Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Saggi di critica d'arte

261826
Cantalamessa, Giulio 3 occorrenze
  • 1890
  • Zanichelli
  • Bologna
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Egli era ingiusto come tutti coloro che, affrettando rapidi i passi, si dilungano molto dai predecessori, sì che, volgendosi indietro e vedendoli lontani, li giudicano stremati di forze; era ingiusto di quella ingiustizia che quasi fatalmente convien che abbiano quei grandi a cui la natura speciale del loro genio prescrive di limitar nettamente l’orbita dell’ideale, tanto che s’abituano a non intendere più ciò che sta fuori di quell'orbita, e a supporre che altro ideale diverso dal loro non ci possa essere. Sublime aberrazione dei magnanimi, senza cui forse non sarebbero nate opere che conquidono per l’indipendenza e la forza che le suggellano! Un uomo che aveva esplorato tutte le leggi della struttura umana, rese al suo animo si familiari le forme da farsene quasi linguaggio agile e perfetto, che del suo nobile possesso si vale per sollevare il corpo dell’uomo a un ideale di gagliardia, ch’egli aveva intraveduto nella vergine natura primitiva, e poi attribuisce a quest’uomo sì trasfigurato e forte tutte le infelicità della vita nostra, facendolo contorcere tra gli spasimi, illanguidirsi implorando pietà, gemere sotto un’ira mal repressa, sollevare il viso in atto ribelle, ma sempre serbarlo consapevole e altero della nobiltà di sua natura, quest’uomo, dico, dovea necessariamente trovar povera un’arte ove spira la tranquillità, ancor alquanto impacciata per amabile peritanza istintiva, desiderosa di simmetria, paga di linee che si svolgono semplici e pavida di arrischiarsi alle grandi difficoltà. Si capisce che Michelangelo avesse lodato i pittori di Mezzaratta. Non hanno la scienza delle forme, avrà pensato; sono bambini che balbettano, ma almeno sono animosi, tentano grandi cose, hanno movimento, fuoco, brio. Ma il Francia, tanto men coraggioso di essi quant’è più dotto, non poteva piacergli.

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Sebbene Guido si maturasse artista colla scorta dei Caracci, e questi abbiano il precipuo vanto della gloria ch’ei seppe poi procacciarsi, m’è parso non inutile ricordare il suo primo maestro, perchè Guido non ne dimenticò si presto gl’insegnamenti. C’è in questa pinacoteca un suo quadro molto giovanile, in cui nelle quattro figure dei santi ritte sul piano l’influenza caraccesca è già evidentissima, ma nelle tre figure poste in alto, come apparizione, è evidente del pari la persistenza dei modi appresi nella prima scuola. E siccome una terza cosa vi apparisce, ossia il colore terso e fluido e la facilità incantevole delle modellazioni, ossia vi apparisce l’ingegno personale di Guido, tanto che quel quadro è il preannunzio di ciò che egli diventerà, reputo si possa dire che l’elemento desunto dal Calvari sia stato da lui mantenuto per deliberata volontà, giacchè egli era già si padrone dei mezzi dell’arte da potersene, se avesse voluto, sciogliere affatto. E fosse riconoscenza, che negli animi gentili non si estingue mai, fosse ricorso di quelle compiacenze indimenticabili di certe forme dell'arte provate nell’adolescenza da quelli che la Diva ha toccati in fronte, certo è che Guido non scordò il Calvart mai del tutto, anzi se ne rammentò dipingendo, molto più tardi, una delle sue opere più. perfette. Chi di voi ha veduto il suo Michele nella Concezione dei cappuccini a Roma? Il Delaborde non cita questo quadro nè molti altri dei migliori di Guido; certo non li ha obliati per proposito; ma sia dimenticanza innocente, sia cognizione incompleta, tali silenzi nuocciono non poco alla sua critica. Or io vi dirò candidamente il parer mio. Dopo Raffaello non s’era avuta una più alta idealità di bellezza, una più perfetta depurazione della forma umana da tutti i caratteri della caducità, una percezione più nitida di ciò che, pur sussidiato dai sensi, trasvola oltre i sensi, una rispondenza più immediata tra la visione e la facoltà della mano. Michele è veramente un celeste, il cui volto meraviglioso par che scintilli d’una luce ch’è fuor della nostra natura; la chioma mossa dall’impeto del volo gli aggiunge un accento d’imperio e ne invigorisce la transumana eleganza. Combatte risoluto, ma tranquillo, come chi è certo della vittoria, e abbassa lo sguardo sul nemico, che gli si divincola al piede, con un’alterezza olimpica, da farci pensare che il gentil seme latino, con immutato ideale artistico, ricorra sempre per istinto allo stesso linguaggio dei grandi antichi, e che questo sia il più eletto, il definitivo modo di esprimersi. Ma Guido, dipingendo quella figura, non ha potuto, o non ha voluto, deporre del tutto il ricordo del S. Michele che il Calvari avea dipinto per la cappella Barbazzi in San Petronio; quadrò che ha molto sofferto, ma in cui si può anche adesso ravvisare una delle più felici ispirazioni di questo fiammingo devoto all’arte italiana ed a Bologna.

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