, Mendoza! Scesero la scala con precauzione, tenendo le draghinasse in linea e giunsero in un'ampio sotterraneo contro le cui pareti s'appoggiavano una dozzina e forse piú di rispettabili e ben panciute botti. - Dove si sarà nascosto quel briccone? - disse don Barrejo. Una voce s'alzò dietro le fila di botti di destra, gridando: - Chi è che osa darmi del briccone? - Tonnerre! ... Il taverniere! ... - Ancora quel birbante! ... - strillò il proprietario d'El Moro. Ora ti spillerò sangue! ... - Amici, fuori le pistole! - comandò il guascone. Il taverniere era balzato fuori dal suo nascondiglio, brandendo minacciosamente uno spiedo e dopo di lui erano comparsi, uno ad uno, i suoi quattro sguatteri egualmente armati. - Ancora qui, furfante! - urlò l'oste, furioso. - Dove si beve del buon vino si torna sempre, - rispose il guascone, puntandogli contro la spada e la pistola. - Mi ero immaginato che voi dovevate essere un filibustiere, - disse il taverniere, il quale non osava farsi innanzi, vedendo tre bocche da fuoco spianate. - Sono venuto anzi ad avvertirvi che la città è caduta nelle nostre mani e che ogni resistenza è ormai inutile. Siamo in mille! - E che cosa volete da me? - Assaggiare nuovamente il vostro Alicante ed il vostro Xeres. - Il mio vino! ... - Volete prima che vi ammazzi? - chiese il guascone, cambiando tono. - Rimarremo allora noi padroni assoluti della cantina e le vostre proteste non servirebbero piú a nulla. Volete un consiglio da amico? Andate a sedervi su quelle travi, insieme ai vostri sguatteri, lasciate in pace gli spiedi, buoni per infilzare polli e anitre e non uomini come noi, e non seccateci piú, diversamente noi faremo boum! E allora andrete a trovare compare Belzebú. - Voi mi volete rovinare. - Abbiamo rovinata anche l'intera città, quindi potete consolarvi. - Io non vi darò una piastra! ... - Ma che piastra! ... È il vostro vino che noi vogliamo. Ci prendete per dei ladri? Sbrigatevi, giú gli spiedi e subito là in fondo. Abbiamo sete noi, tonnerre! Il povero oste ed i suoi aiutanti, spaventati dall'accento terribile del guascone e reputando ogni resistenza affatto inutile, gettarono gli spiedi e andarono a sedersi sulla trave indicata, la quale si trovava all'estremità opposta della cantina. Mendoza posò a terra il lanternone, mentre don Barrejo ed il fiammingo s'impadronivano di alcuni boccali di terracotta ben capaci. - Proviamo lo Xeres, prima, - disse il basco. - È quello del famoso doblone. - E poi assaggeremo anche tutte le altre botti, spero, - aggiunse il fiammingo. - Badate di non ubbriacarvi, - disse il guascone. - Non siamo soli qui e quei gattacci che stanno là in fondo potrebbero saltarci addosso. Mentre uno tracannava a garganella Xeres e gli altri Porto e Alicante, il povero taverniere si strappava i capelli, strillando. - Questi birbanti mi rovinano! Né il guascone, né i suoi compagni facevano attenzione ai lamenti ed alle ingiurie del taverniere e dei suoi sguatteri. Continuavano tranquillamente a bere, assaggiando il contenuto di tutte le botti. Dovevano essere dei formidabili bevitori, poiché pareva che ingollassero tanta acqua. Ad un certo momento però il guascone il quale si sentiva forse girare un po' la testa e oscillare le gambe, gettò via il boccale che teneva in mano e che era ancora quasi pieno di Porto, dicendo: - Basta, camerati! ... Non siamo già delle botti, noi! ... Ora verrà la solenne punizione del taverniere. - Che cosa volete fare? - urlò l'oste, piú che mai furibondo. Non siete ancora contenti? - Vi lasciamo le piastre e dovete averne un buon gruzzolo. E vi lamentate ancora? Non sapete dunque che quando i filibustieri piombano su una città spazzano via tutto? Dovete anzi esserci grati di questa generosità. - Volete ammazzarci? - Voi no e nemmeno i vostri sguatteri. Sono le vostre botti che pagheranno per la vostra perfida condotta verso gentiluomini della nostra marca. Mendoza, quali credete che siano le botti migliori? Le avete assaggiate tutte? - Tutte, - rispose il basco. - E voi, don Ercole? - Anch'io - disse il fiammingo. - Quali sono? I due avventurieri, dopo maturo esame, indicarono due enormi recipienti contenenti l'uno dello Xeres ed un altro della Malaga stravecchia. Il guascone impugnò due pistole, quindi rispose serio serio: - Io, nella mia qualità di presidente del Consiglio di guerra, decreto la morte di queste due botti. Ciò detto sparò le due pistole contro i due recipienti, forandoli. Due zampilli scaturirono subito, scorrendo pel pavimento. Il taverniere aveva mandato un urlo come se gli avessero strappato il cuore ed aveva fatto un salto innanzi, per avventarsi contro quei tre demoni scatenati. Il guascone però era stato pronto a mettere un piede sugli spiedi e ad allungare la sua terribile draghinassa, gridando: - Alto là, brav'uomo! ... Quest'arma ha sempre sete di sangue umano e beve quando trova l'occasione. - Miserabili, mi vuotate le botti e quelle anche che contengono il migliore. - A noi piace offrire alla terra sempre del vino di prima qualità affinché ne riproduca di quello piú squisito. Anche la terra qualche volta beve volentieri. Mendoza ed il fiammingo ridevano a crepapelle, per niente impressionati della disperazione del taverniere. Don Barrejo lasciò che lo Xeres e la vecchia Malaga colassero per parecchi minuti allagando la cantina, poi disse ai compagni: - È ora d'andarsene. Se restiamo qui ancora un quarto d'ora saremo piú ubbriachi della terra che beve. Taverniere, addio! Mentre il povero oste urlava, come se lo scorticassero vivo ed i suoi quattro sguatteri vomitavano una serqua di maledizioni, i tre avventurieri raccolsero il lanternone e salirono la scala, senza nemmeno occuparsi di rispondere. - Andiamo a vedere che cosa succede ora alla chiesa, - disse il guascone quando furono fuori dalla taverna. Giungevano già in ritardo. Gli abitanti si erano arresi ed i filibustieri avevano saccheggiata la città, portandosi via quanto oro avevano potuto trovare e si preparavano a ripartire. Come! ... Si riprende la marcia, signor conte? - chiese Mendoza il quale era riuscito a trovare il signor di Ventimiglia. - Andiamo a raggiungere i filibustieri che si trovano all'isola S. Giovanni, - rispose il figlio del Corsaro Rosso. - Senza Grogner e Tusley non potremmo espugnare una piazza forte come è quella di Nuova Granata. - È necessario che il marchese non mi sfugga la seconda volta. - Fa' radunare i nostri uomini e andiamo a far conoscenza coll'Oceano Pacifico.

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